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Autore: Roxe    03/06/2012    3 recensioni
Be a singer.
Be a lover.
Pick the flower now before the chance is past!
Be italian!
Live today as if it may become...
...your last!

WARNING: questa storia non ha niente a che vedere con la seconda serie di Sherlock.
Sherlock Holmes: The Musical (almost) | Pre-slash comico | Nudity | Genere: Commedia musicale | Spoiler!-free | Personaggi: John Watson, Irene Adler(?), Sherlock Holmes
Genere: Azione, Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Irene Adler, John Watson , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimers: I personaggi da me trattati appartengono in primis a Sir Arthur Conan Doyle, che ha avuto la grazia d’inventarli alla fine del 1800, in secundis alla BBC ed ai suoi ottimi sceneggiatori che hanno deciso di riadattare l’originale in chiave moderna, in terzis (non so se esiste) agli attori Benedict Cumberbatch e Martin Freeman, che hanno dato loro le fattezze e l’interpretazione che mi hanno ispirato questa storia.

PreScriptum Premesso che ognuno i personaggi di un libro se li deve immaginare come preferisce, perché gran parte del bello sta proprio in questo (e preso atto che l’attrice cui è stato assegnato il ruolo della Adler nella seconda serie è già stata annunciata) mi permetto di darvi una piccola hint personale sull’aspetto di questa donna nel 21esimo secolo secondo me.
Io Irene Adler nel 2011 la immagino così, e l’ho immaginata così mentre la raccontavo.
Quando ho scelto questa foto -ritoccata da me medesima, come potrete facilmente notare dall’appiccicottume- non sapevo neanche che questa fosse un’attrice piuttosto famosa (recitava anche in Dr House…) ed a dire il vero, come spesso capita –luce, angolazione, fondotinta, visagista- ci sono alcune foto in cui si avvicina moltissimo alla mia idea, e altre in cui, come direbbe Johnny Stecchino, nun ce somiglia penniènte.
L’unica cosa di cui sono certa è che nell’ immagine che vi ho proposto lei rappresenta ciò che avevo in testa pensando ad una Irene Adler moderna (e nelle note vi spiegherò anche perché).
Tutto il resto è noia.
Buona lettura!

ProMemoria Non dimenticatevi la faccenda della traduzione dall’inglese bianco su bianco e degli asterischi cliccabili, mi raccomando.

 

 

  

 

Vivace ma non troppo

 

 

 

      
       TOC TOC

 

Il piccolo ingresso sul retro del Rose & Crown Pub non somigliava nemmeno vagamente all’entrata di un teatro, per quanto piccolo.
Dava più l’idea di essere un magazzino per gli attrezzi, o l’uscita secondaria dei locali cucina, con quella porta malmessa i cui acciacchi testimoniavano un uso tanto frequente quanto sgarbato.

Del resto l’intero edificio non presentava un aspetto migliore.
Era il tipico pub inglese tirato su in un vecchio palazzo ottocentesco costruito quasi del tutto in legno, e quindi particolarmente soggetto al deterioramento.
I proprietari non si davano una gran pena nel mantenere la struttura, convinti come molti che i segni del tempo siano tanto più affascinanti quanto più risultano marcati agli occhi dell’avventore. Poco male se s’imbatte in strati di polvere alti due dita depositati qua e là tra un vecchio arredo e l’altro.
Fa atmosfera anche quello.

Sherlock rifilò due colpi decisi a quel vecchio legno, per poi incrociare le braccia dietro la schiena, divaricando appena le gambe in una posa d’attesa.

Al suo fianco John finì d’infilarsi le chiavi della Ford in tasca, puntando il naso verso la logora locandina teatrale che resisteva appesa a quell’anta per qualche invisibile sortilegio.
I nomi degli artisti erano ormai stati cancellati dalle intemperie.
Solo il titolo dello spettacolo, scritto con vistosi caratteri rossi, campeggiava ancora sul lucido sfondo nero.

NINE.

Watson tese l’orecchio, tentando di cogliere un qualunque segno di vita all’interno dell’edificio, ma non appena si udì un distinto rumore di passi dietro la porta Holmes sollevò di scatto la testa, come se si fosse improvvisamente ricordato di una cosa importante, e poi si mise a correre nella direzione opposta a quella da cui erano venuti, sparendo dietro l’angolo del pub senza neanche dare a John il tempo di voltarsi.

- Sherlock! Dove stai andando!

- Devo prima fare una cosa.

La sua voce lo raggiunse a stento, coperta dal suono ben più distinto di una chiave che girava nella serratura.

- Aspetta! Non lasciarmi qui da solo! Dimmi almeno cosa devo!-...

Non riuscì a finire la frase. Dallo spiraglio che si era appena schiuso davanti a lui emerse la graziosa testa piena di boccoli rossi di una ragazza giovanissima, quasi una bambina, che alzò su di lui due enormi occhi verdi, rivolgendogli un allegro sorriso.

- Tu devi essere quello del provino, giusto?

Sbagliato.

- Ah! No!...Non sono io! Cioè… Non sono lui! Lui… sta arrivando! È andato un attimo a prendere una cosa! Io sono soltanto-…

Watson ci pensò un attimo, abbassando gli occhi a terra per sfuggire quello sguardo curioso.

- … il suo autista!

E nel pronunciare quelle parole fu pervaso da un’incredibile calma, tornando a fissare senza timore quel viso paffuto tempestato di lentiggini che accolse le sue parole con un altro grande sorriso, ed un nuovo e più intenso entusiasmo.

- Cavoli! Se ha già un autista dev’essere famoso!

In un certo senso…

Ma questo John non lo disse, si limitò a pensarlo tra sé e sé mentre ricambiava quella calorosa accoglienza con un’occhiata amichevole.

- Entra pure! Gli lasciamo la porta socchiusa!

Seguendo quel folletto rosso oltre la soglia Watson si ritrovò in un locale totalmente scuro, di cui non riusciva ad indovinare le dimensioni. Ma anche senza l’ausilio della vista percepì chiaramente d’essere appena entrato in un ambiente molto più grande di quello che poteva sembrare dall’esterno.

Gli occhi iniziarono presto ad abituarsi al buio, mettendo a fuoco la sua giovane guida, ferma qualche passo avanti a lui con un dito puntato verso il fondo della sala.

- Finiamo questa prova e poi vi faccio fare un giro del teatro ok?

Quasi come se qualcuno avesse sentito le sue parole, un riflettore si accese all’improvviso proprio nel punto da lei indicato, illuminando con un intenso fascio di luce l’esile figura immobile al centro del palco.

Era seduta su una sedia, a gambe divaricate.
Una cascata di capelli bruni ricadeva fin quasi a terra dal suo capo chino, coprendole interamente il volto e gran parte del busto.
Le braccia pallide, sottilissime, sembravano come schiacciate al suolo da una gravità opprimente, che le attirava verso il basso trascinando con sé anche il piccolo tamburello cavo che stringevano tra le dita.

L’intero corpo era così perfettamente inerte, e così ripiegato su se stesso, da fargli pensare per un istante che in quelle membra non ci fosse più vita.
E John istintivamente trattenne il fiato, lasciandosi abbagliare dalla luce.

In attesa.

              Cinque, sei sette, otto! *

 

Lei si mosse adagio.

E fu come se dai suoi movimenti scaturisse la musica.

Lenta. Ritmata. Scandita dai suoi passi senza peso, finalmente liberi dalle catene di quella gravità che fino a pochi istanti prima la tratteneva al suolo, costringendola al silenzio.

Molto lentamente sollevò la testa, liberando lo sguardo. E John lo sentì conficcarsi dritto nel suo, anche se era del tutto impossibile che potesse vederlo da quella distanza, completamente immerso nel buio. Ma la ragione esponeva inutilmente i suoi ottimi argomenti, zittita da quella danza assordante che riempiva gli occhi, ed annullava il pensiero.

Lei non cantava.
E non ne aveva bisogno.

Il suo corpo cantava per lei, pronunciando senza voce le sue parole.

                             So you little english devil…
                             Allora piccolo diavoletto inglese
Pareva proprio di sentirle, osservandola avanzare sul palco, portandosi dietro la musica.

               You want to know about love?
              Vuoi sapere qualcosa dell’amore?
Che cresceva ad ogni suo passo.
Accompagnato dal sibilo delicato dello strumento nelle sue mani.

SSSHHhh

                                           Saraghina will tell you
                                           Saraghina te lo dirà
Maestosa.

Non c’era nulla in quell’incedere apparentemente distratto che fosse fuori dal suo controllo.

                If you want to make a woman happy…
                 Se vuoi rendere felice una donna…
Elegante.

Anche nei movimenti improvvisi.
Quelli che non ti aspetti, e che t’incatenano al desiderio di scoprire dove hanno intenzione di condurti.

                                      …You rely on what you were born with
                                      … Affidati a quello con cui sei nato
Delicata.

Come le membra sottili che disegnavano nell’aria la sua storia.

                               Because it is in your blood.
                                Perché ce l’hai nel sangue.
Potente.

Ogni volta che sotto la pelle i muscoli si tendevano con forza, mostrando sotto la liscia guaina la vera natura del suo corpo armonioso.

Un’anima d’acciaio rivestita di porcellana.

                                      When you hold me don’t just hold me but hold… THIS!
                                      Quando mi stringi non stringermi soltanto ma stringi… QUESTO!
Sfacciata!

         Hahahahahaha!

E crudele.

Nessuna pietà in quello sguardo abbagliante, che costringeva a socchiudere gli occhi.

                                                        Be a singer!
                                                        Sii un cantante!
Canta per me.

                             Be a lover!
                            Sii un amante!
Muori per me.
Mostrami di che cosa sei capace.

                                          Pic the flower now before the chance is past!
                                          Cogli il fiore adesso prima che l’occasione sia passata!
Non avrai nessun’altra occasione.

                 Be italian!
                Sii italiano!
Trova il coraggio da qualche parte. Non abbassare lo sguardo.

 

                                          Live today as if it may…
                                                                    …become

                                                            your last!
                                          Vivi questo giorno come se potesse essere l’ultimo!

 

Esattamente com’era iniziata, di colpo la musica finì.
Tutti i riflettori della sala si accesero nello stesso momento, e John si ritrovò ai piedi del palco, del tutto incapace di ricordare come ci fosse arrivato.

Doveva aver camminato nell’oscurità senza neanche accorgersene. Verso di lei.

Assieme alla luce tornarono i sensi, ed assieme a loro emerse l’improvvisa sensazione di una presenza al suo fianco.

A fatica staccò gli occhi dal centro della scena, scontrandosi con il profilo di Sherlock, che chissà da quanto tempo si trovava in piedi accanto a lui.
Ad osservare.

Ma non ebbe il tempo di domandarglielo.

Alle loro spalle spuntò il terzo ed ultimo componente dell’esiguo pubblico, che come loro aveva ammirato in perfetto silenzio lo spettacolo, ed ora fissava il palcoscenico con occhi adoranti.

 

- IRENE!

 

Il suo nome rimbombò su ogni parete della sala mentre lei si voltava, posando lo sguardo sulle tre buffe figure ferme ai suoi piedi col naso all’insù.

Ora ch’era così vicina, John non ebbe più nessun dubbio.
Lo aveva intuito subito, fissando quella sagoma gracile e distante accartocciata su se stessa. Ma ora che vedeva chiaramente il suo viso, ed aveva il suo sguardo davanti, ne era certo.

Quella era la donna più bella che avesse mai visto.

 

Solitamente, la bellezza è negli occhi di chi guarda.

La sua invece era lì, addosso a lei
Sfacciata e composta allo stesso tempo.

Solo qualche ora prima, a Watson era parso così terribilmente sciocco l’uomo potente e misterioso che si era fatto incastrare tanto facilmente.
Adesso, non si sarebbe stupito neanche scoprendo che quella donna era l’amante di un re.

- Non è bravissima?!

L’allegra esclamazione della piccola ammiratrice ricevette come ricompensa un benevolo sorriso.

- E dovreste sentirla cantare! Ha una voce meravigliosa!

In due passi Irene fu sul bordo della ribalta e vi discese con un salto, fermandosi proprio di fronte a lui.

- Ha recitato anche a Broadway qualche tempo fa, lo sapevate?!

Neanche ora che l’aveva a qualche centimetro di distanza John avrebbe potuto dire quanti anni avesse.
La sua pelle senza un segno la faceva sembrare una ragazzina, eppure nelle sue movenze, nelle espressioni, ed in quegli occhi dal colore indefinibile c’era l’odore di una donna matura, che ha calcato un numero infinito di palcoscenici.

Il suo corpo minuto, rivestito solo da un paio di calze scure ed un corpetto che le fasciava il busto e le braccia, sembrava quello di un’adolescente.

Watson si accorse troppo tardi che la stava fissando in modo sfacciato, senza dire niente. E le parole uscirono senza un ordine preciso, mentre le porgeva maldestramente la mano rigida come legno, improvvisando una penosa presentazione.

- M-mi scusi tanto signorina! Ecco io-… sono John!

Di cosa si stesse scusando esattamente, non lo sapeva neanche lui.
Probabilmente era per aver tenuto qualche istante di troppo gli occhi su quella fascia, cercando di capire se ci fosse qualcos’altro sotto. Oltre i suoi seni.

Lei gli sorrise, stringendo la sua mano con una presa inaspettatamente decisa, ed allo stesso tempo gentile.

- Piacere di conoscerti, John.

Era proprio vero.
Aveva una voce splendida, anche quando non cantava.

Ed ancor più inaspettato della sua stretta, senza neanche una punta di malizia.

Riuscì a ricambiare quel sorriso forse un paio di secondi, e poi fu costretto ad abbassare la testa.

Accadeva di rado che non riuscisse a sostenere lo sguardo di qualcuno.
Ma ultimamente, stava succedendo fin troppo spesso.

Oro.
Era senza dubbio l’oro il colore dei suoi occhi.

Watson lasciò andare quelle dita quasi subito, ritirandosi con un gesto imbarazzato, e negli istanti successivi fu troppo impegnato a guardarsi la punta delle scarpe per accorgersi della rapida occhiata che lei scambiò con il suo spettatore più silenzioso prima di dar loro le spalle, dirigendosi verso una porticina sulla destra del palcoscenico.

Quando John tornò a sollevare lo sguardo, stava già sparendo dentro quel piccolo buco nero, e la bocca si dischiuse appena un po’, pronta ad emettere un sonoro quanto inopportuno sospiro.

 

sCIaFF

 

D’improvviso la base della sua nuca fu sferzata da un colpo secco, a mano aperta, abbastanza deciso da rovesciargli la testa in avanti, ma non abbastanza forte da scatenare una reazione di difesa.

Ed infatti John non reagì. Si limitò a girarsi sorpreso verso il punto da cui lo scappellotto era partito, massaggiandosi il collo ammaccato.

 

- Ahio!

 

Esclamò fissando con una smorfia risentita il responsabile di quel gesto violento, che senza degnarlo della minima attenzione manteneva lo sguardo fisso su quella piccola porta ormai vuota.

- AHIO!

Tanto per ribadire il concetto.

Ma Holmes non sembrava affatto interessato alle sue proteste, e dopo qualche istante si mosse nella direzione in cui puntavano i suoi occhi, sparendo rapidamente oltre la soglia.

Watson non lo seguì subito.
Rimase ancora un po’ con la sua espressione contrariata, la sua incredulità ed il suo collo umiliato, chiedendosi se fosse il caso di seguire una signora in quello che per posizione e dimensioni aveva tutta l’aria di essere uno spogliatoio, fino a quando una voce alle sue spalle non giunse a ricordargli che non era rimasto solo.


- Allora! Lo facciamo questo giro del teatro?

 

John si girò verso quel sorriso, mentre terminava di prendere la sua decisione.

- No ti ringrazio… io ora devo-…

Doveva, già.
Si scusò con un cenno del capo, senza riuscire a dire altro.
E poi s’incamminò dietro di lui.

 

                                       Come sempre.

 

 

 

 

 

 

 

Note:

1. La canzone che Irene balla e di cui spero abbiate scovato l’asterisco rivelatore è un brano che fa parte del musical NINE, ispirato al film di Fellini 8 1/2 .
All’inizio ero partita con l’idea di farle cantare un pezzo del musical RENT, ch’è la trasposizione moderna della Boheme di Piccini (per ovvie ragioni), poi però ho trovato questo pezzo particolarmente adatto ad Irene, perchè la figura della Saraghina nel film è quella di colei che insegna i segreti dell’amore e della sensualità a chi non ne ha mai avuto esperienza.
Lei per il ragazzo protagonista è la cosa più vicina ad un rapporto sessuale che abbia mai avuto, un po’ come –secondo me- la Adler rappresenta la cosa più simile ad un’attrazione ‘normale’ che Sherlock abbia mai provato in vita sua.
Non starò qui a farvi la parafrasi del testo, perchè non voglio essere noiosa più di quanto io già non sia, ma mi limiterò a sperare che vi siate accorti/e da soli/e quanto le strofe della canzone da me usate (che non sono tutte, ovviamente) siano adatte all’incontro tra Holmes e la Adler, e rappresentino allo stesso tempo un sunto ed un presagio di ciò che sta per accadere.

2. Questa nota è la prosecuzione ideale della n°4 dello scorso capitolo, in cui avevo brevemente accennato alla mia scelta di trasformare la Adler da semplice cantante ad attrice/cantante/ballerina.
In realtà ci sono altri motivi oltre a quelli già citati, solo che non potevo svelarli prima che lei fosse entrata in scena per non anticipare (e quindi sciupare) una parte della sua descrizione.
Come avevo già detto, in lei ho voluto accorpare tre arti piuttosto che una, e nessuna delle tre è stata scelta a caso.
Il canto è già un’idea di Doyle, e mi sono limitata a riprenderla. La recitazione è il fulcro del racconto, seppur non praticata per professione. Il ballo invece è un mio personale innesto, che pur non trovando riscontro nell’originale è l’unica delle sue doti artistiche che Irene mette apertamente in mostra.
Ho scelto la danza, e non il canto, né la recitazione, prima di tutto  per sottolineare il ruolo centrale della fisicità di Irene, evidenziando fin da subito su quale piano, e con quali armi si svolgerà lo scontro tra lei ed Holmes.
Ma l’ho fatto anche per un altro motivo.
Il corpo di una ballerina è una sorta di ossimoro vivente, che riunisce in sé fragilità e potenza.
Una danseuse a riposo sembra un uccellino affamato,  fragile come quel suo corpo tanto esile da dare l’impressione di potersi spezzare da un momento all’altro solo a guardarlo. Ma non appena lei si metterà a danzare chiunque l’osserva si accorgerà che quelle membra sottilissime nascondono sotto la pelle una muscolatura d’acciaio, indispensabile per poter sostenere l’enorme fatica del ballo.
Questa contraddizione tra ciò che appare fuori e ciò che invece c’è dentro secondo me rappresenta l’involucro perfetto per colei che possiede “il volto della più bella fra le donne, e la mente del più deciso fra gli uomini.” Anche Irene, come una ballerina, mostra caratteristiche esteriori femminili in opposizione ad un’interiorità virile, che svela solo al momento dell’azione.
Questa commistione di grazia e potenza è lo stesso parametro che mi ha guidato nella scelta del suo viso (vedi foto linkata all’inizio del capitolo).
Ho selezionato quell’immagine dopo una lunga ricerca, perché volevo una donna di una bellezza sfacciata (Irene Adler non può essere solo carina, o semplicemente affascinante, lei è la più bella fra le donne, mica cavoli! Eh.) che però avesse dei lineamenti complessi, non univoci. Non ‘troppo’ femminili.
Occhi intensi, ma non eccessivamente grandi, una bocca sottile, ed una mascella quasi mascolina, molto squadrata, spalle ampie, pochissimo seno. Ci sono una serie di componenti ‘forti’ e vagamente maschili nel viso e nel corpo di questa donna, che non per questo perde un atomo di sensualità e bellezza.
Non si può dare ad Irene Adler il volto di una bambolina, come ad esempio quello dell’attrice che l’interpreta nei film di Ritchie, con i suoi grandi occhioni languidi, le piccole labbra carnose e mille boccoli ad incorniciarle il viso.
Praticamente Barbie Victorian. O Mary Morstan.
Non va bene.

Irene è femmina, ed è bellissima, ma dev’essere di una bellezza regale, non certo graziosa.
  
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