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Autore: innerain    03/06/2012    0 recensioni
Viaggio stellare nelle inquietudini di due giovani studentesse di liceo. Io. E lei.
Genere: Introspettivo, Slice of life, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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A volte ho bisogno di uscire da me stessa.
Come quel brutto disegno, quello che mi appare nella mente come un incubo ad occhi aperti, tutte le volte che non voglio essere me, tutte le volte che sento di dover urlare contro quella bruciante scossa di malessere nello stomaco, che si irradia nelle braccia, nelle spalle, fino alla fronte. Essere non intenzionalmente sproporzionato, tristemente vivo per l’apostasia e conseguente apoptosi di piccole particelle di me che non vogliono guardare in faccia i miei fallimenti. Così la mia mano l’ha voluto disegnare.
E pensare che a disegnare ero brava, da bambina.
L’impotenza adesso è tale da permettermi di veicolare il mio indescrivibile ed indefinibile spleen solo attraverso una matita dal tratto troppo scuro, tenuta rabbiosamente e intenzionalmente male tra le dita, fredde, come fosse un ago terribilmente mortale la cui traiettoria prevede un’inevitabile intersezione con qualche parte disgraziatamente vitale di me. Patetica, quella matita. Per ipallage, patetica io.

Vorrei uscire e respirare.
Il respiro mi manca.
Come quel bruciante desiderio di qualcosa che non hai mai conosciuto, o che forse la tua anima, o qualcosa all’interno di te, qualcosa di ancestrale, riconosce, come l’oggetto di un sogno erotico da tempo dimenticato (o almeno soggetto a tentativi di tale natura), e che brama. In maniera dolorosamente fisica.
“A volte sento il bisogno di ascoltare qualcosa che mi veicoli fuori dalla mia mente. Qualcosa che mi faccia respirare.”
E quel respiro ha l’aspetto metafisico di un cielo bianco e di nuvole irraggiungibili al di sotto dello sguardo. Respirare, è quindi forse una superiorità? E’ un vedersi al di sopra del mondo, al di sopra delle nuvole, dell’irraggiungibile e dell’etereo?
Mi rendo conto che non ha senso. Nulla di tutto ciò. Non apparentemente.
Ma quella musica c’è, esiste. Quelle melodie gloriose, quelle voci e quelle armonie apparentemente aspre, eppure così meravigliosamente eufoniche a chi non cerca altro che una fuga da se stessi.
“A volte ascolto della musica e vorrei allo stesso tempo riuscire ad ascoltare mille altre canzoni, poter finalmente respirare. La musica, c’è della musica che mi fa respirare.. Capisce?”
Annuisce, con l’aria di chi non ci prova nemmeno, a capire.
Improvvisamente i motivi geometrici del tappeto impregnato del pesante calore di fine Maggio sembrano molto più interessanti.
Sento di nuovo quel peso, al centro del petto, quasi alla bocca dello stomaco.
Bruciante, vivo, rovente, logorante e logorato da una resistenza che ormai non dimostro più di avere, né nell’anima né nel corpo.
“Ci vediamo la prossima settimana?”
La domanda è speranzosa, e mi viene quasi il dubbio che la mia apparentemente patologica situazione sia così inutilmente contorta da risultare effimera e risibile di fronte al tempo che scivola via da sotto i miei piedi.
Le cuffiette sono calde e aderiscono perfettamente alla mia anima, come cosa sola, o, banalmente, come due pezzi di un puzzle che è stato disfatto per il capriccio di un bambino.
Mi accoglie l’arpeggio iniziale di una chitarra malinconica e una voce cantilenante e terribilmente familiare, ospitale. Serena.
E’ la serenità che cerco. La serenità di un respiro.



Your life into me,
I can finally breathe
Come alive..

- Come Alive, Foo Fighters














   
 
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