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Autore: subside_    03/06/2012    3 recensioni
Dimmi, Cloe. Ci pensi mai agli ultimi anni? Pensi mai che le cose sarebbero potute andare in modo diverso? Magari adesso io e te non saremmo così distanti. Magari non mi ritroverei a scriverti queste inutili parole su un misero pezzo di carta che non riceverai mai. Ci pensi mai, a me?
Io si, ogni giorno. Ogni fottuto giorno.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sono nata in un piccolo paese nelle vicinanze di Aberdeen, in Scozia, un posto grigio e piovoso, di cui l’unica cosa che ricordo è la fitta nebbia che inumidiva perennemente l’aria. Mia madre rimase incinta all’età di sedici anni, e mio padre la mollò appena saputa la notizia. I miei nonni non mi hanno mai accettata nella loro famiglia, mi ritenevano un disonore, così quando mia madre morì a causa di un tumore al seno cinque anni dopo la mia nascita, mi affidarono ad un orfanotrofio di Londra. Pochi mesi dopo, fui adottata da una giovane e ricca donna insieme ad un’altra bimba della mia stessa età che aveva perso i genitori in un incidente d’auto e non aveva altri parenti. Il suo nome è Cloe ed è la persona più buona che abbia mai conosciuto in vita mia. Un viso perfettamente tondo le fa da cornice a degli enormi occhioni verdi, occhi tanto belli da sprofondarci. I folti ricci biondi le donano armonia e delicatezza. E’ bella, è infinitamente bella. Non ha il minimo senso di malizia e nonostante la vita le abbia dato un mucchio di dispiaceri è sempre stata pronta a trovare un briciolo di speranza in ogni cosa. È una persona estremamente ingenua, prende il lato positivo della vita e se non lo trova, se lo crea. Ripete in continuazione che il motivo per cui ha ricominciato a sorridere è dovuto al fatto che ha trovato salvezza in una band di ragazzini che le hanno regalato la gioia di vivere. Seppur la trovo una cosa molto infantile, ringrazio il cielo ogni giorno per aver fatto conoscere a Cloe quei ragazzi che hanno dato un senso alla sua vita, lo stesso senso che lei ha dato alla mia, perché erano il motivo del suo sorriso, e il suo sorriso è il motivo del mio.
Dal momento della loro formazione, Cloe è sempre stata una fan assurdamente dedita. La vedevo appiccicata al computer con le cuffie nelle orecchie e le lacrime agli occhi mentre lo schermo mostrava un loro live e le leggevo negli occhi affranti la delusione di non poter essere presente. La vedevo ridere come non l’aveva mai fatta ridere nessuno per le stronzate che i ragazzi dicevano o facevano seduti come profughi su quelle che, se non sbaglio, erano le scale della casa di XFactor, e nonostante qualche volta le ripetessi di sfuggita: “Curati!” mentre passavo di lì, ero grata a quei cinque sconosciuti per averla resa una persona così sorridente e gioiosa di vivere.
Io ero il suo esatto contrario. A partire da quella che reputavo la solita band di ragazzini a cui piaceva cantare, saltellare e divertirsi come tutti i comuni adolescenti, quella band a cui non avevo mai prestato particolare attenzione perché del tutto disinteressata. Non ero mai riuscita a capire il profondo sentimento che Cloe provava verso di loro e mi dispiaceva non poterla accompagnare nei suoi gridolini di gioia o nei sommessi dispiaceri, ma, tutto sommato, io e Cloe eravamo completamente diverse. Il mio animo era troppo tormentato per riuscire a percepire la purezza delle emozioni che una band è in grado di offrire. Io, contrariamente a lei, non ero mai riuscita ad accettare la mia situazione. Non ero mai riuscita a perdonare mio padre per aver abbandonato mia madre e me, né tanto meno riuscivo a perdonare Dio per avermi rubato la donna che mi aveva messa al mondo. Adoravo Jill e le ero grata per avermi cresciuta con tanto amore, ma la famiglia, era quella che mi mancava. Nonostante avesse sempre fatto il possibile per non farci mancare mai nulla, Jill non ci aveva mai dato un padre. Eppure non la biasimavo, era stata ferita troppe volte a causa dello stesso stupido motivo, seppure non meritasse nemmeno un quarto del dolore che le era stato causato. Jill si era innamorata solo tre volte nella sua vita e, tutte e tre le volte, l’uomo che amava l’aveva lasciata al suo destino dopo aver appreso la notizia che lei era sterile.
Voi siete la mia felicità” ci ripeteva sempre. “Non ho bisogno di nient’altro. Un uomo poi. Chi dovrebbe sopportarlo?”.
Ma io riuscivo a percepire in quelle parole un dolore atroce. Dolore che colmava cercando di realizzare i nostri sogni –o, almeno quelli di Cloe, dato che io non ne avevo.
Era il 20 maggio 2012 quando Jill tornò a casa gridando: “Ragazze! Venite in cucina, presto!”. Varcata la soglia, notai che non riusciva a stare un secondo ferma, segno che non vedeva l’ora di dirci qualcosa. Tra le mani aveva qualcosa impacchettato in una carta da regalo a righe bianche e rosse con un enorme fiocco dorato.
Vi ho portato una cosa” ci disse impaziente. Mi sedetti al tavolo curiosa ma apparentemente tranquilla mentre Cloe saltellava ovunque cercando di capire cosa ci fosse dentro la carta.
Cos’è? Cos’è? Dai Jill, parla!”.
Aprite, voglio vedere le vostre facce”. Non so dire chi delle due fosse più entusiasta. Stava per lasciare il presunto regalo sul tavolo quando ritirò la mano e con aria minacciosa disse: “In realtà non li meritereste. A scuola non state di certo dando il meglio di voi… però mi rendo conto che certe cose non capitano tutti i giorni”.
Finalmente mollò la presa e con aria soddisfatta per il suo rimprovero che la faceva sentire una buona madre, attese che Cloe scartasse il regalo. Lei non aspettò nemmeno il tempo che potessi notare la forma del contenuto che subito stava stracciando via la carta. Era un piccolo cofanetto rettangolare blu. Lentamente e con un sorriso sghembo, Cloe sollevò il coperchio.
Bum.
Fu il tonfo che fece il pacchetto caduto a terra, le braccia di Cloe troppo deboli per reggere persino quel piccolo peso, il sorriso trasformatosi in un’espressione incredula, dopo essersi resa conto di ciò che si era ritrovata davanti. Gli occhi le si fecero lucidi e rimase immobile nella stessa posizione per un paio di minuto. Prima che scoppiasse a piangere, corse a rifugiarsi tra le braccia di Jill, anche lei in lacrime, contenta per aver reso così felice la sua ragazza.
G-g-gra, g-grazie, non-n so c-c-cosa dire Jill, io… g-grazie davvero!”. Singhiozzò. Io, che non ero ancora riuscita a capire cosa ci fosse dentro quel cofanetto, lo afferrai curiosa e risollevai il coperchio. La prima cosa che mi saltò subito all’occhio furono cinque paia di sorrisi solari e contagiosi, gli stessi sorrisi che accompagnavano Cloe quando fissava i numerosi poster che tappezzavano un intera parete della nostra stanza, seguiti dalla scritta: “ONE DIRECTION – Ticket’s live. FILA 1, POSTO 13 – FILA 1, POSTO 14”. Persino a me, che non avevo mai accennato nessun tipo di interesse verso di loro, mi si rallegrò il cuore di una gioia che si può provare solo quando vedi la persona a cui vuoi più bene pienamente felice. Sorrisi, consapevole che era proprio così, e corsi ad abbracciare Cloe.

Quella notte rimanemmo sveglie tutto il tempo. Fu la prima volta in cui ti chiesi di spiegarmi perché quei ragazzi influenzassero così positivamente la tua vita. Ricordo che cominciasti a farfugliare frasi senza senso cercando di spiegarmelo e alla fine scoppiasti a piangere.
Ogni giorno, ogni singolo giorno, apro quel cofanetto e guardo quei biglietti, Cloe, ogni giorno. Non sai cosa darei per cambiare data e spostarla a quest'anno.
  
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