~ 3°_ Open your eyes ~
Thad non
avrebbe mai immaginato che fosse possibile provare tanto confuso dolore tutto
in una sola volta, ma quando tentò di riaprire gli occhi – in un punto
imprecisato di quella che una volta era la mensa del McKinley – dovette
ricredersi.
la testa
pulsava con violenza, come se qualcuno la stesse colpendo in quel momento con
un bastone; respirare gli sembrava impossibile, perché ad ogni più piccolo
tentativo un bruciore insopportabile lo colpiva al petto, per non parlare dello
stomaco che gli stava dando nausee insopportabili. Non si azzardò neanche a
muoversi, innanzitutto perché sembrava aver dimenticato come si facesse e poi
perché non ne sarebbe derivato che altro dolore.
Con l’occhio
destro – l’altro non era riuscito a tenerlo aperto – cercò di capire dove si
trovasse e che cosa fosse successo. La testa doleva troppo perché fosse in
grado di compiere un qualsiasi pensiero anche solo vagamente logico, ma aveva
comunque capito che non poteva restare in quella situazione.
Per questo,
facendo mente locale su dove fossero le mani, tentò di muoverle: ci riuscì solo
a metà, una delle due braccia era bloccata dal gomito in giù e non c’era modo –
con le poche forze che si ritrovava ad avere – di liberarla da chissà poi cosa.
Sospirò
istintivamente e una nuova scarica di dolore lo attraversò facendolo gridare.
Dio, ma che diavolo stava succedendo? Tornò immobile e stavolta si costrinse a
pensare. Cosa ricordava? La confusione che aveva al momento in testa faceva
impallidire le sue migliori sbornie, ma alla fine parve afferrare qualcosa.
Le Regionali.
Erano alle regionali. Quindi… Al McKinley. Bene. Altro…? Sì, c’era dell’altro.
Ricordava Kurt. Forse si erano incontrati…? Probabilmente avevano parlato del
più e del meno come due vecchi amici… e poi?
Poi non
ricordava più nulla. qualunque cosa fosse successa, nella sua testa non ce
n’era alcuna traccia. Ma se Kurt era il suo ultimo ricordo, allora dov’era?
Quello che il campo visivo del suo occhio inquadrava era un ammasso di… non
sapeva neanche come definirlo – se macerie non fosse stato troppo melodrammatico,
avrebbe usato proprio quel termine. Doveva trovare Kurt, vedere se stava bene.
Il ragazzo si
fece forza e decise di tentare ancora un movimento, stavolta delle gambe: ebbe
maggiore successo – riusciva a muoverle entrambe abbastanza liberamente. Cercò
di restare concentrato nonostante il mal di testa stesse diventando sempre più
forte: l’unica cosa che gli impediva di spostarsi, ora, era il braccio, quindi
avrebbe potuto provare con una mossa più incisiva e magari sarebbe riuscito a
liberarlo.
Prese coraggio
e con la spalla diede un rapido strattone al braccio. Si sentì immediatamente
male. Il braccio parve strapparsi e il dolore che avvertì gli provocò un conato
di vomito tremendo. Istintivamente portò in avanti il busto per quel che
poteva, ma la testa girò in modo tremendo e in breve Thad si trovò di nuovo
steso a terra, privo di sensi.
Non sapeva
che Kurt era poco lontano da lui, bloccato dalle stesse macerie e allo stesso
modo privo di sensi.
Il ronzio che gli invadeva la testa era la cosa più rumorosa che
avesse mai sentito nei suoi pochi anni di vita – e c’era da dire che stando a
stretto contatto con gli altri Warblers aveva avuto esperienze sonore di ogni
tipo.
Nick tentò di capire che diavolo gli fosse successo, ma la testa
faceva male da morire e gli pareva di avere le vertigini, nonostante fosse per
terra. Per terra. Come ci era finito
per terra? Lamentandosi, si fece forza per mettersi quanto meno seduto e
riconobbe a stento, in ciò che lo circondava, un corridoio: la polvere che
volava pesante nell'aria gli impediva di vedere le cose con nitidezza e affaticava
il suo respiro.
Non capiva. Per quanto si sforzasse non riusciva a capire che cosa
fosse successo. Un attimo prima camminava - o almeno così credeva - per il
corridoio ed un attimo dopo... quello.
«Qui ce n'è un altro!».
Una voce arrivò confusa alle orecchie del ragazzo che ora pareva
riuscire a liberarsi almeno un po' dal fastidioso ronzio che lo opprimeva. Non
ebbe tempo per guardarsi intorno che qualcosa - qualcuno lo tirò su quasi con violenza e lo costrinse a camminare.
«C-che sta succedendo?», tentò allora di chiedere, ma non ottenne
risposta e chi lo stava trascinando incrementò ancora di più la velocità con
cui spostava entrambi.
Il sole che illuminava l'ambiente al di fuori della struttura
scolastica colse gli occhi scuri di Nick completamente impreparati. Li strinse
con forza, abbandonandosi ormai senza più alcuna lamentela ai movimenti
dell'uomo – sì, ne aveva visto il viso in maniera confusa eppure abbastanza
bene da chiarirne il sesso – fino a che non lo fece sedere sul bordo di...
un'ambulanza.
Era in un'ambulanza. Oddio.
il panico cominciò a farsi strada nel suo corpo prendendo innanzitutto lo
stomaco che si chiuse in una stretta terribile. Sentì la terra mancargli da
sotto i piedi nonostante toccasse perfettamente a terra. Per non seppe quale
riflesso incondizionato, alzò lo sguardo verso ciò che gli era di fronte e gli
mancò il fiato: il McKinley era un ammasso di macerie e polvere, un caos totale
dal quale entrava ed usciva gente indefinita.
«Mio Dio...», sussurrò senza essere capace di dire altro, gli occhi
che vagavano increduli per la vista di un simile scenario.
Non c'erano parole che potessero descrivere quello che stava provando
al momento.
La struttura scolastica era praticamente crollata per metà, mentre la
parte dell’auditorium si reggeva ancora in piedi per chissà quale equilibrio
della fisica, ma di certo non ci sarebbe voluto un genio per capire che non
sarebbe durata a lungo in quello stato.
Uno dei paramedici che lo aveva soccorso gli prese il mento con una
mano, mentre l’altra reggeva una piccola torcia, di quelle con cui si
controllava la reazione delle pupille alla luce – doveva andare tutto bene,
perché non fece commenti e lo lasciò andare. Gli diedero poi una mascherina da
cui respirare un po’ di ossigeno per fargli riprendere fiato, ma Nick credette
di aver dimenticato come si introducesse aria nei polmoni: quello che vedeva
attirava completamente la sua attenzione, tanto che sembrava non essersi minimamente
accorto delle cure che i due paramedici gli avevano prestato.
Era surreale: di certo da un momento all’altro si sarebbe svegliato
nel suo letto, alla Dalton, e avrebbe raccontato l’assurdità di quel sogno a
Jeff che ci avrebbe riso su prendendolo in giro per chissà quanto tempo.
Già, Jeff lo avrebbe rassicurato subito, anche senza volerlo.
Jeff.
Dov’era Jeff?
Come se fosse stato punto da un ago, il Warbler scattò in piedi,
ignorando il capogiro e facendo cadere la mascherina con cui stava respirando.
Jeff!
Jeff era ancora dentro! Jeff… e tutti gli altri! I Warblers. Blaine, Kurt e le New Direction! Per
non parlare di tutte le persone che erano venute a guardarli!
L’incubo stava acquistando un realismo che lo terrorizzava:
guardandosi intorno non vedeva altro che confusione e gente che correva via o
barcollava; l'aria era invasa dalla polvere soffocante e dai rumori assordanti
di sirene e grida. Si stava sentendo male ed aveva bisogno di sapere come
stessero i suoi amici. Ringraziando il cielo i suoi genitori e sua sorella
proprio quella mattina avevano fatto tardi e non erano ancora arrivati,
avvertendolo con una rapida chiamata al cellulare, ma tutti gli altri erano
dentro e lui doveva fare qualcosa!
Si mise a camminare senza neanche sapere dove stesse andando, ma
quasi immediatamente fu bloccato da un uomo che lo trattenne, con forza
cercando di spingerlo di nuovo all'interno dell'ambulanza.
«I miei amici! Devo trovare i miei amici!», scattò Nick con una forza
di cui egli stesso si sorprese «Erano all'interno della scuola, sono rimasti
bloccati dentro! Devo trovarli!».
Nonostante le sue grida, l'uomo non accennava a lasciarlo andare, ma
anzi lo tenne ancora più stretto fino a che non riuscì a metterlo seduto.
«Cosa diavolo credi che stiamo facendo noi o i vigili del fuoco? Tu
devi solo restare qui e lasciarci lavorare senza complicare ancora di più le
cose: ce ne sono ancora troppe di persone, tra studenti e spettatori – l'ultima
cosa di cui abbiamo bisogno è uno stupido che torna dentro dopo essere stato
tirato fuori».
Nick si sentì davvero un idiota e completamente inutile: che cosa
avrebbe potuto fare lui, del resto, per aiutarli? Non era di certo un vigile
del fuoco e non conosceva nessuna della pratiche di primo soccorso di cui
necessitavano simili situazioni. Con un sospiro che parve strappargli le ultime
forze, appoggiò la testa contro il freddo dell'ambulanza: non aveva idea di
come si sentisse né di cosa dovesse provare in quel momento – probabilmente
avrebbe pianto se solo non fosse stato di nuovo così distante da quello che lo
circondava da non rendersi conto delle lacrime che premevano agli angoli degli
occhi.
Era convinto che per far sì che la testa girasse, bisognasse avere
gli occhi aperti; che per rendersi conto che qualcosa non andava, avrebbe
dovuto avere dei punti di riferimento, tipo gli oggetti che lo circondavano e
che non la smettevano di muoversi. Eppure Finn si rendeva conto che la testa
stava girando come non aveva mai fatto prima, nonostante il buoi più completo
lo avvolgesse.
Si accorse che il fiato gli mancava di più ogni volta che tentava di
respirare e che non aveva la minima idea di dove fosse o di quello che era
successo.
«Ragazzi! Qualcuno mi risponda, ragazzi!».
La voce del professor Shue lo raggiunse
lontana e disturbata dal fastidioso ronzio di sottofondo. Tentò di alzare una
mano, di farsi vedere in qualche modo, ma ogni gesto sembrava un'impresa
titanica. Alla fine, riuscì in qualche modo a farsi notare, perché in breve
sentì qualcosa, o meglio qualcuno che lo toccava e lo muoveva.
Si lamentò istintivamente: ora avvertiva con chiarezza la testa
pulsargli e muoversi era qualcosa di inconcepibile.
«Finn, grazie al Cielo! Come stai?», chiese Will preoccupato.
«Non... non lo so... io... mi fa male... tutto...», cercò di rispondere
con calma, ma la voce usciva strozzata, forzata; poi un pensiero lo fece
tremare «Rachel! Dov'è Rachel? Che cosa è successo?».
In un attimo andò in completa paranoia: non vedeva nessuno, non
sapeva dov'era e la sua ragazza non era con lui.
«Eccola, Finn – sta calmo. È accanto a te», lo rassicurò il
professore, sporgendosi in avanti ed aiutando la stordita ragazza a mettersi
seduta.
Will tirò un sospiro di sollievo: almeno loro due sembravano stare
bene ed aveva trovato anche Quinn, Puck, Rory, Tina e
Mike pressoché illesi, se si escludevano ferite superficiali, mal di testa e
difficoltà respiratorie dovute alle polveri. Lasciò che i due fidanzati si
rassicurassero a vicenda, stretti in un abbraccio che sapeva di paura e
confusione, e cercò di farsi spazio nel resto delle macerie di quella che era
l'aula di musica.
Grazie al cielo Emma ha la febbre, si trovò a pensare. Non era
lì con loro, stava bene ed al sicuro. Almeno lei...
Un lamento soffocato attirò la sua attenzione verso destra, tra le
macerie di quello che fino a quella mattina era stato il loro pianoforte.
Cercando di non farsi più male di quello che già aveva – un braccio gli stava
sanguinando per un taglio che non sapeva bene come o quando si era fatto – si
avvicinò alle macerie riconoscendo la sedia a rotelle di Artie
e quello che sembrava la mano scura di Mercedes.
«Finn, Puck! Datemi una mano, ci sono altri qui!», chiamò, la paura
che gli aumentava di nuovo il ritmo cardiaco e gli spezzava il fiato.
I ragazzi si alzarono a fatica e raggiunsero il professore che si
stava già facendo spazio tra le macerie; in breve riuscirono a liberare
entrambi e con un sospiro di sollievo – che mai avrebbero pensato di tirare per
una situazione del genere – si resero conto che respiravano entrambi.
«Mercedes? Mercedes, apri gli occhi, coraggio!», la incitò Will con
dei lievi colpetti sul viso e tenendole la testa alta per cercare di farle
riprendere conoscenza.
In breve, la ragazza aprì gli occhi e con un espressione di dolore in
viso cercò di guardarsi in torno confusa come tutti gli altri: non sembrava
avere nulla di rotto, ma solo qualche graffio superficiale e tanta paura. Il
professor Shue la aiutò a mettersi seduta con calma,
mentre Puck faceva rinvenine alla stesso modo anche Artie, stringendolo poi a sé in uno slancio di affetto
dovuto alla confusione e allo spavento del momento.
Ad un tratto un grido bloccò tutti facendoli tremare. Ad emettere un
simile urlo era stata Santana, che ora balbettava parole sconnesse prese dal
panico più totale, mentre si muoveva frenetica accanto a quella che si
accorsero essere Brittany.
«Vi prego, vi prego, non respira! Aiuto, aiuto, aiutatemi»,
piagnucolava terribilmente agitata e a quella richiesta tutte le si
avvicinarono, pur non sapendo effettivamente cosa fare.
«State indietro, fatele spazio», ordinò l'adulto, cercando di
mantenere la calma.
Si avvicinò alla ragazza e dopo essersi accertato che davvero non
respirasse, guardò l'ispanica, prendendole le spalle.
«Ascoltami, Santana. Ascoltami! Dobbiamo farle un massaggio cardiaco,
ma ho bisogno del tuo aiuto: farò trenta compressioni dopodiché dovrai
immetterle ossigeno nei polmoni, mi hai capito?», ma la ragazza non sembrava
molto presente, nonostante avesse annuito – probabilmente più per un movimento
istintivo che per altro.
Per questo Will, prima di cominciare la pratica, le disse di tenersi
concentrata e contare con lui. Gli altri stettero impotenti e sconvolti a
guardare i due che con compressioni ed insufflazioni rianimavano la bionda. A
Santana scapparono delle lacrime quando baciò la sua ragazza respirando per lei
e pregando chissà chi perché si svegliasse. Non poteva perderla, era
semplicemente inconcepibile.
Mentre il professore faceva una nuova serie di compressioni sul petto
della ragazza, le prese la mano e la strinse nella sua con disperazione, come
se avesse potuta trattenerla a sé con quel semplice gesto. All'inizio credette
che fosse solo immaginazione – il suo inconscio che le faceva sentire ciò che
voleva, per quanto non fosse vero – poi, però, si rese conto che stava
succedendo davvero. Un battito. Uno, due, tre, dei battiti. Lenti, ma c'erano.
Li sentiva dal polso.
«Batte...», sussurrò come se non fosse davvero lì «Le sento il polso,
è viva!», gridò poi in modo frenetico guardando Will che subito smise di fare
pressione e alzò la testa di Brittany, cercando di
farla riprendere, mentre Santana le sfiorava il viso con parole sconnesse.
«Sono qui... avanti, apri gli occhi... sono qui...», ripeteva con
dolcezza, fino a che quegli occhi non le risposero sollevando lentamente le
palpebre e facendole scappare un sussulto di pianto e gioia.
«San...», la chiamò la bionda con voce sottile; non disse altro e
l'ispanica la strinse a sé con amore e delicatezza, come a dire che ora era al
sicuro, con lei.
Gli altri non erano capaci di dire come si sentissero – ognuno
commosso a modo proprio per quel salvataggio e per il pericolo appena scampato.
«Professor Shue... i nostri genitori...?».
La domanda di Mike era stata poco più che un sussurro, ma tutti si
voltarono verso l'adulto con lo stesso terrore negli occhi. Will avrebbe voluto
dire a tutti che ogni cosa si sarebbe sistemata, ma la verità era che ne sapeva
quanto loro e non poteva rassicurarli in nessun modo. Deglutì, sperando di
riuscire a trovare le parole giuste.
«Non... non è questo il momento di pensarci, ragazzi: dobbiamo
trovare gli altri ed uscire da qui. Andrà tutto bene, vedrete».
Non era stato in grado di trattenere quell'istintiva scintilla di
speranza nelle sue parole e pregava perché la sorte lo mettesse nella
condizione di tener fede a ciò che aveva detto.
Sam e Sugar furono recuperati dalle macerie con nessun danno
particolare, tranne il polso della ragazza probabilmente slogato. Solo Blaine
risultava ancora disperso tra i ragazzi delle New Direction
e nonostante ognuno di loro – secondo le relative possibilità – avesse
controllato ovunque, non sembrava essercene traccia.
«Era andato a cercare Kurt», sussurrò ad un tratto Tina, come se
l'avesse improvvisamente ricordato «Deve essere uscito dalla stanza, prima
che...» e si guardò intorno, perché davvero non sapeva come continuare.
Finn scattò in avanti, verso quella che una volta era la porta e
dalla quale, nonostante le macerie, si riusciva ancora per miracolo ad passare
con facilità e una volta in corridoio si guardò in torno alla ricerca del
ragazzo.
«Blaine!», chiamò con voce strozzata e sentì subito un lamento poco
lontano da lui.
Tra il fumo ne distinse la sagoma e gli si avvicinò.
«Ehi, amico! Come ti senti? Ce la fai ad alzarti?», chiese, aiutandolo
a mettersi in piedi, per quanto quello non collaborasse particolarmente.
«Mi... mi fa male... la testa... Finn...», sussurrò Blaine con
debolezza, lasciando che l'altro lo tirasse su senza opporre resistenza;
osservandolo bene, quest’ultimo vide che un brutto taglio, proprio sopra
l'occhio, perdeva molto sangue.
Per un attimo fu preso dal panico: sapeva di dover tamponare la
ferita, ma la vista di tutto quel sangue che – si rese conto subito dopo –
sporcava anche la camicia nera gli strinse lo stomaco in un conato di vomito
che trattenne con difficoltà. Aveva bisogno d'aiuto.
«Professore! Professor Shue! Ho trovato
Blaine!», gridò, sperando che qualcuno giungesse ad soccorrerli, perché il
ragazzo stava lentamente perdendo conoscenza.
«Kurt...», sussurrò il più basso, con voce trascinata, attirando di
nuovo l'attenzione di Finn «Dov'è... Kurt...?».
Una nuova paura lo colse. Suo fratello! Dov'era? Cercò di fare mente
locale sulle ultime cose che ricordava prima che tutto crollasse: era uscito in
anticipo – non sapeva più per quale motivo... Ed ora... dove si trovata? Come
stava? Non sapeva neanche se...
Finn avrebbe voluto piangere, gridare che non stava più capendo
nulla, che improvvisamente il mondo aveva preso a girare nel senso sbagliato e
trascinava con sé nell'errore tutto ciò che incontrava. Strinse con più forza
Blaine, che stava che ormai aveva perso i sensi e in lontananza vide qualcuno
venire verso di loro. Pregò che li aiutassero.
«Nick?! Nick, dove diavolo sei?».
La voce strozzata dal fumo sembrava essere troppo bassa, troppo poco
forte in quella situazione perché qualcuno potesse davvero ascoltarla, ma non
per questo Jeff si era dato per vinto. Stava continuando a chiamare il suo
compagno di stanza da quando si erano ripresi e accertati di stare tutto
sommato bene.
I soccorsi non erano ancora arrivati e loro non sarebbero potuti
uscire dalla stanza senza aiuto, dal momento che l'esplosione aveva fatto
crollare parte del soffitto bloccando la porta.
«Accidenti, Nick! Rispondi! Dove sei?», continuò a gridare il Warbler
in preda al panico, muovendosi con frenesia per la stanza, nonostante la gamba
gli desse delle fitte dolore a causa di un brutto taglio che Cameron gli aveva
prontamente fasciando, bloccando quanto meglio l'emorragia.
«Non è qui», sussurrò Trent guardandolo dar
di matto.
«Nick! Nick!», continuò imperterrito il biondo, dando l'impressione
di non aver sentito le parole dell'amico e muovendosi con ancora più velocità.
Sebastian, che intanto continuava a guardarsi la mano sanguinante, alzò
la testa sul ragazzo con uno sbuffo nervoso. Non poteva semplicemente starsene
zitto e fermo? Perché diavolo continuava a gridare? Era ovvio che Duvall non
fosse lì e di certo continuando in quel modo non lo avrebbe fatto
materializzare – ma era sulla buona strada per fare impazzire lui o per farsi
picchiare.
All'ennesimo grido del biondo, scattò prima che potesse davvero
rendersene conto e lo prese per le spalle, nonostante la mano gli facesse male.
«Sta. Zitto!», gridò «Non è qui! Per essere il suo migliore amico,
hai davvero una pessima memoria: poco prima di... questo si è
allontanato perché doveva rispondere al cellulare, quindi sarà fuori!».
Jeff lo guardò per qualche istante sorpreso, come se faticasse a
capire quello che l'altro aveva appena detto. Poi, lentamente, ricordò. Nick
che si destava improvvisamente dai pensieri in cui era immerso a causa della
vibrazione, tentava con scarso successo di far fare silenzio nella stanza e
senza riuscirci usciva di corsa. Poi più nulla. Era letteralmente crollata ogni
cosa e lui era rimasto bloccato lì, senza sapere dove fosse l'altro. E se gli
era successo qualcosa? E se si era trovato vicino all'esplosione che aveva
provocato tutto questo?
In un attimo sentì il fiato mancargli: Smythe non lo aveva rassicurato,
gli aveva messo in testa altri mille pensieri. Il panico arrivò con efficiente
velocità e la testa del biondo girò così tanto che dovette aggrapparsi al
compagno per non cadere.
«Jeff!», si sorprese quello, aiutandolo a sedersi e frenando le prime
battute che si erano formate nella sua testa sulla debolezza del Warblers
perché – strano a pensarsi – era davvero preoccupato.
«E se... e se... è morto?».
Quella domanda congelò tutti, in primis chi l'aveva formulata. Nick?
Morto? Era semplicemente inconcepibile, assurdo, una di quelle cose che per
natura non possono verificarsi. Eppure Jeff si sentiva improvvisamente così
vuoto, così male che l'idea che fosse successo qualcosa a Nick era diventata
fin troppo possibile nella sua testa.
E non poteva essere, no! Loro avevano ancora così tante cose da fare
insieme, tante stupidaggini da dire, battute pessime su cui ridere, scherzi
idioti con cui tormentare gli altri Warblers... troppe cose ancora da fare.
E da solo non sarebbe stato nulla, come quando Fred aveva lasciato da solo
George... semplicemente inconcepibile.
Doveva ancora dirgli così tante cose, alcune davvero importanti...
«Credete che i nostri genitori stiano bene?», chiese Trent con voce incrinata dalla paura; Flint gli mise una
mano sulla spalla e poi lo tirò a sé in un abbraccio: avevano tutti paura di
quello che era successo.
«Thad! Manca anche Thad, ragazzi!».
La voce di Andrew, così alta rispetto ai sussurri precedenti stordì
tutti e li fece fremere ancora una volta. Sebastian sussultò in modo tremendo,
non appena realizzò che cosa l'altro aveva detto. Thad non era con loro, Thad
era lì fuori e nessuno sapeva come stesse. Stranamente cominciava a capire la
paranoia di Sterling... Ma lui si stava facendo prendere dal panico per Harwood!
Per la persona che aveva trattato male, o meglio ignorato per tutta la settima,
per la persona a cui come ultima cosa aveva gridato di stare lontano da lui...
Come ultima cosa...
Era assurda una simile preoccupazione e semplicemente giustificata
dal fatto che quella situazione aveva messo perfino lui a dura prova, arrivando
a farlo preoccupare perfino per quell'idiota di Harwood. In situazioni normali
non gliene sarebbe fregato nulla di nessuno. Non c'erano dubbi.
«Era andato a prendere una bottiglina d'acqua in mensa», ricordò
Richard «Probabilmente sarà già fuori», tentò di rassicurarli, ma la stretta
allo stomaco di Sebastian non accennò a diminuire e se possibile, invece,
aumentò, per quanto lui cercasse di ignorarla – come se così facendo avrebbe
potuto anche farla sparire.
«C'è qualcuno qui? Mi sentite, c'è qualcuno?»
Una voce esterna interruppe ogni cosa e fece calare il silenzio per
alcuni istanti, come se ognuno avesse bisogno di capire davvero che quella che
avevano sentito era la voce di qualcuno che stava portando loro soccorso.
«Siamo qui!», si riscosse Sebastian «Aiuto, siamo qui!».
Sentirono rumori confusi, voci che si aggiungevano a quella già
presente e in breve videro le prime macerie franare e la luce dell'esterno
illuminare la stanza semibuia a causa del crollo.
In pochi minuti – che pure parvero un'eternità – quattro uomini con
la divisa dei vigili del fuoco entrarono e controllarono che ognuno stesse bene
e non ci fosse bisogno di prestare soccorsi immediati. Uno di loro si avvicinò
al biondo che era ancora a terra, ma questi non seppe cone
che forza, fece capire che stava bene. Quando furono certo che nessuno fosse
grave, uno ad uno li fecero uscire dalla stanza, conducendoli attraverso un
corridoio fino all'aperto.
Rivedere la luce del sole fu per ognuno di loro come tornare a
respirare. Erano talmente frastornati da non riuscire a rendersi conto del
pericolo appena scampato: si sentivano tutti come sospesi, quasi non stessero
davvero vivendo quella situazione, ma la stessero più che altro osservando da
lontano.
«Datemi una mano, questo ha una gamba rotta e perde del sangue!».
La voce di un paramedico fece voltare tutti i ragazzi, così che
videro un paio di uomini che correvano verso l'ambulanza più vicina.
Egoisticamente cercarono di capire se conoscessero il ferito e tirarono un
sospiro di sollievo quando si resero conto che non era né delle New Direction né dei Warblers che ancora mancavano all'appello.
Un simile pensiero fece destare Jeff, che ricordò di come ancora non
avesse notizie di Nick. Barcollando, arrivò fino ad un vigile del fuoco,
sperando che potesse dargli notizie sicure.
«Mi scusi: avete già soccorso un ragazzo che aveva la mia stessa
divisa?», chiese con un filo di voce.
L'uomo lo guardò per qualche istante, indeciso se rispondere o evitare
di perdere tempo e continuare a portare soccorso agli altri feriti. Poi sospiro
e il ragazzo non poté non notare come il suo volto si fosse scurito. Temette
inconsciamente il peggio.
«Lo abbiamo estratto dalle macerie poco fa. Le sue condizioni sono abbastanza
gravi: lo abbiamo già trasferito all'ospedale di St. Marcus», spiegò con
voce atona.
Jeff si sentì mancare. Non poteva essere. Nick... Lui non–
«Jeff!».
Trasalì. Le lacrime cominciarono a bagnargli il viso prima che
potesse davvero capire che cosa stava succedendo. Perché l'uomo aveva detto che
Nick era in ospedale ed era grave, ma la voce che lo aveva appena chiamato era
proprio quella di Nick... quindi... stava impazzendo?
Si voltò, giusto per capire se ci fosse una spiegazione logica a
tutto quello e vedere il suo amico di fronte a lui, il viso sporco ma che
pareva illuminarlo tutto, lo bloccò sul posto facendolo tremare. Non poteva
essere vero eppure era lì, sano e salvo. Jeff non sapeva cosa pensare. Non
sapeva neanche se volesse davvero pensare, quasi temesse che facendolo,
trovando l'inghippo, avrebbe dissolto quella bellissima fantasia.
Semplicemente si lanciò tra le sue braccia, mentre la paura e il
sollievo continuavano a farlo piangere in modo imbarazzante; ma non contava in
quel momento: Nick era lì e stava bene, il resto non era importante. Non si
rese davvero conto di cosa stesse facendo finché non sentì la morbidezza delle
labbra del suo amico sotto le proprie: aveva sentito il bisogno di baciarlo
come se ne dipendesse la vita – il terrore di perderlo era stato terribile ed
ora non aveva potuto fare a meno di volerlo sentire così vicino, come se
non baciandolo in quel preciso attimo, non avrebbe potuto farlo mai più.
E sarebbe potuta essere così, si trovò a pensare, ancora con
un lieve sussulto, mentre le sue lacrime bagnavano anche il viso dell'amico.
Nick non si tirò indietro, non fece nulla se non assecondare, dopo un
attimo di smarrimento, quel bacio. Le labbra di Jeff non gli erano mai sembrate
tanto perfette e poi... era una cosa che non gli dispiaceva fare.
Quando si separarono, il bruno sorrise con dolcezza.
«Quando tutto questo sarà finito, chiariremo un po' di cose», gli
sussurrò prima di stringerlo di nuovo a sé; il biondo non ebbe paura di cosa
volessero significare quelle parole: non si era mai sentito meglio.
Gli altri Warblers non avevano potuto trattenersi dal sorridere a
quella vista. Tutti, tranne Sebastian. E non perché fosse il solito stronzo,
pronto con una delle sua battute pungenti a rovinare l'atmosfera di quel momento,
ma perché la sua mente ragionava ancora sulle parole del vigile del fuoco.
Aveva detto che avevano soccorso un ragazzo con la loro stessa divisa
e che era grave. Ma Nick era lì con loro e stava bene. ...Non mancava solo Nick
tra i Warblers.
«Thad...», sussurrò capendo perfettamente come stavano le cose.
Proprio in quel momento sentì dire da un paramedico che l'esplosione
era partita fortunatamente dalla mensa e che per questo l'auditorium in
cui c'era la maggior parte delle persone non era crollato causando una strage.
Ma Thad era proprio lì. In mensa.
Era lui quello in divisa, lui quello trasportato d'urgenza al St.
Marcus.
Sebastian si lasciò cadere in ginocchio sena più forza, spiazzato
dalla notizia e da quello che sentiva. Perché stava male, non poteva negarlo a
se stesso, non più.
_________________________
Ok, lo so. Sono in un ritardo stratosferico, di quelli che mai avevo fatto prima d’ora e davvero vi faccio tutte le mie scuse: non credevo che la maturità mi avrebbe sottratto così tanto tempo ed energie da permettermi di concludere il capitolo solo oggi.
Che dirvi? Spero che ci sia ancora qualcuno che abbia voglia di vedere come continuerà la storia – che vi avviso vedrà anche nei prossimi capitoli un alta dose di angst.
Come al solito chi mi preoccupa di più è Sebastian. Spero che risulti anche solo vagamente IC e vi prometto che mi concentrerò sulla sua introspezione nei prossimi capitoli.
Per il resto… conosciamo più o meno le sorti di quasi tutti i ragazzi… alcuni sono stati fortunati, altri un po’ meno. Vedremo come si evolverà la situazione.
Insomma… spero di sentirvi presto.
Ancora mille scuse per il ritardo e grazie per l’attenzione.
A presto – no, non vi sto
prendendo in giro xD
Alchbel (Alch) ♥