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Autore: SognoDiUnaNotteDiMezzaEstate    04/06/2012    6 recensioni
Era quello che volevo, no? L’occasione giusta per mandare tutto all’aria e concedermi del tempo per me.
Avevo immaginato di mandare al diavolo il mio lavoro e la mia coinquilina tante di quelle volte che nemmeno ricordavo quando la mia insofferenza nei loro confronti fosse iniziata. Quello che non avevo immaginato, però, era di non intraprendere quel viaggio da sola; e che ad accompagnarmi sarebbe stata una delle persone da cui cercavo disperatamente di fuggire in quel momento: Edward Cullen.
Genere: Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Bella/Edward
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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Route 66

Why are these lights so bright?

Oh, did we get hitched last night dressed up like Elvis?

Why am I wearing your class ring?

Don't call your mother

'cause now we're partners in crime

Katy Perry - Waking Up In Vegas

16. What happened last night

Portai una mano a coprire la bocca, ma ormai il danno era fatto. Edward balzò a sedere con uno scatto, guardandosi intorno confuso e con gli occhi socchiusi che cercavano di abituarsi alla luce del mattino. I capelli erano un groviglio rossiccio disordinato, così come i suoi vestiti stropicciati.

Il mio sguardo si concentrò atterrito su uno strano pezzo di tulle bianco che giaceva a terra a pochi metri dal letto, tenuto insieme da una tiara che sembrava d’argento. Poco più in là, sul tavolo nella zona soggiorno, c’era una bottiglia di spumante aperta all’interno di un secchiello, con due bicchieri mezzi pieni accanto. Non riuscii a muovermi, immobilizzata dal terrore. Fu solo il mormorio confuso di Edward a riportarmi al presente, mentre si passava le mani sul viso e imprecava sottovoce per il mal di testa e quel risveglio così brusco. Un anello d’oro giallo brillò alla luce del sole intorno al suo anulare sinistro.

Sentii la testa girare e mi rannicchiai su me stessa, chiudendo gli occhi e sperando di svegliarmi all’improvviso da quello che non poteva essere altro che un sogno.

«Bella, vuoi dirmi che succede?», borbottò Edward, con le mani ancora sul viso.

Rimasi con il volto nascosto fra le braccia incrociate sulle ginocchia, la mano sinistra incastrata nel gomito del braccio destro per non vedere ciò che c’era sul mio dito. «Dammi un pizzicotto», bofonchiai.

«Cosa? Perché dovrei farlo?»

Cercai di prendere fiato. «Perché c’è un problema».

«Che genere di problema?», sospirò lui.

Presi un profondo respiro. «Cosa ti ricordi della notte scorsa?»

Edward inarcò un sopracciglio, e vidi la sua fronte aggrottarsi mentre si concentrava. Rimase in silenzio, l’espressione crucciata.

«Appunto», sospirai pesantemente. Eravamo nella stessa situazione, nessuno di noi ricordava cosa fosse successo.

«Vuoi dirmi perché sei così preoccupata?», insistette, lasciando cadere le braccia lungo i fianchi.

Allungai una mano fino ad afferrare la sua sinistra e la portai all’altezza dei nostri visi, in modo che l’anello al suo anulare brillasse alla luce. La sua espressione divenne ancora più confusa. Quando poi affiancai la mia mano alla sua e l’anello con il diamante rifletté la luce in tutte le sue sfaccettature capii dai suoi occhi sgranati che avesse compreso.

Edward afferrò la mia mano, avvicinandola per guardare meglio l’anello, toccando la gemma con un dito, come per assicurarsi che fosse tutto vero. «Non può essere», sussurrò.

«E invece credo proprio che lo sia», mormorai.

Lasciò andare la mia mano e si alzò in piedi, iniziando a girare per la stanza. Raccolse la tiara con il velo, restando ad osservarlo per alcuni secondi, in silenzio.

«Cosa c’è?», gli chiesi, speranzosa. «Hai ricordato qualcosa?»

Edward scosse il capo, cancellando le mie speranze. «Mi chiedevo solo com’è possibile che non ricordiamo nulla di quello che è successo», disse, prima di passarmi il velo e riprendere a cercare nella stanza. «Ci devono pur aver dato qualcosa per questo matrimonio», sbottò, iniziando ad aprire i cassetti degli armadi e richiudendoli con forza quando li scopriva vuoti. Sentii il respiro bloccarsi mentre pronunciava la parola matrimonio, ma non dissi niente. «Un certificato, un biglietto, qualunque cosa dannazione!»

«Pensi che non ci siamo sposati?», gli domandai, alzandomi per aiutarlo nella ricerca.

«In questo momento non riesco a ricordare niente di quello che è successo dopo che ho vinto quell’anello e tutti i soldi. Potremmo anche aver fatto tutto noi due senza essere andati in cappella, chi lo sa», rispose, con la testa sul pavimento mentre guardava sotto il letto.

Si alzò in piedi con un sospiro pesante. «Qui non c’è niente».

«Alla cappella avranno un registro… no?», tentai. «Potremmo andare a chiedere lì».

Edward si passò una mano sul viso. «Non abbiamo altra scelta. Prima però devo farmi una doccia», disse, recuperando la sua valigia dall’armadio.

Annuii leggermente, sedendomi sul bordo del letto. Lo vidi sfilarsi la fede dal dito e appoggiarla sul comodino, poi chiudersi in bagno.

Passai fra le mani la tiara con il velo bianco, cercando di concentrarmi per ricordare qualsiasi cosa riguardante la notte precedente, ma tutto quello che mi veniva in mente era Edward mentre metteva in palio tutti i soldi sul banco e il mio bicchiere di cocktail arrivare al tavolo. Poi più nulla. Mi alzai dal letto e cercai qualcosa da indossare di pulito, sperando che una doccia fredda mi aiutasse a schiarire le idee, confuse oltre ogni limite.

Guardai l’anello al mio dito, e sospirai pesantemente. Faceva uno strano effetto vedere un gioiello simile - per nulla del mio genere, fra l’altro - al dito, e la sensazione era stata ancora più strana quando avevo accostato la mia mano sinistra a quella di Edward. Se quei due anelli avevano davvero il significato che temevo quello significava che io ed Edward eravamo sposati. Eravamo diventati marito e moglie. Un brivido corse lungo la mia schiena e scacciai il pensiero fastidiosamente, sentendo la paura stringermi lo stomaco in una morsa. Le cose fra me ed Edward stavano finalmente procedendo per il verso giusto, ma non eravamo ancora pronti per un passo simile. Io non ero ancora pronta. Non avevo mai avuto una buona considerazione del matrimonio - da una figlia di genitori divorziati cosa ci si potrebbe aspettare? - ed Edward l’aveva sempre saputo. Cosa mi era saltato in testa di accettare la proposta - sicuramente uscita dalla bocca di un’altra persona ubriaca? Avevamo combinato un gran caos e dovevamo trovare una risposta al più presto a quell’interrogativo per decidere cosa fare.

Appena sentii l’acqua della doccia chiudersi portai le dita intorno all’anello, pronta a sfilarlo. Il sangue mi si ghiacciò nelle vene quando scoprii che non si muoveva di un solo millimetro. Era incastrato.

Iniziai a sudare freddo e tirai con tutte le mie forze, fino a sentire le tempie riprendere a pulsare dolorosamente per il mal di testa. Mi guardai intorno, terrorizzata, e corsi fino al secchiello contenente la bottiglia di spumante, all’interno del quale il ghiaccio si era completamente sciolto. Infilai la mano nell’acqua, sperando di riuscire a far scivolare l’anello, ma dopo un paio di tentativi capii che non c’era niente da fare.

La porta del bagno si aprì e corsi con la mano gocciolante fino al lavandino, rischiando di travolgere Edward che stava uscendo vestito di tutto punto e con i capelli umidi. Afferrai con disperazione la saponetta accanto al rubinetto e iniziai a insaponare tutta la mano, tirando l’anello fino a farmi male al dito.

Edward mi raggiunse, guardandomi preoccupato e confuso. «Che stai facendo?»

«Non riesco a togliere l’anello», dissi fra i denti.

Lui afferrò le mie mani, riponendo la saponetta al suo posto e passandole sotto il getto d’acqua fredda, senza toccare l’anello.

«Cosa fai?», gli chiesi, ansiosa, mentre mi passava un asciugamano.

«Lascialo dov’è. Adesso hai fatto gonfiare il dito a furia di tirare, quindi è impossibile che esca. Tra un’ora potremo riprovare», disse con calma, lasciando andare la mia mano.

Guardai il dito, rosso e gonfio rispetto agli altri. «Ed io dovrei andare in giro con questo addosso adesso?», domandai, terrorizzata al pensiero.

«A meno che vuoi che ti amputi il dito, allora sì», rispose accigliato.

Mi appoggiai al lavandino, sospirando.

Edward mi sfiorò un braccio. «Non è così grave, non preoccuparti. Se non riuscirai a sfilarlo anche quando il dito sarà sgonfio conosco un vecchio trucco che ho imparato al pronto soccorso», disse incoraggiante.

Annuii distrattamente. «Non è quello. Mi stavo solo chiedendo come abbiamo fatto a finire in questa situazione», mormorai.

«Eravamo entrambi ubriachi. Sarebbe potuta finire peggio, per come la vedo io», disse, appoggiandosi al lavandino, con la mano accanto alla mia, su cui spiccava l’anello.

«Del tipo?»

«Del tipo che avresti potuto svegliarti e scoprire di esserti sposata con un estraneo», rispose con una smorfia.

Aggrottai le sopracciglia, incrociando il suo sguardo attraverso lo specchio davanti a noi. «Dici che sarebbe stato possibile?», domandai, accigliata.

Edward scrollò le spalle, senza rispondere chiaramente.

Sospirai, staccandomi dal lavandino. «Faccio una doccia e poi possiamo andare», dissi, andando verso di essa per aprire l’acqua.

Lui si diresse verso la porta, fermandosi poco prima di uscire. «Bella?», mi richiamò, facendomi voltare per guardarlo. «Cosa succederà se scopriremo di essere davvero sposati?»

Mi irrigidii.

«Voglio dire», continuò, schiarendosi la voce, «sarebbe così terribile?»

Rimasi in silenzio, riflettendo sulle sue parole, mentre davanti agli occhi prendeva vita lo scenario che Edward aveva appena ipotizzato: avremmo terminato il nostro viaggio lungo la Route 66 e saremmo tornati a casa, andando a vivere insieme e ufficializzando alle nostre famiglie di esserci sposati a Las Vegas? E poi, cosa sarebbe successo? Avremmo iniziato a litigare come i miei genitori e ci saremmo pentiti nel giro di pochi mesi dell’insana e inconsapevole decisione di sposarci e avremmo divorziato, tagliando i ponti l’uno con l’altra per sempre?

La mia espressione dovette tradire i miei stessi pensieri negativi, perché l’espressione di Edward si incupì, e si voltò per lasciare il bagno, con un “Lascia stare, ci penseremo se arriverà il momento”.

Lo raggiunsi di corsa, fermandolo per un braccio. «Sarebbe terribile, perché un giorno arriveremo a pentirci di aver preso una decisione tanto importante senza essere lucidi», gli spiegai, agitata e terrorizzata di poter ferire i suoi sentimenti. «Se mai dovrà esserci un matrimonio vorrei davvero ricordare ogni momento, e non solo il risveglio senza sapere che cos’è successo».

Edward rimase in silenzio per un lungo istante, poi appoggiò la fronte contro la mia, ed un sorriso divertito spuntò sulle sue labbra. «Se è quello il problema potremo sempre sposarci un’altra volta. In una di quelle chiese enormi con abiti eleganti, e soprattutto con un vestito da sposa. Il velo ce l’hai già», scherzò, riferendosi alla tiara abbandonata sul letto.

Mi morsi il labbro per trattenere un sorriso, e gli pizzicai il fianco con la punta delle dita. Lui rise sulle mie labbra, scendendo a baciarmi. Allacciai le braccia intorno al suo collo, alzandomi sulle punte dei piedi.

Sentii la porta sbattere alle nostre spalle, mentre la bocca di Edward soffocava le mie risate e il suo sorriso divertito. Arretrai fino a sentire il muro contro la schiena e strinsi le braccia intorno al suo collo, sollevandomi sulle punte e spingendolo ad avvicinarsi ancora di più. Le sue mani scorrevano lungo il mio corpo, stringendo la carne che trovava e infilandosi sotto il tessuto della camicetta, fino ad arrivare ai gancetti del reggiseno. Con la bocca scese sul mio collo, scostando i lembi di tessuto alla ricerca di pelle, premendo il bacino contro il mio. Con le dita cercai di slacciare i bottoni della sua camicia, venendo interrotta dal bussare alla porta, a pochi passi da noi. Edward continuò a baciarmi la spalla, ignorando il rumore.

«Lo spumante…», sospirai, frustrata da quell’interruzione.

La sua bocca tornò sulla mia. «Se lo ignoriamo se ne andrà», mormorò, deciso a non smettere.

Bussarono nuovamente, più a lungo. Alla fine Edward si allontanò da me, facendo solo pochi passi per aprire la porta. Oltre la sua spalla scorsi un ragazzo con in mano un secchiello contenente una bottiglia di spumante. Edward prese il secchio, porgendogli una banconota di mancia, e rifiutò il suo invito ad aprire la bottiglia per noi. Andammo al tavolo nella zona soggiorno e trovai due bicchieri da spumante nell’armadietto del frigobar. Edward riempì i calici, rimettendo la bottiglia nel ghiaccio. Alzò il suo all’altezza dei nostri visi, un sorriso a piegargli le labbra. «A noi», disse, facendo tintinnare i nostri bicchieri insieme.

Brindammo al nostro matrimonio, crollando pochi minuti dopo sul letto senza nemmeno la forza di svestirci e infilarci sotto le coperte.

Aumentai la presa intorno al collo di Edward, sorridendo mentre quel piccolo ricordo della notte precedente tornava a galla. Non era una risposta chiara a ciò che era successo, ma almeno sapevo com’era finita la serata.

Solo il rumore dell’acqua che ancora scendeva dalla doccia mi costrinse ad allontanarmi da Edward e a darmi una calmata.

«Vado a farmi la doccia. Torno subito», mormorai contro la sua bocca, faticando a staccarmi.

«Se me lo dicevi prima potevamo farla assieme. Dato che siamo sposati…», ghignò, lasciandomi andare sull’uscio del bagno.

Risi, leggermente imbarazzata. «Avresti potuto propormelo prima, maritino», ribattei, afferrando il pomello della porta. Un attimo prima di chiuderla scorsi la sua espressione divertita e stupita, e pensai che forse se davvero eravamo sposati le cose non sarebbero andate così male.

 

Il caos nella hall quel mattino non riuscivo a sopportarlo. Non solo a causa dello stato confusionale in cui versavo a causa dei sintomi del post-sbornia, ma anche perché in mezzo a tutto quel rumore e viavai di gente non riuscivo a mettere ordine ai miei pensieri e a concentrarmi per ricordare i dettagli della notte precedente.

Andammo diretti al bancone della reception, dove una donna sedeva dietro al punto informazioni.

Edward strinse un braccio intorno alle mie spalle, avvicinandomi a lui. La donna dall’altra parte del bancone non fece una piega, probabilmente abituata a scene simili. «Ci può far portare una bottiglia di spumante alla Luxory Suite?», le chiese, tendendole con due dita la chiave della camera su cui far accreditare la bottiglia.

Lei annuì, passando la carta in una fessura sulla tastiera del computer davanti a lei. Poi alzò una cornetta del telefono. «Il suo nome, prego?»

«Edward Cullen», rispose, prima di di allontanarci dal bancone.

Ci dirigemmo verso gli ascensori, ridendo come due idioti.

Edward si accostò titubante al bancone, e mi chiesi se anche lui stava ricordando come me la sera precedente. «Mi scusi. Ci potrebbe dire dove si trova la cappella?»

«Certamente», rispose cordialmente lei. Prese una cartina della zona pubblica del resort, sporgendosi sul bancone per mostrarla ad Edward. Con una penna segnò un cerchio rosso intorno al simbolo della croce, al primo piano. «Questa è la cappella dell’hotel, dove celebriamo i matrimoni prenotati dai clienti con banchetto incluso». Girò la cartina, arrivando al piano dei ristoranti e negozi, e segnò una zona colorata di rosa, priva di simboli. «Questa invece è quella per i matrimoni last-minute, senza cerimonia ufficiale».

Edward incrociò il mio sguardo, eloquente. Ringraziò la donna, allontanandosi dal bancone.

«Immagino sia la seconda quella che ci interessa», mormorò, seguendo le indicazioni sulla cartina.

Annuii leggermente, in difficoltà. «Credi che sia una di quelle cappelle che si vedono nei film e le serie tv? Con un prete vestito da Elvis che canta?», gli chiesi, preoccupata.

A vederlo in tv mi era sempre sembrata una scena divertente, ma il pensiero di essermi effettivamente sposata con un uomo conciato in quel modo al mio fianco mi faceva drizzare i peli sulle braccia. Sebbene non fossi mai stata un’amante dei matrimoni avevo sempre immaginato il mio - se mai fossi stata tanto coraggiosa da fare quel passo - celebrato in una piccola chiesa, con i miei familiari accanto e un prete in tunica a celebrare la messa. Io avrei indossato un vestito bianco da sposa, e avrei ricevuto un anello d’oro della misura perfetta del mio dito, che sarei stata in grado di sfilare senza bisogno di ricorrere a metodi imparati al pronto soccorso.

La cappella “per i matrimoni last-minute”, come l’aveva definita la donna al punto informazioni, si distingueva dal resto dei negozi che si trovavano lungo il Grand Canal del resort del The Venetian per il semplice fatto che mancasse di vetrine e illuminazioni spiccate. C’era un portone in legno laccato di bianco - chiuso -, e due finestre in stile gotico con vetri colorati non permettevano di scorgere l’interno, le cui luci erano spente. Una piccola targa dorata era appesa accanto all’ingresso e riferiva gli orari di apertura, che andavano dalle nove di sera fino a tarda notte. Guardai Edward, lasciando andare un profondo respiro. Per tutto il tragitto dalla hall avevo trattenuto il fiato senza nemmeno rendermene conto, e anche se in quel momento non avevo ancora ricevuto una risposta a quell’interrogativo pressante da una parte mi sentivo sollevata al pensiero di non dover ricevere immediatamente una risposta che avrebbe cambiato tutto. «Temo che dovremo aspettare questa sera per scoprire se siamo sposati o meno», dissi, sedendomi su una delle due panchine sotto le finestre della cappella.

Lui infilò le mani in tasca, poi si sedette accanto a me. «Facciamo in tempo a ricordare quello che è successo di questo passo», borbottò, guardando le gondole scivolare sul canale davanti a noi, oltre la ringhiera in ferro battuto.

Aggrottai le sopracciglia, provando una strana sensazione di familiarità. Mi alzai in piedi, guardando prima il portone bianco della chiesa, poi raggiunsi la ringhiera, guardando l’acqua sotto di me. Edward mi affiancò, con un la fronte aggrottata. «Che stai facendo?»

«Credo che siamo passati di qui ieri sera», dissi, cercando di concentrarmi.

Arretrai nuovamente fino al portone, dandogli le spalle, e guardai le gondole da quella prospettiva.

Spalancai un’anta del portone bianco con la mano libera, stringendo nell’altra quella di Edward, mentre ridevo. Le sue braccia mi circondarono, fermandomi poco prima che finissi contro il gruppo di persone che percorreva il viale accanto al canale, e davanti alle loro espressioni curiose, sorprese e di disapprovazione risi divertita. In quel momento di euforia tutto sembrava incredibilmente divertente. Tirai indietro con una mano il velo bianco finitomi sul viso, e il mio sguardo si fermò sulle gondole che galleggiavano nell’acqua della piscina-canale.

Tirai Edward con me, arrivando ad appoggiarmi alla ringhiera di ferro. Mi sporsi a guardare le barche, entusiasta. «Andiamo a fare un giro in gondola?», chiesi ad Edward, aggrappandomi al suo braccio.

Lui sorrise, chinandosi per baciarmi. «Quello che vuoi», sussurrò contro le mie labbra, «signora Cullen».

«Oh», sussurrai, mordendomi il labbro inferiore, rimanendo a guardare le gondole.

Edward alzò il capo, ancora seduto. «Oh, cosa?»

«Credo che ci siamo davvero sposati», sussurrai, incontrando il suo sguardo.

Lui aggrottò le sopracciglia. «Ti ricordi di ieri notte?»

Scossi il capo. «Però mi è venuto in mente il momento in cui abbiamo lasciato questa cappella». Distolsi lo sguardo, sentendo le guance arrossarsi. «Mi hai chiamata ‘signora Cullen’… immagino ci sia solo una spiegazione a questo».

Edward non mi sembrò convinto. «Non ricordi altro?»

Scossi nuovamente la testa. «Credo che poi siamo andati a fare un giro in gondola, ma non ne sono sicura…»

«Di quello ne sono abbastanza certo», intervenne lui, alzandosi in piedi. «Prima mi è venuto in mente un uomo che si è messo a cantare qualcosa in italiano mentre eravamo su una gondola, dubito sia stato un sogno».

Lo guardai con un sopracciglio inarcato, senza commentare.

Davanti al mio sguardo si accigliò. «Che c’è?»

«Di tutta la serata tu ricordi solamente un tipo in gondola che canta in italiano?», gli chiesi, scettica.

Edward scrollò le spalle, annuendo.

«Wow», mormorai, «deve averti colpito molto per esserti rimasto in mente. Sicuro di non essertene innamorato?», gli chiesi, prendendolo in giro.

Lui alzò gli occhi al cielo, prendendo la mia mano e iniziando a incamminarsi verso il fondo del canale. «Oppure, più semplicemente, ne sono rimasto talmente traumatizzato che nemmeno la sbornia è riuscita a farmelo dimenticare».

Risi, divertita dalla sua espressione. «È stato così terribile?»

«Più che terribile», rispose. «Ti prego, se quello di adesso si mette a cantare fermiamolo, altrimenti rischio di buttarlo in acqua».

«Stiamo andando a fare un giro in gondola?», gli chiesi, sorpresa. «Perché?»

«Perché magari ci torna in mente qualcosa in più su ieri sera. O almeno possiamo goderci appieno il viaggio questa volta», disse, fermandosi davanti al punto di attracco delle gondole in fondo al canale.

Un uomo sulla quarantina si avvicinò a noi, vestito con una divisa a righe, un foulard rosso intorno al collo e alla vita e un capello di paglia in testa. Si presentò, chiedendoci se fossimo lì per un giro in gondola. Poi, una volta pagato, ci condusse su un piccolo molo, a cui erano attraccate tre gondole laccate di un nero luccicante.

Mi tese una mano per aiutarmi a salire a bordo e accettai la sua offerta con la sinistra, su cui svettava l’anello con il diamante, che attirò subito la sua attenzione.

«Ah, siete fidanzati, ora capisco», esclamò, lanciando occhiate di approvazione ad Edward.

«Veramente», intervenne lui, afferrando l’altra mia mano con la sinistra, mostrando l’anulare intorno a cui era legata la sua fede d’oro, «siamo sposati. Da ieri sera per la precisione».

Lo guardai perplessa e confusa, ma il suo sguardo restò puntato sul gondoliere, che alla notizia iniziò a farci mille complimenti e congratulazioni. Quando fummo tutti saliti e l’uomo spostò lo sguardo sul canale per fare manovra e allontanarci dal molo, Edward si voltò verso di me, sorridendo divertito.

«Da quando hai l’anello? Pensavo l’avessi lasciato in camera», mormorai, perplessa.

«L’ho portato per scoprire dove l’ho preso. Di certo non l’avevo in valigia fino a ieri», disse. «E poi non mi sembrava giusto lasciarti girare con l’anello da sola. Del resto è colpa mia se te lo ritrovi al dito».

Aprii la bocca per dire qualcosa ma mi interruppi, quando mi resi conto che sapevo benissimo come facevo a ritrovarmi con un anello al dito.

Scattai in piedi come una molla, mentre l’uomo dietro il banco spingeva il gruzzolo di soldi in direzione di Edward, sotto lo sguardo infuriato degli altri uomini seduti al tavolo. Tutti loro si alzarono, abbandonando il gioco, rimasti senza fishes o semplicemente stanchi di vederle finire nelle tasche di un altro. Edward accettò la busta dal banco per ritirare il suo guadagno, e si alzò dal tavolo con il sacchetto pieno. Lo guardai con un sorriso entusiasta e incredulo, e afferrai la mano che mi tese, lasciando che mi trascinasse verso i divanetti della zona bar, dove ci sedemmo, io ancora incapace di parlare. Ordinò al cameriere due drink, poi si alzò in piedi, chiedendomi di aspettarlo mentre andava a cambiare le fishes al bancone del casinò. Quando tornò il sacchetto era sparito, ma in mano gli era rimasta una scatoletta di raso scuro. La guardai senza capire. «Che cos’è?», gli chiesi, avvicinandomi.

Edward la rigirò fra le mani, poi la aprì, rivelando un anello con un enorme diamante in cima. «L’ha messa in palio un tizio seduto al tavolo. Non ricordavo di averla vinta», disse, allungandola verso di me.

Presi l’anello dal suo scomparto, squadrandolo da ogni angolazione. «Doveva essere un tizio molto ricco», mormorai, biasciando la parola ‘molto’ e allungandola sulle vocali.

Edward scrollò le spalle.

«Posso provarlo?», gli chiesi, mordendomi il labbro.

Lui aggrottò le sopracciglia, e annuì.

Provai a infilare l’anello nelle dita della mano sinistra, riuscendo a incastrarlo senza troppe forzature solo all’anulare, dove si fermò perfettamente poco sotto la nocca. Allontanai la mano, per guardare l’effetto che faceva proprio su quel dito.

«Non è così male», dissi, e prima che potessi aggiungere altro il cameriere arrivò con le nostre ordinazioni, e vedendomi ammirare l’anello, con la scatoletta nelle mani di Edward, interpretò la situazione nel modo più comune possibile.

«Oh mio Dio! Le ha fatto la proposta? Congratulazioni!», esclamò, a voce talmente alta che anche gli altri seduti ai tavoli accanto lo sentirono. Partì un coro di fischi e applausi, e non ebbi il coraggio di dire niente, sorrisi solo imbarazzata, mentre Edward si guardava intorno spaesato, come se fosse appena cascato dalle nuvole. Il bar ci offrì perfino da bere e aprì una bottiglia di champagne per festeggiare la lieta notizia, tutto a carico della casa, e in breve tempo mi ritrovai a non capire più cosa stesse succedendo.

Mi sedetti più vicina ad Edward, e lui passò un braccio intorno alle mie spalle.

«Ci siamo cacciati in un bel pasticcio», sussurrò al mio orecchio, divertito. «Se dovessero scoprire la verità ci caccerebbero dall’hotel a calci».

Risi nervosamente, stringendomi a lui. «Non hanno motivo di sospettare che sia un malinteso».

Edward sorrise, baciandomi e generando altri fischi dai più vicini. Chiese il conto al cameriere, che gli assicurò nuovamente che tutto quanto avevamo bevuto era felicemente offerto dal bar, e che si congratulava nuovamente con noi. Mentre uscivamo dal bar un uomo vestito da Elvis Presley che prima non avevo notato ci fermò, invitandoci ad andare a “coronare il nostro sogno d’amore alla bellissima cappella degli innamorati di Venezia”, che si affacciava sul canale. Ci tese pure i volantini, che afferrammo ridendo, soffermandoci a guardarli solo per pochi secondi. Prima di buttarlo però lo guardai con più attenzione, voltandolo dalla parte della cartina per raggiungere la cappella.

«Andiamo a dargli un’occhiata?», proposi ad Edward, curiosa di vedere quel luogo “da sogno”, come l’aveva definito il finto Elvis.

Edward rise, annuendo. Raggiungemmo la cappella lungo il canale, trovando le porte spalancate e la breve navata con il tappeto rosso - cosparso di finti petali di rose rosse -steso fino ad un traliccio ricoperto da piante di rose bianche rampicanti di plastica. Cinque file di sedie erano disposte ai lati del tappeto, ma nella saletta non c’era nessuno.

La guardai con sguardo sognante, poi mi voltai verso Edward. «Edward», lo chiamai, con le guance rosse e gli occhi lucidi, «vuoi sposarmi?»

Richiusi la bocca, con gli occhi sgranati. Abbassai lo sguardo alle mie mani incrociate sul grembo, ignorando il panorama dei viali di negozi che scorrevano accanto al canale.

Edward strinse il braccio intorno alle mie spalle, avvicinandosi. «Che c’è?»

Non riuscivo a incontrare il suo sguardo, imbarazzata, mentre un’altra sensazione ben peggiore prendeva presto piede dentro di me. Era il senso di colpa, unito ad un’ingiustificata delusione alla scoperta di essere stata io a chiedere ad Edward di sposarmi e non il contrario, come di convenzione e come avrei sperato che fosse se mai quel momento fosse arrivato.

Edward posò due dita sotto il mio mento, costringendomi ad alzare lo sguardo. «Cos’hai ricordato?», mi chiese, capendo che il mio improvviso cambio d’umore era dovuto a qualcosa successo la sera precedente.

Mi morsi con forza il labbro, non potendo più evitare il suo sguardo. «Sono stata io a chiederti di sposarmi», mormorai, sentendo le guance diventare incandescenti.

Le sue sopracciglia si inarcarono verso l’alto, e sul suo viso lessi sorpresa. «Sei sicura?»

Annuii, e lui si accigliò.

«Mi dispiace. È successo tutto per colpa mia», sussurrai, sentendo gli occhi inumidirsi. Temevo che la sua reazione a quella scoperta sarebbe stata terribile, che si sarebbe arrabbiato e la nostra relazione si sarebbe incrinata inevitabilmente, ma lui sembrò rimanere calmo come sempre.

«Io ho accettato, però. Se ci troviamo in questa situazione la colpa è di entrambi», disse semplicemente.

Socchiusi gli occhi per abituarmi alla luce del sole, mentre la gondola usciva all’aperto e ci ritrovavamo davanti all’ingresso dell’hotel, con gli occhi dei passati per la Las Vegas Boulevard puntati su di noi e le altre gondole.

«Cosa facciamo adesso?», gli chiesi, sospirando.

Edward rimase in silenzio per un lungo istante. «Godiamoci questa giornata», disse infine, rilassandosi contro il sedile della gondola. «Questa sera andremo a ritirare il certificato di matrimonio alla cappella, e poi decideremo il da farsi».

Non capivo come potesse essere così tranquillo con tutto quello che stava succedendo, ma non dissi niente, abbandonandomi contro di lui, nonostante gli anelli che brillavano al sole intorno ai nostri anulari non fecero altro che tormentarmi per il resto della giornata.

 

Quel pomeriggio passato a Las Vegas fu surreale. Le ore sembravano passare al tempo stesso lente e veloci, e i brevi sonnellini a cui mi lasciavo andare sul lettino non facevano altro che aumentare il senso di confusione che provavo.

L’hotel disponeva di due enormi piscine in comune con un altro albergo, intorno alle quali erano posizionati diversi lettini e alcuni bungalow in mezzo al giardino, dove si ritirava solo una piccola parte degli ospiti degli alberghi.

Dato che sia io che Edward risentivamo ancora dei postumi della sbornia della sera precedente e avevamo già passato il giorno precedente a girare per i resort, decidemmo di passare il pomeriggio in piscina, in attesa di andare alla cappella per le nove di sera, non appena fosse stata aperta.

Il sole era alto e cocente, quindi decidemmo di ritirarci in uno dei bungalow del giardino, a qualche metro dalla piscina. Era un piccolo traliccio di legno intorno a cui erano tirate delle tende bianche di tessuti leggerissimi, che concedevano una semitrasparenza dell’esterno. All’interno era posizionato un unico lettino delle dimensioni di un letto matrimoniale, con al posto della tela un materassino sottile ma morbido.

Lasciammo i vestiti appesi ai tralicci e andammo a tuffarci nell’acqua piacevolmente fresca della piscina, in cui erano immerse poche persone. La maggior parte era sdraiata sui lettini a prendere il sole, oppure era seduta al bancone del bar.

Era piacevole restare a galleggiare nell’acqua senza doversi curare delle altre persone, anche se nessuna piscina sarebbe mai stata paragonabile alle oasi di pace del parco nazionale e della riserva indiana dove eravamo stati solo pochi giorni prima.

Edward spuntò fuori dall’acqua con la testa accanto alla mia, e mi aggrappai a lui.

«Mi sono appena ricordato di quando abbiamo preso l’anello e il velo per il matrimonio», disse, passando un braccio dietro la mia schiena e tenendosi con l’altro al bordo della piscina.

«Sì? Dov’è stato?», gli chiesi, curiosa.

«Dentro la cappella c’è anche un banchetto che vende queste cose per i matrimoni organizzati all’ultimo momento. Li abbiamo presi pochi minuti prima della cerimonia, credo», spiegò brevemente.

Allacciai un braccio intorno al suo collo, appoggiandomi al suo fianco. «Siamo pazzi, lo sai, vero?»

Lui rise leggermente. «Quello più pazzo sono io che non ho pensato neanche per un momento a quello che mi farà Charlie quando verrà a sapere cosa abbiamo combinato alle sue spalle».

Sorrisi, divertita ma al tempo stesso preoccupata. «Fossi in te chiederei protezione alla polizia e cercherei subito un giubbotto antiproiettile. Potrebbe arrivare a Chicago con la pistola di servizio per farci fuori entrambi».

«Tu saresti al sicuro, perché penserebbe che ti ho fatta ubriacare per poi convincerti a sposarmi», scherzò.

«Immaginati la sua faccia quando scoprirà che sono stata io a fare la proposta», risi.

«Non ci crederà mai, lo sai anche tu. Oppure la userà come prova per dimostrare che ti ho fatta ubriacare», mormorò, avvicinando il viso al mio.

Andai incontro alla sua bocca, mordendo il suo labbro inferiore con delicatezza. «Potremmo sempre non dirglielo», mormorai, ad occhi chiusi.

Sentii Edward respirare profondamente, mentre le sue mani si stringevano intorno alla mia vita. «Lo scoprirà comunque. Charlie scopre sempre tutto, lo sai».

«Chiederò a mia madre di tenerlo a bada, allora», dissi, sorridendo.

Edward ricambiò il sorriso, poi si allontanò. «Usciamo?», mi chiese, trascinandoci dopo la mia risposta affermativa verso la scaletta della piscina.

Tornammo al nostro bungalow, e dopo esserci asciugati ci stendemmo sul lettino per riposare. Appoggiai il capo sul petto di Edward, chiudendo gli occhi, e dopo pochi minuti mi addormentai, lasciando finalmente che le preoccupazioni svanissero per qualche ora.

 

Il momento della verità arrivò prima che me ne rendessi conto. Sembravano passate solo un paio d’ore da quando io ed Edward ci eravamo stesi sul lettino della piscina, eppure in quel momento ci trovavamo davanti alle porte spalancate della cappella, le cui luci erano accese e l’interno sembrava deserto.

Edward aumentò la presa intorno alla mia mano. «Andiamo?», mi chiese.

Annuii, ed entrammo nella cappella. Sulla sinistra sentimmo delle voci e ci voltammo, trovandoci davanti un uomo con indosso soltanto un paio di mutande bianche che sembravano un pannolone per quanto erano spesse ed una chitarra alla spalla. Sugli occhi portava un paio di occhiali da sole neri e aveva la barba castana che gli scendeva disordinata verso il collo. Dietro di lui, seduto ad un banchetto con esposti anelli, tiare, bouquet di fiori finti e altro, c’era un uomo vestito da Elvis Presley.

Prima ancora che l’uomo con la chitarra parlasse lo riconobbi, grazie ad un altro ricordo della notte precedente.

«Allora, siete pronti?», urlò una voce dall’ingresso della cappella, seguita dal suono di una chitarra acustica. Edward ed io ci voltammo insieme, vedendo un uomo in mutande, chitarra, occhiali da sole, calzini neri con infradito e nient’altro addosso venire nella nostra direzione.

Lo guardai perplessa. «E lei chi sarebbe?», gli chiesi.

Il tizio mi lanciò un’occhiataccia attraverso gli occhiali. «Io, dolcezza, sono l’officiante. Se non ti sto bene al piano di sopra c’è un’altra cappella», disse con nonchalance, salendo i due gradini per arrivare sotto il traliccio, davanti a me ed Edward.

Guardai Edward, che rise divertito.

Nell’angolo l’uomo vestito da Elvis iniziò a cantare, mentre l’officiante suonava la chitarra. Quando finì, l’officiante davanti a noi iniziò a recitare cantando e quasi urlando la formula del matrimonio, accompagnato dal suono della sua chitarra e dal finto Elvis, che come un’eco ripeteva le sue parole. La formula fu decisamente più breve di quella tradizionale.

«Cari amici e amiche», disse con una strimpellata, sebbene ci fossimo solo noi quattro presenti in quella cappella. «Siamo qui stanotte riuniti per unire in matrimonio…»

Si interruppe, e mentre ero intenta a guardare Edward non mi accorsi che l’officiante stesse guardando me, in attesa che dicessi il mio nome.

«Isabella Marie Swan», dissi, impacciata, arrossendo.

Attraverso gli occhiali da sole mi sembrò che alzasse gli occhi al cielo, poi si voltò verso Edward. «E…»

«Edward Anthony Cullen», concluse lui.

«… Nel sacro vincolo del matrimonio. Con questo atto, entrambi i presenti si impegnano a…»

Smisi di ascoltare e distolsi lo sguardo da Edward per soffermarlo sulla figura dell’officiante, che continuava a parlare e suonare a pochi passi da me. Quando cercai nuovamente lo sguardo di Edward vidi che anche lui stava osservando l’uomo. I nostri occhi si incrociarono, e sorridemmo al tempo stesso.

«Vuoi tu Isabella Marie Swan prendere quest’uomo come tuo legittimo sposo?», chiese l’officiante, riportandomi al presente. Guardai Edward, e sorrisi.

«Oh, Dio», sussurrai, inchiodandomi sul posto.

Edward si voltò a guardarmi, incuriosito, ma l’officiante si alzò in piedi e venne verso di noi a braccia spalancate. «Salve! Siete qui per sposarvi?», chiese.

Edward aggrottò le sopracciglia, non sapendo bene cosa dire. «Veramente… credo che noi siamo già sposati. Siamo venuti qui ieri notte».

L’uomo assunse un’aria pensierosa, poi alzò leggermente gli occhiali da sole per guardarci. Li lasciò ricadere. «Ah, sì, siete voi. Siete qui per terminare l’opera?»

«Vorremmo una copia del certificato di matrimonio, ieri non credo ce l’abbiate data», rispose Edward.

«Certo che non ve l’abbiamo data siete scappati come due indemoniati senza che darci una spiegazione», ribatté l’uomo, lanciando un’occhiata che non riuscii a interpretare ad Elvis.

Edward si accigliò. «Sì, beh… ci siamo fatti prendere dall’euforia, mi dispiace. Non è che potreste darcela adesso?»

L’uomo sbuffò. «Ma mi ascolti, tesoro? Ti ho detto che non ve l’abbiamo data perché ve ne siete andati. A meno che vogliate terminare la cerimonia adesso non sono autorizzato a darvi proprio un bel niente di certificato».

«Aspetti», lo interruppe Edward, sbattendo le palpebre più volte. «Non abbiamo terminato la cerimonia ieri sera?»

L’officiante guardò il tizio vestito da Elvis. «Potresti andare a prendere la lavagnetta per fargli un disegno? Credo non l’abbia ancora capito». L’altro rise.

Mi aggrappai al braccio di Edward, prima che potesse rispondere all’uomo. «È la verità, Edward! Me ne sono appena ricordata!»

Lui mi guardò, gli occhi confusi e sorpresi. «Non siamo sposati, quindi?»

Scossi il capo, e prima che me ne rendessi conto le sue labbra furono sulle mie, e le sue mani sulle mie guance, a tenermi vicina. Sentii l’officiante borbottare qualcosa, ma non me ne curai.

Quando Edward si staccò posò la fronte contro la mia, e rilasciò un sospiro di sollievo. «Grazie al cielo», sussurrò.

Coprii le sue mani con le mie, sorridendo. «Siamo scappati al momento del sì, dopo esserci infilati gli anelli. Avevamo capito che non era il momento di sposarsi».

«E per fortuna, aggiungerei», intervenne l’officiante, seccato. «Altrimenti a quest’ora avremmo un altro divorzio da affrontare a quanto pare».

Edward si voltò verso di lui, intrecciando la mano alla mia. «Scusate per il disturbo, e grazie», disse, con un sorriso enorme stampato sul viso.

Uscimmo dalla cappella senza guardarci indietro, con gli anelli ancora alle dita ma la testa finalmente libera di pensieri preoccupanti.

 

«Sei sicuro che questo metodo funzioni?», gli chiesi, perplessa, mentre lo osservavo annodare un filo da cucito stretto intorno al dito, attaccato all’anello.

Avevamo provato a sfilarlo nuovamente, ma senza successo. Quindi decidemmo di ricorrere alla nostra ultima possibilità: il trucco che Edward aveva imparato al pronto soccorso anni addietro. A quanto pareva il problema degli anelli che si incastrano assillava molte donne, e questo mi faceva sentire meno imbarazzata.

Eravamo corsi a comprare un filo da cucito in uno degli shop del resort, poi eravamo andati in camera, e in quel momento ci trovavamo seduti sul letto, con Edward che cercava di salvare il mio dito e l’anello dal taglio con le tenaglie.

«Se la smetti di agitarti vedrai che funzionerà», ribatté lui, continuando il suo lavoro con una calma impressionante.

Diversi minuti dopo, finalmente, l’anello si sfilò dal mio dito, tirato da un pezzo di filo incastrato sotto di esso e facilitato dal mio dito stretto come un salsicciotto. Edward lo appoggiò sul comodino, accanto al suo. Ora che sapevo che nessuno di quei due anelli indicava il legame del matrimonio, essi acquisivano un significato tutto diverso e particolare. Erano il ricordo di una giornata che non avrei probabilmente mai dimenticato.

Guardai la mia mano nuda da ogni gioiello, osservando con curiosità l’effetto che faceva ritrovarla come era sempre stata. Era bastato solo un giorno per cambiare completamente la mia prospettiva?

Edward intrecciò le sue dita con le mie, pensieroso. «Va meglio?», mi chiese, con lo sguardo perso ad osservare le nostre mani.

«Non lo so», ammisi sottovoce. «È strano scoprire di non essere sposati. Credo che… mi stessi quasi abituando all’idea».

Edward inarcò un sopracciglio, sorpreso. «Davvero?»

Annuii leggermente. «Tu no?»

Lui aggrottò la fronte. «Io credo di essermi abituato fin da subito, anche se alla fine avevo capito quanto sarebbe stato sbagliato tutto questo. Ma non mi aspettavo che anche tu l’avresti fatto».

Distolsi lo sguardo, sentendo il sangue affluire alle guance. «All’inizio ero terrorizzata», ammisi. «Ma poi ho iniziato ad abituarmi all’idea. In fondo non credo sia stato un male vivere quest’esperienza, mi ha aiutato a cambiare idea su alcune cose».

Edward cercò il mio sguardo. «Fra queste cose rientra anche la tua opinione sul matrimonio?»

Mi morsi il labbro, trattenendo un sorriso. «Può darsi», risposi solo, prima di sporgermi in avanti per baciarlo, mettendo a tacere le altre sue domande.

Le sue mani mi strinsero la vita, trattenendomi a lui mentre si lasciava andare all’indietro sul letto, sul copriletto color panna.

Con le dita raggiunsi i bottoni della sua camicia, iniziando a sbottonarla lentamente, accarezzando di volta in volta la pelle che scoprivo, fino a farla cadere sul pavimento. Con un colpo di reni ribaltò le nostre posizioni, e le sue mani scivolarono sotto la mia maglietta, sollevandola fin sopra all’ombelico.

«Anche se non siamo marito e moglie nulla ci vieta di intrattenerci in altri modi, giusto?», mormorò Edward, contro la mia bocca.

Sorrisi, e lasciai che le sue mani vagassero sotto i miei vestiti, sfilandoli e lanciandoli a terra, mentre i nostri anelli rimanevano sul comodino, illuminati solo dalle luci della città che brillavano dalla finestra.

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Il Diario di Bella - blog dove potete vedere immagini dei luoghi visitati nel corso della storia.

Buongiorno! :D

Spero che questo capitolo abbia fugato ogni dubbi sulla questione dell'anello. All'inizio avevo pensato di tagliare il capitolo e lasciarvi con il dubbio ancora una settimana, ma alla fine ho cambiato idea XD Ovviamente le parti in corsivo sono i ricordi della notte precedente.

Un piccolissimo avviso: settimana prossima l'aggiornamento potrebbe slittare a martedì/mercoledì causa esame universitario, spero comunque di riuscire ad organizzarmi bene per riuscire a finire il capitolo per tempo.

Poi una precisazione: ho letto che molti di voi hanno ancora dubbi su Lizzy, soprattutto per una "telefonata" a cui Bella aveva risposto nel capitolo 12, dove una donna parlava ad Edward dicendogli di aspettarlo ancora: era tutto un sogno/incubo di Bella, in realtà quella telefonata non c'è mai stata e non c'è nessuna donna che aspetta Edward a Chicago. Speravo si fosse capito da come era evoluto il capitolo ma precisare è meglio.

Tornando al capitolo: non ci sarà l'aggiornamento del Diario di viaggio, in quanto non ho trovato le foto della cappella in questione e degli strani tipi che celebravano il matrimonio, ma sono sicura che grazie a film/telefilm e quant'altro potete immaginare benissimo la scena ;)

Bon, credo di avere detto tutto :D non mi resta che ringraziarvi infinitamente per le bellissime recensioni allo scorso capitolo (non mi aspettavo di trovarne così tante, GRAZIE *___*) e anche i lettori silenziosi. :********

Alla prossima! :D

   
 
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