Capitolo
8
Decisione
Era
notte. Solo la luna
proiettava una
pallida luce attorno a me, permettendomi così di vedere. Mi
ritrovai su di uno
strapiombo, sotto di me il mare in tempesta. Pur non conoscendo quel
luogo mi
appariva familiare, forse perché molto simile alla scogliera
da cui, quasi un
anno prima, mi gettai.
Mi
sporsi di più, osservando rapita le onde che si infrangevano
violentemente
contro le rocce. E all’improvviso mi ritrovai al buio, la
luna era stata
coperta in cielo da un’ ombra. Tremai. Ero sola, privata di
qualsiasi appiglio
sensoriale, finché non udii una voce familiare alle mie
spalle.
“Piccola
mia… cosa ci fai qua in cima?” Mi voltai di scatto
con il cuore che mi
rimbombava nel petto, pur sapendo che i miei occhi non avrebbero visto
nulla.
“Mamma,
oh mamma sei tu?” Iniziai a singhiozzare.
“Sono
io bambina.” Al buio allungai la mano fino a sfiorare quella
di mia madre. La
sentivo. Percepivo la sua stretta e la sua presenza vicino a me.
“Mamma,
mi sei mancata tanto.”
“Anche
tu, bambina mia… anche tu. Ma perché sei
qua?”
“Non
lo so. Ma ho paura, non vedo niente e non voglio cadere.”
“Non
devi avere paura, amore mio. La luce tornerà come fa sempre
e tu non cadrai. Lasciati
guidare.”
“Da
chi, mamma? Tu non ci sei più.”
“Non
essere sciocca, Bella. Sai
già la
risposta alla tua domanda. Hai solo troppo paura di
ascoltarla.”
Ancora
stretta nella morsa del buio, cercai di fare qualche passo avanti verso
la voce
di mia madre, tentai di stringermi a lei, ma le mie braccia trovarono
solo
l’aria intorno a me. Era sparita, lasciandomi di nuovo da
sola.
Aprii
gli occhi, mettendo a fuoco i contorni della mia camera sfocati dalla
pallida
luce che filtrava dalla tapparella. Posai una mano sul petto,
là dove i battiti
del cuore erano accelerati. Per la prima volta dal giorno della sua
morte avevo
sognato mia madre. E lei mi stava cercando di dire qualcosa, qualcosa
che
sapevo già da tempo, ma non volevo capire. Sospirai andando
ad accendere la
piccola about-jour appoggiata sul comodino e sistemandomi al centro del
letto
con le gambe strette sotto il mento.
La
luce torna sempre lasciati guidare.
Le
parole del sogno vorticarono nella mia mente. Udii la voce di mia madre
pronunciarle con dolcezza e sicurezza e poi a quelle parole si
sostituì un
volto.
Ripensai
al nostro bacio sulla spiaggia a come, in quel momento di completa e
folle
irrazionalità, tutto il resto era scomparso. Era scomparso
mentre io sentivo di
fare la cosa giusta, l’unica cosa che realmente volessi.
Ripensai anche al
nostro bacio prima della battaglia e capii come, ogni volta in cui mi
spingevo
così vicino a lui, mi sentissi completa. Ricordai come tutto
il resto si
annullasse mentre io mi perdevo in Jake.
La
luce torna
sempre lasciati guidare.
Lui
era sempre stata la mia luce. A lui mi ero affidata quando Edward mi
aveva
abbandonato e a lui mi aggrappavo ora che mia madre era morta. Sempre e
solo
lui.
Per
lui la mia anima aveva pianto, ribellandosi alla decisione della mia
mente di
vedere in Edward il mio solo ed unico destino. Mi ero già
accorta da tempo che
quello che provavo per Jake non era semplice amicizia ma, per
la prima volta, sentivo il mio amore per lui più forte di
tutto il resto.
La
luce torna
sempre lasciati guidare.
Dell’amore
folle per Edward, ora, non ne era rimasto che un pallido eco.
Inghiottito e
portato lontano dalla realtà della vita. Una
realtà a volte amara, ma che mi
aveva fatto crescere inevitabilmente. Al mio arrivo a Forks non ero
altro che
una ragazzina spaventata ed Edward sembrava essere uscito da uno dei
miei
romanzi in cui ero solita rifugiarmi. Innamorarmi di lui era stato
inevitabile.
Lui mi avrebbe dato tutto quello di cui avevo bisogno: una vita sicura
e un
cuore senza battiti immune dal dolore. Lui mi avrebbe amato e protetto
per
l’eternità. Lui il mio cavaliere dal cavallo
bianco, lui mi avrebbe resa
perfetta, adeguata, una creatura leggendaria su cui lo scorrere del
tempo non
avrebbe fatto effetto. Con lui, adesso finalmente capivo, avrei vissuto
un’
eternità che non mi sarebbe mai appartenuta davvero.
E
poi era arrivato Jake che, con la semplicità del suo essere,
aveva promesso di
non abbandonarmi mai. Ma potevo credere a quella promessa? Jake non era
un
vampiro centenario con una grande esperienza e un’elevata
maturità, ma solo un
ragazzino innamorato. Innamorato di me. Un ragazzino che con il suo
sorriso e
il suo caldo abbraccio riusciva sempre a confortarmi, un ragazzino fra
le cui
braccia mi sentivo giusta, un ragazzino che era riuscito a trasmettermi
la sua
gioia di vivere, un ragazzino che avrebbe sempre cercato la mia mano
per
affrontare il futuro.
Non
sarebbe stato facile come respirare, ora riuscivo a comprenderlo;
quella frase
che mi aveva detto era una stupida bugia da innamorati. La vita non
è facile e
la strada da fare non è priva di ostacoli, ma in cuor mio
sapevo che insieme
saremo stati in grado di superarli. Finalmente avevo capito la
realtà delle
cose, senza essere offuscata dal mio spasmodico desiderio di un futuro
con
Edward che ai miei occhi appariva tutto rosa e fiori e avevo scelto di
vivere,
di vivere davvero, vivere come Jake mi aveva mostrato di poter fare.
Vivere fra
un pianto ed un sorriso.
Mi alzai dal letto, incurante
della notte che
ancora avvolgeva tutto e freneticamente cercai dei vestiti nel mio
cassetto.
Non potevo aspettare oltre, non potevo perdere il coraggio che quella
nuova
consapevolezza mi aveva donato.
Quella
notte continuavo a rigirarmi nel letto, diventato ormai troppo piccolo
per me,
senza riuscire a prendere sonno. La mia mente non smetteva un attimo di
rivivere la discussione con Bella. Ero furioso. Per quanto facessi per
lei, per
quando mi sforzassi, continuavo a non essere abbastanza.
Una
parte di me, probabilmente quella masochista, sapeva che Bella mentiva
ma
l’altra parte, quella più razionale e diplomatica,
era stanca. Era forse troppo
chiedere un po’ di felicità anche per me? Le avevo
giurato di non abbandonarla
mai, ma assolvere quella promessa era diventata una condanna. Iniziai a
riempire di pugni il cuscino, cercando così di sfogare la
frustrazione che si
era impossessata di me. Mi sarebbe tornato utile appendere al soffitto
un
pungiball; prima o poi avrei chiesto a mia sorella Rachel i soldi per
comprarlo
perché sennò, in mancanza di altro, avrei usato
Paul. Quell’ idiota che aveva
pensato bene di avere l’imprinting con lei
all’inizio dell’estate. Come se non
avessi avuto già abbastanza cose a cui pensare. Dio! Odiavo
sempre di più
essere un licantropo. Odiavo la magia, odiavo la mia vita, odiavo Bella
e la
sua ottusità. Odiavo me stesso per non riuscire ad odiarla
davvero.
Continuai a colpire il cuscino
sempre più
forte, finché non sentii dei rumori alla mia finestra. Andai
a spalancarla, i
sensi da licantropo allertati, ma rimasi a bocca aperta nel vedere
Bella, a
pochi passi da essa, con dei sassolini in mano. Scrollai la testa un
paio di
volte per essere sicuro di non immaginarla e poi sbuffai. Che diavolo
ci faceva
sotto casa mia in piena notte?
“Che
vuoi, Bella?” Le chiesi con un tono duro di cui mi pentii
subito dopo.
“Devo
parlarti, Jake… posso entrare?” La sua voce era
insicura ed io sentii il mio
cuore accelerare impazzito. Possibile che avesse sempre quel dannato
effetto su
di me? Allungai la mano afferrando il suo braccio e aiutandola
così a
scavalcare il davanzale.
Inciampò
sui suoi piedi e me la ritrovai fra le braccia, il viso nascosto contro
il mio
petto, le mie mani sui suoi fianchi. Il suo profumo riempiva le mie
narici, era
tutto quello che volevo e che non potevo avere. L’allontanai
bruscamente da me
appoggiandomi con le braccia conserte al muro.
“Sai
è esattamente questo il motivo per cui di solito sono io
quello che si arrampica.”
La vidi sussultare al suono aspro della mia voce, ma non me ne curai.
Si guardò
intorno per qualche minuto prima di parlare.
“Po…potresti
metterti qualcosa addosso per favore?” Notai le sue guance
imporporarsi e
lottai contro il mio istinto di trovarla adorabile, per poi abbassare
lo
sguardo su di me. Ero in boxer, porca miseria! Ero davanti a Bella con
indosso
solo i miei boxer bianchi. Mi voltai velocemente infilando i pantaloni
di una
vecchia tuta. Tanto a vedere il resto ci era abituata, pensai
sogghignando e
scacciando da me l’imbarazzo di pochi attimi prima. Mi
sedetti al bordo del
letto, con le mani di nuovo incrociate al petto.
“Non
sei venuta qua solo per vedere se dormissi vestito o meno, immagino.
Quindi
forza, che hai da dirmi?” Le chiesi con un tono quasi
arrogante. La realtà però
era che, anche se recitavo la parte dell’indifferente, morivo
dalla voglia di sapere
perché fosse venuta da me a notte fonda. Ma, come al solito,
dovetti aspettare
un po’ prima che lei si decidesse a parlare ponendo
così fine a quella tortura.
Ancora
una volta voglio ringraziare chi mi segue , chi lascia il suo parere ed
i nuovi
lettori. Grazie Tere,
con tutto il
cuore.
Ancora
due capitoli e poi l’epilogo. La fine è vicina.
Ho
pubblicato una piccola Shot se
volete la
trovate qua.
Il
Pragmatismo di Charlie Swan
A
lunedì prossimo.
Con
affetto
Noemi.