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Autore: Mary P_Stark    04/06/2012    3 recensioni
Cosa potrebbe succedere, se l'Araba Fenice tornasse a vivere ai giorni nostri? Se camminasse come un comune essere umano, sconosciuto ai più e per nulla riconoscibile ai nostri occhi? La storia di Joy è la storia delle molte vite di Fenice che, con i suoi poteri, tenta a ogni rinascita di portare il Bene e l'Amore nel mondo. Ma può, l'amore vero e Unico, toccare una creatura come lei che, da sempre, non vi si può abbandonare poiché votata solo all'altrui benessere? Sarà Morgan a far scoprire a Joy quanto, anche una creatura immortale come lei, può cedere al calore dell'amore, facendole perdere di vista il suo essere Fenice.
Genere: Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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36.
 
 
 
 
 
“Post fata resurgo.”
 
 
 
Scoprire che Alex era ancora in grado di parlare con Rah, non servì assolutamente a niente.

Ogni qual volta tentò di mettersi in contatto con lui, con me presente, nulla valse allo scopo.

Eravamo di fatto separati.

Sorte non migliore spettò alle altre divinità solari con cui ero in contatto da sempre, o almeno da che avessi memoria.

Non Febo Apollo dalla bionda chioma dorata.

Non il pensieroso Vishnu dal volto perennemente torvo.

Non l’affascinante Sól1 e il suo carro dorato, come se Sköll2 lo avesse già divorato, anticipando di molti millenni il sopraggiungere del Ragnarök3.

Tutto parve inutile, nulla servì.

Ero isolata dal mondo ultraterreno, pur avendo mantenuto appieno il mio potere divino.

Bharat rimase con me per circa un mese, dal nostro rientro a L.C..

Quando ritenne saggio e sicuro tornare a Nuova Delhi, si accomiatò da noi con la promessa di sistemare una volta per tutte l’annosa questione con Oliver, protrattasi per davvero troppo tempo.

Cosa avesse intenzione di fare, mi era del tutto oscuro.

L’estate infine giunse.

Ripresi il lavoro e mi lasciai alle spalle i brutti pensieri legati a Manasa, e al terribile scontro che ci aveva viste protagoniste.

Iniziai così i preparativi per il matrimonio che si sarebbe svolto in chiesa, come richiesto a gran voce da entrambe le nostre famiglie.

Morgan aveva chiesto – e ottenuto – che il matrimonio si potesse svolgere la mattina della Vigilia di Natale.

Era incurante del fatto che, molto probabilmente, ci sarebbero stati due metri di neve e che, come minimo, avremmo dovuto farci largo fino al portone della chiesa con un mezzo spartineve.

Lui aveva voluto a tutti i costi quella data, ritenendomi un autentico dono del Signore, e non vedeva bene altro giorno per celebrare il nostro matrimonio.

Io, per parte mia, non ero proprio in animo di smentirlo.

Anche ai miei occhi, lui era un dono del Cielo.

Io e le mie amiche, supportate da mia madre, Consuelo, Lily e Susan, iniziammo perciò lo studio di tutti i possibili abiti invernali adatti al clima dell’Oregon.

Nel frattempo, studiammo i vestiti perfetti per le damigelle e per le matrone d’onore.

Trovai anche il tempo per mettermi d’accordo con Haniya, per quel che avrebbe riguardato il suo matrimonio, a cui io avrei partecipato come testimone di nozze.

Mi misi in pari con il lavoro in clinica senza, tra l’altro, dare uno straccio di risposta a Robert o a Cynthia sul perché, tra i miei capelli, fosse comparsa una misteriosa ciocca biondo platino.

Avevo liquidato l’intera faccenda dicendo loro di aver dato voce a un mio sfizio modaiolo, ma dubitavo grandemente mi avessero creduto.

Non potei, infatti, non notare con quanta assiduità tennero sotto controllo la ricrescita del mio tanto decantato ‘colpo di sole’.

A tutti gli effetti lo era, un colpo di sole, ma nel vero senso della parola.

Gli strascichi della Stella del Mattino avevano lasciato quel segno indelebile sulla mia chioma, comparso più o meno una settimana dopo il nostro ritorno a L.C.

L’enorme stress fisico subito, e il lento recupero fisiologico dal veleno di serpente, avevano prodotto quella specie di marchio indelebile.

A conti fatti, era anche carino a vedersi, ma mi dava un’idea più che chiara di quanto fossi andata vicina alla morte.

Quando infine settembre bussò alle porte di L.C., io e Morgan partimmo per l’East Coast in direzione della villa di Chad.

Lì, si sarebbe svolto il suo matrimonio con Haniya.

Con l’abito di organza blu notte di testimone di nozze ben sigillato in un busta porta abiti, ci involammo da Portland in direzione di Boston.

Durante tutta la celebrazione – decantata in gran parte in arabo – descrissi per sommi capi cosa stesse succedendo a un ammirato Morgan.

Pur non comprendendo nulla di quanto il celebrante stesse dicendo, rimase colpito dall’estrema sacralità dei suoi gesti, e dalla bellezza della cerimonia in sé.

Vi furono balli e festeggiamenti e, nel consegnare a Haniya il nostro regalo – una valigetta da medico completa di tutto il necessario per il suo nuovo lavoro sul campo – la abbracciammo con calore.

Augurammo a lei e Chad tutto l’amore e la fortuna possibili.

Restammo con loro per altri due giorni prima di rientrare a L.C..

Quando fummo di ritorno, scoprii che, ad attendermi in clinica, c’era una persona che mai mi sarei aspettata di vedere.

 



 
 
***




 
Accomodati nella sala d’aspetto della palestra del centro di riabilitazione del Samaritan, Joy trovò ad attenderla il professor Chandra.

Era abbigliato con un morbido gessato nero a righe bianche, in compagnia di una donna dall’aspetto tranquillo e gentile.

I lunghi capelli neri di lei erano trattenuti da una treccia, che portava poggiata su un seno.

Il suo corpo flessuoso, interamente avvolto da un sari rosso fuoco a fantasie fiorate, era ricamato con fili d’oro e d’argento.

Portava un anello dorato all’orecchio, collegato da una catenina sottile a una narice.

Alle dita delle mani, invece, indossava una serie di anelli raffiguranti i più grandi serpenti terrestri.

Miriadi di bracciali tintinnavano ai suoi polsi sottili e, quando ella si alzò dalla poltronca, Joy notò una cavigliera ricolma di campanelle, che tintinnò allegra a ogni suo passo.

Sempre più confusa, Joy scrutò con malcelato interesse Bharat prima di allungare una mano verso di lui ed esordire dicendo: “E’ da un secolo che non ci vediamo, professore. La trovo bene.”

“Splendidamente, dottoressa.”

Con un cenno del capo e un sorriso, incrociò lo sguardo con la donna al suo fianco e aggiunse: “Posso presentarti Indira Dharsha?”

Sgranando leggermente gli occhi nell’udire quel nome – la loro regina ad interim – Joy allungò la mano anche nella sua direzione e, più cauta, asserì: “Sono ancora più sorpresa di vedere lei.”

“Lo immagino” annuì Indira, stringendo la sua mano e sorridendole nel contempo. “Come ha detto Bharat, il suo tocco è caloroso.”

Nel dirlo, mostrò il palmo della sua mano ingioiellata e Joy, mordendosi un labbro, se ne spiacque.

Si era del tutto dimenticata che le creature d’acqua mal sopportavano di essere toccate da una creatura di fuoco; la pelle era completamente screpolata e secca.

“Dovevo avere la testa da un’altra parte, per dimenticarlo. Scusate” sospirò Joy, scuotendo il capo. “Ho della pomata lenitiva nell’ufficio, se volete…”

Indira la interruppe, replicando: “Non è un problema. Sapevo già cosa sarebbe successo, ma non mi è importato. La mano andrà a posto tra poche ore ed è un prezzo ben misero da pagare, se paragonato a ciò che ci ha restituito.”

Guardandosi intorno, Joy ritenne che quell’atrio spoglio – in cui poteva arrivare chiunque, in qualsiasi momento – non fosse il luogo ideale per parlare di cose simili.

Invitati entrambi a seguirla nella saletta dei dottori, Joy aprì per loro la porta e, con un mezzo sorriso di scuse, spiegò loro: “Non è molto in ordine, mi spiace. Non aspettavo visite.”

La coppia entrò nella piccola stanza, dove una singola finestra illuminava le pareti ricoperte di diplomi, fotografie e cartelloni di anatomia umana.

Un tavolo era ricolmo di scatole da mangiare semi-aperte, bottigliette d’acqua e quotidiani.

Nei pressi della macchinetta del caffè, era stato sistemato un quadro in sughero su cui appendere inserzioni, richieste o quant’altro.

Sul davanzale, un vasetto colmo di violette stava divorando gli ultimi scampoli di sole, ormai pronta al riposo invernale.

Raccolte in fretta un paio di cartelle, che Joy tolse dal divano, li invitò cortesemente a sedersi prima di chiedere loro: “Gradite del caffè?”

“No, grazie. Possiamo rimanere per poco. Abbiamo un impegno molto importante con il professor Thomson, entro breve” le spiegò Bharat, afferrando una rivista dalla ventiquattrore che, in quel momento, riposava sulle sue ginocchia.

Oltremodo confusa, Joy prese in mano il giornale – una copia di Nature – e, sgranando lentamente gli occhi di fronte alla fotografia che capeggiava in copertina, esalò quasi senza fiato: “Ma… sbaglio o è un makara4? Ma non erano estinti?”

“E’ l’ultimo della sua specie e, ahimè, ormai non vi è più nessuno che prosegua la sua stirpe” sospirò melanconica Indira, sorridendo subito dopo quando aggiunse: “Non è dunque corretto che la sua morte definitiva serva a un giusto scopo?”

Aggrottando la fronte, Joy lesse i titoletti scritti in stampatello proprio sotto la fotografia e, deglutendo a fatica, mormorò come in trance: “I makara sono dunque esistiti! Il Professor Thomson e la sua prodigiosa scoperta nei pressi di Benares!”

Sapeva che Oliver era partito per un viaggio assieme a Bharat, lo scorso mese di luglio, ma non aveva mai saputo di cosa si fosse trattato.

Era dunque questo il loro modo di sdebitarsi con lui!

Bharat sorrise di fronte al suo stupore, chiosando: “Chiodo scaccia chiodo, no?”

“Direi… di sì” esalò Joy, poggiando delicatamente la rivista sulla scrivania. “Beh, non posso che dirvi grazie. Di tutto.”

“Anche nel nostro caso, chiodo scaccia chiodo” propose Indira, con un sorrisino. “Non sono in grado di garantire che la pace duri in eterno tra di noi ma, finché mi sarà possibile governare, da noi Naga non giungeranno più pericoli e, se potrò allevare la prossima Manasa con mano ferma, neppure dalla sua generazione verrà alcunché.”

“E io gliene sono grata perché, checché ne pensiate voi, non amo fare a fette i serpenti, anche se so che ai bambini insegnate che Garuda li mangia per dessert” ridacchiò Joy, notando l’imbarazzo sorgere sui volti dei suoi ospiti.

“Brutte abitudini dure a morire” commentò contrita Indira, prima di guardare con intenzione Bharat e aggiungere: “Il Professor Thomson ci ha detto che lei e suo marito convolerete a nozze anche in chiesa, perciò abbiamo pensato a un regalo adatto per l’occasione.”

Joy storse subito il naso ma Bharat rise sommessamente e, nel consegnarle una scatoletta oblunga, replicò tranquillamente al suo sguardo accigliato: “Nulla di preoccupante, davvero.”

Non del tutto convinta – i pregiudizi non potevano svanire in poche ore, no? – la giovane prese tra le mani la scatoletta portale dall’uomo.

Timorosa, ne sollevò il coperchio di legno di tek, intarsiato a fantasie fiorate, trovando però al suo interno solo un favoloso collier d’oro bianco e smeraldi.

Gli smeraldi, dal taglio a goccia, erano avvolti da una nuvola di diamanti dal taglio marquise, che formavano ali e coda di un ipotetico uccello.

Sollevato l’oggetto per meglio osservarlo, Joy sobbalzò leggermente quando i suoi occhi si posarono sul retro del gancetto.

Leggendo la scritta, nonostante fosse piccolissima, Joy sorrise divertita.

Post fata resurgo. Dopo la morte, risorgo. Adatto, direi.”

“Non è il motto di Fenice?” sorrise orgogliosa Indira, lieta che il dono fosse stato apprezzato.

Joy annuì, richiudendo la scatoletta prima di ringraziare la coppia e asserire: “Lo porterò al mio matrimonio. Si abbinerà perfettamente con ciò che intendo indossare.”

“Ci onori, Garuda.” Bharat reclinò modesto il capo.

“E voi onorate me” asserì Joy, reclinando allo stesso modo il viso.

Indira si levò in piedi con grazia, facendo tintinnare i suoi gioielli nel farlo e, dopo aver sorriso nuovamente a Joy, sorrise con ironia e celiò: “Non la prenda a male se non le stringo ancora la mano.”

“No, non si preoccupi” sorrise divertita Joy. “Grazie anche per quel che state facendo per Oliver. Lo apprezzo più di quanto riesca a dire con le semplici parole.”

Indira e Bharat annuirono compitamente prima di uscire dalla saletta e, quando Joy infine rimase sola entro le quattro mura del suo angolino di mondo, afferrò il cellulare e chiamò Morgan.

Con un gran sorrisone a illuminarle il volto, esclamò: “Non immaginerai mai chi è venuto a trovarmi!”

“E tu non immaginerai mai con chi si vedrà tra poco mio padre!” le ribatté lui, prima di scoppiare a ridere con la moglie.

Non occorse granché a nessuno dei due, per capire che stavano parlando della stessa persona.
 
***

“Dimmi che ha smesso di nevicare!” esalò Joy, lanciando un’occhiata ai riccioli che Susan le stava sistemando a crocchia, sulla parte alta del capo.

Kelly guardò fuori dalla finestra del suo appartamento e, disgustata, esclamò: “Neanche a parlarne. Viene giù che Dio la manda!”

Un’imprecazione neppure troppo elegante fiorì sulle labbra di tutte, all’unisono e Richard, dal salottino, scoppiò a ridere  di gran gusto.

“Signore, per l’amor di Dio, un po’ di contegno!”

“Tua figlia ha un mantello degno della regina delle fate, con uno strascico di due metri da tirarsi dietro, tesoro, se non lo ricordi! Non voglio che sembri un pulcino bagnato, alla sua entrata in chiesa!” sbottò Melinda, affacciandosi sulla porta della camera per urlare dietro al marito, spaparanzato sul divano.

“Forse ti sei scordata che, tra gli invitati, ci sono dei pompieri. Se non sono capaci loro di risolvere questo piccolo problema, chi vuoi che ci riesca?” ridacchiò Richard per contro, servendosi un po’ di champagne.

Quella mattina, quando le ragazze erano arrivate – furiose per la nevicata – avevano annegato il dispiacere in quel saporito liquido ambrato.

Dicembre era infine giunto e, come suo solito, aveva portato con sé un esuberante carico di neve, che aveva imbiancato L.C. facendola diventare un perfetto paesaggio da cartolina.

Questo, però, non aveva per nulla fatto piacere a Joy che, col passare dei giorni, si era fatta sempre più nervosa e, a tratti, quasi isterica.

Più e più volte aveva chiesto ad Alex di mettersi in contatto con Rah ma, da quel che aveva saputo dal cugino, il dio del sole non rispondeva più neppure alle sue accorate richieste.

Sembrava essere scomparso nel nulla.

Aspettarsi che lui intervenisse per donarle una giornata di sole, era praticamente impossibile.

Stando a quel che il cielo diceva, avrebbero avuto una normalissima, nevosissima Vigilia di Natale.

“A costo di volteggiare fino alla navata, ma io non mi bagnerò!” ringhiò Joy, prima di sorridere tutta eccitata, battere le mani come se fosse venuta a capo del più difficile problema del mondo, ed esclamare: “Posso benissimo asciugare tutto col mio potere!”

“Joy, tesoro, e gli invitati? Come glielo spiegheremo?” le fece notare bonariamente Mel, dandole un buffetto sulla guancia. “Ci sono più di duecento persone, tra parenti, amici, corpo dei Vigili del Fuoco e della Polizia. Non penso che tu possa schermare tutte le loro menti perché non vedano nulla.”

“Mpfh” mugugnò lei, guardando la propria faccia accigliata allo specchio.

Quella mattina non era apparso nessun dono, da parte di Rah e, visto il dolore che ancora provava, era stato meglio così.

Le mancava da morire, e pensare di non poter più parlare con lui era davvero difficile da digerire.

Passandosi una mano sul pizzo che ricopriva l’abito, indugiò un attimo sul collier d’oro bianco dono di Indira.

Era perfetto, per quell’abito senza spalle, ricoperto di pizzi fiorati, e dal sottabito in raso dalla linea a sirena.

Era stato un rischio, scegliere quell’abito, ma la commessa del negozio aveva sopperito mostrandole uno stupendo mantello, con applicazioni di ecopelliccia.

Lunghissimo, sostituiva a meraviglia la mancanza del velo, che Joy non aveva voluto per sé.

Visto il tempaccio di quel giorno, sarebbe stato un accessorio utilissimo, oltre che molto bello.

Tutto era stato calcolato ad arte. L’unica pecca enorme era il tempo.

Levatasi in piedi quando Susan ebbe terminato di acconciarle l’ultimo ricciolo, si avviò verso la finesta e, ringhiando all’indirizzo della neve, sibilò: “Non mi rovinerai il matrimonio! Te lo posso giurare!”

Aileen sorrise benevola all’amica e, assieme a Haniya, la riaccompagnò nei pressi della toeletta per poterle mettere gli orecchini.

Melinda e Consuelo, nel frattempo, sistemarono il mantello sul letto mentre, dalla porta d’ingresso, faceva la sua comparsa Alex.

A gran voce, il giovane esclamò: “Maschio affascinante in arrivo!”

Susan rise nell’aprire la porta della stanza di Joy e, lasciatolo entrare, gli chiese: “Hai portato la limo?”

“Ovvio” annuì Alex, sorridendo poi incoraggiante alla cugina che, ultimata la vestizione, si levò in piedi per infilarsi il mantello.

 “Ti avverto, Leen. Dovrai dare un bacio a tutti i pompieri di L.C.” le confidò il cugino.

“Oh? E perché?” si chiese lei, lasciando che la madre e la suocera le dessero una mano con il cappuccio e lo scaldamani in ecopelliccia.

Ridendo sommessamente, Alex si appoggiò alla parete e la scrutò con orgoglio malcelato.

Era davvero splendida, anche con quel cipiglio irritato stampato in  viso.

“Stanno dando una ripulita al piazzale della chiesa e, poco meno di un’ora fa, hanno montato una serie di gazebo perché tu potessi fare il tuo ingresso all’asciutto, senza pericolo che la neve ti desse fastidio.”

Joy sgranò gli occhi e spalancò la bocca per la sorpresa, prima di lanciare uno strillo eccitato che portò Alex a tapparsi le orecchie e sogghignare.

“Mi sa che la cosa ti è piaciuta.”

“Dispenserò baci a tutti, nessun problema!” rise lei, più che felice.

Ammiccando al suo indirizzo, Alex commentò: “Non credo incontrerai molte difficoltà.”

“Tu dici?” ridacchiò Joy, sogghignando.

Ammirandone la bellezza sopraffina e ultraterrena, Alex scosse il capo e, seriamente, le disse: “Sei splendida, Leen, un’autentica visione. Dubito esista un solo uomo, sulla terra, che potrebbe resisterti.”

“Grazie, Alex” mormorò la cugina, lanciando un’occhiata nervosa alla mano del cugino, prima di vederlo scuotere mestamente il capo.

Era dunque perso per sempre, a quanto pareva. Anche per Alex.

Melinda le diede un buffetto su un braccio, sorridendole comprensiva prima di dirle: “Coraggio, ragazza. Si fa tardi.”

“Quando Morgan mi vedrà, neppure si ricorderà dell’orario” sentenziò Joy, scoppiando a ridere con tutti loro.

“Mi terrò pronto con il kit di primo soccorso, non si sa mai che qualcuno svenga per la tua troppa avvenenza” ghignò Alex, uscendo dalla stanza prima di richiamare all’ordine lo zio, perché andasse ad accendere l’auto per le damigelle.

Consuelo e Melinda sarebbero andate con la limousine bianca della sposa, mentre le altre ragazze sarebbero salite sulla Escalade guidata da Richard.

Nell’afferrare con mano ferma la cascata di gigli che componevano il suo bouquet, Joy sorrise a tutta la sua famiglia allargata ed esclamò: “Sono pronta.”
 
***

“Ci sono già passato. Non dovrei sentirmi così agitato. Perché lo sono, invece? Eh? Spiegami!” sbottò Morgan, passeggiando nervosamente su e giù per gli scalini dell’altare, dove il prete lo stava osservando con quieta simpatia.

Suo padre, in piedi accanto a lui e ingabbiato in uno smoking di Gucci che ne delineava il fisico ancora slanciato, gli sorrise comprensivo. “Forse è solo il luogo, che ti rende nervoso.”

“Nervoso? Dopo tutto…” cominciò col dire Morgan prima di tapparsi la bocca, prendere da parte il padre e mormorargli all’orecchio: “Maledizione, papà, ho visto, e sentito, parlare più dèi io di tutti i prelati di Cristo fin qui nati e cresciuti. Non dovrei avere paura di niente!”

Oliver ridacchiò, dandogli di gomito e replicando: “Non si impreca in chiesa, figliolo.”

“Sì, okay, lasciamo perdere” brontolò Morgan, chiedendogli subito dopo: “Il libro come va? Ultimamente, non ti ho più chiesto lumi.”

“Tutto benissimo” sorrise lieto Oliver, ripensando alla prossima pubblicazione di uno studio sul suo ritrovamento di un makara, e sulle successive conferenze.

Di lì a un anno, lo avrebbero visto protagonista assieme a Bharat Chandra in giro per il mondo.

“Ma non ti distrarre. Oggi è il vostro giorno.”

“Non me lo ricordare!” esalò disperato Morgan, mettendosi le mani nei capelli cortissimi, dal taglio militare.

Vedendo giungere Stephen di corsa lungo la navata, in tutto simile a un agente della CIA in quel completo scuro e gli occhiali da sole a goccia, Morgan impallidì leggermente.

Quando lo ebbe a tiro, lo afferrò per le braccia e gli chiese, gracchiando: “Arriva?”

“Dio, Morgan. Sei uno straccio! Calmati! Dopo tutto quello che avete passato, ti spaventa una comune cerimonia in chiesa?” ridacchiò Stephen, liberandosi dalla sua stretta per poi togliere gli occhiali da sole. “Arriva. Sta entrando adesso nel cortile.”

Morgan cercò istintivamente la mano di suo padre, che si affrettò a stringergliela con forza mentre le campane iniziavano a suonare a festa.

Gli invitati, già accomodati al loro posto, si alzarono per osservare l’ingresso della sposa.

Brian e Alex giunsero al fianco di Morgan, mentre lo scampanio sopra le loro teste dava il tempo al corteo della sposa fuori dalla chiesa.

Sorridendo loro a stento, lo sposo tornò subito dopo a controllare l’enorme portone aperto sull’esterno da cui, entro breve, sarebbe apparsa Joy.

Bianchi petali di rosa erano stati sparsi sul tappeto della navata centrale, mentre fiocchi di raso color crema e rosa antico adornavano i banchi della chiesa.

L’Ave Maria  di Schubert venne intonata dalla voce melodiosa della figlia del dottor Meson, non appena Joy mise il primo piede all’interno della casa di Dio.

Ritta accanto al pianoforte a coda, posizionato a fianco dell’altare, la ragazza accompagnò l’ingresso nella chiesa della sposa.

La sua chioma scarlatta, libera da veli, era in netto contrasto con il candore dell’abito niveo, protetto in parte alla vista dal sontuoso mantello che indossava.

All’esterno, un pallido sole perforò nel nubi, illuminando la coltre nevosa.

Alle spalle di Joy, la luce si fece così intensa e abbagliante che Morgan dovette strizzare gli occhi, per poterla osservare.

Gli sembrò che fluttuasse in quella luce ultraterrena, pur se sapeva che nulla di magico aveva creato quell’effetto da fiaba.

La voce flautata della cantante divenne solo un rumor bianco per Morgan che, perso in contemplazione della sua sposa, sorrise teneramente in risposta all’occhiata adorante di Joy.

Ella camminò nel rispetto del ritmo dolce e melodioso dell’Ave Maria, iniziando a percorrere la navata e calpestando i soffici petali di rosa disposti dinanzi a lei.

Dietro di lei, Aileen e le altre seguivano la sposa, nei loro abiti a balze color smeraldo, anch’esse indossando mantelli simili a Joy.

I garçon d’honneur – composti da Alex, Brian, Stephen, Chad e Nathan – attendevano al pari dello sposo, e del testimone di nozze, l’arrivo della splendida sposa.

Quando l’ultima nota si spense tra le alte arcate della chiesa, caduta nel più perfetto silenzio all’arrivo di Joy, la giovane mise infine piede sul primo gradino dell’altare.

Lì, Richard, presa la sua mano, la porse a Morgan con un sorriso, mormorando: “Rendila felice.”

“Lo farò” annuì emozionato Morgan, stringendo finalmente nella sua la mano di Joy.

In perfetto ordine, le damigelle e le matrone d’onore si sistemarono a fianco della sposa mentre la testimone, Aileen, si accostò a Joy, sussurrandole all’orecchio: “Vai alla grande, tesorino.”

Joy le strizzò l’occhio con fare complice e, infine, incrociò lo sguardo del suo unico, grande amore.

“Non vedevo l’ora di incontrarti, sai?”

“Anch’io” sentenziò Morgan, stringendo entrambe le sue mani mentre il prete dava inizio alla cerimonia.

Il sole scelse quel momento per inondare il rosone della chiesa con i suoi raggi, e una cascata multicolore di luce inondò i due sposi.

Entrambi sorrisero spontaneamente in direzione dell’enorme cerchio di luminescente splendore, da cui proveniva quel bagliore, sussurrando all’unisono: “Grazie.”
 
***

La testa ciondoloni contro lo schienale del sedile del pick-up di Morgan, Joy sbadigliò sonoramente, quando infine giunsero di fronte alla baita.

Da quel giorno in poi, avrebbero vissuto lì, per lo meno, fino a che il destino glielo avesse permesso.

Quando il giovane aprì la portiera per far scendere la moglie, ridacchiò nel sentirla mugugnare malamente.

Allungate le braccia per accoglierla accanto a sé, Morgan la sollevò di peso cercando, al tempo stesso, di non far crollare il lungo mantello a terra.

Lagnandosi del mal di piedi e del troppo bere, Joy lo fissò  malissimo, ma il marito non vi fecce per nulla caso.

Sogghignando divertito, le rammentò: “Nessuno ti ha detto di fare a gara di shottini con Aileen.”

“Non mi aveva detto di averci messo dentro anche del rum. Non lo reggo, il rum” brontolò Joy, divincolandosi mollemente tra le sue braccia, mentre Morgan chiudeva la portiera dell’auto con un calcio.

“Stai buona, mia signora, o capitomboleremo a terra come due sacchi di patate” la rimproverò bonariamente Morgan, cercando di infilare le scale che portavano alla veranda.

Neppure lui si sentiva molto stabile sulle gambe, ma non voleva cominciare quella loro prima notte assieme – dopo i mille guai passati – finendo al pronto soccorso.

Era stato divertente vedere Joy, e le sue amiche, iniziare quella gara a chi avrebbe retto meglio l’alcool.

Mai, però, si sarebbe aspettato di vedere Aileen ingollare così tanto liquore senza crollare a terra in trance, o scoprire Joy allergica agli effetti del rum.

Lui e Alex non erano stati da meno e, alla fine di una lunga serie di tequile, Susan era dovuta intervenire per bloccarli, onde evitare che metà di loro finissero in gastroenterologia per una lavanda gastrica.

Nel complesso, tra i balli sui tavoli offerti da Kelly e Margot, e i canti sfrenati – quanto stonati – del gruppo di pompieri presenti alla festa, tutto si era svolto nella più completa ilarità.

Joy, come promesso, aveva dispensato baci all’intera compagnia di Vigili del Fuoco tanto che Morgan, alla fine, aveva dovuto minacciare verbalmente alcuni suoi colleghi perché non tentassero di fare il bis.

Poco dopo la mezzanotte, quando tutti si erano infine diretti verso le rispettive case, o alberghi, Joy era crollata mezza addormentata su un divano, un sorriso sciocco dipinto sul volto.

A Morgan era occorsa mezz’ora buona, per convincerla a lasciarsi caricare in auto.

Aveva pensato lui a salutare in genitori, visto che la moglie era scivolata in un sonno leggero quanto riposante.

Ora, nel fare lentamente le scale, cercando di non caracollare all’indietro, Morgan sorrise nel vedere la neve cadere nuovamente dal cielo.

A quel punto, poteva nevicare fino alla fine dei tempi, per quanto gli importava.

Aveva Joy, il resto non contava.

Quando infine raggiunse la veranda, si sorprese non poco nel trovare della posta sullo zerbino di casa.

Era insolito, per non dire strano, che il postino gliela lasciasse proprio lì.

Inoltre, chi mai era al lavoro, la Vigilia di Natale, a parte medici e pompieri?

Lasciando scivolare la moglie con i piedi a terra, pur tenendola saldamente alla vita con un braccio, Morgan aprì la porta, recuperò le buste e infine si infilò in casa.

“Siamo arrivati, piccola.”

“Voglio spogliarmi e fare l’amore con te” borbottò lei, crollando con il capo contro la sua spalla.

Morgan scoppiò a ridere nel poggiare la posta sul tavolino d’ingresso e, dopo aver dato un giro di chiave al battente, riprese tra le braccia la moglie e commentò: “Non riuscirai a rimanere sveglia, dopo aver appoggiato la testa sul cuscino. Sai, non pensavo che una Fenice non reggesse l’alcool.”

“Lo reggo! Ma detesto il rum!” mugugnò la moglie, con la stessa lucidità che hanno gli ubriachi.

Salendo le scale che conducevano al piano superiore, Morgan depositò senza fretta la moglie sul letto, le tirò via con calma le scarpe e passò a slacciarle l’abito.

Dimenandosi senza forze sul copriletto colorato, Joy mormorò nel contempo imprecazioni a questa o a quella marca di produttori di rum.

Quando infine fu in sottoveste, Morgan scostò le coperte, ve la infilò sotto con gentilezza e, con un bacio, spense la luce dicendo: “Buonanotte, mia Benu.”

“’notte, Morgan” sussurrò lei, con un dolce sorriso.

Neppure un secondo dopo, dormiva già.

Con un risolino, Morgan si spogliò al buio e si infilò sotto le coperte a sua volta, avvolgendola con un braccio e baciandole l’incavo del collo.

Nessuno li avrebbe più separati, da quel momento in poi, e lui avrebbe passato la vita, l’intera sua vita a farle dimenticare il dolore per la perdita di Rah.

Fin quando avesse avuto aria nei polmoni, lui l’avrebbe amata.

Con tutto il suo cuore, poi, avrebbe pregato che, nei molti secoli in cui lei avrebbe dovuto vivere senza di lui, Joy ricordasse quanto l’aveva amata e desiderata.
 
***

Aveva lasciato le imposte aperte, per caso?

Stropicciandosi gli occhi con fare insonnolito, Morgan si tirò le coperte fino al mento, infreddolito.

Un attimo dopo, però, lanciò un urlo improvviso quanto angosciato quando, di colpo, il piede gelido di Joy andò a cozzare contro il suo polpaccio nudo.

Sobbalzando nel letto, Morgan la fissò terrorizzato per qualche secondo, temendo assurdamente di trovarla morta al suo fianco.

Lei brontolò subito per essere stata svegliata in malo modo e, fissandolo con occhi vagamente irritati, gli domandò con un mugugno: “Ma che succede?”

“Joy… sei… sei fredda!” esclamò Morgan, afferrandole in fretta una mano.

Era un blocchetto di ghiaccio.

“Cosa?!” esclamò a sua volta, sgranando gli occhi e balzando a sedere sul letto.

Allungando le braccia fuori dalla coltre di coperte, Joy rabbrividì istintivamente ma, quando tentò di riscaldarsi, nulla avvenne al riguardo.

Sempre più spaventata, scivolò fuori di corsa dalle lenzuola solo per crollare a terra, inciampando nei suoi stessi piedi.

Morgan fu lesto a raggiungerla e, aiutatala  a rialzarsi, afferrò il mantello del suo abito da sposa per drappeggiarglielo sulle spalle.

Con dita nervose, poi, aprì uno dei cassetti del comodino per trovarle un paio di calzettoni perché li indossasse.

Rabbrividendo per il freddo, Joy infilò di volata le braccia nelle maniche morbide del mantello, sentendosi subito meglio.

Dalle mani di Morgan afferrò le calze di lana, le mise con gesti febbrili delle dita e infine esalò sconvolta: “Ma cosa mi sta succedendo?”

“A me lo chiedi?!” gracchiò lui, gli occhi sgranati per la paura e l’ansia.

Un bruciore fulmineo la perforò sul fianco, prima di svanire come era venuto e Joy, sobbalzando per quel dolore inaspettato quanto assurdo, si affrettò a sollevare la sottoveste.

Lanciò subito dopo uno strillo disumano, quando si rese conto che la voglia a forma di disco solare era del tutto scomparsa.

Eclissata.

Morgan sbiancò a quella vista e, sempre più preoccupato, afferrò Joy alle spalle, solo per sentirla lamentarsi per il male che lui le stava facendo.

Allentando immediatamente la presa su di lei, Morgan le propose ansioso: “Prova a sollevarmi.”

Lei annuì, pur sentendosi alla stregua di un pulcino bagnato, in quel momento.

Quando tentò di fare forza sul corpo statuario del marito, nulla riuscì a fare, se non aumentare ancora di più la propria frustrazione, e quella di Morgan.

“Maledizione, che succede?!” ringhiò al cielo Joy, prima di sentire lo squillo del telefono, dabbasso.

Infilate le ciabatte, che teneva ai piedi del letto, Joy si riversò nel corridoio, solo per rendersi conto che il suo proverbiale equilibrio era andato a farsi benedire.

I residui di sonno, combinati con la sbronza della sera prima, le impedirono di mantenersi salda sui piedi.

Finì, così, con l’urtare contro la parete opposta a quella della porta della camera da letto, producendo un sordo tonfo, seguito subito dopo da una sua colorita imprecazione.

Morgan la strinse allora alla vita e, preoccupato, le disse: “Movimenti tranquilli, Joy. Proviamo a comportarci da umani, okay? Poi, vediamo che succede.”

“Va bene” mormorò lei, riprendendo a camminare normalmente.

In effetti, se non esagerava, la sua andatura non aveva pecche di alcun genere, l’importante era non esagerare.

Perché, però?

Quando infine raggiunse il cordless, Joy non fu del tutto sorpresa dal notare il numero del cellulare di Alex.

Fuori di sé dalla paura, il cugino esalò sconvolto: “Dio santo, Joy, meno male, sei tu! Avevo il terrore che ti fosse successo qualcosa!”

“Il tuo disco solare è scomparso, giusto?” gli domandò Joy, aggrottando la fronte.

“Come lo sai?” mormorò sorpreso il giovane.

“E’ svanito nel nulla anche il mio oltre, a quanto pare, ai miei poteri” riuscì ad ammettere Joy, sorprendendo non solo Alex, ma anche Morgan.

“CHE COSA?!” urlò Alex, cercando suo malgrado di recuperare una parvenza di calma.

In sottofondo, Joy udì la voce di Susan, che tentava di chetarne le paure.

“Ci sto lavorando ancora su, Alex. Ti farò sapere non appena avrò capito qualcosa di tutta questa faccenda” gli promise lei prima di riappendere, guardare spaventata il marito ed esalare: “Cosa mi succederà?”

“Se non cerchi di fare cose soprannaturali, come ti senti?” si informò subito lui, sedendosi sul bordo di una poltrona per scrutarla con attenzione.

Joy ci pensò su un momento, prima di dire: “Mi sento insonnolita, ho freddo e ho i piedi distrutti dal male.”

“Normale amministrazione, per un umano” scrollò le spalle Morgan. “Altro?”

“Mal di testa” sospirò lei, nervosa.

“Hai bevuto come una spugna, ieri.”

Nel dirlo, ridacchiò. “Anche questo è normale, per un essere umano.”

Sempre più preoccupata, Joy guardò Monet, accoccolato sul suo trespolo e con la testa nascosta sotto un’ala.

Non l’aveva salutata come suo solito, al solo apparire. Come mai?

Dubbiosa, lo chiamò.

“Monet?”

Sentendosi interpellare, il cacatua levò il capo dalla cresta giallo limone e gracchiò felice: “Mooor-gan! Joooo-y!”

Sgranando gli occhi al pari della moglie, Morgan corse dal suo cacatua e, dopo averlo estratto dalla gabbia, lo portò di fronte a Joy.

Con un sorriso teso quanto angosciato, gli domandò: “Andiamo, bello mio, chi è lei?”

“Jooo-y!” gracchiò tutto contento l’uccello, sbattendo le ali.

Joy e Morgan si fissarono vicendevolmente, il panico ben dipinto negli occhi.

Il giovane, allora, chiese a Monet se non vedesse Benu nella stanza.

Sobbalzarono entrambi sconvolti, quando il cacatua si involò in direzione di una delle imposte chiuse e gracchiò infelice: “Beee-nu! Beee-nu!”

“Oh, mio Dio” esalò Joy, accorrendo alla finestra e aprendola in gran fretta.

L’aria gelida del mattino la investì con tutta la sua forza, assieme a pallidi raggi di sole e al sentore della neve fresca… e di un prepotente profumo di cannella e spezie esotiche!

“Morgan!” gridò Joy, indirizzando un dito verso la vicina foresta. “Dimmi che lo senti anche tu!”

Morgan si affacciò a sua volta alla finestra, inspirando a pieni polmoni l’aria della mattina, prima di impallidire al pari della moglie e annuire nervosamente.

Non poteva sbagliarsi, eppure era del tutto assurdo che lui potesse sentire un profumo del genere, nel bel mezzo di una foresta dell’Oregon.

A meno che, ovviamente…

Affrettandosi ad allontanarsi dalla finestra, Joy corse in direzione del ripostiglio dove tenevano le scarpe.

Dopo aver afferrato i suoi stivali di gomma, li infilò frettolosamente subito imitata da Morgan che, accigliato, le chiese: “E’ chi penso io?”

“Non possono esserci altre spiegazioni. E questo mi darebbe le risposte che cercavo” ammise lei, correndo alla porta d’entrata e spalancandola di colpo.

“Che genere di risposte?” le domandò Morgan, scendendo le scale a due a due tenendola per mano.

Dirigendosi a grandi passi nel bosco, stringendosi addosso il mantello candido, Joy gli spiegò del sogno avuto durante la sua malattia, e delle parole di commiato di  Rah.

“Se quel che penso è vero, mio fratello divenne umano per amore, e si prese cura di me fino alla sua morte, insegnandomi tutto ciò che sapeva, e che io dovevo sapere sull’essere una Benu” terminò di dire Joy, sorridendo con aria quasi folle.

“Sicura di sentirti bene, piccola?” le chiese lui, preoccupato dalla sua reazione.

Bloccandosi un momento, Joy lo afferrò per le braccia e, con un sorriso che sapeva di soddisfazione assoluta e di gioia a stento trattenuta, la giovane esclamò: “Ma non capisci? Vivremo come due persone normali! Invecchieremo insieme! Non dovrò vivere per sempre con il ricordo del tuo amore per me, e del mio amore per te! Sarò per te come una qualsiasi moglie, non come un fenomeno da baraccone da tenere nascosto.”

“Questo non lo saresti mai stato, per me” replicò il marito, stringendola in un abbraccio. “Ma sei sicura che ti stia bene perdere… beh, la tua divinità?”

“Per te? Questo e altro!” sorrise lei, prima di riprendere la via del bosco e dire: “Dovrebbe essere da queste parti. Il profumo si fa più intenso.”

Morgan le strinse la mano e, sorridendole, le chiese: “Lo terremo con noi?”

“Se tu vorrai, sì” annuì lei, felice.

“Il nostro primo figlio” mormorò il giovane, stringendosela al fianco e baciandole la fronte con amore.

“Forse, l’unico. Non so se, con la perdita della mia divinità, ho acquisito la possibilità di procreare” sospirò tremula lei, fissandolo spiacente.

“Sarà quel che sarà. Ora, vediamo di trovare tua sorella, o tuo fratello. Non credo che gradirà trovarsi in mezzo a tutta questa neve” le strizzò l’occhio lui, cominciando a guardarsi intorno con attenzione.

“E’ una creatura di fuoco. Saprà come difendersi” gli replicò lei, divertita, prima di esclamare: “Laggiù, Morgan. Guarda!”

Avvolto in un baccello di rami intrecciati finemente, un piccolo bambino dalla pelle candida, e chiari ciuffi di capelli biondo ramati, sgambettò felice nel vederli.

Raccoltolo con attenzione, Joy lo avvolse strettamente tra le braccia, sentendo le lacrime bagnarle le gote rosse per il freddo.

Morgan li strinse entrambi nel suo caldo abbraccio e, con voce resa roca dall’emozione, sussurrò al bimbo dai lineamenti perfetti: “Benvenuto tra noi, piccolo Benu.”

Chinandosi a baciarlo sulla fronte calda e liscia come seta, Joy sussurrò straziata dal dolore e dalla gioia assieme: “Benvenuto, fratello mio.”

Il bambino trillò felice, mentre un nugolo di uccellini cinguettò in risposta, involandosi dagli alberi vicini per danzare nell’aria e, infine, scivolare verso il centro del bosco.

“Credo sia meglio portarlo al caldo, che dici?” sorrise Joy.

“Direi di sì” annuì il marito, prima di bloccarsi a metà di un passo, distruggere a suon di calci il nido del piccolo Benu e chiosare ironico: “Non si sa mai.”

Joy rise e, assieme a lui, rientrò lentamente verso casa, i passi tranquilli e pacifici.

Fu in vista della baita, che Morgan si bloccò, scoppiando a ridere.

Incuriosita, Joy gli domandò: “Beh, che c’è?”

“Pare sia una cosa di famiglia, trovare i figli nel bosco…” ironizzò Morgan, dandole un bacio sulla fronte.

“Già. Proprio una cosa di famiglia” annuì Joy, sollevando un momento il bambino che teneva tra le braccia, per ammirarlo in tutto il suo splendore. “Mi prenderò cura di te, fratello mio. Ti insegnerò tutto quello che c’è da sapere, e ti farò dono del tesoro più grande, che tu dovrai per sempre portare nel cuore. Il miracolo dell’amore.”

“Sono sicuro che sarai per lui una madre perfetta” sentenziò Morgan, lanciando uno sguardo verso la baita per poi asserire divertito: “Dovrò mettermi d’impegno per costruire la stanza del bambino. Spero solo di non schiacciarmi un dito con il martello, nel farlo.”

Joy, a quel punto, spalancò gli occhi e, senza alcuna spiegazione, tentò di dare un pizzicotto a Morgan. Nulla.

Subito sorpreso, il marito e la moglie si fissarono con un caldo sorriso a illuminare i loro volti e Joy, ammiccando, celiò: “Beh, se non altro, i doni sono rimasti.”

“Buono a sapersi” ridacchiò Morgan, avvolgendole le spalle. “Coraggio, signora mia, andiamo a metterci al lavoro!”

“Domani. Domani lo faremo insieme. Oggi, voglio godermi il piccolo Benu… e te. La mia famiglia” sussurrò Joy, lasciando che il sole li accogliesse alla loro uscita dal bosco.

 
 
 



N.d.A: Non scappate. Non è finita qui! ;-)
 
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1 Sol: (Divinità nordica) rappresenta il sole.
2 Sköll: (Divinità nordica) è uno dei lupi che darà il via al Crepuscolo degli dèi.
3 Ragnarök: Crepuscolo degli dèi. Apocalisse della mitologia nordica.
4 Makara: Creatura mitologica del pantheon induista. Si pensa fosse un incrocio tra un coccodrillo e un delfino di fiume.

  
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