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Autore: Dernier Orage    07/06/2012    2 recensioni
Parigi, Marzo 1997. Due amanti si rincontrano dopo quattordici anni: Ismaël ha una piccola libreria a Parigi, Stéphane è diventato uno scrittore, ha due figlie e tifa l'Arsenal. Storia di una ricostruzione.
Genere: Generale, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'No Human Can Drown '
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Parigi 

Louise si era risvegliata scossa dai brividi e con il pigiama madido di sudore, sentiva le ossa bruciare, un dolore intensissimo alle tempie e vicino alle sopracciglia, nelle zone che Ismaël aveva chiamato bozze frontali. Aveva passato una notte tremenda a vomitare e tremare di freddo e Ismaël l’aveva spostata nel letto matrimoniale per non far ammalare anche Michelle e per tenerla sotto controllo. Louise non capì perché si era risvegliata nel proprio lettino. Doveva andare in bagno, aveva sete e aveva paura di non riuscire a reggersi sulle gambe. 
- Stai meglio? - le aveva chiesto Ismaël affacciandosi dal corridoio.
- No, peggio di prima - aveva mormorato sconsolata tirando le tende di cotone rosso dal letto a castello e zampettando fino al bagno, traballando e appoggiandosi alle pareti del corridoio. Al ritorno aveva trovato un bicchiere di spremuta e delle candeline galleggiati fatte con le bucce delle arance in un catino ai piedi del letto. Avvolgevano con la loro luce il centro della stanza buia e illuminavano vagamente di bagliori dorati la polvere danzante. Negli stati febbrili Louise percepiva degli strani paragoni e accostamenti affollarle la testa come immagini di film - che belle! Mi racconti una storia? -
- Non conosco storie - Ismaël sembrava dispiaciuto e sbigottito della propria incapacità di raccontare delle storie adatte alla sua età, potenzialmente interessanti, che non fossero biografie di generali, conquistatori, artisti o rivoluzionari o degli aneddoti sul bisnonno, sul nonno, su suo padre. Aveva cercato dei fogli sottili e una biro e un’idea per rimpiazzare il vuoto - raccontami tu, io disegnerò tutto - 
Aveva iniziato abbozzando una pianura sotto il cielo in tempesta, una stradina tra i campi di luppolo e di lavanda. Le violette che Louise avrebbe messo in un bicchiere tondo, una carovana di gitani con i cavalli bardati a festa e le carrozze dipinte di verde pistacchio e rosa antico, le croci dei cristiani su un pavimento di cera dove erano incastonati diamanti e rubini e lapislazzuli. Un fiume d’acqua fresca e cristallina che nel suo corso accarezza di ciottoli arrotondati, dell’erba rigogliosa nella sponda opposta, un muraglione ricoperto d’edera e un castello. Una torta delle feste, dove il fortunato di turno avrebbe rischiato di scheggiarsi un dente con la statuina in ceramica del personaggio di un film recente. Un incubo simile ai suoi, un letto in una stanza con le pareti, il pavimento e il soffitto, ricoperti di serpenti striscianti l’uno sull’altro, come funi e corde srotolate e bagnate, vischiose di pece e alghe. Un pendaglio di smeraldi, i riflessi intorno, sul foglio. 
- Nessuno aveva mai disegnato per me - aveva detto la piccola con un filo di voce, riconoscendo le sue descrizioni e gli angoli dei sogni di Ismaël mischiarsi sulla carta. 
Il pomeriggio si era coricata sul divano a guardare i cartoni animati, aveva fatto merenda con pane, olio e sale e the ai frutti di bosco, quando le palpebre avevano ricominciato a fare male aveva chiesto a papà di suonare qualcosa al piano e sorridendo leggera aveva pensato a quante cose fatte per lei, quante premure, quante consolazioni da non spartire con la sorella. 

Amburgo 

- Un’ultima domanda Herr Marchand; i critici non sono concordi nel classificare i suoi thriller: passando da elogi al suo stile raffinato o giocando sul modo in cui rende Amburgo un crocevia di popoli, dando al diverso, all’attuale criminale, lo status di vittima e al ricercando i colpevoli nelle alte cariche e negli indifferenti; nella sua vita, chi sono i cattivi, gli antagonisti? - domandò il giornalista sistemando la cartellina di plastica sulle gambe incrociate e dondolando la caviglia che risaltava per le calze a righe di vari colori. 
- Oh, il fatto che non concordino è a mio favore, mi permette un campo d’azione più ampio e meno staticità, devo ancora maturare e trovare non lo stile perfetto, ma il mio stile perfetto. Grazie di aver posto la domanda in questi termini: l’antagonista per un lungo periodo della mia vita sono stato io stesso, adesso credo siano le persone che cercano di imporre un pensiero standard, una felicità uniforme, che hanno delle aspettative che non puoi permetterti di deludere. E’ il produci, consuma, crepa dei CCCP, il gruppo italiano – avevo trovato una fanzine con tutti i testi tradotti. Presente, no? Lavoro, matrimonio, figli, in attesa della pensione: obbligatorio - lo scrittore affondò un canino nel labbro, tirò verso l’interno, pochi secondi di pausa, l’attenzione catalizzata, una suspense involontaria, poteva quasi sentire nella platea lo sforzo muscolare per trattenere il respiro. Concluse: - non c’è nulla di più sbagliato, non è obbligatorio, non lo è affatto - 

Parigi 

Cricri aveva passato il pomeriggio con la piccola Michelle in dei negozi di vestiti per bambini per cercare due abitini da damigella. Li aveva trovati dopo tanto penare, di velluto blu, con la pettorina, la gonna a corolla e un enorme fiocco in chintz sulla schiena. Con una camicetta bianca o azzurrina sotto, le calzamaglia, delle scarpette nere e il cappotto sarebbero state al caldo anche a dicembre. Era discretamente contenta di esser riuscita ad andare a prendere Michelle all’asilo e depennare una delle cose da fare della lista per il matrimonio, prima di riportarla a casa le prese un gelato, mango e mirtilli, e sulla metropolitana la prese sulle ginocchia e via via che le fermate scorrevano dai vetri la abbracciava per non farla cadere dallo strapuntino. 
Il matrimonio avrebbe dovuto essere perfetto, semplice, lineare, familiare, una cerimonia in comune e poi il pranzo in un ristorante elegante sul lungosenna; ragionandoci per la prima volta, ridacchiò al pensiero di avere pure due damigelle senza averlo mai desiderato prima. Aveva ventinove anni, lavorava in una farmacia nonostante contrastasse con la sua filosofia di vita, fatta di feng Shui, ristoranti macrobiotici aperti negli anni settanta che più nessuno frequentava, tessuti naturali e fluidità, sviluppata a partire dai dieci anni, quando il padre aveva insistito per farle praticare le arti marziali cinesi e lei aveva conosciuto un maestro di wujiquan; si stava per sposare con l’uomo con il quale conviveva da tre anni ed aveva sempre trovato la forza di andare avanti nonostante la stanchezza, le aspettative e il senso di oppressione portato dalla modernità. Sulla poltrona del salotto di Ismaël, lasciava trascorrere i minuti e perdeva autobus, la poca voglia di rimanere da sola a casa mentre Lionel faceva il turno a lavoro. 
- Rimani a cena? - le domandò Ismaël rimboccando le coperte a Louise, almeno lui aveva trovato qualcosa non desiderando nulla, chissà dopo quante crisi aveva capito che la vita non significa niente ed è solo una ricerca di generi di conforto, libri, abbracci, numeri, colori, sigarette. 
Nessun fine superiore, nessuna freccia scoccata al futuro. La direttiva di non invadere mai lo spazio vitale di altre persone, non imporsi, lasciar perdere e accorrere in caso di necessità. 
L’individualismo non indifferente come ideologia. Non indifferente.
- Con piacere - rispose Cricri affondando nella poltrona e ancorandosi con le mani ai braccioli. Seguiva la canzone dei Mano Negra alla radio, “que ton indifférence, elle ne me touche pas, je peux très bien me passer de toi; comme envie de sang sur les murs, comme envie d'accident d'voiture, comme envie d'expliquer comme ça” e aggiunse distratta; - que ton indifférence, elle ne me touche pas

Berlino 

- Mi manchi - disse Stéphane abbassando il tono di voce e avvicinando la cornetta del telefono alla bocca; - terribilmente - 
Si trovava a Berlino, nella camera matrimoniale di un albergo vicino alla Nollendorfplatz. Le luci basse e aranciate delle abat-jour proiettavano ombre sfocate e grigie sui muri. Oltre le tende ignifughe si scorgeva la stazione della U-Bahn. Dieci giorni ad Amburgo tra casa di suo cugino e quella di Immanuel ed Egon, un mercoledì sera in un piccolo teatro all’italiana con un giornalista e la sala gremita, pomeriggi in librerie a chiacchierare, presentare, salutare, dedicare e firmare le copie. Gli ultimi quattro giorni a Berlino per un aperitivo letterario, un’altra serata in un teatro e quattro librerie da dividere in due turni, alle undici di mattina e alle sei di sera. Bramava il diretto per Parigi come un’oasi nel deserto. 
- A Louise è passata la febbre, oggi pomeriggio siamo andati fino al parco e lunedì potrà tornare a scuola - Ismaël con la voce resa roca dalla stanchezza. Mancava come il respiro. 
- Te la sei cavata bene. Non ne dubitavo, grazie - mormorò Stéphane sedendosi sulla moquette e appoggiando la schiena ai piedi del letto matrimoniale. Non aveva nemmeno disfatto le valigie, nel desiderio di ritornare a casa il prima possibile; - la prossima volta cercherò di spostare tutto a giugno, così staremo insieme -
- Mi ha aiutato Cricri portando all’asilo Michelle, è stata indispensabile - gli attimi di silenzio si allungavano, sporcandosi di respiri e malinconie; - a che ora atterrerà l’aereo? - 
- Undici e dieci di sera, più mezzoretta per il controllo dei documenti e i bagagli, per l’una sarò sicuramente a casa - rispose automaticamente Stéphane. 
- In questo preciso istante vorrei avere la patente - accennò a mezza voce Ismaël, Stéphane chiuse gli occhi e lo immaginò abbandonato su un fianco alla parete del corridoio, il telefono incastrato tra la spalla e l’orecchio, tra le mani carta e penna. Fosse stato con lui lo avrebbe abbracciato, avrebbe posato la fronte sul suo collo, dei baci sulle vertebre e se qualcuno gli avesse chiesto perché volesse farlo gli avrebbe risposto “perché mi piace il sapore della sua pelle, perché adoro attorcigliare i suoi capelli tra le dita, perché trovo la sua voce erotica e non abbiamo segreti e ci piacciamo lo stesso, per le interpretazioni concettualmente diverse agli stessi valori, perché mi fa stare bene” e tanto sarebbe bastato. 
- Fortuna di no, ci litigheremmo il volante. Chiamo un taxi - esclamò con tono divertito Stéphane distendendo le gambe sulla moquette; - buonanotte Maël. A presto - 
   
 
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