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Autore: Aimondev    08/06/2012    1 recensioni
Jack Parker è un ex bullo, delinquente che mette la testa a posto raggiungendo un certo successo nella sua città, fino a quando non incomincia a fare uso di una nuova droga.
Contemporaneamente la Terra sembra minacciata da una presenza aliena ostile.
Genere: Commedia, Demenziale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I risultati delle analisi fecero sobbalzare dalla sedia il dottor Kermel, che si convinse della veridicità dei miei sintomi.  Mi disse che i campioni prelevati avrebbero richiesto uno studio più che approfondito  e che sarei dovuto tornare da lui tra quattordici giorni.
"Due settimane?  IO VOGLIO RISPOSTE, E LE VOGLIO ADESSO!"
"Sia paziente zignor Parker. Come posso fornirle risposte?  Le assicuro che una settimana è già un tempo ristretto. Le prometto che lavorerò sodo solo sul suo caso. Anche di notte se necessario."

 Erano già passati due giorni ed io non osavo misurarmi. Le due giornate furono scandite dai rintocchi dello snervante bussare di Johnny sulla mia porta di casa, e le telefonate continue della mia ragazza.  Non la diedi vinta a nessuno dei due. Me ne restai abbarbicato sul divano a guardare le repliche di vecchie telenovele e sgranocchiare patatine scadute da chissà quanto.

Nulla e nessuno mi avrebbero smosso.  Alternavo periodi di profonda depressione e grave crisi, a momenti di incredibile sbalzo ormonale, in cui cercavo in ogni modo di fermare quel sovrannaturale rimpicciolimento.
Provavo a fare esercizi di stretching, facevo piegamenti sulle braccia, trazioni sulla sbarra, arrivai a pensare addirittura che fosse il sonno a farmi quell'effetto. Rimasi sveglio per più di 48 ore, alleviando le mie veglie con lunghi caffè concentrati. Non cambiò nulla.
La decrescita continuava ineluttabilmente a gravare su di me.

Avevo paura di misurarmi. Quasi terrore.  E pensare che fino a poco tempo prima, da quando avevo solo tredici anni, mi misuravo anche due volte al giorno, tanto ero appassionato. E di mese in mese mi vedevo crescere.  Ora di giorno in giorno, stavo subendo l'effetto contrario.
Me ne rendevo conto anche senza prendere le misure. Bastava guardare a che altezza mi arrivava il pomello della porta di casa per rendermene conto. Ogni giorno, quel fottuto pomello era sempre più alto!

 Un giorno, sopraffatto da un furore cieco, incominciai a tirare pugni su ogni cosa mi capitasse a tiro: sul muro sugli specchi, sui quadri. Afferrai una lampada e la scaraventai contro una parete, rivoltai un tavolo, ribaltai la televisione.
"Sei contenta adesso, eh? Brutta puttana!"
 Con un pugno spaccai il vetro dello sportello dei medicinali e la presi.  La mia mano, grondante di sangue scuro, stringeva ora tra le dita quel diabolico elisir  che aveva trasformato un sogno soave in un terribile incubo.

Scagliai il flacone di DreamofGod contro il muro.  Il liquido si disperse schizzando dappertutto. Avrei pensato di sentirmi meglio dopo, ma non fu così. Mi sentivo solo incredibilmente stupido.

 Dovevo sopprimere quel coctail di furore, umiliazione, ansia e sconforto che mi bruciava dentro, così decisi di fare una cosa ancora più stupida, e raggiungere la DreamofGod schiantandomi di testa su quello stesso muro. Persi conoscenza.
Non so neppure io quali fossero le mie intenzioni. Forse avrei sperato di non risvegliarmi più. Era strano, sono sempre stato un amante della vita, o meglio, della MIA vita.  Eppure furono una manciata di centimetri a rendermi un suicida represso.  Avevo tutto e non avevo niente.  Fu in quel preciso istante che me ne capacitai.

 "pffffff...Fujarah...pfffffff...Khor Fakkam....Manama...pffffff....andate distrutte...Panico...pfffff...Milioni di morti...pffffff...Diocisalvi!"

 Per mia sfortuna, mi risvegliai il giorno dopo.  La televisione s'era salvata all'urto, anche se non del tutto. Furono i suoi gracchi sconnessi a darmi la sveglia, negandomi il mio ardente desiderio di morte.
Quello era il grande giorno.  Le prove di selezione per entrare nella squadra di Khalim Muhared sarebbero state esattamente 

"...Dieci minuti fa..."
Avevo scavato così in profondità nel pantano dello squallore che ormai la notizia non mi tangeva minimamente. Una parte di me tuttavia mi sussurrava di prendere al volo quella chance.  Mandare all'aria una simile occasione mi avrebbe turbato psicologicamente per tutta la vita più di qualsiasi altra cosa, molto più di quanto avrebbe fatto un fallimento.
Raccolsi gli stracci sudati che avevo usato l'ultima volta per allenarmi e uscii di casa.

 "Ma avete visto?" "E' davvero lui?"  "Cosa gli sarà successo?"  "E' assurdo!" "Jack Parker? Questo manlet qui?" "Non posso crederci."  "Dicevano fosse alto due metri"

 Quello sprezzante vociare era divenuto il perfetto sottofondo di quella che si prospettava essere la mia vita. Gente della mia città, gente di altre città, gente che non avevo mai visto e gente che avevo veduto solo qualche giorno prima; erano tutti lì con gli occhi puntati sui colossali esordienti e su di me, il più piccolo del gruppo.

Khalim era lì, a troneggiare assieme ad un altra mezza dozzina di uomini in giacca e cravatta, tra cui il tizio calvo con cui avevo parlato prima ed il mio allenatore.
Inutile dire che a entrambi era caduta la mascella dallo stupore. Eppure mi sentivo incredibilmente spudorato, non temevo di essere giudicato dagli altri dal momento che ero sopravvissuto allo spietato giudizio di me medesimo, la sera prima.  Il dubitare della folla aveva poca importanza. 
Nulla aveva più importanza ormai, visto che avevo perso il rispetto che nutrivo per me stesso.

 Intanto i colossali esordienti davano prova di loro davanti alla giuria e a due folte ali di pubblico. Erano lenti, goffi e piuttosto prevedibili ai miei occhi. Non erano assolutamente all'altezza di entrare a far parte di una lega del basket così prestigiosa, almeno così pensavo io.
Eppure sia la folla che la giuria sembrava essere ammaliata dalle prodezze atletiche, che io avrei definito ridicole, di alcuni di loro.
Quando giunse il mio turno, i dirigenti della compagnia mi guardavano come se fossi un alieno. I loro sguardi sdegnosi ed arroganti sembravano quasi volermi incolpare di un crimine di cui non mi ero mai macchiato, ma di cui ero forse colpevole: quello di essere assolutamente al di sotto delle loro aspettative.

"E tu chi saresti? Saresti venuto per le prove?"  chiese Muhared, e intanto più di uno nel pubblico sogghignò.
"Il mio nome è Jack Parker"
"Parker?  Mi prendi in giro?"  Khalim gettò un' occhiataccia glaciale verso l'uomo calvo di cui non mi sono preso la briga di segnarmi il nome,
"Mi avevi detto che era un giovane prestante, sopra i sei piedi e due."
L'uomo scrollò le spalle
"Ma sì...Lui...era...lui..."
"Ho capito, ho capito. Questo è quello che mi merito per essermi circondato di insulsi incompetenti yesman.  Questo qui raggiunge a mala pena i sei piedi"
Muhared si voltò verso di me con occhi ancor più gelidi e continuò

"Tu sai, sapevi, che noi della EAB abbiamo degli standard minimi di preselezione ai quali i nostri giocatori devono rispondere per potervi  far parte.  Per quale motivo dunque ti sei presentato qui?"
"Signore" lo interruppe il tipo pelato  "Ma forse...Non vorrebbe vederlo prima giocare? Io le garantisco che è un autentico fenomeno e..."
"Per  favore signor Hankings, lei ha già fatto abbastanza per oggi. Si degni solo di tacere, adesso."
Continuò a parlare, sembrava provasse piacere nell'udire il suono della sua voce.

"La società che ho creato mira alla coronazione di determinati obiettivi, uno di questi è mantenere la superiorità fisica ed atletica in campo, e questo implica soprattutto una certa prestanza fisica ed un' altezza di, come minimo,  sei piedi e tre pollici.  Bene, ora che ti ho chiarito la faccenda puoi andare,  non ho alcun interesse ad assistere alla tua esibizione né tantomeno valutarti come possibile ShootGuard come mi aveva proposto il mio assistente, qui presente.  Mi scuso se possa averti illuso in qualche modo, ma la situazione è questa e, anche se tu fossi il nuovo Muggsy Bogues, non sono interessato. Puoi andare, prego"
Ero rimasto a fissare quel grasso, sgradevole individuo senza udire una sola parola di ciò che avesse realmente detto.
"Sono migliore di tutti questi buffoni messi assieme." Gridai.
Il silenzio che era calato sulla sala ora era rotto dalle grida di disapprovazione degli amici e parenti di quei buffoni.

"FUORI! FUORI!" gridava Muhared assieme a quella folla che ora sembrava quasi essersi coesa e dimenticata chi io fossi.  Gente che meno di un mese prima gridava a squarciagola il mio nome con gaudio e giubilo, adesso gridava il mio nome con odio e disprezzo. Uscii dalla sala accompagnato dai fischi e dagli improperi.
Così il treno del successo sarebbe partito senza di me, ma era davvero quello il treno del successo?
"Mi interessava davvero entrare in quella squadra ridicola?" dissi tra me e me.

Stranamente avevo perso ogni interesse a prestarmi a quella pagliacciata e non mi curavo minimamente di tutta la loro disapprovazione.  Se erano quegli imbranati che la gente voleva, ebbene, io non mi sarei certo messo in mezzo. Non avrei provato che disagio ed imbarazzo ad essere accostato a dei tipi come loro. Era un bene che non avesse voluto vedermi, nessuno di quelli era al mio livello.

 "Jack!"
Fred, Craig e Dan mi correvano dietro.
"Ma...ma sei impazzito?  Cosa t'è preso?  Perché hai insultati tutti in questo modo?.  Quello era il presidente della EAB, un'associazione con una grande influenza anche sull'NBA."
"Ho detto quello che penso!"  dissi. "E se il livello medio è quello dovreste lasciar perdere anche voi!"
"Ma...ma che dici, erano dei fenomeni."
"Fenomeni? mi prendi in giro?"
"Che ti prende, Jack?  Sei strano" disse Dan  "Non rispondi più al telefono, e anche Jane è preoccupata."
"Che mi prende?! Che mi prende?  Guardami stupido idiota.  QUESTO mi prende! Sto soffrendo di un-un... nanismo regressivo, e voi invece di aiutarmi continuate i vostri stupidi allenamenti ed a parlarmi di voi stessi"
"Noi..."
"Lasciatelo andare"  disse una voce dietro di loro. John.
"Ormai è chiaro.  Vuole chiudere con noi. E per come si è comportato questo periodo sarebbe quello che merita.  Jack, hai mancato di rispetto a tutti noi ed al nostro allenatore. Dovresti scusarti."

"Ah è così che la pensi eh?"
Mi avvicinai a quello che un tempo era un amico sincero, un compagno inseparabile, un vero fratello.  La differenza di altezza che sussisteva tra me e lui era rimasta, ma questa volta ero io a guardarlo dal basso.
"Quando avrò risolto il mio problema, mi ricorderò di questo, John."
"SE risolverai il tuo problema" disse con espressione sarcastica e ghignante. Oltre a non aver adempito ad i doveri di migliore amico, mi prendeva anche in giro.

"Sei un bastardo!"  mi basto spintonarlo con una mano per farlo finire col culo per terra.
Almeno la mia forza era rimasta invariata.
Gli altri del gruppo cercarono di ragionare, ma mi liberai velocemente della loro amichevole, ipocrita stretta.  "Voi fate pure ciò che credete...Io ho chiuso." dissi.
"Ma sì, scappa con la coda fra le gambe!  Vattene via, e non farti rivedere!" strillava e sbraitava John alle mie spalle.

 Aprii la porta di casa e sprofondai esausto sulla poltrona.  La rabbia mi teneva sveglio, e mi faceva venire terribili emicranie. Incominciai a condannare tutto e tutti senza farmi esami di coscienza come fossi un giudice al di là di ogni giurisdizione. 

"John, è uno stronzo!  E anche tutti gli altri!  Mi apprezzavano solo per il mio talento.   Ho visto come la gente che poco prima mi idolatrava, ha iniziato ad insultarmi e fischiarmi. Per chi poi? Quei quattro spilungoni che sarebbero capaci di sbagliare persino un tiro libero.

Non sono alla mia altezza!  Nessuno è alla mia altezza!"

La rabbia che provavo lentamente evaporò, e senza neppure rendermene conto, un ghigno idiota s'era stampato sul mio volto. Emisi un gemito sordo che sarebbe dovuto essere una risata.

"nessuno...è...alla mia altezza"  incominciai a ridere pervaso da una follia senza nome , poi scoppiai in una fragorosa risata.  "NESSUNO E' ALLA MIA ALTEZZA!"  La stanza intorno a me girava, assieme a tutta la mobilia, mentre, senza neppure ricordarmi di essemi alzato in piedi, incominciai a roteare su me stesso assieme ad essa sghignazzando a squarciagola.

E mentre distruggevo ciò che era rimasto integro lì dentro, questa volta guidato da lucida follia e non più dalla rabbia, udii qualcuno bussare alla mia porta.
Ci misi qualche minuto per tornare in me. "E' John" pensai  "E' venuto qui per chiedermi scusa".
Aprii la porta e vidi Jane.

"Oh, sei solo tu"
Lei mi guardò con uno stupore tale che probabilmente si sarebbe aspettata che mi uscisse un cucù dalla fronte.

"Solo...io?"  ripeté.
"Entra"  le dissi,  camminando tra i frammenti di vasi distrutti e lampade in frantumi.
Trovò una sedia su cui sedersi ed incominciammo a parlare.  Non ricordo bene cosa mi disse, né voglio prendermi la briga di sforzarmi e ricordare.

Passò del tempo, che a me parve un'eternità, in cui parlava quasi sempre e solo lei. Quella mia ultima scenata da pazzo mi si ritorse contro e servì solo a darle un'altra giustificazione per lasciarmi... per tradirmi.
Già, come se non lo avesse già in programma nel momento in cui persi l'occasione della mia vita.
Quella puttana era interessata al mio denaro, al mio successo, non a me.

La presi con filosofia.  Restai  in spartano silenzio a fissare un punto fisso davanti a me anche molto tempo dopo che Jane lasciò la stanza e la casa.
Oramai anche la fase della disperazione era passata.  Ora ero giunto alla fase dell'accettazione. Mi sentii più saggio, più reattivo, più sveglio di quanto mai fui stato prima d'allora. 
Prima ero cieco, ora vedevo.
Sotto la doccia notai che il mio fisico era divenuto più tonico e definito che mai, ma ormai che senso aveva?
La mia felicità si fondava su delle false illusioni. Si radicava sulla mia ingenuità. Sul raggiungimento del mero piacere fisico e il più superficiale appagamento mentale.  Sì, perché se davvero il mio scopo era essere amato e stimato da tutti per quale motivo avevo fatto in modo che la gente amasse l'etichetta che avevo dato di me?

Avevo dato loro modo di amare un mio Uno dei centomila volti che in realtà sapevo di possedere.  Un Uno che ora stava morendo, e d'ora di me non era rimasto che un nessuno.
Loro amavano una maschera che non mi rappresentava, e maledetto me che non me ne sono mai reso conto.  Il risultato di quella scoperta mi arrecò più sofferenza di quanta avrei potuta provarne se avessi incominciato a ragionare in quel modo tempo prima.
Ma ora BASTA.  Ero stufo delle illusioni, stufo degli inganni.  Perché mentire a me stesso? Perché vivere così?

 Il Jack di un tempo avrebbe voluto vivere nella sua  lieta ignoranza e non avrebbe voluto apprendere nulla che in qualche modo avesse potuto opprimerlo.  Avrebbe avuto paura di misurare la propria altezza ancora una volta.  Ma questa paura mi avrebbe forse aiutato a vincere il mio problema?
Mi feci coraggio e mi misurai.

"Uno e settantanove" Mantenni la calma, grazie al  mio rinnovato senso di responsabilità e di ironia, ma questo non servì a frenare il mio stupore.

"Allucinante.  Sto perdendo diversi centimetri ogni giorno... Spero che il dottor Kermel abbia trovato una soluzione.  Manca ancora una settimana e poi potrò passare da lui. Inutile farmi prendere dal panico e recarmi da lui prima.
Ma se non mi da delle risposte soddisfacenti sono pronto ad ucciderlo, quel maledetto...Prima di suicidarmi"

 Passò un altro giorno. Presi un pò di coraggio e mi misurai nuovamente. Un metro e 76 centimetri.  Rimasi per circa trenta minuti nella stessa posizione a contemplare la shoccante misurazione. Poi incominciai a fare prove su prove per verificare se avevo realmente perso tre centimetri in una notte. Mi ritornò in mente la tesi del nerd di John;  ieri sera misuravo tre centimetri più di questa mattina,  se davvero la mattina si è più alti che di sera allora io ne avevo persi ben più di tre.

Incominciai a studiare morbosamente il mio corpo per vedere cosa non andasse e dove avevo perso i centimetri, se avevo le gambe più corte, o il collo, o il busto. Nulla.  Mi trovavo sempre uguale,  ben proporzionato e, paradossalmente, più in forma che mai.  Insomma, se non vedessi il mondo attorno a me ingigantirsi, non avrei mai neppure detto di essermi rimpicciolito. Ma purtroppo è tutto relativo, e quel relativo che era accessibile al vecchio me, stava diventando decisamente troppo irraggiungibile per il nuovo.

Incominciavo addirittura  a sospettare che fossi stato maledetto, che quello fosse stato il risultato  di un anatema lanciatomi contro da una qualche zingara a cui non avevo dato i miei spiccioli.

Poi la razionalità prese il sopravvento.  

"No... Questi sono gli effetti di quella droga, ed ora mi ritrovo a raccogliere quel che ho seminato..."

Glossario:

Manlets:  è la denominazione che danno i giovani americani per sbeffeggiare gli  uomini che non superano i 6 piedi d'altezza  (6 piedi= 180 centimetri)  detta anche Sindrome di Napoleone.  Letteralmente racchiude i termini Man (uomo) e Less (meno).
Muggsy Bogues: con i suoi 158 centimetri fu il più basso giocatore nella storia dell'Nba
EAB:  EmiratiArabi Bastetball
  
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