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Autore: aniasolary    09/06/2012    10 recensioni
Embry Call non aveva mai avuto relazioni serie e stava bene così. 
Ma ora le cose sono cambiate e finisce allo stesso modo tutte le volte.
Fa sempre lo stesso errore.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Embry Call, Nuovo personaggio
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Successivo alla saga
Capitoli:
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same mistake

Same Mistake

I’m not calling for a second chance,
I’m screaming at the top of my voice,
Give me reason, but don’t give me choice,
Cos I’ll just make the same mistake again
James Blunt - Same Mistake

Belli i pomeriggi passati a dormire sul divano.

Quil con Claire, Paul da Rachel, Jacob a Seattle, Seth a fare quel corso inutile che non gli servirà mai, Rory mi ha piantato con un messaggio dopo una settimana, due paroline in inglese abbreviato.

Nessuna tragedia, per carità. Ho un sacco di numeri di telefono... mi basta seguire l’ordine alfabetico.

C’è solo un piccolo problema mutante che tengo sempre per me, ma per il resto tutto fila liscio.

Fila.

Liscio.

La pallina raggiunge la buca e punto.

Vittoria.

Senza vedere e senza sentire.

Non vedere e non sentire.

 


Jared leva il triangolo di plastica in cui sono racchiuse le palle da biliardo.

Vieni, vieni, vieni. La gialla si avvicina, piano. Colpisco, reazione a catena.

Buca.

«Sei proprio uno stronzo.» biascica, poi morde l’hot dog che ha in mano.

Rido, mentre lui si ingozza con il panino. Da quando sta con Kim non fa che dire cose strane. Trovare una ragazza, l’imprinting, sistemarsi.

Che palle.

«Allora, lei si chiama Charlotte Evans. Ha vent’anni e studia Lingue. »

«Mmh… lingue. Mi piace.»

«Intelligente, carismatica… »

«Che me faccio, idiota. Ci sono cose più importanti: come ce le ha le tette?»

Mi dà una gomitata, la senape scivola dal panino e cade sul pavimento. Si guarda intorno, con aria furtiva.

«Non l’ho mai vista. So solo che è mora.»

«Vuoi vedere che mi hai portato una cessa.»

«Io non ti faccio mai uscire con delle cesse.»

«Me la danno sempre molto presto, questo è sicuro. »

Mi appoggio alla stecca e inspiro l’aria che mi sta intorno.

Odore di tabacco, patatine e plastica dura.

Adesso anche fiori… lavanda.

Buono.

Lo senti.

C’è anche un po’ di limone.

Lo vedi.

«Senti, Kim mi aspetta.» Jared si guarda l’orologio. «Lei ti riconoscerà perché tu sei… “Quello con il tatuaggio del lupo sul braccio”. Lei avrà una “E” di Evans sulla giacca per farsi riconoscere.  Una vecchia giacca del liceo, di quando era nella squadra di pallavolo.»

«I preservativi ce li hai, no? »

«Embry, non sono cretino. »

«Certo. Per questo ti ho detto io come si mettevano.»

«Avevamo quattordici anni.»

«Quindici.»

«Fai il bravo.»

«Sì, mammina.»

Mammina imprintata.

Lo seguo con lo sguardo, si dirige all’uscita con la testa bassa, le mani nei passanti dei jeans.

Le ragazze gli guardano il culo.

Che cosa si perde.

Le è passato davanti senza degnarla nemmeno di uno sguardo. Non si può essere così coglioni. Nemmeno a chiederle scusa dopo esserle andato a sbattere.

Ma si è sniffato il cervello?

La vedi.

Il vento di fuori le fa muovere i capelli.

Lavanda e limone.

La senti.

La stecca sta per scivolarmi dalle mani.

Comincia a camminare.

Porca zozza, ed io dovrei avere un appuntamento con un’altra, stasera?

I capelli rossi e lucidi le ondeggiano sulle spalle. Ha la pelle chiarissima, di Forks.

Perché non l’ho mai vista prima?

Porca… porca… porca…

Perché sembra che stia camminando verso di me?

Oddio, sta camminando verso di me.

Bene.

Benissimo, come sempre.

 Sono pronto.

«Ciao… ehm… Ephraim? » Si sistema la borsa a tracolla sulla spalla.

 Il viso bianco e le guance rosa sotto la luce verdastra della sala giochi.

«Ehi.» Mi appoggio con il gomito alla stecca e la guardo, la testa inclinata. Niente male, anche da questa angolazione.

«Allora sei Ephraim?» ripete. Ha la voce morbida, va liscia sulla musica che è una meraviglia.

«Più facile, Embry.»

«’Palle… mi ha scritto il nome sbagliato…» Stropiccia il foglio che ha in mano e se lo mette in tasca, sembra che sia scocciata.

Ok, calmo…

Mi schiarisco la gola. «Tu come ti…?»

«Sì, lo so, avevi un appunto con mia cugina… Lotte Evans, giusto? Tu sei… “Quello con il tatuaggio”.» Ha gli occhi chiari, sembrano verdi.

Faccio per dire qualcosa, le sorrido. Lei mette le mani davanti a sé, come per proteggersi.

«No, no, no, non dirmi niente.» Fa un respiro profondo. «Questione numero uno: IO non sono disponibile a dare buca a tutti i ragazzi con cui Charlotte deve uscire perché fa pace con quel cazzone del suo ragazzo delle medie. Questa è l’ultima volta. Cioè, per farlo mi ha dato venti dollari, e mi servivano perché… insomma, una cosa mia, non la racconto alla gente che non conosco! Questione numero due: IO non entro nelle sale giochi, non mi piace. Quindi è del tutto un caso che io sia passata di qui, e che mia cugina sia riuscita ad incrociarmi per fare questa cosa. Questione numero tre: IO sono stanca di farle da segretaria e questa è, appunto, l’ultima volta. Ormai i venti dollari ce li ho e devo accontentarla perché non sarebbe carino fare il contrario. Mi dispiace, Ephraim… sì, cioè, Embry, ma stasera non uscirai con quella… cioè, con Charlotte. Mi ha detto di dirti che è dispiaciuta e che…»

«Che ne dici di respirare?» Mi metto a ridere e le sue guance diventano più rosse dei suoi capelli. «Comunque stasera non mi andava di andare ad un appuntamento al buio, quindi va bene così.»

Scrollo le spalle. Sembra davvero nervosa. La maglietta blu le mette ancora più in risalto la pelle chiara.

Sopra c’è scritto, in piccolo, “Fuck you”. Se non la guardassi proprio lì, forse non l'avrei notato. 

Possiamo farlo insieme, se vuoi.

Non riesco a smettere di sorridere.

«Allora i tuoi amici ti vogliono… fare accoppiare.»

Ma dov’eri, fin’ora?

«Afferrato.»

«Ti dà fastidio.» Si stringe nelle spalle, esile.

«Già.» Mi passo una mano fra i capelli.

Ma perché fa quella faccia dispiaciuta? Di solito le ragazze sbavano.

Forse dovevo vestirmi meglio, ma chi ci pensava…

«Ora però me ne devo andare. Altrimenti scoppia la terza guerra mondiale… »

«Ehi, un attimo.»

«Altrimenti viene a prendermi l’armata degli Stati Uniti con tanto di bombe e cannoni e Demi Moore travestita da Soldato Jane. Con tanto di musichetta in sottofondo… anzi, non mi ricordo la colonna sonora di quel film, ma io proporrei “This is War”, la canta Jared Leto che è un figo pazzesco! Ehm… scusa, quindi… »

Il mio sguardo scende sulle gambe, indossa dei pantaloncini corti, sento caldo. Mi ricordo di altri appuntamenti, di come ho fatto a trattenere una ragazza con me.

Non è così difficile, su.

Si lecca le labbra, Cristo.

Le piace Jared Leto ed io non gli somiglio, cazzo.

«Ma no, dai, non andare…» Occhi da cucciolo. Funzionano sempre.

«Lo so come siete voi ragazzi della riserva, trattate le ragazze… come i fazzoletti, prima li usi e poi li getti. O come i pannolini dei bambini, si buttano subito dopo. O come la carta igenica... »

«Come ti chiami?»

«Devo scappare, sul serio. »

Si passa una ciocca dietro l’orecchio, si sistema la frangia.

«Su, dai, così ti posso trovare su pagine gialle.»

«Mi chiamo Ashley Stephens.»

«Embry Call.»

«Devo andare.» Fa qualche passo, lo sguardo fisso sulle sue scarpe. Mi metto davanti a lei e viene a sbattermi contro.

«Giochi a biliardo?»

Limone e lavanda.

«Senti, Embry… Conosco il golf, la pallavolo, il tennis, anche il football ma non il biliardo!»

Certo che è lamentosa. Si vede proprio che è una che studia. L’avrà finito il liceo? O forse va all’Università?

«Te lo insegno io.» Cerco di fare la voce dolce.

«Ho il cervello che si inceppa, sono lenta. Hai presente… “Il signore degli anelli”? Leggi cinquanta pagine, poi non leggi per due giorni e non ti ricordi una ceppa e devi sempre andarti a rivedere l’albero genealogico dei personaggi? » Gesticola con le mani. «Così! Una palla totale! Sì… ma io amo “Il signore degli Anelli”, non pensare che io… no, sul serio, per te sarebbe una perdita di tempo…»

«Non ho fretta.»

L’ombra di un sorriso nasce fra le sue labbra carnose. Resta in silenzio per un secondo ed io la guardo così, come se stessi osservando un paesaggio. Ha una fossetta vicino lo zigomo.

Le porgo la stecca, mi guarda. Appoggia la sua borsa – c’è la faccia di Spongebob sopra, fantastico! – su una sedia accanto a me.

Sorride ancora. «Lo faccio solo per tenerti contento, te l’ho già detto?»

Ho tutto il tempo del mondo.

«È bello sentirlo.»

***

«Ash! Ash, mi apri? Cazzo, Ash!» Sbraito, davanti alla porta di casa sua. Non mi perdonerà, stavolta. E non ho nemmeno un motivo da metterle di fronte per convincerla a farmi entrare e rivolgermi la parola. È mezzanotte e mezza, avremmo dovuto vederci alle otto e mi sono presentato solo mezz’ora fa. Ha ragione, tremendamente. Ed io sono un coglione. Un coglione che deve sempre obbedire al suo capobranco e stare di ronda ogni volta che viene richiesto.

La porta si apre.

Ashley.

Spingo con la mano.

«Ash?» chiamo il suo nome, la voce pacata.

Non farmi entrare da solo, Ash.

Faccio qualche passo.

Lei è già corsa via. L’altra volta si è chiusa in bagno, a chiave, e ci sono volute ore per convincerla ad uscire. Ha aperto la porta solo per cercare di prendermi a pugni, ma almeno sono riuscito a guardarla negli occhi. Bellissimi occhi verde prato, come la radura in cui mi sono svegliato dopo la trasformazione.  Quando ho capito che l’incendio aveva preso solo me e non quello che mi era intorno.

«Oh, Ashley…» Non mi risponde.

Spacca, spacca, spacca tutto. Ogni cosa che trovi si sgretola perché non ascolti la sua voce. Le tue bugie stanno diventando solo pioggia tossica, non lo vedi?

Le stai facendo del male.

Raggiungo la cucina.

È appoggiata al tavolo, il telecomando sotto il mento e i capelli alzati, qualche ciocca a caderle sul viso. Lo sguardo fisso sul televisore.

Le stai facendo male.

«Ash.»

Solo il silenzio.

Ecco la conseguenza. Quando ci siamo conosciuti mi ha colpito quanto parlava.

Tanto, tanto, tanto, a volte si imbrogliava lei stessa. Ma io la capivo benissimo e allora ridevamo della sua maglia con su scritto “Fuck you”. Sì, lei avrebbe voluto indossarla davanti ad un certo professore…

È assente, lontana, delusa.

Indifferente.

«Cazzo, non puoi farmi questo!» Spingo una sedia all’aria e mi pento perché lei sussulta. Viene fuori dal guscio in cui si è nascosta, con gli occhi socchiusi e la paura sul volto.

«Basta. Io non ce la faccio.» Abbassa il volume del televisore e appoggia il telecomando sul tavolo, piano, come se avesse tutto il tempo del mondo.

Ashley Stephens, futura biologa marina, rimane in silenzio per colpa mia. Mette a tacere tutte le parole, i riferimenti ai libri di fantasia e alle sfumature dei colori della barriera corallina. Si spegne davanti a me, mi toglie la facoltà di vedere con lucidità.

«A fare cosa, non ce la fai?»

«A stare con te. Con quell’altra organizzati meglio, se hai un appuntamento con me.»

«Altra? Quale altra?»

«Vaffanculo, Embry.»

Nei suoi occhi le fiamme si alzano. Mi mordo le labbra, sento il sangue nella bocca. Un’unica lacrima brilla sulla sua  guancia come un diamante, e basta a farmi sentire il Verme Licantropo più Coglione di tutto l’Universo.

«Ma no… Ashley, ma che dici?»

«Cosa vuoi che dica? Cosa fai? Passi tutto il tempo in sala giochi con i tuoi amici? Per quanto possano essere rompiballe, e invadenti e pieni di problemi, con fidanzate incinte, padri malati e disoccupati e tutte le cose che mi racconti… stai sempre con loro? Non ci credo. Passi tutto il tempo al negozio sportivo? Non ci credo. C’è un’altra? Sì, Embry, è molto più probabile, visto che la sera in cui i miei e mio fratello non sono in casa e possiamo stare soli tu… nemmeno ti degni di chiamarmi per dirmi che arriverai con quattro ore di ritardo!»

«Mi dispiace. È che Quil aveva un problema con la bambina piccola, Claire, e…»

«Fottiti, Embry.»

Stringo i pugni contro i fianchi e cerco di controllarmi. Non mi trasformerò, non lo farò, mi controllerò.

Ne sono capace. Ne sei capace.

La abbraccerò. La abbraccerai.

Le parlerò. Le parlerai.

Affonderò le mani nei suoi capelli. Ti aggrapperai.

Non posso lasciare che succeda veramente, io la amo.

Cazzo, io…

Io la amo.

«Ashley.» Le prendo la mano, si scosta. Dice tutte le parolacce che non mi ha mai detto in vita sua. È fantastica, lo so. Come quella volta in cui mi ha battuto a giocare a Bowling. Come quella volta in cui mi è andato di traverso un popcorn al cinema mentre la guardavo e ha chiamato la sicurezza. Come quella volta in cui l’ho accompagnata all’Università e mangiava caramelle su caramelle per calmare il nervosismo dell’esame.

Non sopporta che io la tocchi quando non lo vuole ed è proprio quello che sto facendo. Dio, quanto ti amo. Mi spara addosso tutti gli appellativi del mondo e mi viene da ridere se penso che potrebbe anche sputarmi in faccia. Altra? Ma che altra. Sono così coglione da essermi messo in questo guaio. Perché non è la prima volta che frequento una ragazza. Pizza, cinema, sesso a casa loro. Qualche bella seratina e poi ciao. Statti bene, Em. Anche tu.

Con lei non ce la faccio.

«Non c’è nessun’altra.» le dico. Lei si dimena ancora, piccola fra le mie braccia. La pelle umida della città e secca dello smog. Università, corso fuori sede a Port Angeles di questa mattina.

Da quanto tempo aspettavamo questa sera? Il bisogno di stare insieme aumenta sempre di più, anche adesso che lei mi odia da impazzire, da far impazzire me, da far perdere la testa a entrambi. È arrabbiata, non mi vuole più vedere, ma forse c’è ancora qualcosa che la tiene qui con me.

«Non è vero, sei solo uno stronzo! Ed io sono una cretina, una…. Una grandissima cretina… È finita.»

«Non è vero… non c’è nessun’ altra. È che sono incasinato… e mi dispiace, veramente. Mi dispiace, mi dispiace… per favore, non mandarmi via…» Io mi trasformo in lupo, Ash, è per questo che scotto. Potrei finire per bruciarti, per favore, non fare troppe domande. Facciamo i controlli lungo i confini, a ogni ora del giorno. Vi proteggiamo dai vampiri ed è un segreto, amore, non posso dirtelo, Sam me l’ha proibito.

«Vattene.»

«Ashley.»

«Vattene.»

«Ti prego.»

«Vattene!»

Continuo a stringerla e avvicino il mio viso al suo, per cercarla, trovarla, averla ancora. Non riesco più a trattenermi. Nemmeno quando la sua mano raggiunge il mio viso in un veloce, rumoroso, doloroso schiaffo sulla mia faccia. Non mi ferma nemmeno questo. Solo una specie di sorpresa iniziale, perché sento che è davvero presa dalla rabbia, o troppo ferita, o ancora invasa da quell’inutile complesso di non riuscire mai a farsi volere bene. Così quella mano la afferro, odore di mare, qualcosa di chimico ma lavato via bene. Amore mio, lavanda e limone. La ragazza che non smette mai di parlare e che ha pianto di dolore quando siamo caduti dalla moto e che ora annaspa sotto le mie dita. Ora che poso la bocca bollente sul suo collo e poi tocco la sua lingua con la mia.

È sempre la stessa storia, faccio sempre lo stesso errore.

«Embry…»

«Tu non vuoi che me ne vada. Non lo vuoi.»

Silenzio.

Ecco, così è un pugno nello stomaco. Quando non mi risponde e mi nega quell’insopportabile e bellissima parte di lei.

Non riesce a trattenere il tremore, quando le accarezzo la pelle che va dal viso a quella che le copre il colletto della camicetta.

Limone e lavanda, capelli rossi sul petto. Pelle bianca, il riflesso della piovosa penisola Olimpica.

Adesso è finita.

Sento la sua bocca sulla mia, le sue mani fra i miei capelli. Ventidue anni, tre più di me. Sento solo che se dovessi pensare a una ragazza con cui immaginarmi nel futuro lei sarebbe accanto a me, sempre.

Andiamo a sbattere con i denti, gemo. La amo, la amo, la amo. Se aspetto ancora potrei morire. La vita oggi c’è, forse domani sarà solo una parolina da scrivere su una maglietta, come “fuck you” la prima volta in cui l’ho incontrata. Mi faccio avanti, le nostre bocche ancora l’una sull’altra. Sento il suo respiro sul mio viso, le fermo le mani dietro la schiena e le sbottono la camicetta. Affondo la bocca sul suo petto e ancora giù, più giù, la stoffa stretta fra le mie mani, come se stessi per cadere. Ashley muove la mani su di me, solleva l’orlo della mia maglietta. 

Ci guardiamo un’ultima volta. L’orologio segna un’ora improbabile, notte fonda, notte di vecchi film in televisione, popcorn. Sta piangendo. Dio, perché sta piangendo? Avremmo potuto rimanere abbracciati sul divano tutto il pomeriggio, a fare i cretini, i fidanzati. Due persone che si amano anche se non se lo sono mai dimostrati veramente e nemmeno se lo sono detti.

Forse questa volta non ha davvero niente da dire o non sa come dirlo o come organizzare i suoi discorsi da monologhi teatrali. Ma le parole affondano nella gola,  adesso che la faccio sedere sul tavolo e le sfilo i jeans, e le sue mani su di me mi fanno rabbrividire. Le bacio le guance rigate dalle sue lacrime, mi faccio spazio fra le sue gambe.

In silenzio, perché è notte, notte fonda.

Io sono libero solo adesso. Ed ho caldo e freddo nello stesso momento, ora che lei si aggrappa alle mie spalle, e si lascia amare. Mi muovo e la stringo con le mani e la bacio ancora. Sul collo e sulla bocca, e non mi fermo.

Non è finita.

Prendo tutto di lei, tutto quello che mi può dare.

Non c’è nessuna fine.

Si inarca ed io mi perdo a guardare il suo collo bianco, lei che non dice più niente e mi lascia il comando. Una collanina che scende sul suo petto, una “A” argentata che brilla sulla sua pelle.

Sono troppo lento, forse. E la cullo e mi lascio cullare dal suo respiro, la luce fioca, il buio.

Ti amo, ti amo, ti amo.

Facciamo sempre lo stesso errore e… Cazzo, non capisco più niente. Non capisco più niente da quando l’ho baciata e ora sta succedendo. Stringe le gambe intorno al mio bacino, forte. Le mie mani sono sulle sue ginocchia, a tenerle strette. E spingo e tremo e la amo. Ancora, sempre, non voglio smettere. La sua pelle, le sue mani, le sue labbra.

Sento i suoi denti graffiarmi la spalla. Adesso sono troppo veloce, troppo forte, troppo menefreghista da chiederle che cosa vuole. Sento la sua carezza sulla nuca, mi abbasso, occhi negli occhi. Continuo e lei li chiude e li vedo lo stesso, verdi come la radura che mi ha salvato, perché anche lei mi tiene vivo ogni giorno. Li chiude in una smorfia che ho visto altre volte, qualche parola stretta fra i denti. Mi sento percosso da qualcosa che mi fa sentire freddo, i brividi partono dalla mia spina dorsale e volano sul cervello. Ogni cosa si spegne, non esiste più niente. Mi sto solo muovendo e non potrei parlare nemmeno se lo volessi.

Adesso può sentirmi. Le sto dicendo tutto.

Sono suo, lei è mia, non mi importa chi sono, chi è lei, cosa c’è nel mio sangue, cosa c’è nel suo, cosa posso fare, dove posso andare, quanto posso dire. Non importa, mi sta amando, mi sta baciando, non mi fermo. Sento il suo grido e l’onda mi percuote e mi toglie il respiro, non sono più io e ritorno me stesso con lei.  E il buio diventa una luce bianca, la tempesta del mare, e il fuoco che esplode nel lupo, io e lei e basta.

Fuggo in un urlo che mi fa sentire nuovo, mentre lei si accascia sul tavolo ed io non me ne accorgo e quasi la schiaccio, le mani ai lati della sua testa.

Apro gli occhi, lei sotto di me, alla luce della televisione con l’audio bassissimo. Pubblicità di una crema dimagrante.

Squallido.

Fra le sue gambe, a sfiorare un libro ancora aperto, odore di evidenziatore, lacrime di rabbia.

Fra le sue gambe, su un tavolo.

Squallido.

Mi stacco da lei, veloce. E la vedo coprirsi con quelle mani che mi fanno andare in fibrillazione. La camicetta è finita sulla sedia, dall’altra parte. Non ho nemmeno avuto la decenza di togliermi tutto, lei ha ancora i capelli legati. Ho i pantaloni abbassati che mi fanno inciampare e mi faccio schifo da solo. Me li alzo, lei ha ancora l’affanno. Prendo la camicetta e gliela porgo, senza dire niente.

«È… È tardi, io…»

La voce mi muore nella gola.

Non è vero che mio nonno si è ammalato, non l’ho mai conosciuto.

Mi dispiace tanto, Embry.

Non è vero che la ragazza di Paul è rimasta incinta, lei studia fuori città.

Che casino, mi dispiace.

E non è vero che Quil aveva bisogno di aiuto con Claire. Sa cavarsela benissimo da solo.

Non se la rimette, quella camicia. Nuda e con le guance rosse di calore, la usa come coperta. Il suo sguardo mi trova ed io non riesco a sostenerlo. Non ho più fiato, non ho parole, non ho un modo per dirle che ora, qui, per me, è la cosa più importante che ho. Perché voglio cominciare da quella cosa e non posso…

Scappa via e mi do l’ordine di essere più veloce. Cerco di avere gli stessi pensieri di un Alpha, di immaginare la voce di Sam che mi dice puoi farlo, puoi dirle la verità. Ma non ce la faccio e sento solo la mia voce del cazzo, piccola, sottile,  prostrata al volere di un altro capo. Che non dà ordini e esprime solo desideri che non verranno mai ascoltati.

E così sarà sempre,  fin quando lei non si sarà completamente stancata, o arresa a quest’evidenza.

Uno stupido che è abituato ad avere tutte le ragazze che vuole e che chissà per quale motivo non si è stufato di lei, anche se sono passati.. quanti, sette mesi? Un vero record. Arriva agli appuntamenti con quattro ore di ritardo e si impegna talmente tanto che alla fine riesce pure a scoparsela.

Siamo fottuti entrambi.

Perché se uno di noi avesse il coraggio di chiudere sarebbe meglio, soprattutto per lei. Ma questo coraggio non ce l’ha nessuno e facciamo sempre lo stesso errore. Allora ci sono lacrime e rabbia e bugie e amarsi in fretta, ovunque ci capiti.

E rimango zitto, con le mani fra i capelli, come un pazzo che sta per rompere qualcosa, quel vaso sul mobile, quella statuetta a forma di angelo, quel bicchiere di cristallo fuori dalla cristalliera. Posso dare un pugno alla finestra, mordermi le labbra fino a sentire la carne più profonda fra i denti.

È tardi.

Te la sei fatta e hai detto solo “È tardi”.

Fa male, Cristo, fa male tutto. Fa male questo, vederla correre, sentire i suoi singhiozzi. Col cazzo che ascolto di nuovo Sam. Lascio il branco se non mi dice di sì, la prossima volta. Chi se ne frega se non è imprinting, chi se ne frega se lui non ci vede niente di speciale. È tutto quello che ho, per la miseria. Devo dirglielo.

Mi sono appoggiato al muro con la schiena. Respiro affannosamente, la aspetto. Sento l’acqua che scorre dal bagno, è veloce. Sento il rumore degli schizzi sullo specchio, la sua voce. Ancora singhiozzi e lacrime, lacrime e lacrime. Io che vorrei abbracciarla e dirle che va tutto bene, vorrei dirle che lei non ha niente che non va, che il problema sono io soltanto. Questa non è  una cavolata che si dice per liberarsi di una ragazza, è vero ed è per farla restare con me.

Quanto tempo passa? L’orologio segna un’ora improbabile che è la nostra, l’unico momento che ho trovato per raggiungerla.

Sono passate ore? Quante ore?

Mi viene incontro con la maglietta blu e la borsa con la faccia di Spongebob. Mi abbraccia perché l’ho solamente aiutata a portare i libri in macchina. Sta sorridendo perché le ho detto che è la ragazza più bella che io abbia mai conosciuto, ha “Il signore degli anelli” sotto il braccio. Lascia che le dia un bacio, alla luce del sole.

So solo che sono scivolato a terra, lo sguardo fisso verso un punto indefinito del pavimento. Il rumore dell’orologio mi accende i nervi, è tutto inutile…  è tutta colpa mia. Che cosa ha fatto per sopportare questo? Le sue foto incorniciate mi stanno di fronte, appese al muro. Lei da bambina che abbraccia un peluche con suo fratello in culla, lei a quindici anni alla gara di tiro con l’arco, lei con la toga del diploma a fare una linguaccia che non ci azzecca niente. Splendida e lontana da me, l’unica cosa buona che può succedere è che tutto finisca.

Ma fa troppo male.

Esce dal bagno con un accappatoio, i capelli sciolti e lunghi che le scendono sulle spalle.

«Vattene, Embry.» La sua voce è roca, si spezza come se avesse il raffreddore, come se stesse ancora piangendo.

«Non voglio. »

«Abbiamo chiuso, elimina il mio numero dalla tua pienissima rubrica.  Questa passerà alla storia come la tua storia più lunga. Va tutto, bene. Ok. Va tutto bene. Va tutto bene. Va tutto bene…»

«Non è vero.»

Cerca di chiudermi in faccia la porta della sua stanza ma io sono molto più forte. Un altro sforzo e la spalanco completamente.

«Vattene! La capisci la mia lingua?»

La mia donna sembra una bambina che vuole solo dormire, è esausta, non vuole ascoltarmi, non vuole vedermi. Io la vedo, la sento.

«Io ti amo.»

L’ho detto.

Sì, l’ho detto. La amo. Ora lo sa. Poi saprà il resto, glielo dirò. Quando tutto il casino sarà finito chiederò a Sam, e se mi dice di no chi se ne frega, mi faccio un branco a parte, chiederò a Jacob. Non posso vivere così, ed io voglio stare con lei, voglio diventare logorroico come lei, raccontarle ogni cosa come lei fa con me.

È immobile, una statua di ghiaccio. Gli occhi serrati.

Entro nella sua stanza.

«Ti amo.» Le accarezzo i capelli. Apre quei suoi occhi meravigliosi, gonfi di lacrime.

«Lasciami stare.» Si allontana.

«Ash, dai.»

«Non mi toccare. Non mi toccare.»

La abbraccio. Si dimena per poco perché è debole e piccola e non sopporta che io la tocchi quando non vuole. Ma poi si lascia prendere. La tengo stretta al mio petto, i capelli bagnati che si sparpagliano sulla mia pelle. Freddo e acqua e lavanda, limone.

«Hai ragione, hai tutte le ragioni del mondo a volermi male.»

La sento tremare fra le mie braccia.

«Sei solo un cretino.»

«Lo so. »

«Smettila, ok?»

«Di fare cosa?»

«Di essere così.»

«Come? »

Mette le sue mani sul mio petto, per spingersi indietro, ma non ce la fa. Potrei essere di nuovo pronto per quello, ma devo controllarmi. La amo, il punto è questo.

«Così.» Chiudo gli occhi al suono della sua voce.

«Dimmi di più.»

«Mi fa male la gola.»

Sospiro. Poso la mia bocca sulla sua guancia bagnata di acqua, profumo di fiori.

«Ti amo.»

Alza lo sguardo, le sopraciglia inarcate. Sta cercando di farmi dire qualcosa senza chiedermelo. Fa sempre così, quando non parla.

«Dico sul serio.»

Le mie mani scendono sui suoi fianchi, a stringerla di più. Spero solo che la smetta di farmi parlare, perché non avrei molto da dire per sembrare migliore del Peggio che sono.

Faccio un respiro profondo.

«Sono un fidanzato orrendo.»

Non avremmo nemmeno dovuto incontrarci, quella sera. Ma ero stato così bravo da farmi avere il suo numero. Poi ha cominciato a parlarmi di quello che è veramente, e là sono rimasto imbambolato. Ad ascoltare quella voce squillante che è la sua. Non avrei potuto impedire tutto il resto nemmeno se l’avessi voluto. Ci sono voluti due mesi e mezzo per un bacio, altri tre per avere quello che ho sempre ottenuto subito. So solo che mi sono sentito il ragazzo più felice della terra, quasi non avessi mai provato una cosa simile.

«Sì, sei orribile.» La tengo stretta, lei mi sussurra qualcosa,  sempre la stessa cosa che io non capisco comunque. Che cosa mi sta dicendo? Il  tessuto dell’asciugamano è così fastidioso che potrei strapparlo.

«Ash?»

«Mhm?»

«Quando tornano i tuoi? »

«Fra due giorni.»

Sorrido.

«E devo studiare.» Mi si attorciglia lo stomaco, mentre penso che preferirebbe studiare biologia invece di stare con me.

«Lascia perdere i libri.» Le bacio il collo, la mia mano scende dove l’accappatoio copre la sua pelle. Tremo insieme ai suoi brividi. «Ti amo.»

La sento serena sulla mia bocca, sul palmo delle mie mani, negli occhi, in ogni attimo.

In ogni sospiro.

Stupido, bellissimo, inevitabile errore.

 

 

Si mette addosso una maglietta blu, e sembra proprio che sia quella maglietta, come scordarla. Si gira ed io mi costringo a tenere gli occhi chiusi. Il materasso cigola, si è seduta accanto a me, io la vedo anche se sono con le palpebre chiuse. 

La sento, la vedo.

«Alzati, pigrone!» Questo è un vero e proprio spintone. Apro gli occhi e sì, la maglietta è proprio quella. C’è scritto “fuck you” in piccolo, vicino al seno.

«Dkjhgkdjhfdjghj.» Mi rigiro fra le lenzuola.

«Mhm?»

«Ti prego, non dirmi che ho sognato.» La mia voce è impastata di sonno, ma tengo gli occhi aperti lo stesso.

«Sei a casa mia.»

«Nel tuo letto.»

Sorrido così tanto da stirarmi la faccia.

«Forza, mi servi.» Indossa solo quella maglietta e un paio di mutandine, e quelle gambe lunghe e bianche sono davanti a me. La parola “fuck” sopra tutto questo splendore non mi aiuta per niente. Lo so, non cambierò mai.

«Puoi usarmi come più ti piace.»

«In pasto agli squali.»

«Diventerò un sirenetto.»

«Si dice tritone!»

«Ah, eh, scusa. Non sono io quello Nerd, qua.»

«Non sono Nerd. Nerd sono quelli che giocano ai videogiochi, i maghi del computer, sono capaci di entrare in un sistema di sicurezza, crackare, huckerare…»

«Lo so, amore. E anche se lo fossi mi piaceresti comunque.»

Mi abbraccia sì, ancora, piccola. Non voglio alzarmi mai più da questo letto. Va tutto bene, va tutto benissimo. Se incrocio di nuovo Sam ricominceranno i guai. Mi farà domande su domande, e dirà sempre le stesse cose…

«Dolce per essere stronzo. Ed io ne ho conosciuti parecchi, di stronzi. Il primo è stato in prima media, oddio, non puoi immaginare quanto odio quando…»

La zittisco con un bacio, e non mi stacco da lei fin quando respirare diventa l’unica cosa a cui possiamo aggrapparci per tenerci in vita. Anche se voglio che la mia vita sia lei.

«Ti amo, te l’ho già detto?»

Ride. Facciamo sempre lo stesso errore.

Ormai non abbiamo scelta ma chi vuole averla? È semplicemente il motivo per cui sono qui.

«È bello sentirlo.»

*

*

*

*

Embry e Ashley

Dedicato a Noemi, perché lo ama, perché è sempre disponibile per sclerare e perché la adoro :)) 

Grazie davvero, tata <3 <3 <3

Allora, questo è un missing moment di Destiny heart, ma si può leggere pur non conoscendo la storia, non ci sono spoiler. Certo, scometto che chi ha letto l'ultimo capitolo di Destiny heart vorrà farmi fuori dopo questo XD Comunque credo che Embry dovrebbe sdebitarsi con Noemi perché lei gli sta procurando diverse relazioni. A Embry piacciono le rosse, ormai è canon... lo abbiamo deciso noi XD. Faccio parte di un gruppo che si chiama Embry's Angels, quindi tutto quello che è successo in questa storia è stato deciso dalla provvidenza divina di Santo Pino di Forks *i cori degli angeli cantano*

Spero che questa one-shot vi sia piaciuta, a me è piaciuto tanto scriverla <3 Se volete potete lasciarmi la vostra opinione <3 Vi consiglio di ascoltare la canzone che vi ho linkato all'inizio, Same Mistake di James Blunt, io la adoro :)

Grazie davvero per aver letto <3 <3 <3

EDIT. Una mia amica mi ha convinto. Una volta terminata Destiny heart continuerò la storia di questi due ragazzi. In realtà già ci pensavo, voglio ancora scrivere di loro <3.

EDIT. Questo primo capitolo è arrivato secoso al contest [MULTIFANDOM & ORIGINALI FLASH CONTEST] show your best- solo storie edite di Postergirl <3 <3 e ha vinto il premio "miglior scena rossa" *.*

premio

Grazie davvero.


Ania <3

   
 
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