Same Mistake
I’m screaming at the top of my voice,
Give me reason, but don’t give me choice,
Cos I’ll just make the same mistake again
James Blunt - Same Mistake
Belli i pomeriggi passati
a dormire sul divano.
Quil con Claire, Paul da
Rachel, Jacob a Seattle, Seth a fare quel corso inutile che non gli servirà
mai, Rory mi ha piantato con
un messaggio dopo una settimana, due paroline in inglese abbreviato.
Nessuna tragedia, per
carità. Ho un sacco di numeri di telefono... mi basta seguire l’ordine
alfabetico.
C’è solo un piccolo
problema mutante che tengo sempre per me, ma per il resto tutto fila
liscio.
Fila.
Liscio.
La pallina raggiunge la
buca e punto.
Vittoria.
Senza vedere e senza
sentire.
Non vedere e non sentire.
Jared leva il triangolo di plastica in cui sono racchiuse le palle da biliardo.
Vieni, vieni, vieni. La gialla si avvicina, piano. Colpisco, reazione a
catena.
Buca.
«Sei proprio uno stronzo.»
biascica, poi morde l’hot dog che ha in mano.
Rido, mentre lui si
ingozza con il panino. Da quando sta con Kim non fa che dire cose strane.
Trovare una ragazza, l’imprinting, sistemarsi.
Che palle.
«Allora, lei si chiama
Charlotte Evans. Ha vent’anni e studia Lingue. »
«Mmh… lingue. Mi piace.»
«Intelligente,
carismatica… »
«Che me faccio, idiota.
Ci sono cose più importanti: come ce le ha le tette?»
Mi dà una gomitata, la
senape scivola dal panino e cade sul pavimento. Si guarda intorno, con aria
furtiva.
«Non l’ho mai vista. So
solo che è mora.»
«Vuoi vedere che mi hai
portato una cessa.»
«Io non ti faccio mai
uscire con delle cesse.»
«Me la danno sempre molto
presto, questo è sicuro. »
Mi appoggio alla stecca e
inspiro l’aria che mi sta intorno.
Odore di tabacco,
patatine e plastica dura.
Adesso anche fiori…
lavanda.
Buono.
Lo senti.
C’è anche un po’ di
limone.
Lo vedi.
«Senti, Kim mi aspetta.»
Jared si guarda l’orologio. «Lei ti riconoscerà perché tu sei… “Quello con il
tatuaggio del lupo sul braccio”. Lei avrà una “E” di Evans sulla giacca per
farsi riconoscere. Una vecchia giacca del liceo, di quando era nella
squadra di pallavolo.»
«I preservativi ce li
hai, no? »
«Embry, non sono cretino.
»
«Certo. Per questo ti ho
detto io come si mettevano.»
«Avevamo quattordici
anni.»
«Quindici.»
«Fai il bravo.»
«Sì, mammina.»
Mammina imprintata.
Lo seguo con lo sguardo,
si dirige all’uscita con la testa bassa, le mani nei passanti dei jeans.
Le ragazze gli guardano
il culo.
Che cosa si perde.
Le è passato davanti
senza degnarla nemmeno di uno sguardo. Non si può essere così coglioni. Nemmeno
a chiederle scusa dopo esserle andato a sbattere.
Ma si è sniffato il
cervello?
La vedi.
Il vento di fuori le fa
muovere i capelli.
Lavanda e limone.
La senti.
La stecca sta per
scivolarmi dalle mani.
Comincia a camminare.
Porca zozza, ed io dovrei
avere un appuntamento con un’altra, stasera?
I capelli rossi e lucidi
le ondeggiano sulle spalle. Ha la pelle chiarissima, di Forks.
Perché non l’ho mai vista
prima?
Porca… porca… porca…
Perché sembra che stia
camminando verso di me?
Oddio, sta camminando
verso di me.
Bene.
Benissimo, come sempre.
Sono pronto.
«Ciao… ehm… Ephraim? » Si
sistema la borsa a tracolla sulla spalla.
Il viso bianco e le
guance rosa sotto la luce verdastra della sala giochi.
«Ehi.» Mi appoggio con il
gomito alla stecca e la guardo, la testa inclinata. Niente male, anche da
questa angolazione.
«Allora sei Ephraim?»
ripete. Ha la voce morbida, va liscia sulla musica che è una meraviglia.
«Più facile, Embry.»
«’Palle… mi ha scritto il
nome sbagliato…» Stropiccia il foglio che ha in mano e se lo mette in tasca,
sembra che sia scocciata.
Ok, calmo…
Mi schiarisco la gola.
«Tu come ti…?»
«Sì, lo so, avevi un
appunto con mia cugina… Lotte Evans, giusto? Tu sei… “Quello con il
tatuaggio”.» Ha gli occhi chiari, sembrano verdi.
Faccio per dire qualcosa,
le sorrido. Lei mette le mani davanti a sé, come per proteggersi.
«No, no, no, non dirmi
niente.» Fa un respiro profondo. «Questione numero uno: IO non sono
disponibile a dare buca a tutti i ragazzi con cui Charlotte deve uscire perché
fa pace con quel cazzone del suo ragazzo delle medie. Questa è l’ultima volta.
Cioè, per farlo mi ha dato venti dollari, e mi servivano perché… insomma, una
cosa mia, non la racconto alla gente che non conosco! Questione numero due: IO
non entro nelle sale giochi, non mi piace. Quindi è del tutto un caso che io
sia passata di qui, e che mia cugina sia riuscita ad incrociarmi per fare
questa cosa. Questione numero tre: IO sono stanca di farle da segretaria e
questa è, appunto, l’ultima volta. Ormai i venti dollari ce li ho e devo
accontentarla perché non sarebbe carino fare il contrario. Mi dispiace,
Ephraim… sì, cioè, Embry, ma stasera non uscirai con quella… cioè, con
Charlotte. Mi ha detto di dirti che è dispiaciuta e che…»
«Che ne dici di
respirare?» Mi metto a ridere e le sue guance diventano più rosse dei suoi
capelli. «Comunque stasera non mi andava di andare ad un appuntamento al buio,
quindi va bene così.»
Scrollo le spalle. Sembra
davvero nervosa. La maglietta blu le mette ancora più in risalto la pelle
chiara.
Sopra c’è scritto, in piccolo, “Fuck
you”. Se non la guardassi proprio lì, forse non l'avrei notato.
Possiamo farlo insieme,
se vuoi.
Non riesco a smettere di
sorridere.
«Allora i tuoi amici ti
vogliono… fare accoppiare.»
Ma dov’eri, fin’ora?
«Afferrato.»
«Ti dà fastidio.» Si
stringe nelle spalle, esile.
«Già.» Mi passo una mano
fra i capelli.
Ma perché fa quella
faccia dispiaciuta? Di solito le ragazze sbavano.
Forse dovevo vestirmi
meglio, ma chi ci pensava…
«Ora però me ne devo
andare. Altrimenti scoppia la terza guerra mondiale… »
«Ehi, un attimo.»
«Altrimenti viene a prendermi
l’armata degli Stati Uniti con tanto di bombe e cannoni e Demi Moore travestita
da Soldato Jane. Con tanto di musichetta in sottofondo… anzi, non mi ricordo la
colonna sonora di quel film, ma io proporrei “This is War”, la canta Jared Leto
che è un figo pazzesco! Ehm… scusa, quindi… »
Il mio sguardo scende
sulle gambe, indossa dei pantaloncini corti, sento caldo. Mi ricordo di altri
appuntamenti, di come ho fatto a trattenere una ragazza con me.
Non è così difficile, su.
Si lecca le labbra, Cristo.
Le piace Jared Leto ed io
non gli somiglio, cazzo.
«Ma no, dai, non andare…»
Occhi da cucciolo. Funzionano sempre.
«Lo so come siete voi
ragazzi della riserva, trattate le ragazze… come i fazzoletti, prima li usi e
poi li getti. O come i pannolini dei bambini, si buttano subito dopo. O come la
carta igenica... »
«Come ti chiami?»
«Devo scappare, sul
serio. »
Si passa una ciocca
dietro l’orecchio, si sistema la frangia.
«Su, dai, così ti posso
trovare su pagine gialle.»
«Mi
chiamo Ashley Stephens.»
«Embry
Call.»
«Devo andare.» Fa qualche
passo, lo sguardo fisso sulle sue scarpe. Mi metto davanti a lei e viene a
sbattermi contro.
«Giochi a biliardo?»
Limone e lavanda.
Certo che è lamentosa. Si
vede proprio che è una che studia. L’avrà finito il liceo? O forse va
all’Università?
«Te lo insegno io.» Cerco
di fare la voce dolce.
«Ho il cervello che si
inceppa, sono lenta. Hai presente… “Il signore degli anelli”? Leggi cinquanta
pagine, poi non leggi per due giorni e non ti ricordi una ceppa e devi sempre
andarti a rivedere l’albero genealogico dei personaggi? » Gesticola con le
mani. «Così! Una palla totale! Sì… ma io amo “Il signore degli Anelli”, non
pensare che io… no, sul serio, per te sarebbe una perdita di tempo…»
«Non ho fretta.»
L’ombra di un sorriso
nasce fra le sue labbra carnose. Resta in silenzio per un secondo ed io la
guardo così, come se stessi osservando un paesaggio. Ha una fossetta vicino lo
zigomo.
Le porgo la stecca, mi
guarda. Appoggia la sua borsa – c’è la faccia di Spongebob sopra, fantastico! –
su una sedia accanto a me.
Sorride ancora. «Lo faccio
solo per tenerti contento, te l’ho già detto?»
Ho tutto il tempo del
mondo.
«È bello sentirlo.»
***
«Ash! Ash, mi apri?
Cazzo, Ash!» Sbraito, davanti alla porta di casa sua. Non mi perdonerà, stavolta.
E non ho nemmeno un motivo da metterle di fronte per convincerla a farmi
entrare e rivolgermi la parola. È mezzanotte e mezza, avremmo dovuto vederci
alle otto e mi sono presentato solo mezz’ora fa. Ha ragione, tremendamente. Ed
io sono un coglione. Un coglione che deve sempre obbedire al suo capobranco e
stare di ronda ogni volta che viene richiesto.
La porta si apre.
Ashley.
Spingo con la mano.
«Ash?» chiamo il suo
nome, la voce pacata.
Non farmi entrare da
solo, Ash.
Faccio qualche passo.
Lei è già corsa via.
L’altra volta si è chiusa in bagno, a chiave, e ci sono volute ore per
convincerla ad uscire. Ha aperto la porta solo per cercare di prendermi a
pugni, ma almeno sono riuscito a guardarla negli occhi. Bellissimi occhi verde
prato, come la radura in cui mi sono svegliato dopo la trasformazione.
Quando ho capito che l’incendio aveva preso solo me e non quello che mi era
intorno.
«Oh, Ashley…» Non mi
risponde.
Spacca, spacca, spacca
tutto. Ogni cosa che trovi si sgretola perché non ascolti la sua voce. Le tue
bugie stanno diventando solo pioggia tossica, non lo vedi?
Le stai facendo del male.
Raggiungo la cucina.
È appoggiata al tavolo,
il telecomando sotto il mento e i capelli alzati, qualche ciocca a caderle sul
viso. Lo sguardo fisso sul televisore.
Le stai facendo male.
«Ash.»
Solo il silenzio.
Ecco la conseguenza.
Quando ci siamo conosciuti mi ha colpito quanto parlava.
Tanto, tanto, tanto, a
volte si imbrogliava lei stessa. Ma io la capivo benissimo e allora ridevamo
della sua maglia con su scritto “Fuck you”. Sì, lei avrebbe voluto indossarla
davanti ad un certo professore…
È assente, lontana,
delusa.
Indifferente.
«Cazzo, non puoi farmi
questo!» Spingo una sedia all’aria e mi pento perché lei sussulta. Viene fuori
dal guscio in cui si è nascosta, con gli occhi socchiusi e la paura sul volto.
«Basta. Io non ce la
faccio.» Abbassa il volume del televisore e appoggia il telecomando sul tavolo,
piano, come se avesse tutto il tempo del mondo.
Ashley Stephens, futura
biologa marina, rimane in silenzio per colpa mia. Mette a tacere tutte le
parole, i riferimenti ai libri di fantasia e alle sfumature dei colori della
barriera corallina. Si spegne davanti a me, mi toglie la facoltà di vedere con
lucidità.
«A fare cosa, non ce la
fai?»
«A stare con te. Con
quell’altra organizzati meglio, se hai un appuntamento con me.»
«Altra? Quale altra?»
«Vaffanculo, Embry.»
Nei suoi occhi le fiamme
si alzano. Mi mordo le labbra, sento il sangue nella bocca. Un’unica lacrima
brilla sulla sua guancia come un diamante, e basta a farmi sentire il Verme
Licantropo più Coglione di tutto l’Universo.
«Ma no… Ashley, ma che
dici?»
«Cosa vuoi che dica? Cosa
fai? Passi tutto il tempo in sala giochi con i tuoi amici? Per quanto possano
essere rompiballe, e invadenti e pieni di problemi, con fidanzate incinte,
padri malati e disoccupati e tutte le cose che mi racconti… stai sempre con
loro? Non ci credo. Passi tutto il tempo al negozio sportivo? Non ci credo. C’è
un’altra? Sì, Embry, è molto più probabile, visto che la sera in cui i miei e
mio fratello non sono in casa e possiamo stare soli tu… nemmeno ti degni di
chiamarmi per dirmi che arriverai con quattro ore di ritardo!»
«Mi dispiace. È che Quil
aveva un problema con la bambina piccola, Claire, e…»
«Fottiti, Embry.»
Stringo i pugni contro i
fianchi e cerco di controllarmi. Non mi trasformerò, non lo farò, mi
controllerò.
Ne sono capace. Ne sei
capace.
La abbraccerò. La
abbraccerai.
Le parlerò. Le
parlerai.
Affonderò le mani nei
suoi capelli. Ti aggrapperai.
Non posso lasciare che
succeda veramente, io la amo.
Cazzo, io…
Io la amo.
«Ashley.» Le prendo la
mano, si scosta. Dice tutte le parolacce che non mi ha mai detto in vita sua. È
fantastica, lo so. Come quella volta in cui mi ha battuto a giocare a Bowling.
Come quella volta in cui mi è andato di traverso un popcorn al cinema mentre la
guardavo e ha chiamato la sicurezza. Come quella volta in cui l’ho accompagnata
all’Università e mangiava caramelle su caramelle per calmare il nervosismo dell’esame.
Non sopporta che io la tocchi quando non lo vuole ed è proprio quello che sto facendo. Dio,
quanto ti amo. Mi spara addosso tutti gli appellativi del mondo e mi viene
da ridere se penso che potrebbe anche sputarmi in faccia. Altra? Ma che altra.
Sono così coglione da essermi messo in questo guaio. Perché non è la prima
volta che frequento una ragazza. Pizza, cinema, sesso a casa loro. Qualche
bella seratina e poi ciao. Statti bene, Em. Anche tu.
Con lei non ce la faccio.
«Non c’è nessun’altra.»
le dico. Lei si dimena ancora, piccola fra le mie braccia. La pelle umida della
città e secca dello smog. Università, corso fuori sede a Port Angeles di questa
mattina.
Da quanto tempo
aspettavamo questa sera? Il bisogno di stare insieme aumenta sempre di più,
anche adesso che lei mi odia da impazzire, da far impazzire me, da far perdere
la testa a entrambi. È arrabbiata, non mi vuole più vedere, ma forse c’è ancora
qualcosa che la tiene qui con me.
«Non è vero, sei solo uno
stronzo! Ed io sono una cretina, una…. Una grandissima cretina… È finita.»
«Non è vero… non c’è
nessun’ altra. È che sono incasinato… e mi dispiace, veramente. Mi dispiace, mi
dispiace… per favore, non mandarmi via…» Io mi trasformo in lupo, Ash, è per
questo che scotto. Potrei finire per bruciarti, per favore, non fare troppe
domande. Facciamo i controlli lungo i confini, a ogni ora del giorno. Vi
proteggiamo dai vampiri ed è un segreto, amore, non posso dirtelo, Sam me l’ha
proibito.
«Vattene.»
«Ashley.»
«Vattene.»
«Ti prego.»
«Vattene!»
Continuo a stringerla e
avvicino il mio viso al suo, per cercarla, trovarla, averla ancora. Non riesco
più a trattenermi. Nemmeno quando la sua mano raggiunge il mio viso in un
veloce, rumoroso, doloroso schiaffo sulla mia faccia. Non mi ferma nemmeno
questo. Solo una specie di sorpresa iniziale, perché sento che è davvero presa
dalla rabbia, o troppo ferita, o ancora invasa da quell’inutile complesso di
non riuscire mai a farsi volere bene. Così quella mano la afferro, odore di
mare, qualcosa di chimico ma lavato via bene. Amore mio, lavanda e limone. La
ragazza che non smette mai di parlare e che ha pianto di dolore quando siamo
caduti dalla moto e che ora annaspa sotto le mie dita. Ora che poso la bocca
bollente sul suo collo e poi tocco la sua lingua con la mia.
È sempre la stessa
storia, faccio sempre lo stesso errore.
«Embry…»
«Tu non vuoi che me ne
vada. Non lo vuoi.»
Silenzio.
Ecco, così è un pugno
nello stomaco. Quando non mi risponde e mi nega quell’insopportabile e bellissima
parte di lei.
Non riesce a trattenere
il tremore, quando le accarezzo la pelle che va dal viso a quella che le copre
il colletto della camicetta.
Limone e lavanda, capelli
rossi sul petto. Pelle bianca, il riflesso della piovosa penisola Olimpica.
Adesso è finita.
Sento la sua bocca sulla
mia, le sue mani fra i miei capelli. Ventidue anni, tre più di me. Sento solo
che se dovessi pensare a una ragazza con cui immaginarmi nel futuro lei sarebbe
accanto a me, sempre.
Andiamo a sbattere con i denti, gemo. La amo, la amo, la amo. Se aspetto ancora potrei morire. La vita oggi c’è, forse domani sarà solo una parolina da scrivere su una maglietta, come “fuck you” la prima volta in cui l’ho incontrata. Mi faccio avanti, le nostre bocche ancora l’una sull’altra. Sento il suo respiro sul mio viso, le fermo le mani dietro la schiena e le sbottono la camicetta. Affondo la bocca sul suo petto e ancora giù, più giù, la stoffa stretta fra le mie mani, come se stessi per cadere. Ashley muove la mani su di me, solleva l’orlo della mia maglietta.
Ci guardiamo un’ultima volta. L’orologio segna un’ora improbabile,
notte fonda, notte di vecchi film in televisione, popcorn. Sta piangendo. Dio,
perché sta piangendo? Avremmo potuto rimanere abbracciati sul divano tutto il
pomeriggio, a fare i cretini, i fidanzati. Due persone che si amano anche se
non se lo sono mai dimostrati veramente e nemmeno se lo sono detti.
Forse questa volta non ha
davvero niente da dire o non sa come dirlo o come organizzare i suoi discorsi
da monologhi teatrali. Ma le parole affondano nella gola, adesso che la
faccio sedere sul tavolo e le sfilo i jeans, e le sue mani su di me mi fanno
rabbrividire. Le bacio le guance rigate dalle sue lacrime, mi faccio spazio fra
le sue gambe.
In silenzio, perché
è notte, notte fonda.
Io sono libero solo
adesso. Ed ho caldo e freddo nello stesso momento, ora che lei si aggrappa alle
mie spalle, e si lascia amare. Mi muovo e la stringo con le mani e la bacio
ancora. Sul collo e sulla bocca, e non mi fermo.
Non è finita.
Prendo tutto di lei,
tutto quello che mi può dare.
Non c’è nessuna fine.
Si inarca ed io mi perdo
a guardare il suo collo bianco, lei che non dice più niente e mi lascia il
comando. Una collanina che scende sul suo petto, una “A” argentata che brilla
sulla sua pelle.
Sono troppo lento, forse.
E la cullo e mi lascio cullare dal suo respiro, la luce fioca, il buio.
Ti amo, ti amo, ti amo.
Facciamo sempre lo stesso
errore e… Cazzo, non capisco più niente. Non capisco più niente da quando l’ho
baciata e ora sta succedendo. Stringe le gambe intorno al mio bacino, forte. Le
mie mani sono sulle sue ginocchia, a tenerle strette. E spingo e tremo e la
amo. Ancora, sempre, non voglio smettere. La sua pelle, le sue mani, le sue
labbra.
Sento i suoi denti graffiarmi
la spalla. Adesso sono troppo veloce, troppo forte, troppo menefreghista da
chiederle che cosa vuole. Sento la sua carezza sulla nuca, mi abbasso, occhi
negli occhi. Continuo e lei li chiude e li vedo lo stesso, verdi come la radura
che mi ha salvato, perché anche lei mi tiene vivo ogni giorno. Li chiude in una
smorfia che ho visto altre volte, qualche parola stretta fra i denti. Mi sento
percosso da qualcosa che mi fa sentire freddo, i brividi partono dalla mia
spina dorsale e volano sul cervello. Ogni cosa si spegne, non esiste più
niente. Mi sto solo muovendo e non potrei parlare nemmeno se lo volessi.
Adesso può sentirmi. Le
sto dicendo tutto.
Sono suo, lei è mia, non
mi importa chi sono, chi è lei, cosa c’è nel mio sangue, cosa c’è nel suo, cosa
posso fare, dove posso andare, quanto posso dire. Non importa, mi sta amando,
mi sta baciando, non mi fermo. Sento il suo grido e l’onda mi percuote e mi
toglie il respiro, non sono più io e ritorno me stesso con lei. E il buio
diventa una luce bianca, la tempesta del mare, e il fuoco che esplode nel lupo,
io e lei e basta.
Fuggo in un urlo che mi
fa sentire nuovo, mentre lei si accascia sul tavolo ed io non me ne accorgo e
quasi la schiaccio, le mani ai lati della sua testa.
Apro gli occhi, lei sotto
di me, alla luce della televisione con l’audio bassissimo. Pubblicità di una
crema dimagrante.
Squallido.
Fra le sue gambe, a
sfiorare un libro ancora aperto, odore di evidenziatore, lacrime di rabbia.
Fra le sue gambe, su un
tavolo.
Squallido.
Mi stacco da lei, veloce.
E la vedo coprirsi con quelle mani che mi fanno andare in fibrillazione. La
camicetta è finita sulla sedia, dall’altra parte. Non ho nemmeno avuto la
decenza di togliermi tutto, lei ha ancora i capelli legati. Ho i pantaloni
abbassati che mi fanno inciampare e mi faccio schifo da solo. Me li alzo, lei
ha ancora l’affanno. Prendo la camicetta e gliela porgo, senza dire niente.
«È… È tardi, io…»
La voce mi muore nella
gola.
Non è vero che mio nonno
si è ammalato, non l’ho mai conosciuto.
Mi dispiace tanto, Embry.
Non è vero che la ragazza
di Paul è rimasta incinta, lei studia fuori città.
Che casino, mi dispiace.
E non è vero che Quil
aveva bisogno di aiuto con Claire. Sa cavarsela benissimo da solo.
Non se la rimette, quella
camicia. Nuda e con le guance rosse di calore, la usa come coperta. Il suo
sguardo mi trova ed io non riesco a sostenerlo. Non ho più fiato, non ho
parole, non ho un modo per dirle che ora, qui, per me, è la cosa più importante
che ho. Perché voglio cominciare da quella cosa e non posso…
Scappa via e mi do
l’ordine di essere più veloce. Cerco di avere gli stessi pensieri di un Alpha,
di immaginare la voce di Sam che mi dice puoi farlo, puoi dirle la verità.
Ma non ce la faccio e sento solo la mia voce del cazzo, piccola, sottile,
prostrata al volere di un altro capo. Che non dà ordini e esprime solo desideri
che non verranno mai ascoltati.
E così sarà sempre,
fin quando lei non si sarà completamente stancata, o arresa a quest’evidenza.
Uno stupido che è
abituato ad avere tutte le ragazze che vuole e che chissà per quale motivo non
si è stufato di lei, anche se sono passati.. quanti, sette mesi? Un vero
record. Arriva agli appuntamenti con quattro ore di ritardo e si impegna
talmente tanto che alla fine riesce pure a scoparsela.
Siamo fottuti entrambi.
Perché se uno di noi
avesse il coraggio di chiudere sarebbe meglio, soprattutto per lei. Ma questo
coraggio non ce l’ha nessuno e facciamo sempre lo stesso errore. Allora ci sono
lacrime e rabbia e bugie e amarsi in fretta, ovunque ci capiti.
E rimango zitto, con le
mani fra i capelli, come un pazzo che sta per rompere qualcosa, quel vaso sul
mobile, quella statuetta a forma di angelo, quel bicchiere di cristallo fuori
dalla cristalliera. Posso dare un pugno alla finestra, mordermi le labbra fino
a sentire la carne più profonda fra i denti.
È tardi.
Te la sei fatta e hai
detto solo “È tardi”.
Fa male, Cristo, fa male
tutto. Fa male questo, vederla correre, sentire i suoi singhiozzi. Col cazzo
che ascolto di nuovo Sam. Lascio il branco se non mi dice di sì, la prossima
volta. Chi se ne frega se non è imprinting, chi se ne frega se lui non ci vede
niente di speciale. È tutto quello che ho, per la miseria. Devo dirglielo.
Mi sono appoggiato al
muro con la schiena. Respiro affannosamente, la aspetto. Sento l’acqua che
scorre dal bagno, è veloce. Sento il rumore degli schizzi sullo specchio, la
sua voce. Ancora singhiozzi e lacrime, lacrime e lacrime. Io che vorrei
abbracciarla e dirle che va tutto bene, vorrei dirle che lei non ha niente che
non va, che il problema sono io soltanto. Questa non è una cavolata che
si dice per liberarsi di una ragazza, è vero ed è per farla restare con me.
Quanto tempo passa?
L’orologio segna un’ora improbabile che è la nostra, l’unico momento che ho
trovato per raggiungerla.
Sono passate ore? Quante
ore?
Mi viene incontro con la
maglietta blu e la borsa con la faccia di Spongebob. Mi abbraccia perché l’ho
solamente aiutata a portare i libri in macchina. Sta sorridendo perché le ho
detto che è la ragazza più bella che io abbia mai conosciuto, ha “Il signore
degli anelli” sotto il braccio. Lascia che le dia un bacio, alla luce del sole.
So solo che sono scivolato
a terra, lo sguardo fisso verso un punto indefinito del pavimento. Il rumore
dell’orologio mi accende i nervi, è tutto inutile… è tutta colpa mia. Che
cosa ha fatto per sopportare questo? Le sue foto incorniciate mi stanno di
fronte, appese al muro. Lei da bambina che abbraccia un peluche con suo
fratello in culla, lei a quindici anni alla gara di tiro con l’arco, lei con la
toga del diploma a fare una linguaccia che non ci azzecca niente. Splendida e lontana
da me, l’unica cosa buona che può succedere è che tutto finisca.
Ma fa troppo male.
Esce dal bagno con un
accappatoio, i capelli sciolti e lunghi che le scendono sulle spalle.
«Vattene, Embry.» La sua
voce è roca, si spezza come se avesse il raffreddore, come se stesse ancora
piangendo.
«Non voglio. »
«Abbiamo chiuso, elimina
il mio numero dalla tua pienissima rubrica. Questa passerà alla storia
come la tua storia più lunga. Va tutto, bene. Ok. Va tutto bene. Va tutto bene.
Va tutto bene…»
«Non è vero.»
Cerca di chiudermi in faccia
la porta della sua stanza ma io sono molto più forte. Un altro sforzo e la
spalanco completamente.
«Vattene! La capisci la
mia lingua?»
La mia donna sembra una
bambina che vuole solo dormire, è esausta, non vuole ascoltarmi, non vuole
vedermi. Io la vedo, la sento.
«Io ti amo.»
L’ho detto.
Sì, l’ho detto. La amo.
Ora lo sa. Poi saprà il resto, glielo dirò. Quando tutto il casino sarà finito
chiederò a Sam, e se mi dice di no chi se ne frega, mi faccio un branco a
parte, chiederò a Jacob. Non posso vivere così, ed io voglio stare con lei,
voglio diventare logorroico come lei, raccontarle ogni cosa come lei fa con me.
È immobile, una statua di
ghiaccio. Gli occhi serrati.
Entro nella sua stanza.
«Ti amo.» Le accarezzo i
capelli. Apre quei suoi occhi meravigliosi, gonfi di lacrime.
«Lasciami stare.» Si
allontana.
«Ash, dai.»
«Non mi toccare. Non mi
toccare.»
La abbraccio. Si dimena
per poco perché è debole e piccola e non sopporta che io la tocchi quando non
vuole. Ma poi si lascia prendere. La tengo stretta al mio petto, i capelli
bagnati che si sparpagliano sulla mia pelle. Freddo e acqua e lavanda,
limone.
«Hai ragione, hai tutte
le ragioni del mondo a volermi male.»
La sento tremare fra le
mie braccia.
«Sei solo un cretino.»
«Lo so. »
«Smettila, ok?»
«Di fare cosa?»
«Di essere così.»
«Come? »
Mette le sue mani sul mio
petto, per spingersi indietro, ma non ce la fa. Potrei essere di nuovo pronto
per quello, ma devo controllarmi. La amo, il punto è questo.
«Così.» Chiudo gli occhi
al suono della sua voce.
«Dimmi di più.»
«Mi fa male la gola.»
Sospiro. Poso la mia
bocca sulla sua guancia bagnata di acqua, profumo di fiori.
«Ti amo.»
Alza lo sguardo, le
sopraciglia inarcate. Sta cercando di farmi dire qualcosa senza chiedermelo. Fa
sempre così, quando non parla.
«Dico sul serio.»
Le mie mani scendono sui
suoi fianchi, a stringerla di più. Spero solo che la smetta di farmi parlare,
perché non avrei molto da dire per sembrare migliore del Peggio che sono.
Faccio un respiro
profondo.
«Sono un fidanzato
orrendo.»
Non avremmo nemmeno
dovuto incontrarci, quella sera. Ma ero stato così bravo da farmi avere il suo
numero. Poi ha cominciato a parlarmi di quello che è veramente, e là sono
rimasto imbambolato. Ad ascoltare quella voce squillante che è la sua. Non
avrei potuto impedire tutto il resto nemmeno se l’avessi voluto. Ci sono voluti
due mesi e mezzo per un bacio, altri tre per avere quello che ho sempre
ottenuto subito. So solo che mi sono sentito il ragazzo più felice della terra,
quasi non avessi mai provato una cosa simile.
«Sì, sei orribile.» La
tengo stretta, lei mi sussurra qualcosa, sempre la stessa cosa che io non
capisco comunque. Che cosa mi sta dicendo? Il tessuto dell’asciugamano è
così fastidioso che potrei strapparlo.
«Ash?»
«Mhm?»
«Quando tornano i tuoi? »
«Fra due giorni.»
Sorrido.
«E devo studiare.» Mi si
attorciglia lo stomaco, mentre penso che preferirebbe studiare biologia invece
di stare con me.
«Lascia perdere i libri.»
Le bacio il collo, la mia mano scende dove l’accappatoio copre la sua pelle.
Tremo insieme ai suoi brividi. «Ti amo.»
La sento serena sulla mia
bocca, sul palmo delle mie mani, negli occhi, in ogni attimo.
In ogni sospiro.
Stupido, bellissimo,
inevitabile errore.
Si mette addosso una
maglietta blu, e sembra proprio che sia quella maglietta, come
scordarla. Si gira ed io mi costringo a tenere gli occhi chiusi. Il materasso
cigola, si è seduta accanto a me, io la vedo anche se sono con le palpebre
chiuse.
La sento, la vedo.
«Alzati, pigrone!» Questo
è un vero e proprio spintone. Apro gli occhi e sì, la maglietta è proprio
quella. C’è scritto “fuck you” in piccolo, vicino al seno.
«Dkjhgkdjhfdjghj.» Mi
rigiro fra le lenzuola.
«Mhm?»
«Ti prego, non dirmi che
ho sognato.» La mia voce è impastata di sonno, ma tengo gli occhi aperti lo
stesso.
«Sei a casa mia.»
«Nel tuo letto.»
Sorrido così tanto da
stirarmi la faccia.
«Forza, mi servi.»
Indossa solo quella maglietta e un paio di mutandine, e quelle gambe lunghe e bianche
sono davanti a me. La parola “fuck” sopra tutto questo splendore non mi aiuta
per niente. Lo so, non cambierò mai.
«Puoi usarmi come più ti
piace.»
«In pasto agli squali.»
«Diventerò un sirenetto.»
«Si dice tritone!»
«Ah, eh, scusa. Non sono
io quello Nerd, qua.»
«Non sono Nerd. Nerd sono
quelli che giocano ai videogiochi, i maghi del computer, sono capaci di entrare
in un sistema di sicurezza, crackare, huckerare…»
«Lo so, amore. E anche se
lo fossi mi piaceresti comunque.»
Mi abbraccia sì, ancora,
piccola. Non voglio alzarmi mai più da questo letto. Va tutto bene, va
tutto benissimo. Se incrocio di nuovo Sam ricominceranno i guai. Mi farà
domande su domande, e dirà sempre le stesse cose…
«Dolce per essere stronzo.
Ed io ne ho conosciuti parecchi, di stronzi. Il primo è stato in prima media,
oddio, non puoi immaginare quanto odio quando…»
La zittisco con un bacio,
e non mi stacco da lei fin quando respirare diventa l’unica cosa a cui possiamo
aggrapparci per tenerci in vita. Anche se voglio che la mia vita sia lei.
«Ti amo, te l’ho già
detto?»
Ride. Facciamo sempre lo
stesso errore.
Ormai non abbiamo scelta
ma chi vuole averla? È semplicemente il motivo per cui sono qui.
«È bello sentirlo.»
*
*
*
*
Dedicato a Noemi, perché lo ama, perché è sempre disponibile per sclerare e perché la adoro :))
Grazie davvero, tata <3 <3 <3
Allora, questo è un missing moment di Destiny heart, ma si può leggere pur non conoscendo la storia, non ci sono spoiler. Certo, scometto che chi ha letto l'ultimo capitolo di Destiny heart vorrà farmi fuori dopo questo XD Comunque credo che Embry dovrebbe sdebitarsi con Noemi perché lei gli sta procurando diverse relazioni. A Embry piacciono le rosse, ormai è canon... lo abbiamo deciso noi XD. Faccio parte di un gruppo che si chiama Embry's Angels, quindi tutto quello che è successo in questa storia è stato deciso dalla provvidenza divina di Santo Pino di Forks *i cori degli angeli cantano*
Spero che questa one-shot vi sia piaciuta, a me è piaciuto tanto scriverla <3 Se volete potete lasciarmi la vostra opinione <3 Vi consiglio di ascoltare la canzone che vi ho linkato all'inizio, Same Mistake di James Blunt, io la adoro :)
Grazie davvero per aver letto <3 <3 <3
EDIT. Una mia amica mi ha convinto. Una volta terminata Destiny heart continuerò la storia di questi due ragazzi. In realtà già ci pensavo, voglio ancora scrivere di loro <3.
EDIT. Questo primo capitolo è arrivato secoso al contest [MULTIFANDOM & ORIGINALI FLASH CONTEST] show your best- solo storie edite di Postergirl <3 <3 e ha vinto il premio "miglior scena rossa" *.*
Grazie davvero.
Ania <3