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Autore: ShootinStar    09/06/2012    9 recensioni
E' la mia seconda FF, quindi abbiate pietà di me! :') provo ad anticiparvi qualcosa.
Liam e Jenny si sono appena trasferiti con la madre a Canterbury. Nuova città, nuova scuola, nuovi amici: verranno a contatto con bande di "bad boys", ragazze problematiche, amori ed intrighi, affrontando con qualche ansia e non pochi dubbi quel delicato periodo della vita in cui tutto può accadere e in cui ogni certezza fa posto a confusioni ed angoscie, tipiche dell'adolescienza. E mentre questo gruppo di ragazzi sarà alle prese con cotte e sbandamenti vari, capiranno senza nemmeno accorgersene che non importa come o quando, l'amore trova sempre la sua strada.
Cercherò di fare del mio meglio, dategli un'occhiata, se avete tempo :D
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Vichi sentì le ginocchia tremarle leggermente quando si piegò per sistemare le ultime due primule nel vaso bianco e azzurro. Un vento freddo le scompigliò i capelli mentre accarezzava con le dita la pietra gelida. Fino a pochi giorni prima, se glielo avessero detto, non ci avrebbe mai creduto. Le lettere incise nel granito erano di un color oro acceso, ma questo non mitigava certo il dolore ancora fresco che suscitavano.

Rosemarie C. Montgomery

R.I.P.

Grazie per essere stata la nonna

più meravigliosa del mondo

 La voglia di piangere non si era ancora consumata del tutto, nonostante avesse passato gli ultimi 3 giorni con il viso affondato nel cuscino, mangiando il giusto indispensabile e non vedendo nessuno al di fuori di sua sorella che le portava la cena e Louis che tentava di farla parlare, rinunciando ogni volta dopo circa 10 minuti. Nessun funerale pubblico, solo una piccola cerimonia in casa con un pubblico di una dozzina di persone. Non aveva assistito né al trasporto né alla deposizione della bara al cimitero.
Ma quel pomeriggio, quando ormai gli occhi iniettati di sangue si erano rifiutati di far cadere altre lacrime,  aveva preso tutto il suo coraggio e aveva chiesto a Niall di accompagnarla in quel santuario di lapidi. Per vederla, anche solo per un attimo, in modo da poter finalmente realizzare l’accaduto, metabolizzarlo ed andare avanti. Come avrebbe voluto lei.
“Mi mancherà da morire” sussurrò con il tono di voce più alto che riuscì a tirar fuori. Il biondo le circondò prontamente le spalle con un braccio e la strinse delicatamente a sé. “Tu le manchi già. Ma devi essere forte, dimostrale che sei sua nipote, falle vedere che sai essere forte quanto lo è stata lei”. Aveva ragione, ovviamente. Tutti prima o poi perdiamo chi ci sta vicino. Nonni, genitori, fratelli, amici, conoscenti...e nonostante tu sappia di dover chiudere gli occhi, prendere un bel respiro e continuare per la tua strada, non puoi fare a meno di voltarti e chiederti “Se avessi avuto un po’ più di tempo? Se lei avesse potuto rispondere a tutte le mie domande? Se si fosse ammalata e fosse morta lentamente e soffrendo, invece di venire colpita da un infarto e morire sul colpo?”. Già, Vichi continuava a ripetersi che se la morte di sua nonna fosse arrivata con calma, vedendola ammalarsi a poco a poco e realizzando giorno dopo giorno che ben presto l’avrebbe lasciata, forse avrebbe sopportato meglio il dolore. Ma in fondo sapeva che avrebbe comunque sofferto come un cane e non avrebbe mai accettato la realtà.
Perché qualunque sia il modo in cui il destino decide di portarteli via, quando i tuoi cari se ne vanno non puoi fare a meno di desiderare di raggiungerli, stringerli ancora una volta, dire loro tutte le cose che ti sei tenuto dentro non sapendo che ti rimaneva così poco tempo, così poche opportunità per far sapere loro quanto ci tenevi.
La nonna era stata una seconda madre per Vichi, insieme a Nora. Si era presa cura di lei negli ultimi 4 anni e non l’avrebbe mai ringraziata abbastanza per averle accolte in casa propria, averle sfamate, averle cresciute e rese quello che erano. E che importa se negli ultimi mesi aveva cominciato a perdere qualche rotella? Che differenza faceva se la sua vista era peggiorata di un paio di decimi, se dimenticava di riportare il bucato in casa o che età avessero le proprie nipoti? Rimaneva comunque la donna più forte che avesse mai incontrato. E Vichi l’ammirava come non aveva mai ammirato nessuno. E adesso, quella figura un po’ zoppicante, ma ancora pronta ad ascoltarla e sorreggerla non ci sarebbe più stata.
La mora alzò lo sguardo al cielo mentre nuove lacrime luccicanti si facevano strada nei suoi occhi, ma notò qualcosa. Un uccellino che cinguettava su un ramo basso di un acero. Un pettirosso. Piccolo e paffuto, cantava con tutta la forza che aveva nel petto, sebbene gli altri dello stormo se ne stessero appollaiati qualche metro più in alto. Ma a lui sembrava non importare; cantava, cantava da solo in mille gorgheggi, ignorando tutti gli altri. e Vichi rivedeva la dolce Rosemarie in quel pettirosso: la donna che aveva abbandonato la vecchia casa nel nord dell’Inghilterra per tornare a vivere da sola a Canterbury dopo la morte del marito, quella che riusciva ad attirare l’attenzione di tutti con i suoi complessi ragionamenti sull’andamento del mondo di oggi, quella che sferruzzava più abilmente di tutte le altre anziane donne del quartiere, quella che aveva cresciuto due adolescenti fregandosene dei pregiudizi altrui e andandone sempre fiera. Quel pettirosso era sua nonna e quando l’uccellino volò via all’improvviso, Vichi seppe che ce l’avrebbe fatta. Perché era questo che sua nonna si aspettava da lei e non l’avrebbe delusa, MAI.
Quando tornò a guardare Niall, che sembrò aver seguito passo passo il corso dei suoi pensieri, sentì uno squillo allegro provenire dalla tasca del ragazzo. Il biondo rispose alla chiamata e la sua fronte si corrugò in un’espressione tesa. “Louis...Louis, calmati...cazzo, parla con CALMA!”. Dall’altra parte la mora udì la voce del ragazzo che si faceva sempre più concitata. “Ma che succede?” domandò nervosa. Niall scosse il capo non sapendolo neppure lui. “Aspetta, ti passo Vichi, parla con lei!” gridò staccandosi l’apparecchio dall’orecchio e porgendolo alla ragazza, che fece appena in tempo a sentire: “Non voglio parlare con Vichi, cazzo! Correte al S. James Hospital, SUBITO!”.

 

Un occhio color smeraldo sbircia tra i panneggi del sipario, incapace di trattenersi. L’auditorium sta letteralmente esplodendo in cori di approvazione, battiti frenetici di mani, urla di incoraggiamento e quant’altro. Il pubblico sembra insaziabile, avido di rivederli su quel palco. E la ragazza non fa neanche in tempo a chiedersi se si tratti di un sogno, che una ragazzina snella dall’aria agitata la raggiunge. “Claire! ti abbiamo cercata OVUNQUE! Ti aspettano per la scena finale, dovresti avere i capelli scompigliati ed il viso pallido...MERDA, DOVE SONO I TRUCCATORI?!”.
Un gruppo di 3 ragazzi spuntano alle sue spalle con pennelli, ciprie bianche, pettini ed un set di oggetti di vario tipo, tutti con la stessa aria terrorizzata dipinta sul viso. “Presto Claire, vieni qua! Dobbiamo sistemarti in meno di un minuto!”. Cominciano a picchiettarle sulle guance, facendo sembrare la sua pelle biancastra e coriacea, come quella di una giovane donna in fin di vita. I bei riccioli definiti vengono messi sottosopra, il trucco sbiadito ed il vestito lungo e pieno di gonne e trine spiegazzato. Adesso è pronta, ecco a voi la dolce Satine che sta per abbandonare il suo amato, sopraffatta dalla tubercolosi.
Le luci si abbassano, Claire non ha neanche il tipo di cercare tra i mille volti del backstage l’unico in grado di tranquillizzarla. Viene spinta sulla scena, mentre il pubblico si muove inquieto. E adesso che cosa accadrà? Sanno già come andrà a finire la storia, ma si aspettano comunque il più grande degli show: la scena dell’addio struggente tra i due giovani.
Claire si stende al centro del palco, appoggiandosi debolmente sul gomito destro, rivolta verso il pubblico ma con gli occhi semichiusi. Le luci si accendono lentamente ed eccola, la sua voce: “Satine! O mio dio, Satine!”. Adesso è accanto a lei. I capelli castano-biondo sono appiccicati alla fronte (i truccatori devono averglieli bagnati con una spugnetta imbevuta d’acqua giusto un secondo prima di mettere piede sul palco), gli occhi affannati la fissano intensamente, mentre le sue mani le sfiorano le braccia, il viso, le labbra macchiate di rosso. Ed è rosso che lei sputa tossendo contro un fazzoletto (opportunamente già macchiato, ovvio) ed il pubblico trattiene il fiato. Ecco, questo è il teatro.
“Mio dolce amore, non abbandonarmi! Non adesso che il duca è morto e possiamo stare insieme! Ti prego, resta con me...”. La sua voce è struggente, impregnata di autentico dolore, mentre Claire può quasi sentire molte delle signore nell’auditorium armeggiare nella borsetta alla ricerca di un fazzoletto con cui asciugarsi le lacrime di commozione. “M-mi dispiace, mio dolce Christian...è giunta la mia ora...ma tu non dimenticarmi” “Non potrei neanche volendo!” risponde lui incalzante. “Ma ti prego...” parla ancora, con la voce supplichevole che se ne sta già andando. “Scrivi di noi, scrivi la nostra storia...racconta in versi di come il nostro amore ha vinto tutto...perfino...perfino…la morte”. Un urlo strozzato proveniente dalle prime file. E poi il silenzio. Se n’è andata. E mentre il dolore silenzioso di Christian si mostra in un unico, finale bacio di addio, il sipario cala. E la folla si alza nello stesso momento, applaudendo con vigore.
Dietro le spesse tende di velluto, i due ragazzi si abbracciano sorridendo e piangendo, commossi pure loro. “Sei stata magnifica” le sussurra Liam, stringendola più forte che puoi. “Anche tu, mio dolce Christian”. La riccia gli fa l’occhiolino e quando le tende si dividono nuovamente, il resto della compagnia teatrale li raggiunge e prendendosi per mano si inchinano all’unisono. Il pubblico è in delirio e Claire non riesce a smettere di sorridere, mentre un turbine di rose vola ai loro piedi.
In prima fila, la signora Peggy ha in mano la sua inseparabile cartellina ed un insolito sorriso dipinto sul volto. Liam la guarda e lei risponde con un cenno del capo, mentre con le labbra bisbiglia le parole “ben fatto, giovanotto”.

 

Diamine, è in ritardo. Ashley picchiettava con il piede sul marciapiede davanti casa sua, voltando la testa da una parte all’altra della strada, nel disperato tentativo di scorgere un Subaru ormai fin troppo noto. Scoccò l’ennesima occhiata all’orologio per rendersi conto che Zayn aveva sforato di a malapena 4 minuti. Forse sto un po’ esagerando. Neanche il tempo di fare uno dei suoi abituali respiri profondi per ritrovare la calma interiore che l’auto tanto attesa spuntò dalla curva del vialetto e si fermò pochi secondi dopo di fronte a lei.
Il finestrino si abbassò ed una testa mora ingellata si affacciò con un sorriso di scuse. “Mi dispiace, Ash. Mia madre ha insistito perché preparassi la valigia prima di uscire”. Le sue parole la distolsero per un attimo da quella splendida visione che erano le fossette sulle sue guance. “Valigia? Per andare dove?” chiese cercando di mantenere un tono neutro. Il moro le sfioro una guancia con la mano ruvida. “Non starò via molto, neanche avrai il tempo di sentire la mia mancanza”. Strafottente come al solito. “Su quello non avevo dubbi, Malik. La mia era pura curiosità...” tentò di giustificarsi storcendo il naso.
Dovette aspettare qualche minuto di ostinato silenzio, prima che Zayn aggiungesse: “Due settimane a Nottingham dai miei zii. Parto tra 2 giorni”. Altro silenzio. No, mi dispiace, ma non sarò io ad ammettere che mi mancherai. “Sicura che non ti mancherò?”. La fissò con la coda dell’occhio mentre imboccava il vialetto per il parcheggio del cinema. “Sicura?” ripeté quando ebbe spento il motore.
Ashley si ostinava a rimanere in silenzio. Zayn stava per aggiungere qualcos’altro, ma il cellulare prese a squillare e rispose di malavoglia. “Jared? Che vuoi?” borbottò scorbutico. Poi aggrottò la fronte e prese a massaggiarsi la tempia. “Calmati, adesso arrivo. Dove siete? Al S. James? Bene, tra 10 minuti sono da voi!”. Riattaccò con aria grave e poi si voltò verso la ragazza. “Emergenza, devo correre all’ospedale. Non posso riaccompagnarti a casa, ma se vuoi ti lascio l’auto e puoi riportarmela domattina...” “Vengo con te” affermò decisa. Il moro si meravigliò. “Veramente?” “Sì. Vengo con te” ripeté Ashley con convinzione. Non sapeva bene perché, ma doveva andare con lui. Non se la sentiva di lasciarlo scappare via così, sapendo che di lì a poco non lo avrebbe visto per ben due settimane e la sua opportunità di fargli capire che ci teneva a lui sarebbe svanita come fumo nella brezza mattutina.

 

Jenny era in prima fila, gli occhi lucidi mentre fissava stupefatta il fratello che si piegava in un grande inchino insieme al resto della troupe. Era bellissimo in quel completo nero attillato, lo sguardo che sembrava abbracciare l’intero auditorium ed assorbire gli applausi uno dopo l’altro, senza smettere di sorridere. Non era fiera di lui, molto di più. Si sentiva talmente bene, contagiata dalla felicità che sembrava sprizzare da tutti i suoi pori che per le due ore dello spettacolo si era pure dimenticata degli ultimi eventi. Lo raggiunse dietro le quinte, abbracciando sia lui che Claire, congratulandosi per lo spettacolo memorabile, aggiungendo infine che li avrebbe aspettati a casa per festeggiare.
Così raggiunse l’uscita, percorrendo il vialetto piastrellato ed uscendo dal grande cancello in ferro. Mentre percorreva la strada principale di Canterbury con le cuffie nelle orecchie, udì quasi per caso una macchina avvicinarsi dietro di lei. Con la coda dell’occhio notò che si trattava di un’auto sportiva di un nero che brillava di sfumature arancioni alla luce del tramonto. Aumentò il passo impercettibilmente, mentre sentiva la macchina rallentare fino quasi a fermarsi. Una portiera che sbatte, un saluto affrettato e inudibile e la macchina riparte. Jenny seppe immediatamente che c’era qualcuno dietro di lei e poteva immaginare benissimo di chi si trattasse, sebbene non riuscisse ad accettarlo.
Quando parlò, la sua voce fece svanire ogni dubbio residuo. Una sola parola che risuonò forte nel silenzio della sera. “Jenny”. La ragazza si fermò senza voltarsi all’istante ma aspettando, aspettando che si avvicinasse abbastanza, quando seppe che si trovava a pochi metri rispose riluttante: “Ti sei fatto vivo”. Harry sospirò, portandosi una mano ai capelli. Gesto tipico di quando era nervoso. “Dirti che mi dispiace non servirà a nulla, vero?” domandò con un sorriso amaro.
Jenny si voltò di scatto, facendolo trasalire. Aveva gli occhi lucidi, colmi di lacrime che, come lui già sapeva, non sarebbero cadute. No, lei non gli avrebbe mai regalato quella “soddisfazione”. “No, Harry, non serve venire qui a dirmi che sei dispiaciuto. Non me ne frega un cazzo di ciò che hai da dire per scusarti, voglio soltanto sapere se è vero, tutto qui”. Lui la fissò per qualche istante, poi mormorò: “Se parli del mio trasferimento, è tutto vero. I miei hanno chiesto di spostarmi ad una scuola privata in periferia”. “Bene, non ho bisogno di sapere altro” rispose lei in un soffio, ricominciando a camminare.
“Davvero? E non ti interessa sapere se ci andrò oppure no?”. Si fermò nuovamente senza voltarsi. Harry fece qualche passo verso di lei, fermandosi a pochi centimetri dalle sue spalle, senza il minimo accenno di volerla toccare. “Non mi conosci ancora, Jenny? Dovresti saperlo, sono Harry Styles. Non mi faccio mettere i piedi in testa da nessuno, figuriamoci dai miei genitori!”. La ragazza si girò a fronteggiarlo. Aveva l’espressione confusa e incerta di chi non sa più cosa pensare. Il riccio le accarezzò una guancia con tocco lieve. “Io in una scuoletta di provincia con i peggiori damerini di Canterbury? Dico, ma mi ci vedi?”. No, per niente in realtà.
Sorrise suo malgrado, sentendo il nodo alla gola distendersi lentamente. “E quindi cosa farai? Rimarrai alla The King’s? E con i tuoi genitori? Scapperai di casa?”. Domande frenetiche e colme di preoccupazione. Ma Harry rimase imperturbabile, le due fossette che dominavano le guance morbide. “i miei dovranno farsene una ragione. E comunque mancano due anni al diploma, scegliere di farmi cambiare scuola adesso è azzardato perfino per loro. E inoltre, il buon James ha minacciato di licenziarsi se quei due non mi danno retta e credimi, trovare un maggiordomo altrettanto fidato e disposto a subire le angherie dei miei genitori di questi tempi non è assolutamente semplice!”. Jenny lo guardò stupefatta. James?
Harry scoppiò a ridere. “Che vuoi farci? Dice che gli stai simpatica e che potresti aiutarmi a mettere la testa a posto” fece una smorfia di disappunto. “E’ stato lui ad accompagnarmi fin qui con l’auto”.
Passarono i successivi minuti in silenzio, scrutandosi circospetti a pochi centimetri l’uno dall’altra. Bene, adesso so. E quindi, che faremo? “Allora...” cominciò ad alta voce la ragazza “Che facciamo adesso? Insomma, ora che ho avuto l’ennesima conferma di quanto tu sia fuori di testa...”. Harry rise e le si avvicinò di botto con un solo passo. “Se non sbaglio, abbiamo lasciato qualcosa in sospeso l’ultima volta…”. Fece scorrere la mano lungo la sua schiena con disinvoltura.
La ragazza lo fissò perplessa. “Capisco che tu voglia fare il figlio ribelle, ma farlo con i tuoi in casa non mi sembra un’idea molto buona…”. Il riccio le sfiorò le labbra lievemente con le dita, zittendola. “Non ti ho parlato della complessa e fittissima carriera dei miei? Sono ripartiti stamattina, dopo essere stati messi al corrente dei miei piani di rimanere alla The King’s...adesso che scuse hai, Payne?” domandò con un sorrisetto che non prometteva nulla di buono.

 

 

Vichi entrò di corsa in sala di attesa, schivando per un soffio un’infermiera che stava uscendo da una porta laterale. Una piccola folla era riunita nella stanza, la maggior parte seduta sulle scomode poltroncine, il resto in piedi impegnata in un perenne su e giù lungo il corridoio. Il suo gruppo al completo era presente, tranne Styles ovviamente, ma Katrin la informò che il ragazzo era rimasto con loro fino a pochi attimi prima, per poi scappare di corsa dicendo che aveva un impegno urgente e facendoli promettere di avvertirlo in qualunque caso dell’esito dell’operazione.
Zayn era appoggiato con le spalle al muro in un angolo, mentre accanto a lui una ragazza bionda teneva una mano appoggiata sulla sua spalla e gli mormorava qualcosa a bassa voce. Vichi la riconobbe: Ashley, la stronza che in un primo momento le era parsa la persona più detestabile del mondo, ma che adesso, in un simile contesto, fu lieta di avere vicino, in modo da non doversi preoccupare anche di Zayn e del suo nervosismo. Ma guardandosi intorno intuì che l’ansia aveva già contagiato tutti.
Scarlett le si avvicinò, i grandi occhi azzurri arrossati e stanchi. “Siamo qui da più di 3 ore e ancora non ci sono novità” sussurrò. La mora annuì, cercando di non lasciarsi andare a conclusioni affrettate. “Louis dov’è?” chiese, pur conoscendo già la risposta. “Con lei in sala parto. Non si è più visto da quando siamo arrivati e lui si stava abbottonando il camice verde”. “E...il bambino?”. Scarlett si passò stancamente una mano sulla fronte. “Te l’ho detto, non sappiamo ancora niente”.
Ad un tratto udirono un urlo provenire da dietro le porte della sala parto. Vichi si sarebbe fiondata immediatamente al di là, se Niall non l’avesse fermata, tenendola per le spalle. “Non ti faranno entrare a questo punto. Se è entrata nel travaglio, dobbiamo rimanere qui ed aspettare”. La ragazza si voltò a guardarlo con aria supplichevole. Il biondo sospirò desolato. “Sai che ho ragione, Vichi. Spera soltanto che non duri troppo”.
Ma le loro preghiere non furono esaudite. Gli urli strazianti e gli incoraggiamenti a bassa voce di Louis e delle infermiere risuonarono nel silenzio dell’ospedale per altre 2 ore e mezzo. Stranamente non si vedevano molti dottori in giro, nonostante fosse solo pomeriggio inoltrato. Katrin le consigliò di dormire un po’, ma Vichi non ne volle neanche sapere. Ashley, a discapito dei pregiudizi di tutti, rimase con loro fino all’ultimo, rimanendo vicina a Zayn, senza mai staccargli gli occhi di dosso. Il moro, dal canto suo, sembrava non percepire nessun’altra presenza eccetto la sua e le teneva la mano sia per rincuorare se stesso, sia per farla sentire meno a disagio, mentre gli altri del gruppo continuavano a fissarla perplessi. Scarlett era seduta con la testa del suo ragazzo, Adam, sulle gambe e gli accarezzava i capelli con aria assente. Jared e Luke sembravano fare a gara a chi fumava più sigarette e l’allegro Freddy, l’anima delle serate, sembrava aver perso tutta la sua allegria e se ne stava seduto sul bordo della finestra, guardando fuori con aria preoccupata.
Finalmente, quando ormai ognuno di loro aveva perso le speranze e si era convinto di dover rimanere in quell’ospedale per tutta la vita, un’infermiera dai capelli rossi cotonati uscì dalla sala parto con un sorriso mesto dipinto sul volto. Vichi scattò in piedi prima di tutti gli altri e le corse incontro con affanno. “Allora? Come sta? Ce l’ha fatta?” domandò ansiosa. La donna annuì lentamente. “Lei deve essere la sorella, dico bene?”. Non sapeva come avesse indovinato, dato che le due non si assomigliavano affatto (capelli rossi e occhi color nocciola contro capelli nerissimi e occhi verdi come gli smeraldi), ma la ragazza non si pose troppe domande. “Sì, sono io”. Poi non seppe più trattenersi. “Posso vederla? La prego...”. La donna sorrise e l’accompagnò dentro, facendo segno agli altri di aspettare.
Nora sembrava sfinita. Aveva i capelli bagnati ed appiccicati alle tempie, la frangetta completamente all’aria, gli occhi infossati e le labbra secche. Accanto a lei, Louis sembrava altrettanto spossato. Ma sorridevano entrambi e prima che l’impulso di abbracciare la sorella prendesse il sopravvento, Vichi notò un piccolo fagotto di panno tra le braccia della ragazza. Lo nascondeva quasi del tutto, ma una piccola manina candida stava tentando di sbucare fuori ed acchiappare una ciocca rossa.
Nora le fece cenno di avvicinarsi, senza aprire bocca. La mora arrivò accanto al letto e trattenne il respiro. Tra le braccia della sorella c’era la creatura più meravigliosa che avesse mai visto; aveva un colore non perfettamente omogeneo ancora, gli occhi chiusi come se si stesse sforzando di scacciare un brutto incubo, il pollice destro ben infilato in bocca e la pelle che si divideva in tante piccole pieghe. Una piccola palla di grasso e carne che d’un tratto aprì gli occhi di scatto, mostrando al mondo due paia di fari azzurri come il cielo che si guardavano attorno con serenità. Gli stessi occhi del padre, che la stava fissando commosso. Sebbene non avesse capelli, Vichi seppe subito che si trattava di una bambina. Quelle ciglia lunghe, quei versi così musicali e quella dolcezza infinita avevano un aspetto tutto femminile.
“Ti è andata male...volevi un maschio, dico bene?” chiese la ragazza con un filo di voce dopo minuti di interminabile silenzio. Nora rise e fece segno di sì con la testa. “Credo che saprò accontentarmi” aggiunse, stringendo delicatamente la neonata a sé. Louis allungò una mano, lasciando che la bambina giocasse con un dito. Le sue piccole mani riuscivano a malapena a circondarlo e sembrava piuttosto irritata di essere così piccola rispetto a tutti i presenti.
Vichi sorrise e incrociò lo sguardo della piccola. “Co-come si chiama?” domandò senza distogliere gli occhi. “Corinne” rispose per lei la sorella. Quel nome bastò per disincantare la mora dalla vista di quella piccola meraviglia. “Il secondo nome della nonna?”. “Già. L’ho sempre amato e credo che lei avrebbe apprezzato”. Avevano entrambe gli occhi lucidi per la commozione e la bambina ne approfittò per allungarsi di nuovo e sfiorare la guancia della madre con le dita soffici.
Ci fu un brusco rumore all’esterno ed ecco che altre 8 persone entrarono nella stanza. il gruppo era riuscito a superare la guardia medica e a farsi strada fino alla sala parto. Avevano pazientato fin troppo. Jared e Freddy riempirono Louis di pacche amichevoli sulla schiena, mentre Scarlett e Katrin si precipitarono intorno al letto per vedere la nuova arrivata. Zayn e Ashley erano rimasti in disparte, ma assistevano alla scena con gli occhi colmi di lacrime. Vichi si spostò un po’ indietro per lasciar loro lo spazio necessario a vedere meglio e si protese verso la finestra, osservando il boschetto proprio di fronte alla stanza. giusto in quel momento, un piccolo pettirosso si posò sul bordo al di là del vetro e la ragazza rise, rise di cuore. Non le aveva mentito, le sarebbe rimasta accanto per sempre. L’ho sempre detto che eri una donna di parola, nonna.


my space:
Non ho intenzione di fare uno dei miei soliti discorsi chilometrici, tranquille LOL
Visto? Sono stata di parola. Ho postato entro i termini concessi (?) e quindi, visto che oggi per me era l'ultimo giotno di scuola e penso lo sia stato anche per molti altri, vi faccio questo piccolo regalo (per così dire) e con questo capitolo chiudo ufficialmente questa storia.
Ammetto che non è sempre stato facile portarla avanti, ho avuto dei blocchi, dei dubbi, mancanza di idee originali ecc. ma questo lo sapete già, visto che in ogni My Space vi ho rotto le palle con le mie autocritiche, quindi a questo punto vi chiedo scusa pure per questo LOL
Scusate anche se non sono stata sempre velocissima a scrivere, ma è stato un anno impegnativo e questa FF mi aveva presa così tanto che volevo a tutti i costi che i capitoli uscissero come li volevo io *anche se dubito che alla fine siano stati così perfetti, ma vabbé*
Un grazie speciale a tutte voi che mi siete state dietro, avete recensito, mi avete riempita di menzioni su twitter obbligandomi (?) a continuare al più presto e per tutti i commenti positivi a questo storia. GRAZIE DAVVERO ♥
Beh, che altro posso dire? Sono la solita logorroica che ripete le stesse 2 o 3 cose quasi c'avessi l'alzheimer *ho cercato su Google, quindi so che si scrive così u.u*
Sentirete presto riparlare di me *woho, suona quasi come una minaccia MUAHAHAHAHHAHAH* perché ormai mi conoscete, rompervi le palle con i miei piccoli disastri letterari è il mio passatempo preferito :D
Quindi un saluto a tutte, come al solito non volevo fare il discorso lunghissimo e invece l'ho fatto ._.
France ♥

 

  
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