Coincidenze
Non
v’era molta logica, ma va così,
che decidono di fare a modo loro, secondo chissà quali
principi, e bisogna
accontentarsi, tanto non t’ascolterebbero. <<
Almeno Fabrizio c’aspetta
>> ripeteva la Nadia, tremando per l’alzheimer,
perché in effetti
Fabrizio li aveva sempre aspettati, e almeno il martedì e il
giovedì si poteva
star sicuri di arrivare a casa secondo l’orario.
Un
tempo chi andava a Rovigo, partendo da Padova, ne aveva una ogni ora,
di
corriera, e certi giorni pure ogni trenta, o quaranta minuti, e in ogni
fascia
oraria. S’eri studente, che il cartellino non l’hai
da timbrare, potevi
prendere ed andare in stazione in qualsiasi momento, e senza nemmeno
controllare l’orologio. Un quarto d’ora, massimo
mezzora quando ci si mette la
sfiga, ed eccola comparire da dietro il solito angolo, tutta blu, coi
riflessi
luccicanti del sole, e quel Rovigo
arancione lampeggiante sulla fronte, la corriera. Forse è
vero che ce n’erano
sin troppe, neanche a Rovigo ci fosse qualcosa da fare …
Colla nuova
sistemazione però era proprio uno schifo: dalle tre di
pomeriggio alle otto di
sera avevano abolito ogni corsa diretta per Rovigo; se un tempo avevi
voglia di
tornare a casa per le quattro, quattro e mezza, e chi te lo impediva?,
mentre adesso
bisognava infilarsi nell’altra linea, e cioè
aspettare di vedere un Montagnana
arancione venir fuori da
quell’angolo, salirci, arrivare a Monselice, pregare il
Signore che la
coincidenza per Rovigo vi fosse anche oggi, e prenderla al volo, quasi
di corsa.
Del traffico non si tiene mai conto, maledetti matematici, quando si
fanno
simili conti, e quell’autista che t’aspetta a
Monselice per scarrozzarti a
Rovigo non può mica star lì delle mezzore di
ritardo, con le vecchiette che son
montate a Monselice che ti cacciano fuori un putiferio, anche loro
hanno pagato
il biglietto, e si vuole partire in orario. E allora capita di dover
girarsi i
pollici per intere mezzore, là a Monselice, tanto che la
Nadia ha ricominciato
a fumare, ma a scrocco, sennò fa male.
<<
Almeno Fabrizio c’aspetta. >> Fabrizio! Coi
baffoni, e la panciotta! Col
sorriso paterno, anzi no, da zio, perché il padre ha da
insegnare, lo zio vuol
solo far ridere! Con quegli occhietti da topone, e il capello
brizzolato, che
se fosse stato magro ne veniva fuori un George Clooney nostrano, ma
tanto a lui
non gliene importa. Lui sì ch’era una buona anima,
ad aspettare sempre sino
all’ultimo, anche a dispetto delle vecchie di Monselice, che
avranno pure
pagato il biglietto, ma l’han pagato pure gli altri, quelli
che arrivano da
Padova, e in culo a tutti. C’era stato anche
l’episodio della Francesca,
un’altra che prendeva sempre la corriera assieme alla Nadia;
se Fabrizio non avesse
aspettato che arrivasse la loro Montagnana,
che quel giorno era parecchio in ritardo, ella avrebbe dovuto attendere
una
buona oretta a Monselice prima di un’altra Rovigo,
sarebbe arrivata tardi a casa, troppo tardi avrebbe visto quei piedacci
della
suocera spuntare da dietro il divano, dov’era caduta come un
sacco di pere, e i
soccorsi non l’avrebbero certo tenuta in vita per i capelli.
Francesca poi,
commovendosi, gli aveva portato su un vino dalla cantina del marito, a
Fabrizio, che l’autista ci s’era leccato i baffi,
visto che lei, come gli
altri, lo sapeva bene il vizietto del personaggio,
quell’unico che si concedeva.
E tutti quand’era lui a portarli in giro si sedevano nei
sedili davanti, vicino
la sua poltrona, a farsi compagnia, mentre in genere stavano
sparpagliati, con
gli altri autisti, ciascuno colle proprie fisime, un po’ qua,
un po’ là, ad
ascoltare la canzone sputata fuori dal cellulare del solito marocchino,
o le
chiacchiere sibilanti delle adolescenti che sparlacciano delle amiche.
<<
Tanto Fabrizio c’aspetta sempre, quella buona anima
>>, e lì erano tutti
amici, perché c’era quella buona anima di Fabrizio.
Quel
giorno la signora Nadia, la Francesca, e tutti i soliti,
cioè quello grasso che
non parla mai, Michele e Giulio, salirono come di consueto sulla Montagnana delle sedici e trenta, a
Padova. L’estate era sprizzata fuori da tutte le parti, e la
campagna
ondeggiava lussuriosa ai baci del vento, e i fianchi dei Colli Euganei
discendevano spandendo tronchi e chiome per la pianura. Là
nel bus era come
stare in forno, perché a quanto pare nel biglietto non
è inclusa l’aria
climatizzata, e in effetti qualcuno lanciava occhiatacce
all’autista, come se
anche lui non ne soffrisse. Ma presto, rispetto il solito, furono
coperti
dall’ombra del piccolo colle, sopra cui tondeggiava la Rocca
di Monselice. La
Nadia si stiracchiò, senza esagerare mi raccomando che ti
spezzi la schiena, e
la Francesca tentava di infilare in quella borsetta che pare un
portafoglio
l’ultimo romanzetto di segretarie e bei capi che
s’era comprata. La corriera
ondeggiò come un ubriaco balordo, e le porte si
spalancarono, con un soffio
elettronico. Discesi, e col sole in faccia, prima ancora che potessero
indovinare quello che stava succedendo, videro una corriera muoversi,
accennando i primi movimenti. Che caldo, che afa, e
dov’è Rovigo?
Non sarà mica quella? No, non può essere, oggi
c’è
Fabrizio. Così rimasero a guardare mentre la loro corriera
se ne andava senza
di loro.
Il
primo a capirci qualcosa fu Giulio, che si mise a correrle dietro,
mentre
Fabrizio fuggiva come un dannato diavolo. L’autista doveva
avere qualcosa che
gli faceva prurito sul collo: volle il caso che si voltasse verso il
finestrino
per grattarsi meglio, e vedesse gli occhi tutti esplosi per di fuori,
le
braccia protese verso di lui e le gambe galoppanti dello stremato
Giulio. Fermarsi
in curva e lontano dalla fermata era da galera, ma non c’era
nessuno nei
paraggi, né quelli erano i giorni dei controlli. Dalla
stazione, quegli altri
tirarono un sospiro di sollievo quando videro la freccia lampeggiare
sul fianco
della corriera.
Salirono
col muso lungo, e Fabrizio sorrideva. La Nadia si mise in terza fila,
nel
sedile vicino al finestrino, la Francesca aveva una bocchetta stitica,
e non
diceva nulla. Giulio montò per ultimo, lui sì era
un galante. Aveva una faccia
da funerale, e Fabrizio strabuzzò gli occhi.
<<
Giulio! >> disse. << Cosa … ?
>>
<<
Non si aspettano nemmeno dieci minuti … ? >>
mormorò Giulio, che
ribolliva di santa indignazione, e per di dietro le altre annuivano.
Fabrizio
sbiancò.
<<
Nemmeno … ? >>
<<
No, dico, va beh, sarà che dovete far così
… sarà politica aziendale! >>
borbottava Giulio, andandosi a sedere. Fabrizio non pigiava ancora
sull’acceleratore.
<<
C’è stato uno sbaglio … !
>> cominciò.
<<
Hanno fretta, Giulio >> diceva intanto la Francesca,
<< sono lavoratori,
non hanno mica tempo da perdere, questi autisti …
>>
<<
Lavoro anch’io! >> fece Giulio.
<<
Vi ripeto >> riprese l’autista,
<< che c’è stato uno sbaglio
… Non
è stata certo colpa mia se di là …
>>
<<
Siamo dei perdigiorno, noi >> aggiunse Giulio, scrollando
il capo, che
c’aveva pure le sue motivazioni. Fabrizio avvampò.
<<
Allora! >> e pigiò di foga il pulsante con cui
si chiudono le porte,
<< mica è colpa mia s’è
arrivata con trenta minuti di ritardo la corriera
per Montagnana che avrebbe dovuto arrivare prima della vostra
… ! >> La
Nadia schioccò la lingua, perché li conosci
questi tipi qua come sono. La
Francesca aveva sempre quella bocchetta là. <<
Cosa volete! >>
continuò Fabrizio, << io so che la vostra
arriva circa per le cinque e un
quarto, e m’arriva un Montagnana
alle
cinque e dieci … Ho pensato: sarà in anticipo!
Come facevo a sapere ch’era la
corriera prima, con trenta minuti di ritardo, e non la vostra? Ho
pensato che
c’eravamo, non avevo più nulla
d’aspettare, e si poteva partire! >>
<<
Ah, beh … ! >> fece Giulio, <<
ah, beh … ! >>
<<
Capite? Sarà in anticipo, ho pensato! >>
Ripresero a muoversi.
<<
Eh, se è così … >>
mormorava la Francesca, scuotendo il capo di qua e di
là. Fabrizio li guardava dallo specchietto colla bocca
spalancata. Presto cadde
un silenzio da cimitero. Fuori dal finestrino cominciavano ad
indovinarsi i
primi colori del tramonto. Dalle bocchette veniva fuori una gradevole
frescura
climatizzata.
<<
Va bene, dai >> disse Giulio dopo un po’,
<< l’importante è che non
succeda più. >>