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Autore: Eloise_Hawkins    11/06/2012    18 recensioni
Hermione Granger ha appena visto il bacio tra Lavanda e Ron; distrutta dal dolore e in preda alle lacrime, si rifugia nel bagno delle ragazze del terzo piano, disabitato da quando il Troll di Montagna, penetrato nella scuola durante il suo primo anno, l'aveva distrutto.
Draco Malfoy ha solo sedici anni, ma sulle sue spalle grava un peso non indifferente. Oppresso dai pensieri riguardo la missione affidatagli dal Signore Oscuro, cerca conforto nel silenzio del bagno delle ragazze del terzo piano, ignaro del fatto che qualcuno, quella sera, ha già avuto la stessa idea. Pur non conoscendo l'identità l'una dell'altro, e nonostante le iniziali reticenze, i due ragazzi accettano quell'anonima compagnia, un po' per solitudine, un po' per affinità. Parlano a lungo, e tra di loro nasce un rapporto particolare, fatto di confidenze, parole e segreti chiusi a chiave nel loro cuore.
Ma se uno dei due scoprisse l'identità dell'altro? Continuerebbe a rinnovare l'appuntamento o si tirerebbe indietro?
Tra favole dal sapore dolce-amaro e parole che sembrano non bastare mai, tra i due nascerà una relazione destinata a diventare speciale.
Si può uccidere il male seppellendolo di risate?
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger | Coppie: Draco/Hermione
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da VI libro alternativo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cenerentola e altre fiabe'
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Capitolo 6:
Il mago di Oz – o di case, assenze e purezza

 

«I cuori non saranno mai una cosa pratica,
finchè non ne inventeranno di infrangibili»

 

L'ardore di quel bacio non li abbandonò per molti giorni, e riempì di fantasmi delicati le loro notti, lasciando il ricordo sulla pelle, come una bruciatura. Entrambi si toccavano le labbra con la punta delle dita ed evocavano esattamente la forma della bocca dell'altro, anche dopo che erano passati mesi da quel loro ultimo incontro.
Benché le loro strade si fossero separate, sia Draco che Hermione si sentivano uniti da qualcosa, come un filo invisibile che li legava nonostante la distanza e il tempo, incatenando i loro cuori e le loro anime al ricordo di quelle notti fatte di favole e risate. Ed erano proprio le eco di quegli incontri a dare ai due ragazzi la forza di superare ogni difficoltà incontrata lungo l’arduo cammino tracciato dalla guerra.
Dopo la morte di Silente, la situazione era precipitata e Draco ed Hermione avevano preso strade diverse, talmente distanti da essere inconciliabili ed opposte.
E se il ragazzo, miracolosamente salvo nonostante l’inadempienza dimostrata, era costretto a confrontarsi giornalmente con la colpa della sua scelta, la giovane Grifondoro non aveva avuto un attimo di tempo per pensare realmente a quello che era successo.
Hermione si era ritrovata catapultata in una realtà molto più grande di lei, e tuttora, a distanza di mesi dall’inizio di quell’incubo, non riusciva a capacitarsi di tutto ciò che era successo. Un giorno lottava contro Harry per convincerlo che Malfoy non era un Mangiamorte; il giorno dopo, Silente era morto, Voldemort aveva conquistato il Ministero e il panico e la morte si erano diffusi nel Mondo Magico. A quel punto, era successo tutto talmente velocemente, che lei non era più riuscita a star dietro gli eventi, e ora, nascosta nella penombra di una tenda che aveva l’odore del panico e dell’urgenza, non poteva fare a meno di pensare all’unica cosa che durante il giorno cercava di tenere il più lontana possibile dalla sua mente, perché non voleva distrazioni, ma che la notte la tormentava e non le dava pace, al pari della ricerca degli Horcrux.
C’era una volta
Lo ripeteva ogni sera, come una preghiera, una dolente litania, o forse un rito scaramantico, che aveva l’unico scopo di scacciare il dolore, la paura, l’amarezza del ricordo, e di risvegliare quelle antiche sensazioni senza cui, Hermione ne era certa, sarebbe precipitata in una disperazione senza fine. Spesso la ragazza si trovava a domandarsi come un’assenza potesse essere tanto presente: il ricordo di Draco – della sua voce, del calore delle sue mani, del suo respiro sulla pelle – era una presenza talmente tangibile da diventare dolorosa ogni qualvolta la ragazza si fermava anche solo per un attimo a pensare.
Sfortunatamente, quei momenti non erano poi tanto rari: dal giorno del matrimonio di Bill e Fleur c’erano stati anche sin troppi giorni di calma piatta. Talvolta, Hermione aveva come l’impressione che le ore gocciolassero lentamente, minuto dopo minuto, come le stille che cadevano dal lavandino rotto di quel bagno in disuso del terzo piano. Altre volte, invece, succedeva qualcosa – l’illuminazione confortante di un indizio, l’esaltazione di una traccia – e allora i giorni si materializzavano, l’uno dopo l’altro, davanti a lei, disordinati, inafferrabili, veloci.
 
La ragazza trasse un profondo respiro, lanciando uno sguardo all’esterno della tenda: al di là di un lembo di stoffa scura, si intravedeva un frammento di cielo trapunto di stelle. La campagna intorno a loro sembrava essere stata inghiottita da una quiete incurabile, spezzata solo dal ronzio di una vecchia radio che Ron cercava di far funzionare.
Hermione emise un lungo sospiro, guardando di sfuggita l’orologio che aveva al polso, più per abitudine che per reale bisogno: aveva totalmente perso la concezione del tempo, e non aveva idea di che giorno o mese fosse. Depose la spada di Grifondoro che stava lucidando sul tavolo, e si diresse verso l’uscita della tenda, con l’intenzione di dare il cambio ad Harry, che faceva la guardia fuori, quando la voce di Ron urlò: «L’ho trovata! L’ho trovata! La parola d’ordine è ‘Albus’! Vieni, Harry!».
Hermione si inginocchiò davanti la radiolina, accanto a Ron, mentre Harry li raggiungeva rapidamente. Distratta per la prima volta dopo giorni dai pensieri che la tormentavano, fissava a bocca aperta il minuscolo altoparlante da cui usciva una voce molto familiare.
Sentire di nuovo le voci dei loro amici, dei loro alleati, di quei membri dell’Ordine che continuavano a lottare con loro e per loro, riempì il suo cuore di una nuova speranza. Mentre Lee Jordan, Kingsley, Lupin e Fred – o era George? – parlavano, Hermione si sentì improvvisamente più leggera, e le sembrò quasi che quelle parole, le promesse di lotta, le rassicurazioni su Voldemort, persino l’annuncio delle morti, fossero un segreto e promettente impegno a portare quella guerra verso la fine il prima possibile.
Quando le loro voci si estinsero, il sorriso di Hermione non scemò, anche se Harry continuava a perseverare con la sua folle idea su Voldemort.
«Andiamo, Hermione, perché non vuoi ammetterlo? Vol…»
«Harry, no!»
«…demort sta cercando la Bacchetta di Sambuco!»
«Il suo nome è Tabù!»mugghiò Ron, e balzò in piedi perché un sonoro crac era risuonato fuori dalla tenda.
Hermione afferrò la bacchetta rapidamente e, mentre lo Spioscopio sul tavolo si accendeva e cominciava a girare ed emettere un lungo fischio, nello stesso istante in cui voci aspre, eccitate e sempre più vicine li raggiungevano all’interno della tenda, la puntò verso il viso di Harry e mormorò, piano: «Exulcero».

 

***

 
«Tutti tranne… tranne la Mudblood».
Quando la voce di Bellatrix latrò bruscamente quell’ordine il mondo si fermò, e Draco pensò di poter svenire da un momento all’altro. O forse no; forse era svenuto già molti minuti prima, quando aveva incrociato i suoi occhi, e dentro ci aveva visto così tante emozioni che districarne anche soltanto una era impossibile. Era stato uno sguardo fugace, privo di un vero contatto prolungato – non poteva permettersi di destare sospetti, e i suoi genitori, sua zia, e tutti i Ghermidori lo stavano guardando, come in attesa – eppure, in quei pochi secondi, al ragazzo era sembrato di guardare dentro l’anima di Hermione attraverso due porte castano scuro, accessi a un mondo che gli sembrava di ricordare.
Era sollievo quello che brillava in fondo alle sue iridi?
Mentre le sue labbra si aprivano e chiudevano senza emettere alcun suono, perché lui era incapace di confermare o di negare l’identità della Grifondoro, Draco intravide anche un lampo di preghiera nello sguardo che lei gli rivolse.
La catena che legava i loro sguardi si spezzò nel momento in cui Bellatrix Lestrange, senza pietà né esitazione, afferrò Hermione per i capelli e la lanciò sul pavimento, con rabbia e crudeltà.
Draco distolse lo sguardo, e non era certo che lo avesse fatto per timore di essere scoperto nella contemplazione di una Mudblood: la vista di quella ragazza, maltrattata e torturata, gli stringeva il cuore e gli faceva mancare il fiato. Irritato da un conato di vomito, il giovane scoccò un’occhiata intorno a sé. In un momento che il Serpeverde non avrebbe saputo definire, Potter, Weasley, Thomas e il folletto erano stati portati nei sotterranei, e lui era rimasto nel grande salone ombroso solo con i suoi genitori, Fenrir Greyback e la follia di sua zia, riversata senza pietà su Hermione.
Il primo urlo che squarciò il teso silenzio di Villa Malfoy risuonò, acuto e straziante, nella testa di Draco anche molti minuti dopo che questo si era estinto. Ma ancora lui non osava lanciarle nemmeno un’occhiata di sfuggita. D’altronde, cosa gli importava di lei? Cosa gli importava di quella Mudblood, da sempre disprezzata per semplice partito preso? Cosa gli importava di quella Grifondoro, che insieme ai suoi amici riusciva sempre a schivare espulsioni e punizioni? Cosa gli importava di quella Sotuttoio che riusciva a superarlo in ogni materia? Quella paladina della giustizia dall’indiscutibile integrità morale e dalla misericordia di una madonna non aveva diritto di interferire in quel modo con i suoi pensieri, con i suoi doveri. E nonostante l’immagine di Hermione Granger si sovrapponesse continuamente con quella della Corvonero che gli aveva raccontato le favole durante l’anno precedente, Draco non poteva fare a meno di ricordare a se stesso che continuava ad essere una Mudblood, una Grifondoro, l’odiosa amica di Potter e il motivo di tutti i suoi guai.
Quando il secondo grido gli perforò i timpani, Draco sentì il petto squarciarsi e il dolore farsi strada, come un veleno inesorabile e mortale, in tutto il suo corpo, provocando tremori inconsulti e una fastidiosa sensazione di prurito all’altezza degli occhi. Il ragazzo strinse forte le palpebre e deglutì, la gola infiammata da quelle urla di dolore e lo stomaco aggrovigliato da un senso di nausea e paura che non riusciva in alcun modo a mandar via.
Lame di silenzio scorrevano, letali, tra una maledizione e l’altra.
Al terzo urlo, una forza invisibile spinse il viso di Draco verso quel punto del pavimento in cui lei si contorceva in preda alla sofferenza più atroce. Si sorprese nel constatare che lei aveva le pupille piantate su di lui, e lo fissava con un misto di preghiera e di dolcezza nello sguardo castano scuro.
Fu come se qualcuno avesse acceso una luce all’interno del salone. Nel momento in cui il ragazzo fissò il suo sguardo su Hermione, le silenziosi emozioni racchiuse in quelle iridi si riversarono dentro di lui, e dentro quegli occhi enormi di paura il Serpeverde riuscì a leggere ogni cosa, persino l’intimo e segreto desiderio che quella tortura potesse continuare ancora, se questo significava poter stare vicino a lui.
Bellatrix rideva, puntava la bacchetta contro di lei, urlava – Crucio! Dove avete preso quella spada? Crucio! – e riversava su quel corpo esile, provato dalle fatiche di un viaggio troppo lungo e di un’avventura che si specchiava nei suoi occhi stanchi e doloranti, tutta la pazzia che le aveva avvelenato la mente. E intanto loro si guardavano, e dentro ogni sguardo c’era una parola, e dentro ogni parola c’era un sentimento, un’emozione chiusa a chiave nel cuore.
Quei mesi di assenza scomparvero all’interno delle loro iridi, mentre pagliuzze dorate di dolore e piacere si fondevano nello sguardo di Hermione e venivano proiettate in quello di Draco. La luce sfocata e fievole delle torce illuminava gli occhi della ragazza di luci che lui non avrebbe mai sospettato potessero esistere, e una nuova gamma di sensazioni avvolse il corpo del giovane, che, atterrito, sentiva la sua anima traforarsi e poi frantumarsi  ogni volta che la schiena della Grifondoro si inarcava, e poi, quasi sul punto di spezzarsi, tornava quieta, sul pavimento, a tremare.
Draco non sapeva se odiare o amare quegli occhi. Non riusciva a provare disprezzo, non era capace di avvertire il disgusto scorrere in ogni particella del suo essere, e guardarla in quel modo era già una novità, senza che ci si mettesse anche quello sguardo.
Hermione lo guardava, ma non con disperazione, nè con l’aspettativa che lui l’avrebbe salvata: Hermione lo guardava con la consapevolezza che lui sarebbe rimasto lì, a guardarla morire senza muovere un dito. Hermione lo guardava, e dietro il dolore che le contorceva il viso c’era qualcosa a cui Draco aveva paura di dare un nome. Hermione lo guardava, e sapeva che dentro di lui si stava agitando qualcosa, un sentimento che non poteva riconoscere ma che era più forte di tutto – rabbia, paura, orrore.
Mentre lei si contorceva in preda al dolore, urlando, a Draco era passata davanti agli occhi il ricordo lontano di quella maledizione sul suo corpo. Ricordava perfettamente le sensazioni provate, il lancinante bruciore, la sensazione di venir trafitto da centinaia di lame bollenti, impietose, crudeli. A un certo, si domandò che fine avesse fatto quell’elfo domestico che gli era costato una Cruciatus: dopo quel giorno non l’aveva più rivisto. Se ne rese conto solo in quel momento, e mentre di nuovo affondava in lei, nel suo dolore, nella dolcezza che i suoi occhi mantenevano nonostante l’atroce sofferenza – come se volesse suggerirgli “Andrà tutto bene” – Draco si disse che lei se ne sarebbe accorta prima, di sicuro.
Lo stava violentando, con quello sguardo. Aveva occhi puliti almeno quanto la sua voce – o almeno, quella che ricordava di aver sentito nel bagno, perché le grida che gli trapanavano le orecchie in quel momento non avevano nulla a che vedere con la leggerezza del timbro che rammentava. Lo stava violentando, e Draco la stava lasciando fare, incapace di rispondere o di contrastare il potere di quegli occhi, incapace di impedirle l’accesso alla sua anima, già schiusa per lei ogni notte, l’anno prima, e ora nuovamente pronta a fiorire sotto quello sguardo che dava senza chiedere. E in quelle iridi Draco riusciva quasi a intravedere un sorriso, e di sicuro intuiva l’assenza di pregiudizi, paura, soggezione, timori. L’assenza del passato.
Un altro urlo costrinse il suo cuore ad accelerare i battiti, e gli sembrò quasi che il suo petto fosse sul punto di esplodere. E ancora non riusciva a smettere di guardarla. Era come se una forza misteriosa costringesse i suoi occhi ad affondare in quelli di Hermione – sarebbe affogato dentro quella dolcezza; e ogni volta che lui tentava di distogliere lo sguardo, riusciva solo a riemergere quel tanto che bastava per non gettarsi ai piedi di sua zia e implorarle di smettere.
Non era quello che Hermione gli stava chiedendo, con quel suo sguardo silenzioso, piantato dritto negli occhi di Draco; ma era quello contro cui lui lottava, perché il desiderio di vederla quietarsi, respirare, sorridere, era quasi pari alla voglia di sentire di nuovo la sua voce. Forse lei gli lesse quella smania negli occhi. Perché, a un certo punto,la folle risata di Bellatrix fu coperta da un'altra, più bassa, più dolce, più leggera. Inizialmente, Draco pensò che la Cruciatus l’avesse finalmente fatta impazzire. Combattuto tra il sollievo e la disperazione, osservò quelle labbra, secche e spaccate da rivoli di sangue – lei aveva affondato i denti nelle labbra per impedirsi di urlare troppo forte, o forse di parlare di segreti che era meglio tacere – muoversi, come i petali vellutati di un fiore che decide infine di vincere la timidezza e di schiudersi.
Mentre Bellatrix rideva, follemente divertita, convinta di averla infine vinta, Hermione parlò.
«C’era una volta...»disse, e nonostante le torture appena subite, il suo timbro era velluto. Aveva una voce bellissima, così pulita e infinitamente bambina; una che voce che mormorò, adagio, “C’era una volta”, e poi, più sicura, sotto lo sguardo incredulo e confuso di Bellatrix, “una ragazza”.
 
«… che odiava la sua casa, la sua famiglia, la sua gente, al punto di desiderare di vivere altrove. Un giorno, i suoi desideri diventano realtà, e lei viene catapultata in un mondo nuovo».
Non c’era luce da nessuna parte, era tutto buio e scuro; ma lei vedeva la luce dentro gli occhi di Draco, e soprattutto lì c’era qualcosa, come una mano leggera di vernice, la tinta di certe emozioni scolorate in ricordi, rabbuiate dalla vita, ma nitide e sentite. Forse fu quella luce a convincerla a parlare più forte, nonostante non avesse la forza nemmeno per respirare.
«Ma in questo nuovo mondo c’è una strega cattiva che vuole ucciderla»sussurrò con decisione. Vide gli occhi di Draco staccarsi dai suoi e riempire in un attimo la distanza che la separava da Bellatrix; vide gli occhi di Draco dilatarsi per lo stupore e la paura, per poi tornare a guardarla con paura, incredulità, negazione. Vide gli occhi di Draco mormorarle di smetterla, prima che fosse troppo tardi, e al tempo stesso li vide chiedere ancora parole, perché ne aveva bisogno.
«Così Dorothy cerca una via per tornare a casa. Le suggeriscono di andare dal mago di Oz, perché lui riesce sempre a donare alla gente quello di cui ha bisogno».
Bellatrix urlò qualcosa, e altro dolore si riversò su di lei, come olio bollente. Quando l’ondata di sofferenza si estinse, lasciando dietro di sé gli ultimi, tremanti strascichi, fitte e spasmi che scuotevano ogni singola particella del suo essere, Hermione chiuse gli occhi, si appiattì contro il pavimento, e si rannicchiò ancora di più, tirando su le ginocchia, verso il petto. Le piaceva stare così. Sentiva il pavimento fresco sotto il fianco, a proteggerla. E sentiva il proprio corpo raccolto, rigirato su se stesso come una conchiglia – questo le piaceva: era guscio e animale, riparo di se stessa, nulla avrebbe potuto farle del male fino a quando fosse rimasta in quella posizione. Riaprì gli occhi, e li puntò su Draco, poi, con un sorriso, riprese.
«Lungo il cammino incontra uno spaventapasseri senza cervello, un uomo di latta senza cuore e un leone senza coraggio, e ciascuno di loro si unisce alla ragazza nel viaggio verso il mago di Oz, perché ognuno vuole quello che gli manca».
 
Draco era talmente rapito da quella storia, che non si era nemmeno reso conto che sua madre gli aveva poggiato una mano sulla spalla e stava cercando di sospingerlo indietro.
Nel sentire quei vaneggiamenti, la furia di Bellatrix era diventata incontrollabile, ed ora le Cruciatus erano diventate talmente frequenti che non c’era quasi interruzione tra un urlo e un altro. Però lei riusciva comunque a narrare quella favola, e nonostante il dolore e la paura aveva ancora nello sguardo una dolcezza che fece nascere in Draco quel calore che da troppo tempo non sentiva dentro di sé; e la sua voce era seta – era leggera, era la cura ad ogni male.
Mentre ascoltava quella storia, però, non riusciva a capire se lui fosse lo spaventapasseri, l’uomo di latta o il leone. Di sicuro non aveva cervello, perché se lo avesse avuto sarebbe scappato moltissimi mesi prima da quella famiglia di pazzi e amanti delle arti oscure, da quell’orrore; avrebbe accettato l’aiuto di Silente, quello della Mudblood, l’aiuto di chiunque, pur di uscire da quell’incubo. Di certo, non aveva neanche un cuore, perché se l’avesse avuto avrebbe salvato quella ragazza che, mesi prima, aveva salvato lui da un’esistenza priva di felicità, e l’aveva catapultato in un mondo irreale fatto di principesse e morali. E invece lei era lì, che si contorceva in preda al dolore, e nonostante questo continuava a salvarlo, e lui, immobile, non faceva altro che guardarla, senza far niente, semplicemente ricevendo nel cuore le sue parole  e negli occhi quell’immagine – quel corpo esile, le mani piccole e affusolate che l’avevano sfiorato, stretto, il petto che l’aveva accolto, tremava tutto.
Ma Draco giunse all’inequivocabile conclusione che in quella situazione lui si stesse comportando decisamente da leone: non aveva un briciolo di coraggio, perché se l’avesse avuto sarebbe scappato dall’obbligo del Marchio Nero, avrebbe preso con sé la Mudblood, l’avrebbe salvata da quel dolore, dalla pazzia di una zia di cui aveva paura persino lui. Era un vile. Un codardo. Solo questo.
«Alla fine del viaggio, tutti si rendono conto che quello che cercavano, lo avevano già da tempo dentro di loro. Dovevano solo scoprirl…AAH!»
Le ultime note di quelle parole vennero sostituite da un urlo agghiacciante, più forte dei precedenti. Era come se il dolore fosse esploso all’improvviso, talmente forte e insopportabile da non lasciare nemmeno il tempo di respirare. Draco avvertì il tremore che scuoteva Hermione riflettersi nelle sue mani, e un’empatica sofferenza si impadronì del suo corpo. Intrecciò le dita tra di loro, per imporre una staticità che non si poteva riflettere anche nei suoi occhi: le sue iridi vibravano di pensieri confusi, di sentimenti oscuri. Riusciva ad avvertire sul suo volto i profondi segni del disagio, e quando guardò la ragazza, i cui occhi, opachi e spalancati, erano ancora puntati su di lui, come se fossero incapaci di guardare qualsiasi altra cosa. E dentro quelle iridi, ancora sporche di vita nonostante il dolore, Draco vide una realtà indecente e inaccettabile.
Occupato com’era ad accogliere dentro di sé la verità indiscutibile dei suoi occhi, nemmeno si rese conto che sua zia aveva smesso di torturarla e stava interrogando un folletto su quella stupida spada che era costata a Hermione sofferenze atroci. Riusciva quasi a sentirlo sulla sua pelle, il dolore da lei provato, come se quella Maledizione dagli occhi della ragazza fosse arrivata direttamente al suo cuore, una freccia scoccata con infallibile precisione.
Draco era ancora avvolto dalle brume di sensazioni che ritrovava solamente in quel frangente, grazie alla sua voce e alle sue favole; perciò, le parole di Bellatrix giunsero ovattate, come se venissero da una stanza lontana.
«E ora credo che possiamo sbarazzarci della Mudblood. Greyback, prendila, se la vuoi».
L’urlo di Draco, nato da qualche parte nel suo cervello, non arrivò mai a concretizzarsi; in compenso, al suo posto, quello di Weasley rimbombò per le pareti del salone. Poco dopo, la bacchetta di sua zia era in mano a Potter e suo padre venne Schiantato.
Draco strinse più forte la sua bacchetta, e mentre sua madre e Greyback attaccavano il Bambino Sopravvissuto, lui, immobile, cercò Hermione con lo sguardo. E quello che vide gli fece mancare il fiato.
Perché questa volta, Hermione Granger aveva la morte disegnata negli occhi.
 
In seguito, Hermione non avrebbe saputo raccontare con precisione quello che successe. Ricordava distintamente il dolore della Cruciatus, il rivolo di sangue che le accarezzava il collo, la punta gelida della lama di Bellatrix che le premeva sul collo. Soprattutto, ricordava Draco, e i suoi occhi.
Era stato come tornare ad Hogwarts, dentro quel bagno che era stato quanto di più simile a una casa avesse avuto in quel periodo di oscura adolescenza.
Casaera un luogo in cui sentirsi al sicuro; casa era il calore di un abbraccio e la certezza di trovare un conforto. Casa non era stato il bagno in disuso del terzo piano, ma di sicuro le braccia di Draco Malfoy erano qualcosa che ci andavano molto vicino. E guardare quel Draco Malfoy negli occhi era stato come tornare a casa.
Nel suo sguardo Hermione aveva letto qualcosa di molto simile a ciò che sentiva lei; in profondità, dietro la paura e l’orrore che, vividi, si leggevano chiaramente anche oltre la tempesta delle sue iridi chiare, c’era un sentimento negato e indefinito, dai contorni poco chiari e sicuri, che lei riconosceva, nonostante lui non l’avesse ancora capito, e accettato.
Mentre gli spasmi di dolore risalivano in spirali dense e agitate dentro il suo corpo, e un trambusto sulla sua testa le confondeva il cervello, i suoi occhi vagarono per la stanza alla ricerca di Draco. Lo trovò intento a fissarla, con un’espressione quieta e in qualche modo stupita.
Avrebbe continuato a guardarlo in eterno, raccontandogli favole mute con la sola forza del suo sguardo, se gli occhi grigi del giovane non si fossero sgranati, e, colmi di perplesso stupore, ma anche di un sollievo che Hermione non avrebbe mai sospettato, non si fossero puntati in un punto al di sopra della sua testa.
La Grifondoro alzò lo sguardo appena in tempo per vedere il lampadario precipitarle addosso. Si coprì il viso con le mani proprio mentre le schegge di cristallo la ferivano dappertutto, nello stesso istante in cui, inaspettatamente, sia Draco che Ron si lanciavano verso di lei.
Il Serpeverde arrivò solo con un attimo di anticipo. Non ebbe il tempo di allungare una mano verso di lei, per aiutarla a rialzarsi o per liberarla dai detriti; tuttavia, sentendo la sua presenza vicino a sé, Hermione si voltò verso di lui.
 
«Rimani qui»disse, con quella sua voce bellissima, un po’ bambina, un po’ fiore, un po’ seta.
Questa volta, Draco osò aprire la bocca. E in un sussurro, con la bocca secca e la gola irritata, domandò: «Perché?».
Weasley non sembrava essersi accorto di quel brevissimo scambio di battute. Aveva avvolto la ragazza in un abbraccio, senza nemmeno guardare Draco, senza curarsi degli sguardi che intercorrevano tra lui e la Grifondoro tra le sue braccia, cieco a qualsiasi cosa non fosse la battaglia intorno a lui.
Il contorno sfocato del sorriso di Hermione fu l’ultima cosa che Draco riuscì a vedere di lei.
«Perché nessun posto è bello come casa tua»disse, e il suo sussurro si perse dentro l’urlo di rabbia di Bellatrix.
Quando Hermione sparì, in un vortice rosso-Weasley, Draco sentì la sua stessa voce mormorare: «Tu sei la mia casa».

 
***

 

Scoppi. Urla. Lampi di paura. Fiotti di luce multicolore. Granelli di tempo che si condensano. Fragori lontani. Ancora urla. Odore di sangue. Voci striscianti. Coraggio. Strenua resistenza. Sguardi di nascosto. Sempre urla. Corpi. Paura. Fiamme maledette. Orgoglio frantumato – proprio come quei cocci, lì, in terra. Lacrime. Ancora paura. Gole recise e dita tremanti. Dolore. Grida che echeggiano come tuoni lontani, temporali figli di chissà che cielo. Cuore che batte; o forse no, magari ha smesso qualche maledizione fa. Sudore freddo. Angoscia. Sapore acido in bocca. Gola secca. Voce rauca, tremante almeno quanto le mani, che stringono la bacchetta come un naufrago si appiglia all’ultima scheggia di nave rimasta a galla. Una lucciola, luce nel buio, speranza nello schifo della vita – se mai ci sia ancora, la vita, in quell’orgia di morte. Pietre sbreccate e ciottoli dal soffitto. Orrore di zampe, tenaglie e peli. Orrore di metri e metri di cattiveria. Orrore di rantoli e cappucci. Orrore di morte, orrore dappertutto.
L’angoscia gli si appiccica addosso senza lasciargli modo di scacciarla, e più lui si muove, più la rete si ingarbuglia, più cerca di mandarla via, più si fa male. È un velo di follia – una coperta – che gli comprime il petto succhiandogli via il fiato.
Qualche pensiero si forma nella sua mente, ogni tanto, ma è più un’oasi in mezzo al deserto – pur sempre vita, ma tragica, distante.
Alcune parole hanno perso significato – vita morte – altre ne hanno acquistato – scappare ricordi favole – e a quelli si appiglia mentre tutta quell’accozzaglia di sensazioni si fonde insieme e gorgoglia nel suo stomaco.
La realtà è una percezione distante e istantanea. È come strappare brandelli di vita – no, di morte – e imprimerli a fondo nell’anima. Ovunque c’è qualcosa – uno sguardo, un gesto, un muscolo che guizza sul volto rendendo più viva quella staticità tesa e impaurita. Ogni immagine esplode e diventa una visione, e il resto del tempo non scorre più, con il risultato che lui, del mondo, ha una percezione intermittente. Una sequela di immagini fisse – orribili – e mozziconi di cose perdute, cancellate, mai arrivate fino ai suoi occhi – perché la negazione è il primo passo per non cadere nell’oblio, nel terrore. Una percezione sincopata. Gli altri percepiscono il divenire. Lui colleziona immagini che sono, e basta. Restano lì, immobili, davanti a lui, mentre il resto del mondo va avanti, mentre lui, rubato da un orrore lancinante, rimane immobile, a fissare quel momento interminabile – orrore senza fine.
 
 
 
L’aveva cercata durante tutta la battaglia. Strisciando lungo muri ancora intatti, e osservando il terrore spandersi come una macchia di petrolio sulla superficie del mare, Draco aveva osservato ogni volto, nella speranza di ritrovare quegli occhi dentro lo sguardo di qualcuno – ma lei non c’era.
L’aveva vista, a un certo punto, mentre correva su per le scale, schivando il lampo scarlatto di una Maledizione Senza Perdono, senza riuscire a notare il Mangiamorte che, acquattato nel buio, l’aveva puntata, la bacchetta indirizzata esattamente al centro delle sue scapole. Prima che il Mangiamorte riuscisse ad aprire la bocca per pronunciare l’incantesimo, Draco l’aveva Schiantato. Lei non se n’era nemmeno accorta, e aveva continuato a correre. A Draco era sembrato di vedere una ciocca di capelli rosso fiamma, davanti a lei, ma in quel marasma di corpi, incantesimi, rumori e odori, non ne avrebbe potuto avere la certezza assoluta. Non ebbe tempo di provare rabbia, né gelosia o disgusto, perché la mano forte di Tiger gli afferrò il braccio e lo trascinò verso una meta a lui ancora ignota.
 
 
 
Dovevano catturare Potter, era quello il piano. Catturiamo Potter, e portiamolo all’Oscuro Signore: ci ricoprirà di gloria e onore, aveva detto Vincent. Draco aveva annuito stancamente, ma più che alla gloria pensava alla vita – e pensava che dove c’era Potter c’era anche lei.
Mentre saliva i gradini a due a due, si domandava per quale motivo non fosse corso fuori da quella scuola insieme agli altri Serpeverde, quando ne aveva avuto la possibilità. Si domandava perché fosse rimasto in mezzo a quella mischia mortale, con il rischio di morire da un momento all’altro, se gli avevano servito la salvezza su un piatto d’argento.
La risposta aveva un volto, e anche un nome, ma lui continuava a rifiutarsi di dare quella spiegazione alla sua mente, e con il fiato corto indirizzò i suoi due amici lungo un corridoio costeggiato da mobili antichi e oggetti dimenticati, frutto dei traffici illeciti di generazioni di studenti. Quando vide Potter, il suo primo istinto non fu quello di attaccarlo, bensì quello di guardarsi intorno alla ricerca della Mudblood. Riparato dalla mole di Tiger e Goyle, Draco osservava la Stanza della Necessità, e l’ansia che provava non vedendola era quasi maggiore di quella che sentiva nelle vene ogni volta che un incantesimo lo mancava per un soffio.
Non seppe mai quale fu l’esatto momento in cui tutto precipitò. La sua vita si era frantumata ai suoi piedi molti mesi prima, e lui riusciva a ricordare con esattezza l’istante in cui tutto era cambiato. Ma per quello non c’erano parole. Era semplicemente troppo: dopo gli orrori, la guerra, la costante paura, la clandestinità di una condizione, la condanna di un nome, Draco pensava che si era meritato la sua pace. Invece scoprì che c’era ancora qualcosa da assaporare – la morte di un amico.
Non l’aveva visto, ma lo strappo nella sua anima diventò più profondo nel momento in cui si schiantò al suolo, e l’aria fresca ma corrotta della scuola sostituì quella bollente e affumicata della Stanza della Necessità. Avrebbe voluto aspirare aria pulita, ma c’era ancora troppo orrore a serpeggiare tra quelle mura, perché lui potesse davvero respirarne di buona.
Però non poté fare a meno di guardarla dritta negli occhi – perché almeno lì qualcosa di pulito c’era.
 
 
 
Un silenzio illusorio, incurabile, e in qualche modo persino più terribile di tutto quel trambusto che c’era stato fino a quel momento, aveva catturato il castello. Si era impadronito di ogni angolo, di ogni maceria, di qualsiasi brandello di vita rimasto ostinatamente aggrappato a quella scuola: una quiete talmente letale, da far pensare che niente, in realtà, era sopravvissuto.
I suoi passi scricchiolavano blandamente, innaturalmente amplificati dal tacere del mondo.
Draco sapeva che, a pochi metri da lui, qualche muro sbreccato più in là, si stavano consumando gli ultimi scontri di una follia infine domata dal coraggio di un ragazzino che aveva patito troppi dolori nella sua vita. Forse proprio per questo se ne stava in quell’angolo dimenticato della scuola, nascosto dalle ombre striscianti e ingrate di quel castello, a rispettare il religioso e mortale silenzio dell’antico castello, anch’esso piegato alle voglie capricciose di un Oscuro Signore ormai sconfitto.
Si rigirava la bacchetta di sua madre tra le mani, osservando le venature del legno e lasciando che pensieri sconnessi e inopportuni vagassero per la sua mente allo stesso modo di come lui, fantasma ancora vivo e miracolosamente tangibile, percorreva con piccoli passi il suo nascondiglio.
Chissà perchè riteneva sicura una stanza a cielo aperto. Se lo chiese solo una volta, mentre le prime luci dell’alba sfioravano timidamente i lavandini distrutti e i water in pezzi, e il canto di qualche testardo uccellino si univa allo sciabordio di un lento rivolo d’acqua che, sopravvissuto alla tragedia, fuggiva dalla sua tubatura, abbandonando l’abbraccio umido di ferro e sudiciume in cui viveva.
Draco camminava avanti e indietro, il capo chino, le mani tremanti, il viso sporco di sangue e gli occhi sporchi di colpa. Il cuore, quello ce l’aveva sporco di tutto ciò che poteva insozzare un cuore. Aspettava, Draco Malfoy, vinto in un paese di vincitori, esule in terra straniera. Quella terra che avrebbe dovuto appartenergli per diritto di nascita, e che invece, adesso, per un contrappasso crudele e bislacco, non solo non era più suo, ma lo disconosceva proprio in quanto Purosangue, proprio in quanto Malfoy.
Non era nemmeno sicuro che quello fosse esattamente un nascondiglio, perché i quattro piani che avrebbero dovuto fargli da tetto erano saltati via in chissà quale esplosione, e ora a lui sembrava di camminare sul fondo di un pozzo oscuro, con l’unica consolazione del cielo roseo sopra di sé. La porta era saltata via, e chiunque fosse passato di lì, forse, avrebbe potuto vedere quel ragazzino, curvo sotto il peso delle sue colpe, irrequieto nella sua attesa.
Attesa di cosa, poi, nemmeno lui lo sapeva. Ma gli sembrava giusto, in qualche modo; gli sembrava equo, e onesto, ed esatto, aspettare lì, in quel luogo in cui aveva cominciato a vivere. Qualsiasi cosa stesse aspettando.
Lei? Forse.
I nemici che infine tornavano a prendersi la loro bella vittoria per poi sbattergliela in faccia? Sì, magari anche quello.
I suoi genitori che lo traevano in salvo come lui non aveva saputo fare con loro? Non ne era del tutto sicuro.
Non era certo nemmeno di volersi nascondere, ma era stato il suo primo istinto quando aveva sentito gli Auror del Ministero parlare in quel modo crudele, secco.
Trovate tutti i Mangiamorte rimasti in vita. Li voglio ad Azkaban prima dell’alba.
Forse Draco, durante quella guerra, aveva capito le verità nascoste dietro il velo di bugie e pregiudizi che lo avevano reso cieco per anni, ma il coraggio… quello non l’avrebbe mai imparato.
E dove altro poteva nascondersi se non nell’ultimo luogo che l’aveva visto vivo? Vivo in una maniera che lui non pensava possibile, in un modo che andava ben oltre un cuore che batte o un torace che accoglie aria fresca. Vivo, come non era da troppo tempo.
Quando altri passi, leggeri, strascicati, si unirono ai suoi, Draco smise di camminare. Il suo sguardo si puntò verso l’apertura nel muro che un tempo aveva accolto la porta, e che ora era solo un buco che offriva uno scorcio del corridoio. La bacchetta stretta tra le dita tremanti, e il fiato sospeso, Draco attese.
 
Il cono di luce che la punta della sua bacchetta proiettava disegnava ombre scure lungo le pareti. Gli occhi, ciechi in quell’oscurità e lucidi di pianto e di dolore, sondavano con attenzione i corridoi, le aule, ciò che rimaneva di una Hogwarts che l’aveva accolta come una madre affettuosa, e che come una madre premurosa li aveva protetti, sacrificando se stessa pur di salvare i suoi figli.
Di tanto in tanto, un raggio di luce le feriva le palpebre, e allora Hermione alzava gli occhi, e quando al posto del soffitto della sua scuola non vedeva altro che cielo, una morsa le stringeva il cuore, appesantendolo più di quanto già non fosse.
Nella sua testa si avvicendavano suoni, immagini, colori. Nomi.
Fred. Lupin. Tonks. Colin. Piton. Tiger – sì, le dispiaceva persino per lui. E la lista era così lunga che nemmeno ripeterla continuamente nella sua mente rendeva più vero o meno doloroso il bilancio.
Hermione zoppicava, e con il cuore in gola e lo stomaco sottosopra vagava per i corridoi di Hogwarts. La guerra aveva reso la sua scuola irriconoscibile, tanto che sia lei, che Harry e Ron faticavano a riconoscere luoghi o aule, e ad orientarsi in mezzo a quelle macerie.
Ogni curva era un nuovo dolore – un corpo, una sofferenza per il cuore e per l’anima, disperazione senza fine, orrore senza scampo, distruzione senza eguali.
L’unico motivo per cui Hermione continuava a camminare era la consapevolezza – nonché il bisogno – di sentire Harry e Ron accanto a lei. Ancora vivi, stavolta salvi.
L’unico motivo per cui Hermione continuava a camminare era l’immagine stampata a fuoco nei suoi occhi.
Mio figlio è ancora lì dentro– uno sguardo troppo simile a quello di Draco per non coglierne la supplica implicita.
«Siamo al terzo piano, credo»Il sussurro di Ron quasi la fece sobbalzare. «Questo non è il bagno distrutto dal Troll?»Un fascio di luce bianca illuminò un’apertura irregolare nella parete. Hermione vide l’ombra di un sorriso sul volto del suo migliore amico – qualcosa come un ricordo superstite, fantasma di un passato che li aveva ricongiunti lì, a sette anni dall’inizio della loro amicizia.
Poi vide un’ombra vera vagare per quei cubicoli ormai inesistenti.
«Vado a controllare se c’è qualcuno»disse, facendo un passo avanti e quasi perdendo l’equilibrio quando il peso del suo corpo crollò sulla caviglia gonfia e traballante – a un certo punto le era caduto un masso addosso, e quello, comunque, era il giusto prezzo da pagare per essere ancora viva.
«Vengo con te»si offrì subito Ron, passandole un braccio intorno alla vita e sorreggendola.
«Non c’è bisogno. Ci metto un attimo»Hermione si divincolò da quella presa con ferma gentilezza, e passò avanti senza aspettare risposta. Né Harry né Ron la seguirono, perché anche se si stringevano tra di loro, tutti e tre non potevano negare di aver bisogno di un po’ di solitudine per accettare, metabolizzare, ricominciare.
La luce della bacchetta non era più necessaria, ed Hermione non era sicura che il motivo fosse la luce dell’alba che penetrava da quello che una volta era il soffitto.
Non aveva pensato di cercarlo lì, ma quando quell’ombra aveva ondeggiato davanti ai suoi occhi, una certezza incrollabile le aveva avvolto il cuore.
Lui era ancora vivo, e la stava aspettando.
Si guardarono a lungo, senza dire niente. Semplicemente stettero immobili, occhi negli occhi, a godere l’uno della presenza dell’altro come se entrambi si ritrovassero proiettati indietro nel tempo in una di quelle notti fatte di favole e risate – anche se non c’era il buio, anche se era cambiato tutto.
Per un attimo a Hermione venne voglia di raccontare una favola, ma quando aprì la bocca per parlare non ne uscì alcun suono.
L’attimo dopo le venne voglia di avvicinarsi a lui e sfiorarlo, toccarlo, sentire il suo calore, la sua presenza, vivida sulla pelle.
Tutto ciò che fece fu sollevare due dita e poggiarle sulle labbra, perché la vista della bocca di Draco aveva risvegliato in lei il ricordo di un bacio mai dimenticato.
 
C’erano parole prigioniere del suo sguardo, parole proibite che lei non ebbe la forza di dire, perché la realtà aveva schiacciato ogni traccia di favola che risiedeva in lei. Mentre la guardava, a Draco vennero un sacco di voglie, desideri nascosti in fondo all’anima ed esplosi come incantesimi, fuochi d’artificio sbocciati nel cielo del suo inconscio. Si rese conto solo in quel momento di quanto fossero belle le sue labbra: aveva una bocca di pesco, dal taglio incerto, frutto proibito il cui accesso era negato a quelli come lui – traditori, doppiogiochisti, indecisi, stronzi, falsi, Purosangue, Malfoy.
«Hermione, va tutto bene? C’è qualcuno?»La voce di Weasley ruppe quell’idillio come la peggiore delle Maledizioni.
Un lampo di paura passò negli occhi di Draco. Fissò Hermione implorandole il silenzio con la sola forza del suo sguardo, ma un secondo dopo averlo fatto se ne pentì.
Villa Malfoy. Cruciatus. Occhi – i suoi occhi che lo guardavano, senza chiedere.
La verità era che non aveva il diritto di chiederle niente, ma lui era risaputamente egoista e irrimediabilmente stronzo.
La vide tremare sotto quello sguardo inclemente, ingiusto, ma vero. La vide fremere, e prendere un respiro profondo, per poi aprire le labbra.
Per un attimo sperò che cominciasse a raccontare una favola.
L’attimo dopo pregò che gli dicesse che sarebbe andato tutto bene.
«No»rispose lei, con la voce roca, malferma, ma convinta. «Non c’è nessuno qui».
Gli rivolse un ultimo sguardo, uno sguardo che Draco non riuscì a interpretare. C’era dentro qualcosa come la voglia di ricominciare, insieme. C’era dentro tanta malinconia. C’era dentro un grazie, un per favore, uno scusa, e anche – soprattutto – un perdono. C’erano dentro tutte le favole raccontate in quel bagno, e tutte quelle che ancora avrebbe dovuto – voluto – raccontargli. C’era dentro un sacco di roba.
Poi anche quello sguardo finì, come tutto, nel mondo. Come era finito l’incanto di Cenerentola, allo scoccare della mezzanotte; com’era finita quella guerra.
Però a Draco sembrò che tutto cominciasse in quel momento, da quello sguardo.
Pochi minuti più tardi, mentre suo padre gli cingeva le spalle e sua madre gli stringeva la mano, Draco si sentì a casa. Protetto, al sicuro. Nuovo.
Forse, era quello che lei aveva voluto suggerirgli fin dall’inizio. Lui non era lo spaventapasseri, né il leone, né l’uomo di latta. Lui era un ragazzo che doveva scoprire l’orrore del mondo per rendersi conto di quanto, invece, fosse meraviglioso, il mondo.
Draco pensava di dover fuggire dall’ala protettiva di suo padre per vedere il mondo e liberarsi finalmente delle catene che lo costringevano ad agire in un modo di cui lui ultimamente aveva cominciato a dubitare; pensava di dover evitare l’affetto nascosto nei piccoli gesti di sua madre, per trovare l’amore; pensava di dover disprezzare ciò che era diverso, per trovare la purezza dentro di lui.
Invece aveva già accanto a sé tutto ciò di cui aveva bisogno, perché suo padre non l’aveva mai costretto, ma era stato lui stesso costretto, per forze che per molto tempo a lui erano sfuggite ma di cui aveva infine compreso la crudele meccanica; perché sua madre lo amava, e non c’era bisogno di trovare amore altrove, perché lui, l’amore, l’aveva già dentro di sé, nelle sue vene, nello stesso sangue che sua madre gli aveva donato, dentro quel cuore che sentiva battere al di sotto del suo polso bianco e sottile; perché non aveva bisogno di purezza, soprattutto, non di quella del sangue, perché c’era già Hermione, che di purezza ne aveva a sufficienza per entrambi.

 

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Nota dell'autrice:

Temo di aver preso il brutto vizio di inserire note ad ogni capitolo, ma purtroppo devo chiarire alcune cose.
Come avevo già anticipato, ho cercato di rimanere il più fedele possibile alle vicende narrate dalla Rowling. Dopo il bacio che Draco e Hermione si sono scambiati in quel bagno, il Serpeverde è salito sulla torre e ha cercato di uccidere Silente, missione poi portata a termine da Piton. A quel punto, la storia prosegue come nei libri, con le dovute modifiche nell'intreccio con la mia storia (anche se non sarebbe poi impossibile farcela entrare, visto che Harry e Ron erano nei sotterranei e la favola di Hermione era raccontata a bassa voce a causa del dolore).
Se per caso vi viene in mente di rileggere i capitoli dei "Doni" inerenti a questa storia, noterete che ho scopiazzato qualche frase dalla Rowling proprio per cercare di rimanere fedele alla sua storia (che, epilogo a parte, mi piace troppo per cambiarla).
Le vicende della guerra sono raccontate dal punto di vista di Draco; mi rendo conto che è una parte un po' difficile da comprendere, in quanto frammentaria, ma ho cercato di rendere chiara la sua paura, il senso di inadeguatezza che prova.
In caso non si fosse capito, dopo la fine della guerra ho immaginato che gli Auror e quelli dell'Ordine setacciassero il castello alla ricerca di altri Mangiamorte, ecco perchè Hermione vagava per la scuola con Harry e Ron, ed ecco perchè Draco si nascondeva.
Il bacio tra Ron ed Hermione non c'è mai stato.
Infine, sono consapevole che di aver incastrato davvero male questa "favola", ma, sul serio, per questo capitolo ho avuto qualche difficoltà.

Citazioni:
- Due occhi enormi di paura - Da "Il pescatore", Fabrizio De Andrè.
- Era guscio e conchiglia - Da "Senza sangue", Alessandro Baricco.

Grazie a tutti voi lettori, siete semplicemente fantastici.
Come sempre, potete trovarmi qui.

   
 
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