Bouquet de Nerfs.
04.18 – Martedì. La caffettiera moka ribolle il solito caffè, preparato e travasato nella caldaia, nuovo caffè nel filtro. Federico accende il gas. Sembra un giocare a quanto denso e nero possa diventare.
Cento tazzine è il massimo consentito riguardo alla tossicità, noia. Cento tazzine di noia: una aromatizzata come il caffè turco alla stanchezza, una con una zolletta di morbosità, una girata con un cucchiaino di apatia. Cento caffè di noia.
Rigetterebbe addirittura progetti e consegne sui programmi vettoriali del Mac.
Ha coperto tutti gli specchi dell’appartamento, manie, semplici manie. Dopo aver sognato camerate di gueules cassées - volti deformati, fracassati, orrori osteologici da bombardamenti, luci verdi lampeggianti – non ha più voluto chiudere occhio (o guardarsi allo specchio).
Un numero di telefono appuntato alla bacheca. La cornetta del telefono pesa tra le mani e sembra elettrica, al terzo squillo nota l’orario indecente ma i manicomi non hanno orari, non si lamenteranno.
Una voce borbotta qualcosa di incomprensibile seguendo un tramestio confuso e ovattato.
« Qui Federico Marcenaro; con chi ho l’onore di parlare? » Risponde Federico rendendosi improvvisamente conto di non averne la più pallida idea.
« Federico, sei tu? Sei tu che mi hai chiamato, sono Lorenzo. » La voce di questo Lorenzo è assonnata, roca, non lamentevole.
« Lorenzo del bar, certo. Non è orario? » Federico si chiede se le persone lo detestino almeno quanto si detesta da solo. Vorrebbe buttare giù la chiamata e richiamarsi, dirsi che è uno stronzo egoista e che non merita nessuno; ma in fondo non vuole veramente Lorenzo, deve mettere in chiaro che si tratta esclusivamente di un sostituto, un giocattolo.
« Sono quasi le quattro e mezza. » Mormora Lorenzo caricando l’affermazione della stanchezza della giornata passata e di quella futura.
« Ti ho svegliato? Sì, ti ho svegliato. » Federico comincia a sentirsi in colpa e parla velocemente per distrarre Lorenzo, per intrattenerlo; il buffone cantastorie di qualche pessima fiaba. « Sai chi erano i gueules cassées? Erano i reduci della Grande Guerra che riportavano ferite estese al volto al livello da risultare impossibili da reintegrare. Non erano pazzi ma tanti vennero internati pur di non sconvolgere il mondo. Quasi freaks senza i vantaggi dei freaks. »
« E tu li hai sognati? E’ per questo che mi hai chiamato? Vuoi che venga da te? Mi vesto ed arrivo. » Lorenzo è sbrigativo, cerca di prendere le redini della situazione, della telefonata.
« Non voglio che tu venga. » Scandisce chiaramente Federico, come faceva da piccolo per proibire alla madre di partecipare alle recite scolastiche.
« Allora la nostra cena, quando? » Continua spedito Lorenzo, dritto al punto. Trentatré anni mica a caso.
« Domani. » Mugugna Federico, non sa come sentirsi. Gli è soltanto passata la noia.
« Passo a prenderti per le otto e mezza. » E butta giù.
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