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Autore: Alkimia    13/06/2012    8 recensioni
[CONCLUSA]
Ha calcolato ogni cosa, a questo gli è servito quel suo lungo esilio. Per ogni percorso possibile ha trovato almeno due o tre vie di fuga. Aveva messo in conto anche l'eventualità di venire catturato nel caso in cui il suo piano con i Chitauri fosse fallito.
Mentre nella sua mente si dipana una mappa da seguire, Loki sa che non è più un prigioniero. È solo qualcuno in attesa di un'occasione, come lo è stato per il resto della sua vita.

Loki sfugge alla sua prigionia e torna sulla Terra per recuperare un oggetto di cui ha bisogno per riacquistare potere; potrebbe rubarlo o prenderlo con la forza ma quando lo trova, in quella singolare città che è Venezia, scopre che la situazione non è così facilmente risolvibile. Intanto, dal pianeta dei Chitauri arriva la vendetta di Thanos per la mancata promessa della consegna del Tesseract e la cosa finirà per coinvolgere anche i Vendicatori...
Genere: Azione, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Loki, Nuovo personaggio, Thor, Tony Stark/Iron Man
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'A waltz for shadows and stars' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Capitolo quarto


Il pub è affollato, l'aria è carica del chiacchiericcio – nemmeno troppo sommesso – dei presenti. Meglio: un po' di confusione aiuta a confondersi in modo migliore, a sparire più facilmente se si vuole. Certe regole valgono sempre, non importa se è un sabato sera di relax in cui non è previsto che accada niente di preoccupante. 
Tump. La prima freccetta va a segno, al centro esatto del bersaglio di sughero.
Tump. La seconda si va a conficcare nel retro della prima.
Clint prende tra le mani la terza freccetta, sicuro di centrare il colpo anche questa volta. Tiene tra l'indice e il pollice il cilindro di plastica, prende la mira, tira indietro la mano e fa per lanciare...
«Non ti annoia mai?». La voce alle sue spalle lo distrae. La terza freccia si conficca qualche centimetro più in basso delle altre. Clint Barton, Occhio di Falco, agente speciale dello S.H.I.E.L.D., super tiratore e – se le circostanze lo richiedono – supereroe, odia mancare il bersaglio per questo si impegna affinché non accada.
«No, Natasha. Se mi annoiassi non lo farei» dice pacato alla donna seduta al tavolo alle sue spalle. A proposito di bersagli mancati, per l'appunto.
Clint torna a sedersi vicino alla sua collega e beve un lungo sorso di birra. Il direttore Fury deve aver pensato che fossero davvero provati dalla loro ultima impresa se gli ha concesso un po' di tempo per... bah, per fare cosa Clint ancora non l'ha ancora capito. Cosa si aspetta che facciano due sicari di un'associazione segreta quando non sono in missione, tornei di Cluedo?
Però, se ci pensa, l'ultima missione è stata davvero un brutto colpo. Anche sorvolando sul fatto di essere finito a fare la marionetta nelle mani di Loki, quella voragine aperta in mezzo al cielo dalla quale piovevano alieni armati ed enormi creature mostruose non è un ricordo piacevole. E ancora meno piacevole è il ricordo di quando Loki ha fermato con una sola mano la freccia che puntava al suo occhio. Spera che nel suo pianeta... mondo... universo, lì fra le nuvole, dovunque sia, gliela stiano facendo pagare a quel figlio di puttana!
«Ci stai di nuovo pensando» afferma Natasha, con la sicurezza che la contraddistingue.
Clint finge di non capire, di non aver sentito; beve un altro sorso dal bicchiere, ma Natasha non è una che molla. 
Gli tiene gli occhi puntati in faccia, come i mirini di un bazooka. Attende una risposta, la pretende.
«Vorresti farmi credere che tu non ci pensi mai?» cede l'agente Barton, inclinando la testa di lato.
Le dita della donna si stringono nervosamente attorno allo stelo del bicchiere da cocktail, tanto che per un attimo lui si aspetta di sentire lo scricchiolio del vetro che si spezza.
«Se pensassi a quello che è stato, tutte le volte che accade qualcosa... i pensieri sono un lusso che non possiamo permetterci» sentenzia lei laconica.
Ha ragione, è innegabile, eppure Clint si sorprende a pensare che per questa volta non sta dicendo ciò che lui voleva sentirle dire.
«Evitare una catastrofe mondiale non capita tutti i giorni»
«Hai intenzione di fare lo spaccone per questo? Forse può funzionare con le ragazze».
Clint ridacchia sommessamente.
«Anche con i ragazzi. Sai, non tutti considerano una dimostrazione d'affetto un colpo che procuri una commozione cerebrale» replica scherzoso.
«Quella non era una dimostrazione d'affetto»
«Lo è stata il non uccidermi?».
Natasha distoglie lo sguardo, come se le ultime due dita di cocktail sul fondo del bicchiere siano diventate all'improvviso la cosa più interessante del mondo.
«Almeno adesso siamo pari» mormora poi continua a bere tranquillamente il suo mojito.

***

Sara è sul terrazzino a fumare una sigaretta. Da lì guarda l'interno della hall, con il via vai mattutino dei clienti.     
Soffia verso l'alto una stringa di fumo, mentre un gabbiano plana nel rettangolo di cielo visibile tra i tetti delle case, una porzione di azzurro terso e senza nuvole. C'è un bel silenzio riposante e c'è una frescura piacevole, quella dell'ombra della pietra vecchia che si respira nei vicoli meno affollati di Venezia.
Sara non capisce perché Nadia sia sempre così inquieta, perché si affanni tanto per non restare lì. Non ha mai detto davvero che vuole andarsene, ma lei lo sa, altrimenti perché sua sorella avrebbe fatto tutti quegli sforzi per fare altre cose. Sara davvero non riesce a capire; quella è la loro vita, la loro casa, la loro famiglia... ah, ma Nadia è sempre stata diversa. Nadia ha sempre avuto i suoi romanzi – fino a qualche anno fa ci si perdeva proprio, la si poteva trovare assorta con un libro tra le mani e lo sguardo assente, lontano – e ha avuto la sua musica, quella pesante, dei cantautori italiani e i musical internazionali. A Sara i musical fanno venire sonno, l'unico che sia riuscito a guardare una volta è stato Moulin Rouge...

One day I'll fly away,
leave all this to yesterday...

Sembrava l'avesse scritta Nadia quella canzone. Sara aveva osservato le labbra della sorella ripetere a memoria le parole mentre Nicole Kidman cantava sullo schermo, e allora aveva capito.
Anche se ha sei anni meno di lei, anche se non riesce a non essere la bambinona della casa e ci sono poche cose che capisce davvero a fondo, ma una di queste è proprio Nadia, per l'appunto. Capisce lei, capisce il suo sguardo che si spegne mentre la mamma parla di fatture e computer nuovi e costi del personale. Ma non capisce la sua voglia di qualcosa di diverso, non capisce la ragione di lottare tanto per avere qualcosa quando quello che ha è già abbastanza.
Perché Sara potrà anche essere una bambina, ma li ascolta anche lei i telegiornali e lo sa quello che sta succedendo. La Crisi, la politica che è uno schifo, gli imprenditori che si suicidano... i suoi amici ci riempiono le loro bacheche di facebook con link su questa roba. E allora perché Nadia non vuole restarsene nel loro porto sicuro, perché sembra sempre così pronta a lasciare una certezza per mille incognite?
Forse Nadia è una stupida, alla fin fine. O forse Nadia è quella coraggiosa e lei, Sara, è la vigliacca.
Ma evidentemente sua sorella non vuole andarsene davvero, forse non è ancora pronta a spiccare il volo e per quanto tenti di sbattere le ali, quelle sono ancora troppo deboli per portarla via da lì.
Sara le vuole bene, un bene dell'anima. E in nome di questo affetto non sa se augurarsi che lei rinunci a questa idea di farsi un'altra vita o se sperare che riesca in tutto ciò che si prefigge.
La ragazza spinge il mozzicone sul fondo del pesante posacenere di marmo appoggiato alla ringhiera. Entra dentro e quando apre la porta i rumori della hall la investono come una folata di vento. È la sua vita, la loro vita, cosa c'è che non va?
Oh, guarda chi c'è, il ragazzo della numero 7, quello bello e inquietante con il nome strano.
Sara ha visto lui e Nadia tornare in hotel insieme la sera prima. Sono tornati tardi, lei li ha visti solo perché era andata in cucina a prendere dell'acqua. Non è che sembrassero particolarmente affiatati, lui sembrava pensieroso e con la mente altrove, a lei di certo non brillavano gli occhi, ma quando mai è capitato che Nadia passasse del tempo con un cliente dell'albergo? Del resto, quando mai ha avuto motivi per farlo?
Sara sorride tra sé e sé e pensa che provare a parlare con quel tizio non sarebbe male. Così, tanto per cercare di capire che tipo è. Nadia diceva di trovarlo inquietante eppure ci si è fatta una passeggiata assieme di sera tardi – ammesso che non sia successo anche dell'altro.
L'espressione della ragazza passa dal sarcastico allo sgomento.
No, decisamente Nadia non è il tipo...
Il ragazzo, Low Key Laufeyson, è seduto su una poltrona di velluto. Sara più lo guarda e più le piace, cioè ha proprio un atteggiamento da piccolo lord, sembra uscito da una fotografia vittoriana. È alto ma non particolarmente robusto, eppure c'è qualcosa di imponente nella sua figura, come nel ritratto di un re. E c'è davvero qualcosa di regale nel modo in cui se ne sta seduto, composto, come se cercasse di occupare il minor spazio possibile, con il giornale tra le mani aperto alla pagina dell'enigmistica, lo sguardo concentrato, probabilmente a cercare di ricordarsi la risposta alla definizione del 1 orizzontale.
«Grossman» gli dice lei, avvicinandosi.
Lui solleva la testa di scatto, le dita affusolate si stringono attorno alle pagine. Forse lo ha spaventato o lo ha infastidito, o forse voleva arrivarci da solo a ricordarsi quel nome. Ma non c'è nessuna nota di fastidio nella sua voce mentre le chiede,
«Come dici?». C'è giusto una punta di freddezza, ma forse è solo per gli occhi straordinariamente azzurri.
«La definizione, il primo orizzontale: il David scrittore. La risposta è Grossman, me lo ha detto Nadia, stavo facendo anche io quel cruciverba stamattina» spiega Sara, un po' in imbarazzo. Magari andargli a parlare non è proprio una buona idea, adesso passerà per la bimbetta imbranata e fastidiosa... accidenti. Di sicuro Nadia non deve essergli sembrata imbranata e fastidiosa!
Più che altro, il ragazzo la guarda come se non avesse idea di cosa lei stia dicendo. Sara si sente in dovere di riparare a quella figuraccia e tornarsene nel suo angolino ad arrossire e a rimuginare su quanto è stata stupida.
«Pensavo stesse facendo ehm... il cruciverba. Mi scusi» farfuglia sentendo il rossore già affiorare in ondate di caldo sulle guance.
Ma il ragazzo le sorride. Cioè, non è proprio un sorriso... lo definirebbe più che altro un ghigno gentile. Ripiega il giornale in grembo e la guarda.
«Non c'è niente di cui scusarsi» mormora, con la sua voce pacata e carezzevole. «A proposito di Nadia, sai dirmi dov'è? Mi aveva promesso di procurarmi una cartina di Venezia con i percorsi delle imbarcazioni pubbliche».
Imbarcazioni pubbliche? Sta parlando delle linee dei traghetti, suppone Sara. Sì, è decisamente uscito da una foto vittoriana. E comunque, le ha chiesto di Nadia, subito, nel giro di una manciata di parole. Lei non sa se ridacchiare o essere un po' invidiosa.
«Nadia è una randagia» risponde con un sorriso ironico, scuotendo la testa. «Adesso non saprei proprio dov'è, forse a Rialto, forse a guardare qualche chiesa cercando qualche particolare da fotografare. Se ne sta in giro più che può, io credo che non le piaccia troppo stare qui dentro».
«Oh. Davvero?» Low Kay si guarda attorno con aria teatrale. «Non mi sembra affatto un posto così brutto».
Infatti non lo è, ma a Nadia non piace perché Nadia è...
«Nadia è sempre stata un po'...»
Strana, diversa, ambiziosa... presuntuosa.
Sara deglutisce, deve fare attenzione a come parla di sua sorella con un estraneo, potrebbe venire fraintesa.
«Nadia è sempre stata un po' più incline ad altre aspirazioni. Non credo voglia fare l'albergatrice» risponde semplicemente, ma non c'è più il sorriso sulla sua faccia, lo ha sentito andare via come una fiamma di candela sulla quale qualcuno ha soffiato.
«No? Penso che per fare questo mestiere ci vogliano certe doti, in effetti» replica Low Kay.
Sì, ci vogliono certe doti che Nadia non ha, io invece ce le ho. Ho molte più doti di lei, eppure tutti mi credono una bambina!
«Ad ognuno il suo» conclude con un'alzata di spalle, scacciando via quei pensieri astiosi che proprio non sono da lei. «Le auguro buona giornata, signor Laufeyson».
«Anche a te».
Sara indugia qualche secondo. Non la chiama per nome, non se lo ricorda, di certo. Però si ricorda quello di Nadia, lei voleva parlare con lui per il semplice gusto di parlare qualche minuto con un bel ragazzo – che male c'è? E invece hanno parlato di Nadia.
La ragazza si stropiccia il viso con le mani, chiedendosi cosa sia quella sensazione di freddo che sente stringerle alla bocca dello stomaco.

***

Loki appoggia il giornale sul tavolino e si alza, lisciandosi il tessuto del soprabito scuro.
Ha capito che è inutile starsene lì ad aspettare Nadia. Potrebbe rintracciarla cercando di captare l'energia della pietra, ma se spuntasse di nuovo all'improvviso sul suo cammino lei potrebbe cominciare a insospettirsi.
Di questo passo, impiegherà un'eternità a portare a compimento il suo piano. Ma non ha altra scelta.
Osserva con la coda dell'occhio la ragazza più giovane, di cui ignora il nome, allontanarsi verso le scale. Quando l'ha vista avvicinarsi ha pensato subito che potesse essere una buona occasione per sapere dove era Nadia e magari per avere qualche informazione su come attirare in qualche modo il suo interesse, ma non è stato un gran colpo. Tutto quello che ha capito parlando con la ragazzina è che lei prova una specie di attrazione nei suoi confronti. È stato divertente sentirla farfugliare e vederla arrossire, ma la cosa non lo fa sentire affatto lusingato, gli fa solo apparire la natura umana un mistero ancora più insondabile – e quasi esasperante, se avesse il tempo e la voglia di fermarsi a rifletterci su.
E a un certo punto ha visto le ombre nello sguardo della ragazzina, quando parlava della sorella maggiore. Ombre di invidia, di incomprensioni non sanate, di distanze mai colmate.
Forse è il destino di tutti i fratelli minori, pensa con un sospiro, mentre un vento leggero smuove le poche nuvole che macchiano il cielo. Però si è divertito a vedere quelle onde incupirsi parola dopo parola, pensiero dopo pensiero.  
Certo, la ragazzina non arriverà mai a odiare la sorella maggiore, non permetterà mai a quelle ombre di avere la meglio, perché è una debole, perché ha bisogno di sapere che Nadia ci sarà nella sua vita, a posarle la mano sulla spalla ed aiutarla dall'alto della sua superiorità. Si ricorda di tenerlo a mente, nel caso in cui avesse bisogno di smuovere la piccola fotografa: sua sorella sarebbe un'eccellente leva sulla quale fare pressione. Nadia si piegherebbe di sicuro per la ragazzina. Perché lei è buona e può permetterselo, perché lei è amata e può regalarle qualche spicciolo di luce quando non è troppo impegnata a crogiolarsi nelle sue vittorie facili. Come ha fatto suo fratello...
Fratello.
La parola gli sibila nella mente come il rumore delle spire di un serpente. La parola che non riesce a  staccare da quel nome, da quei ricordi, da giorni lontani che gli pesano nella mente come vestiti carichi di pioggia.
Fratello. Famiglia. Casa.
Tutte cose di cui non ha bisogno, vi ha rinunciato molto tempo fa. È un dio, e in quanto tale può bastare a se stesso, ma per quanto potere possa ottenere, per quanto bene possa nascondersi dai suoi nemici, non può niente contro la prepotenza di quel ricordare che arriva di soppiatto e lo fa fremere di rabbia. Una rabbia glaciale, che si mescola al freddo del suo stesso sangue.
Loki alza lo sguardo sulla grande cupola di rame del tempio – è certo che in quel posto i luoghi di culto non vengano più chiamati in quel modo, ma ora non rammenta il termine esatto.
È sempre la curiosità che lo spinge a varcare la soglia dell'edificio circolare. Oltre i grossi battenti dell'ingresso c'è un silenzio che sembra indotto da un incantesimo e un odore dolciastro di fiori che appassiscono, insieme a un sentore di cera bruciata e di incenso che ristagna nell'aria immobile.
Loki cammina tra le file di panche di legno, sfiorandone gli schienali con la punta delle dita. Il ticchettio dei suoi passi come unica compagnia.
Alza lo sguardo al di sopra dell'altare coperto da una tovaglia bianca e osserva la croce. Che religione è una che sceglie come proprio emblema un antico strumento di tortura?
Quel luogo di culto è un posto triste, gli sembra vuoto. In quello strano mondo gli uomini non temono gli dei, cantano per loro e accendono candele, i loro altari sono immacolati, il sangue del sacrificio non li ha mai sfiorati. Credono in un dio che muore per loro invece che combattere.
L'odore di fiori e cera bruciata gli arriva a zaffate, come un olezzo insopportabile. Loki si volta, quasi stizzito, fa per uscire, ma si ferma davanti a una specie di grosso catino circolare pieno per metà di acqua. Guarda la superficie liscia del liquido perfettamente trasparente, si riescono a vedere le venature del marmo sul fondo del recipiente.
Loki stende una mano, la passa a pelo d'acqua; sotto il suo palmo si forma uno strato di ghiaccio spesso e lucido. Sorride il dio dell'inganno, mentre si allunga a spiare la sua immagine sulla superficie gelata e, nonostante indossi ancora gli abiti da terrestre, si vede riflesso con le insegne del suo potere e del suo rango che rifulgono di luce dorata.

***

Nadia scende dal traghetto, reggendo tra le braccia un ingombrante sacchetto della spesa pieno di verdura fresca.
Nella tasca posteriore dei jeans ha la cartina di Venezia con le linee e gli orari dei mezzi pubblici del centro storico, se l'è fatta dare alla fermata di piazza San Marco.
C'è un'afa quasi estiva nell'aria, il gelo improvviso che ha soffiato sulla città due giorni prima sembra un ricordo lontanissimo. Ora invece è come se su Venezia si sia precipitata un'estate inaspettata.
Il cielo era talmente terso che dalla piazza si scorgeva netto all'orizzonte il profilo dell'isola di San Michele. Le strade erano affollate, una Babele di lingue, con i turisti dei paesi del nord già in canottiera e pantaloncini.
Nadia ha addosso uno strano senso di buon umore quel pomeriggio. Ha passato una mattina in giro per le strade, ha incontrato un paio di amici per un caffè e ha scoperto che alla Corte dell'Angelo ricominceranno i concerti di musica jazz quella settimana, e lei vuole assolutamente andarci. Non pensa più al malumore di qualche giorno prima; non che le sia passata da un momento all'altro, semplicemente si è detta che per un po' metterà da parte tutti i pensieri poco salutari per il benessere del suo fegato. Non ha voglia di continuare ad angustiarsi perché le cose non vanno come vorrebbe, per un po' vuole solo deporre le armi e stabilire un armistizio con la sua vita, solo per un breve periodo magari, ma ne ha davvero bisogno. Forse, una volta che si sarà riposata, una volta che avrà smesso di rimuginare sulle cose andate male, riuscirà ad affrontare meglio le battaglie che verranno.
Affonda il viso nel sacchetto inspirando l'odore di frutta fresca e basilico.
Cucinerà lei a cena, farà gli spaghetti con il pomodoro fresco che tanto piacciono a Sara, e le scaloppine come le ha insegnato suo padre. E non se ne andrà in giro per la città di sera, resterà a casa, con la sua famiglia perché è giusto che ogni tanto lei resti.
Entra in casa dalla porta sul retro, l'ingresso privato all'abitazione della famiglia Berton. Mette i rametti di basilico in un bicchiere con dell'acqua, perché si conservino freschi. Separa la frutta più matura da quella ancora un po' acerba – la prima nel frigo, la seconda nel cestino sopra al davanzale della finestra.
Casanova compare sulla soglia, si mette a sedere sulle zampe posteriori e segue i suoi movimenti con gli occhi dorati. Sa che la sua padrona non vuole che entri in cucina, un animale in cucina non è igienico, e lui obbedisce, anche se sa che la sua padrona non lo picchierebbe mai con il giornale o con la scopa.
«Sì, gatto ingordo, ho qualcosa anche per te» dice Nadia, mostrando un pacco di carta cerata che odora di mare e pesce fresco.
Casanova si lecca il muso e tende il collo con aria interessata, dando qualche colpetto con la coda sul pavimento in segno di approvazione.
Nadia sorride compiaciuta, poi si ricorda della cartina nella tasca posteriore dei jeans.
«Però prima devo andare a portare questa al tipo strambo» dice.
Il gatto la segue mentre esce dall'appartamento e entra nella hall, imbocca le scale e sul pianerottolo si imbatte in Sara.
«Ehi, stasera cucino. Pasta con il pomodoro fresco» le dice, strizzandole l'occhio.
Sua sorella la guarda con un'aria stranamente crucciata,
«Oh, bene. Io stasera esco» risponde sbrigativa.
«Ma come? E io che volevo cucinare»
«Esco» ripete Sara scrollando le spalle. «Non sei certo la sola ad avere cose da fare fuori di qui».
Non le dà tempo di replicare, la sorpassa e si allontana. Nadia si volta, guardandola sparire giù per i gradini di moquette. Ogni tanto sua sorella ha ancora qualche rigurgito di crisi adolescenziale, ma non era mai stata così fredda con lei prima.
Nadia decide di lasciar perdere, terrà d'occhio Sara nei prossimi giorni e se ci sarà qualcosa che non va ne parlerà, perché sono sorelle, possono parlare e risolvere qualsiasi cosa.
Arriva al secondo piano. Si ferma davanti alla camera numero 7 e si chiede se Loki sia dentro. Non gli ha chiesto che ci fa a Venezia, non gli ha chiesto un sacco di cose. Avrebbe potuto azzardare qualche domanda la sera prima, ma ha avuto come l'impressione che lui fosse stanco, stanco di una stanchezza che anche lei prova spesso... stanco del mondo. Che avesse bisogno solo di camminare in silenzio, respirando l'aria salmastra e un po' umida della sera. E chi è lei per privarlo di questa necessità, sapendo bene come alle volte certi bisogni possono diventare pressanti?
Pensa che se non è in camera si limiterà a infilargli la cartina sotto l'uscio della porta. Lo stesso uscio che Casanova ora sta annusando circospetto.
Nadia allontana il gatto spingendolo piano con il collo del piede e bussa.
Loki c'è, le apre la porta, sorride.
«Ben trovata» dice. Chissà perché, ma la ragazza non si aspettava un ciao, troppo poco aristocratico per lui, evidentemente.
Nadia sta per rispondere al saluto, ma Casanova lancia un miagolio acuto e vibrante e scatta in avanti, soffiando, mettendosi tra lei e il ragazzo.
Loki abbassa lo sguardo sul gatto, stavolta non sembra spaventato, stavolta lo guarda con freddezza, come se potesse ucciderlo con un'occhiata da un momento all'altro. Anche Nadia ora vorrebbe uccidere il suo adorato micio, in realtà.
«Casanova, via!» esclama interdetta.
Il gatto miagola, come se cercasse di lanciarle un monito, frusta il pavimento con la coda d'argento.
«Ho detto: via!». Nadia alza la voce. Non ha mai voluto farlo castrare, le è sempre sembrata una barbarie, ma forse è il caso che cominci a prendere in considerazione l'idea.
Casanova ritrova lentamente il suo contegno da felino domestico, fa oscillare la testa spostando lo sguardo di ambra tra la sua padrona e l'ospite che tanto gli è antipatico, poi lancia un ultimo debole miagolio di protesta prima di allontanarsi.
Nadia si passa una mano sul viso, lancia verso Loki uno sguardo mortificato.
«Mi dispiace... non è mai stato aggressivo con nessuno» dice, scuotendo la testa. «Ero venuta a portarti questa».
Gli porge la cartina, Loki si sposta di lato.
«Vuoi entrare?» le chiede.
No, preferirebbe proprio di no. Non è molto professionale, e poi deve andare di sotto a cucinare.
Ma Loki è... sembra ancora così stanco. E forse è anche stanco di starsene lì da solo. Nadia lo guarda chiedendosi se abbia una casa dove tornare.
Certo che ce l'ha, perché non dovrebbe?
«Ho da fare. Dovevi dirmi qualcosa?» dice varcando la soglia.
Loki chiude la porta alle loro spalle. Nadia lancia uno sguardo veloce in giro per la stanza: sembra che non ci sia stato nessuno. Nemmeno una sedia è stata spostata, non sono state aperte neanche le tende. La ragazza sa che non dovrebbe essere lì e che il suo istinto materno che l'ha portata a intenerirsi per la silenziosa solitudine di quel tizio dovrebbe essere messo da parte nelle occasioni future.
«Non vorrei approfittare della tua gentilezza» esordisce Loki. «Volevo solo chiederti se puoi indicarmi una biblioteca, dovrei fare delle ricerche».
«È per questo che sei a Venezia, per una ricerca?», la domanda le scappa di bocca senza che Nadia riesca a trattenerla.
Negli occhi di Loki si accende una scintilla di divertimento,
«Direi proprio di sì» le risponde con uno strano sorriso.
Nadia prende la biro con il nome dell'albergo appoggiata sul tavolino assieme ai fogli intestati, apre la cartina e la spiega sul piano di legno smaltato.
«L'albergo è qui» dice facendo un cerchio. «La biblioteca è qui». Disegna una croce in un punto vicino Piazza San Marco, poi solleva lo sguardo e fissa il suo interlocutore.
«Ti ringrazio» mormora lui prima di notare che lei lo sta guardando pensierosa. «Cosa c'è?».
«Quando mi hai detto il tuo nome ieri mattina ho pensato al cane di una mia amica delle medie, poi ho pensato alla divinità norrena: Loki, il dio dell'inganno»
«Lo sapevo!»
«Cosa?»
«Che sei una persona piuttosto colta».
Nadia scuote la testa, alza gli occhi al cielo.
«Beh, trovo emblematico il fatto che ti chiami come una divinità nordica, ingannatrice e portatrice di caos» risponde, un po' canzonatoria un po' seria.
«Io lo trovo casuale, in realtà. Ma se fossi una divinità sarebbe... divertente» replica lui, distogliendo lo sguardo e fissando un punto lontano, come se stesse accarezzando chissà quale strano pensiero.
«Oh, volendo prestare fede alle leggende norrene, Loki era uno che se la spassava parecchio»
«Sul serio?»
«Sì. Dicono che si fosse accoppiato con un sacco di esseri sovrannaturali per generarne altri ancora più orribili. Ricordo una storia sul fatto che si sia trasformato in una giumenta per farsi montare da un cavallo e...».
L'angolo della bocca del ragazzo è sollevato in una smorfia di puro disgusto. Nadia arriccia le labbra, forse non era il caso di uscirsene con quelle cose e non era quello il modo di ribadire al suo strano ospite che non si fida particolarmente di lui.
«In fatto di dei, al genere umano non è mai mancata l'immaginazione» conclude Loki scuotendo la testa.

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Note:

Mi è piaciuto scrivere un paragrafo dal POV di Sara, così mi sono tolta lo sfizio di fare un po' la fangirl senza andare a minare il contegno del mio OC e anche perché mi piaceva questa cosa di lui che in quanto divinità del caos riesce a seminare la discordia anche senza fare niente di che.
E mi sono divertita a pensare che Loki trovi strano il fatto di esercitare un'attrazione fisica su un'umana, perché ho come l'impressione che il personaggio non si ritenga molto gradevole.
Non mi è piaciuto parlare di Clint e Natasha, sono personaggi che faccio ancora un po' fatica ad inquadrare. Ma c'è tempo prima che i Vendicatori entrino nel vivo della storia, per cui per adesso va bene così.
La faccenda di Loki che si trasforma in una giumenta e tutto il resto fa tendenza ormai... ma mi piace pensare che il personaggio marveliano non abbia molto a che fare con il “vero” dio della mitologia norrena, perché QUEL Loki che fa le cose raccontate nelle leggende nordiche proprio non ce lo vedo (suvvia, è troppo impegnato a conquistare il mondo e a tentare di battere suo fratello per avere il tempo di accoppiarsi con esseri strani e generare mostri!).

Al prossimo capitolo ^^
 
   
 
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