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Autore: Maricuz_M    13/06/2012    6 recensioni
Sospirai, posando la penna accanto al foglio pieno di frasi appena scritte. Ero su una baita in montagna, ed era la Vigilia di Natale. In quel periodo, forse per la neve che vedevo cadere aldilà della finestra della mia camera o per una semplice casualità, sentivo particolarmente la rinomata atmosfera natalizia, e chissà perché, ne traevo ispirazione inconsciamente. Sentivo il bisogno di scrivere qualcosa di magico e fatato, e quella sera, prima di andare a dormire, mi ero decisa. Non avevo un computer con me, ma carta e qualcosa con cui sporcare il foglio sì.
Piegai leggermente la testa di lato, riprendendo fra le mani la pagina e rileggendo. Non avevo ancora ideato la trama, a dir la verità. L’unica cosa certa era che da quel prologo sarebbe uscito qualcosa di incantato e straordinario. Straordinario nel senso di non ordinario, ovviamente.
Genere: Comico, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 19


Ci aveva tagliato il palmo, facendo cadere il sangue proprio nella cavità della sporgenza della parete. Una leggera fitta di dolore, ma a parte quella nient’altro. Ci aveva subito guarito le ferite, poi aveva cominciato a dire delle parole in una strana lingua, mentre Alexander guardava con aria seria e attenta tutto ciò che stava facendo. C’era stata un’improvvisa folata di vento, che mi aveva fatto rabbrividire, poi un suono stridulo. Le barre di ferro si stavano ritirando lentamente, sotto lo sguardo sorpreso ma consapevole di tutti noi.
Quando eravamo tornati indietro, con Alexander, avevamo davvero passato il tempo raccontandogli la nostra storia. Non avevamo parlato del fatto che sarei partita il giorno seguente, però, data la presenza di Kevin. Non ce la facevo a dirglielo, e Brandon l’aveva capito e mi aveva assecondata, per fortuna. In ogni caso, sapevo che sospettava. Le due missioni in programma per me erano state completate con successo, non restava altro che tornare nella mia realtà, e lui ne era a conoscenza.
Io, invece, ero a conoscenza che stava per iniziare la parte peggiore dell’addio: l’inizio.
E mi rassicuravo da sola, ripetendomi che loro non avrebbero sentito la mia mancanza, ed io non avrei sofferto come stavo facendo in quel momento, una volta tornata nel mio mondo. Mi ribadivo sempre le solite cose, le stesse parole che in quella settimana mi ero detta in ogni momento in cui mi ritrovavo a pensare a quel punto della storia dopo il quale, nei fogli che mi avrebbe lasciato Brandon nel cassetto, ci sarebbe stata la scritta “The End”.
Ma la sera precedente aquel punto, bagnai il cuscino con delle lacrime silenziose, nonostante tutto.
 
“Tesoro..” una voce bassa, leggermente incrinata “Tesoro, svegliati..”
Mugolai qualcosa in risposta, muovendomi sul letto, ma una mano delicata mi accarezzò il viso, facendomi aprire gli occhi. Era Dianne, e aveva gli occhi leggermente lucidi “Amore, preparati e scendi in salotto, ok?”
Non ebbi la forza di replicare, sia perché mi ero appena svegliata che per il fatto che sapevo cosa dovevo fare quel giorno. Lei uscì, per lasciarmi il tempo e lo spazio per fare ciò che avessi da fare, e non appena lo feci, aprii la porta della mia camera.
Sia mia madre che mio padre erano lì fuori, in attesa. Li guardai per qualche secondo, senza dire una parola, poi abbozzai un sorriso “Beh.. Che si dice in questi casi?”
“Forse è meglio non dir niente, mh?” propose Dorian, abbassando per un attimo lo sguardo. Annuii, trovandomi d’accordo, così mi avvicinai semplicemente per abbracciarli entrambi e stringerli a me.
“Ci dispiace di averti fatto passare le pene dell’inferno, quando in realtà non c’entravi niente.” Disse Dianne, quasi singhiozzando.
“E’ finito tutto, e tutto è finito bene.” La rassicurai, baciandola su una guancia “Grazie.” Mormorai, non so neanche il perché. Sentivo il bisogno di dirlo, e l’avevo fatto. Entrambi fecero un sorriso tirato, commosso, triste. Tirai su col naso, alzai il mento per mostrarmi forte e li salutai con un gesto della mano “Ciao.”
Mi voltai, stringendo i denti per non piangere. Ero solo all’inizio dell’inizio, dovevo ancora arrivare in salotto. Quando lo feci, mi si bloccò il respiro. C’erano tutti: Kevin, Yvone, Brandon, Desmond e persino Alexander. Non li guardai negli occhi uno dopo l’altro, non ci riuscii. Allargai le braccia e le lasciai andare di nuovo, aspettando che qualcuno parlasse. Nessuno si decideva a farlo, ed io stavo quasi per cedere. Sentivo un peso opprimente sul petto, un nodo enorme nella gola.
Proprio Alexander, il più inaspettato e per questo il più probabile, si avvicinò a me sorridendo tranquillo, forse nascondendo un lieve dispiacere che però era sicuramente più debole rispetto a quello degli altri. Prese un respiro, trattenendosi per non ridacchiare a disagio, e parlò “Beh, io non posso fare altro che ringraziarti, sia per il fatto che tu abbia partecipato alla realizzazione della mia liberazione, che per quello che hai dovuto fare per arrivare a ciò, nonostante tu non sapessi niente. Mi dispiace che tu sia stata costretta a tutto questo, per me.”
Sorrisi, apprezzando le sue parole sincere e spontanee, esattamente come lui, a quanto mi era parso di capire “Non dispiacerti.”
“Mi assolvi, quindi?”
“Ti assolvo.” Risi, liberandomi di una piccola percentuale di peso che si trasferì direttamente nei miei occhi, sottoforma di lacrime, che trattenni. Alexander fece un breve ed elegante inchino, sempre con il sorriso disegnato perfettamente sul suo bel volto, poi si scansò per fare spazio a qualcun altro: Yvone.
Si attaccò immediatamente a me, stringendomi come non aveva mai fatto e bagnandomi la maglietta “No, dai, non piangere..” mi lamentai, con la voce incrinata. Non doveva assolutamente farlo, non ne aveva motivo. L’unica ad averlo ero io, seriamente, e stavo cercando di frenarmi, ma se tutti mi guardavano in quel modo non potevo riuscirci, era impossibile, lo era per me.
Mi strinse ancora di più e cominciò a singhiozzare “Non voglio che tu te ne vada..”
“Yvone, io non me ne vado, rimango qui..”
“Ruth Styles rimarrà, non Ruth Evanson.” Ridacchiai.
“Siamo la stessa cosa.”
“No!” gridò, lamentandosi come una bambina. Sospirai, tentando di mantenere l’autocontrollo rimasto.
“Sì..” mormorai, chiudendo gli occhi.
“Ruth..”
“Mh..”
“Ti voglio bene, ricordatelo. In qualunque mondo tu vada, ricordati di me, ricordati che ti volevo bene.”
“Mi ricorderò tantissime cose di te, Yvone.” Mi morsi il labbro, prima di iniziare con la lista “Mi ricorderò di quando il primo giorno mi sei venuta incontro dicendomi che ero strana, mentre sostenevo che tu mi prendessi per il culo perché non ti chiamavi Grace. Mi ricorderò di tutte le spiegazioni sulla vita di Ruth di cui io non ero a conoscenza, che mi hanno permesso di passare inosservata tra le altre persone, quelle umane. Mi ricorderò di ogni chiamata, di ogni conversazione fatta per cercare di scoprire cosa mi fosse successo, chi mi avesse portato qui, perché l’avesse fatto.. Ma soprattutto per avermi aiutato ad arrivare alla soluzione del dilemma cosa-diamine-è-Ruth. Ricorderò ogni singola cosa, te lo prometto.” E avevo cominciato a piangere anche io. La diga si era aperta, non avrei più smesso, già lo sapevo.
“Prometti..?”
“Prometto, Yvone. Prometto.” Ripetei, affondando il viso tra il suo collo e la sua spalla.
Restammo in quella posizione per minuti interi, senza ovviamente riuscire a fermare le lacrime che continuavano a scorrere copiose sul viso di entrambe. Quando trovammo la forza di staccarci, le sorrisi incoraggiante, mentre mi passavo una mano sulla guancia, giusto per tentare l’impossibile. Lei si sedette sul divano, mettendosi la testa fra le mani, coprendosi quelle sue fantastiche orecchie da elfo. La guardai per un po’, mentre cercava di calmarsi, ma poi mi accorsi di una presenza vicino a me. Mi voltai, per ritrovarmi davanti Desmond, con il viso imbronciato.
“Io.. Te l’ho detto una settimana fa che sei stata importante, per me.” Disse semplicemente, facendo spallucce e mostrandosi più tranquillo di quanto fosse. Annuii, senza aggiungere altro, ma sentendo il forte bisogno di abbracciarlo. Lo feci, e se all’inizio rimase immobile, dopo ricambiò la stretta con decisione, tremando lievemente. Se avesse iniziato anche lui, avrei potuto andarmene immediatamente. Come potevo sopportare tutto quello che stavo provando?
“Grazie per avermi fatto le soffiate.” Riuscii a dire, tra un singhiozzo e l’altro.
“Perché l’hai detto? Ora Brandon mi ammazza.” Ridacchiai un po’, apprezzando quel suo tentativo di sdrammatizzazione.
“Grazie..” sussurrai di nuovo. Strinse di più, senza dire niente. Ripresi a parlare “Scusami ancora per la scorsa settimana, per quando ti hanno picchiato a sangue.”
“Di nuovo? Quante volte ti devo dire che non hai colpe?”
“Un’ultima volta, per favore..” mugolai. Il silenzio, poi il suo petto che si alza di più rispetto alle altre volte, per via di un respiro profondo.
“Non hai colpe, Ruth.” Soffiò, tremante. Mi baciò i capelli, con quei suoi occhi gialli persi nel vuoto. Quell’immagine sarebbe sempre stata impressa nella  mia mente. Fece un passo indietro, guardandomi e trattenendo le lacrime, mordendosi il labbro. Non piangere, Desmond. Non farlo, per favore.
Cercai disperatamente di asciugarmi il viso senza vedere nessuno, con le braccia, con le mani, ma non facevo in tempo. Altre lacrime prendevano a scorrere, sempre di più. Sapevo chi avrei dovuto salutare proprio in quel momento, e non riuscivo a riaprire gli occhi per guardarlo. Stavo male, stavo dannatamente male. Mi coprivo il viso, combattendo contro il mio stesso corpo per non piegarmi al dolore che avevo agli addominali a causa dei singhiozzi. Non ce la facevo più. Il nodo alla gola era diventato qualcosa di enorme, che non mi faceva respirare, che mi faceva credere che tutta quella sofferenza sarebbe sempre e solamente peggiorata.
Poi mi sentii circondare le spalle da delle braccia, la fronte appoggiarsi su un petto, scosso continuamente da dei singulti, e un mento sopra la testa. Spostai le braccia, afferrandogli con le mani la maglietta, stritolandola, sfogandomi in quel modo, mentre lui mi stringeva a sé senza permettermi movimenti troppo grandi. Mi sentivo morire.
Mi sentivo morire perché lo amavo da impazzire. Forse era quel mondo magico dannatamente reale, forse quella percentuale di sangue fatato nelle mie vene, ma il mio amore per lui era un qualcosa che non era contenibile in un semplice corpo e l’idea della nostra separazione era come un centinaio di coltellate in pieno petto.
Si allontanò leggermente, per afferrarmi il viso con le mani tremolanti e far incontrare i nostri occhi bagnati dalle gocce del pianto. Quegli occhi incolore, che avevo conosciuto come inespressivi, stavano male. Così tanto male che sarei riuscita a percepire quel dolore con una semplice occhiata fugace e casuale. Mi stavano chiedendo di restare, mi stavano dicendo quanto Kevin tenesse a me, mi stavano supplicando.
“Ruth..” mormorò, facendo una smorfia così straziante da farmi tremare ancora di più.
Mugolai, non riuscendo a dire altro e scrutando il suo viso, cercando di memorizzare ogni tratto, anche quelli già memorizzati.
“Ti amo.” Mi ritrovai a dire, senza neanche rendermene conto. Non riuscivo a trattenere più niente, dentro di me. Niente.
“Te ne vai, Ruth..” soffiò, scuotendo la testa “Non.. Non sarai tu.”
“No, Kevin. Ti sbagli.” Rassicuralo, Ruth. Non farlo piangere. Ripetigli come stanno le cose, ripetigli che non sentirà la tua mancanza. Fallo stare bene, starai meglio anche tu. E’ più facile andarsene se sai che gli altri staranno bene “Ruth è sempre stata qui, non se ne andrà con me. Siamo la stessa persona, solo che fino adesso.. Eravamo in due nello stesso corpo, fuse insieme.”
“E se non mi amasse, lei?”
“Parli come se non fossi io..” ridacchiai, per quanto riuscissi a farlo “Lo faceva anche prima del mio arrivo.”
Non disse più niente, probabilmente pensando alle mie parole. Mi accarezzava le guance con un movimento circolare del pollice, poi si tuffò sulle mie labbra, disperato. Ricambiai quel bacio, quell’ultimo bacio, piangendo sempre di più, se possibile. Alzai le mani per afferrargli i polsi, per esser sicura che non si sarebbe allontanato troppo presto.
Quando il momento arrivò, appoggiò la fronte sulla mia, come faceva sempre “Ti amo. Ti amo da morire. Ruth Evanson, ovunque tu stia per andare, sappi che ti amo e che ti amerò per sempre. Te lo giuro. Sai che è vero. Non te lo dimenticare, per.. per favore..” chiuse gli occhi, lasciandosi andare al pianto, davanti a me, senza nessuna vergogna, senza nessuna esitazione.
“Non lo dimenticherò, ma ti prego, smettila.” Lo supplicai, aumentando per un momento la stretta sui suoi polsi.
“Non ci riesco.” Gemette, sofferente.
“Sai che rimango, perché fai così?”
“Non lo so, Ruth. Ho paura. Ho una fottuta paura di perderti davvero.”
“Non ti mentirei mai, Kevin. Ruth Styles, la Ruth che ti ama e che ami rimarrà qui, con te.” Ripetei per la miliardesima volta, cercando in tutti i modi di calmarlo “Non.. Non ce la faccio ad andarmene mentre piangi, non quando potresti evitare di farlo.”
“Sono uno stupido egoista.” Si lamentò, tornando ad abbracciarmi e affondando il viso nell’incavo del mio collo, esattamente come un bambino fa quando è alla ricerca di conforto.
“Non lo sei.” Gli passai una mano fra i capelli, cercando di respirare profondamente e smettere io stessa di versar lacrime. Magari se avessi smesso io, avrebbero smesso anche tutti gli altri.
“Sì. L’unica che ha motivo di star male sei tu, Ruth Evanson, mentre io sto piangendo perché ho paura di una cosa che non accadrà.”
“Tu starai bene, Kevin.” Dissi, convintissima delle mie parole. Lui si scostò e mi guardò negli occhi.
“Ma tu? Tu come starai quando ti sveglierai nel tuo mondo? E se anche con la tua irrazionalità soffrissi? Se soffrissi, cosa potrei fare io? Non me ne fotte un cazzo se sei Ruth Evanson o Ruth Styles, rimani Ruth. E ti amo, Ruth. Ti amo, e non potrei fare niente per farti stare bene.”
“Starò bene, Kevin..” mi morsi il labbro inferiore, provando ad esser convinta delle mie parole.
“Questa non è una certezza.” Tirò su col naso “Promettimi che cercherai di essere felice.”
“Te lo prometto.”
“Promettimi che ti ricorderai tutto questo.”
“Te lo prometto.”
“Ok..” soffiò, allontanandosi leggermente “Addio, allora.” Fece una fatica enorme per dire quella parola, lo avevo visto abbassare per un breve momento lo sguardo.
Inspirai profondamente, e con passo veloce e deciso mia avvicinai a Brandon, che mi stava aspettando in disparte, con le braccia incrociate e volto impenetrabile. Gli occhi neri puntati sui miei “..Sei pronta?”
Mi guardai un’ultima volta intorno. Alexander, appena incrociò il mio sguardo, sorrise leggermente, con gratitudine e dispiacere. Yvone mi guardava con quei suoi occhioni celesti ed umidi, in attesa del famoso evento. Fissai Desmond, l’incubo capace di essere malizioso ed ingenuo nello stesso momento, poi Kevin, che cercava di rimanere calmo, non facendo trasparire nessuna sua emozione, ad eccezion fatta per le mani strette a pugno. Lui, che con i suoi occhi era in grado di congelare e scaldare chiunque.
Tornai a dare attenzione a Brandon, colui che poteva interpretare sia il ruolo del cattivo che del buono. Era una realtà di contrasti, quella, e mi sarebbe mancata.
“Sì.. Sono pronta.” Affermai, fissandolo con decisione.
Annuì brevemente, togliendosi le braccia da davanti al petto e tirando un sospiro quasi impercettibile. Mi accarezzò una guancia, guardandomi intensamente “Beh, honey..” una pausa “Ti saluto.” Disse, evitando il ciao, il ci vediamo, l’addio. Scelta migliore. Abbozzai un sorriso.
“Già. Ti saluto anche io.”
 


Ok, salve.
Qualcuno ha pianto? Qualcuno ha riso? Qualcuno ha avuto reazioni isteriche? 
Io sì, qualcuna.
Diamine, siamo già arrivati alla fine..
Ok, per ogni considerazione più seria ci vediamo il 18 Giugno, con l'epilogo. Cristo Santo.

GRAZIE mille a tutti voi, che avete letto, seguito, preferito, ricordato o recensito. Grazie davvero.
Vi ringrazia anche Ruth, che poverina ne ha passate tante. *pat pat*

A Lunedì, allora! :)
Buon proseguimento di settimana e BUONE VACANZE! [Che per gli studenti sono appena iniziate!]

Maricuz
   
 
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