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Autore: Stateira    02/01/2007    17 recensioni
E se Draco Malfoy volesse soltanto una canzone?
Genere: Romantico, Song-fic, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Slash | Coppie: Draco/Harry
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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SONG FOR ME

La canzone citata è “Please forgive me”, di Brian Adams.

 

Questa shot la dedico con tutto il cuore a tutti coloro che la leggeranno, che proveranno qualcosa, che si commuoveranno, che semplicemente si stringeranno nelle spalle, o che la chiuderanno a metà, annoiati.

Perché oggi ho imparato una lezione davvero importante. Per quanto impegno io ci metta, per quanto cerchi di inseguire la parola perfetta senza mai fermarti, ci sarà sempre qualcuno migliore di me, qualcuno più bravo, qualcuno con cui non sarò mai in grado di fare i conti, qualcuno che mi scavalcherà, che mi supererà, che mi lascerà una volta di più delusa da me stessa, come un Draco Malfoy qualunque, che probabilmente al boccino non ci arriverà mai, perché ci sarà sempre e comunque un Harry Potter pronto a soffiarglielo.

Va bene così.

 

 

 

 

SONG FOR ME

 

 

 

Draco si sbatté la porta alle spalle seccamente.

La serata non gli piaceva, stava andando uno schifo, e lui aveva soltanto una voglia tremenda di tornarsene a casa, di buttarsi su un divano, di versarsi un sorsetto di brandy, e tanti saluti.

Era stanco, nervoso, irritabile, e soprattutto malinconico. Malinconico di quel genere di malinconia che viene senza spiegarti il perché, che ti stringe la gola in una morsa sgradevole, riuscendo a farti sentire soltanto un animale in gabbia. Draco sbuffò, infastidito da sé stesso, dalla sua incapacità di digerire una serata come tante, a cui lui ed Harry partecipavano. La nomina di Ron Weasley a capo di una delle squadre più importanti di Auror era un’occasione che Harry non aveva voluto perdersi, e questo Draco lo capiva più che bene, e il problema di certo non stava lì. Forse era solo colpa del maledetto calore di quei festeggiamenti anormali, formali solo il minimo indispensabile, per il resto festosi nel senso autentico del termine. Draco faticava a capacitarsi del fatto che la famiglia Weasley potesse essere davvero così numerosa, ma di nuovo, non era questo il problema. Draco non amava molto stare con quella gente, ma sapeva essere educato, persino gentile, e, Molly poteva ben dirlo, sapeva come lusingare una signora, all’occorrenza.

Che cosa non andava, allora?

Beh, bella questione. Forse niente, forse il fatto era proprio quello. Draco faticava, faticava seriamente, ad adeguarsi a ricevimenti simili, in cui le persone si abbracciavano, in cui si scherzava e si rideva, in cui se un bicchiere si rovesciava a terra si scatenava una gara di Reparo fra i presenti, in cui c’erano coppie, e c’era affetto, e scioltezza.

 

Harry ci teneva da morire ad essere presente, a festeggiare con il suo migliore amico, e Draco non gli avrebbe mai detto di no, non avrebbe trovato nemmeno un buon motivo al mondo per negargli la gioia di stare con le persone che ama, con quella che, con ogni evidenza, era stata per lui una seconda famiglia persino più vera, e più tangibile, della prima. Però forse avrebbe preferito restarsene a casa da solo, aspettarlo sul divano, magari addormentarsi nell’attesa, con un libro sulle gambe, e poi finire svegliato di soprassalto da lui che tornava a casa e lo prendeva in giro perché stando con lui aveva cominciato a comportarsi come uno sciatto Potter.

E invece, era andato con lui, perché Harry aveva insistito per una serata intera perché venisse anche lui. Gli aveva detto che ci teneva davvero molto a presentarsi alla festa di Ron con il suo compagno, e l’aveva detto in un modo che Draco sapeva essere non soltanto sincero, ma sentito, pregnante, e per questo aveva capitolato, perché sì, amava Harry, e gli piaceva saperlo felice, soprattutto se la sua felicità dipendeva da qualcosa che Draco poteva fare per lui. Negargli un favore come quello sarebbe stato davvero vigliacco, perfino per lui, e poi in fondo Harry aveva avuto ragione quando, scherzando, gli aveva detto “devi solo infilarti il tuo completo preferito, e passare qualche ora con me a pavoneggiarti e a mangiare tartine e un sacco di cose deliziose… credi di poter fare questo sacrificio per me?”

Certo che lo poteva fare, stupido Harry Potter.

Nonostante sapesse già perfettamente a cosa sarebbe andato incontro. Aveva già calcolato tutti i sorrisi un po’ formali, ma carini, che avrebbe rivolto agli amici di Harry, aveva già calcolato tutte le strette di mano che avrebbe dispensato a Ron e a suo padre, e si era informato sulle autorità che sarebbero state presenti, per poter decidere con calma la sua scaletta di priorità nei saluti, era persino riuscito a scoprire se per caso sarebbe stato presente qualche suo vecchio amico, in modo da organizzarsi per ingannare una mezz’ora a parlare del più e del meno con le sue vecchie conoscenze.

Ma non aveva previsto che dopo la cena metà degli ospiti si sarebbe messa a cantare vecchi inni dei tempi della scuola, o che ci sarebbero stati persino dei balli, balli nello stile dei Grifondoro, niente di formale, niente che si potesse organizzare. Hermione Granger, e gli altri mezzi babbani, avevano contribuito con una quantità illimitata di quei loro dischi rotondi che suonano, e si erano scatenati a ritmi che Draco non conosceva, che lo facevano sentire smarrito, e di troppo. Harry trotterellava qua e là incessantemente, si lanciava in chiacchierate eterne con i suoi amici, rideva come un pazzo, andava persino a ballare con le sue vecchie compagne; con Hermione aveva improvvisato uno stupidissimo balletto, radunando attorno a sé un sacco di ragazzi che ridevano e applaudivano alla loro performance.

Non è che Draco si sentisse escluso, o ignorato, o persino geloso. Harry non perdeva occasione per andare a strapazzarlo un po’, a schioccargli un bacio sulla fronte, e spesso lo trascinava in giro con lui, a salutare gente, a scambiare due parole, ma Draco non sapeva che cosa dire, a quelle persone, a quei ragazzi con cui aveva diviso la scuola per sette anni senza avere la minima idea di chi diamine fossero. Con cui divideva, ed avrebbe sempre continuato a dividere, Harry. E questo era un bene, era giusto, soltanto uno sciocco si sarebbe illuso di poter chiudere Harry in una stanza, per averlo tutto per sé, e Draco non era uno sciocco, era felice, davvero, che Harry fosse amato così tanto dai suoi amici.

Ma era stato proprio in uno di quelle chiacchierate leggere con nemmeno sapeva più chi, che aveva cominciato a sentirsi un po’ vuoto. Di nuovo, non abbandonato, né malvisto, o nulla del genere, il suo problema era prettamente endogeno, questo lui lo aveva capito subito.

 

Quando avevano cominciato a suonare delle canzoni romantiche, Draco si era fatto da parte, un passetto alla volta, sempre di più, ed Harry non se n’era accorto. Aveva smesso anche lui di fare lo stupido, aveva lasciato il campo libero alle coppie serie, e si era ritirato a parlottare con qualcuno. All’improvviso Hermione Granger si era puntata la bacchetta alla gola, e aveva annunciato che la prossima canzone sarebbe stata “la loro”, quella di lei e di Ronald. Per festeggiare il suo capitano, per regalargli un gesto d’affetto. Harry e gli altri avevano applaudito, e come fosse stato un matrimonio avevano lasciato che fossero loro due ad aprire le danze, per poi seguirli, fino ad affollare quasi la pista da ballo.

Draco si era spezzato più o meno in quel momento.

Non commosso, spezzato.

Lui una canzone non ce l’aveva. “Loro”, una canzone “loro”, non l’avevano, non l’avevano mai avuta. Senza un motivo preciso, semplicemente non avevano mai condiviso una cosa simile.

Harry non era mai stato tipo da smancerie.

Draco ancora meno.

Non erano mai andati insieme a fare qualcosa di stupido, come guardare un tramonto, o un concerto. Qualche volta era capitato che Harry avesse accennato ad un bel cielo notturno, e Draco lo avesse osservato per qualche secondo, per poi sorridergli, come a dire che aveva capito, che sì, anche lui pensava che fosse molto bello. Basta, che altro c’era da aggiungere?

Draco non si era mai sentito arrabbiato, o offeso, per questo. Non aveva mai sentito bisogno di essere circondato di rose rosse, al suo rientro a casa, e del resto stare con Harry ogni tanto gli suonava ancora un po’ strano. Dopo tanti anni passati ad odiarsi con tutto il cuore, il cuore avevano deciso di provare a scambiarselo, e aveva funzionato. Funzionavano, insieme, lo dicevano tutti, tanto che i loro continui battibecchi stizziti erano la barzelletta preferita di tutti i loro amici.

Era tutto francamente perfetto, non c’era nulla, niente di niente, di cui persino il viziatissimo Draco potesse lamentarsi, ed era per questo che quella sera si era chiesto fino a spaccarsi la testa perché mai così, improvvisamente, avesse sentito il bisogno così atroce, così cattivo, così spaventato, di una canzone, come se da una cosa del genere potesse dipendere tutto il resto, tutta la sua relazione con Harry.

 

Aveva infilato la porta del salone quasi a passo di carica, senza lasciare il tempo ad Harry di chiedergli dove stesse andando, che cosa gli fosse successo, qualunque cosa, ed ora eccolo lì fuori, nell’arietta tiepida di quella serata, seduto su uno dei grossi tronchi intagliati a panca del piccolo chiostro elegante che il Ministero racchiudeva, come un’oasi fra palme alte di uffici e confusione legislativa e politica. Non aveva intenzione di andarsene, di piantare lì la festa, o Harry. Probabilmente gli serviva solo qualche minuto per sbollirsi, per riprendere appieno il controllo su sé stesso, per ritrovare la forza di tornare dentro e sorridere a tutti, forza che gli era mancata all’improvviso, che improvvisa come una specie di sbalzo ormonale adolescenziale gli si era sciolta e gli era uscita fuori dalla pelle, disperdendosi nelle luci soffuse. Draco non andava troppo d’accordo con il romanticismo, ma quella sera dovette ammettere di essere stato sconfitto su ogni fronte, da una manifestazione di romanticismo singolarmente semplice, quasi banale. Qualcosa che a lui, stupidamente, era sempre mancato. Non era colpa di Harry, né sua, né di nessuno, semplicemente era così, loro due non avevano una canzone “loro”, come non avevano e non avrebbero mai avuto molte cose.

Non avrebbero mai avuto un elfo domestico, se non Dobby, che Harry pagava e rispettava come fosse stato un autentico cameriere. Non avrebbero mai avuto un abbonamento alla Gazzetta del Profeta, Harry non sopportava quel giornale, si rifiutava di leggerlo, nonostante non dicesse nulla, se Draco ogni tanto rincasava con una copia sottobraccio. Non avrebbero mai avuto un figlio, ad esempio. Chissà se qualcuno ci pensava mai. Chissà se Harry pensava mai a questa cosa. Draco era forse uno dei pochi uomini ad essere stato allevato nell’ossessione della prole, della prosecuzione della stirpe, ma poi le cose vanno come devono andare, e chiedere alla vita troppi miracoli è da illusi, bastava già essere scampati alla guerra, bastava essere stati accettati, essere felici, essere circondati da un’atmosfera serena. Bastava stare insieme.

Bastava, eppure in qualche modo non bastava, e Draco sentiva sempre più che essere uscito fuori, all’aria aperta, per distrarsi un momento, non lo stava aiutando per niente.

In quel momento, però, successe una cosa strana.

Draco sentì le proprie orecchie pizzicate dall’accordo di una chitarra; un suono incerto, di chi sta provando a sistemare le corde, di chi controlla che sia tutto a posto. Sollevò la testa, ed Harry era lì, poco lontano da lui, appollaiato su una panchina vicina alla sua. Draco lo sentì schiarirsi la voce un paio di volte, e cominciare a suonare. Non si era accorto di lui, non lo aveva sentito uscire, e notò che lui non lo aveva mai guardato, mentre si sistemava, e non riuscì a capire se effettivamente Harry avesse visto che si era accorto di lui. Sembrava che non fosse importante, ad ogni modo.

 

It still feels like our first night together
Feels like the first kiss and it's gettin' better baby
No one can better this
I'm
still holdin' on and you're still the one

Harry cominciò la sua canzone, e Draco non riuscì a trattenere la sua mandibola chiusa. Harry stava cantando una canzone che lui non aveva mai sentito. La stava cantando con un sorrisetto sottile sulle labbra, la cantava come se in tutte le ore trascorse lì Draco non avesse fatto altro che insistere che lui lo facesse. Draco ricordò distrattamente che Harry gli aveva accennato, qualche volta, al fatto che sapesse strimpellare la chitarra, chitarra che con ogni probabilità, e forte della faccia tosta che solo un tipo come lui poteva avere, doveva aver chiesto in prestito a qualche componente dell’orchestra dentro la sala.


So if you're feelin' lonely ... don't
You're the only one I'd ever want
I only wanna make it good
So if I love ya a little more than I should...
Please forgive me - I know not what I do
Please forgive me - I can't stop lovin' you
don't deny me - this pain I'm going through
Please forgive me - if I need ya like I do
Please believe me - every word I say is true
Please forgive me - I can't stop lovin' you

Harry cantava con gli occhi assorti sulla chitarra. Draco notò che la sua voce grattava un po’ nella gola, inesperta e roca, ma per qualche strano motivo era proprio quel sentore metallico peculiare che rendeva il tutto immensamente più vero. Niente registrazioni di grandi voci, niente ghirigori vocali a prendersi inutili distanze ed inutili divismi, niente impostazione da coro, nient’altro che una chitarra e una serata tiepida in cui si festeggiava la promozione dell’amico più caro di Harry.

Harry aveva la voce di un ragazzo come tanti, intonata e ruvida, un pochino gutturale in certi passaggi, caldissima tanto da vibrare. Ogni tanto, fra una strofa e l’altra, se la schiariva, e poi riprendeva a cantare. Draco non poteva dire se la stesse cantando in modo simile all’originale, se la stesse reinterpretando, se la suonasse più lentamente di quanto avrebbe dovuto, perché non la conosceva, ma questo ne faceva a tutti gli effetti qualcosa di più straordinario, perché per quanto lo riguardava, e per quanto ne sapeva, poteva tranquillamente averla scritta Harry Potter in persona.

Il modo in cui Harry lo guardava, di sfuggita, fra un accordo e l’altro, per non perdere la concentrazione e per non sbagliare, ma per fargli capire, per dirgli come se glielo avesse gridato, che lo stava davvero facendo per lui, e solo per lui, beh, gli faceva avvampare le guance, e gli stringeva lo stomaco in modo talmente fastidioso da risultare persino sgradevole.

 

We're still gettin' closer baby
Can't get close enough
I'm still holdin' on - you're still number one
I remember the smell of your skin
I remember everything
I remember all your moves - I remember you
I remember the nights - ya know I still do

Harry aveva un modo tutto suo di pronunciare le parole, di fluttuare fra diversi accenti, di arrotondare alcune lettere in modo innaturale per lui, per adattarsi a quella che doveva essere una pronuncia non inglese, evidentemente.

Draco si stupì a considerare che ciò fosse davvero tenero, tenero in modo infinito. Era tenero il modo in cui Harry litigava con la sua pronuncia, sortendone una specie di ibrido tutto particolare, con quella sua voce che imperterrita continuava a grattare gentilmente la sua gola, e le orecchie di Draco, come una carezza data con le dita ruvide.

E intanto continuava a suonare la chitarra.


One thing I'm sure of - is the way we make love
And the one thing I depend on
Is for us to stay strong
With every word and every breath I'm prayin'
That's why I'm sayin'...

Draco fece leva sulle mani e scivolò prudentemente verso Harry, sedendoglisi accanto, senza smettere di guardarlo, e di ascoltarlo, e facendo entrambe le cose con la stessa, medesima concentrazione. Per lui, erano entrambe di uguale importanza, e seguire la mandibola di Harry che si muoveva, le sue labbra elastiche che davano forma alle parole, non era né più né meno importante che starle a sentire, quelle parole, coniugate con il suono acustico e polifonico della chitarra. Il braccio destro di Harry si sollevava, talvolta, ad ala, mentre lui scorreva sulle corde, e Draco non osò sfiorarlo, per non rischiare di disturbarlo, ma avrebbe tanto voluto farlo.

Di una cosa si rese conto, guardandolo suonare la chitarra e cantare a mezzavoce, di fianco a lui.

Qualsiasi fosse stato il motivo che lo aveva spinto a perdere la testa per una canzone, qualsiasi bizza gli fosse presa in quei momenti, poco prima, qualunque cosa avesse mai osato pretendere, Harry era lì, per accontentarlo.

Era lì per esaudire i suoi desideri, per farlo felice, per farlo sentire importante come nessuno, parola d’onore, nessuno mai al mondo, lo aveva fatto sentire.

Harry era il genere di uomo che, semplicemente, era lì.


Please forgive me - I know not what I do
Please forgive me - I can't stop lovin' you
Don't deny me - this pain I'm going through
Please forgive me - if I need ya like I do
Never leave me - I don't know what I'd do
Please forgive me - I can't stop lovin' you 

I Can’t stop… loving you.

 

Harry smise di suonare, e Draco quasi spaccò la chitarra, piantandoci sopra il ginocchio, per abbracciarlo. Lo fece senza lasciargli nemmeno un istante di tregua, perché Harry lo aveva fatto per lui, perché Harry in qualche modo gli aveva letto nel pensiero, perché Harry era riuscito una volta di più a fare la cosa perfetta nel momento perfetto. Perché lui amava Harry, e non lo amava di certo soltanto per questo.

Harry rise, sfilò la chitarra prima che potesse fare seriamente una brutta fine, e, con le mani finalmente libere, lo abbracciò fortissimo, a sua volta.

Insieme si alzarono in piedi, restando stretti, come se non si fossero visti per anni. Draco realizzò che Harry gli era mancato da morire, nei minuti che aveva speso suonando per lui, senza toccarlo.

- Ti è piaciuta?-

Draco si aggrappò alle spalle del compagno, per potersi assicurare un rifugio sicuro nell’incavo del suo collo, ed annuì come un bambino vergognoso.

- Grazie. –

- Oh, per così poco. Due note di accordo e qualche parola stonata. Scommetto che nemmeno conoscevi la canzone. –

- Non me ne frega niente. – rispose di getto Draco, e lo fece di tutto cuore. – Erano parole bellissime, e la canzone era bellissima, e… e non me ne frega niente di nient’altro, solo… grazie, Harry, grazie. –

- Saprai mai abbastanza che ti amo, Draco? – mormorò Harry, adorando le guance di Draco con la bocca, sfiorandole appena, con le labbra assottigliate da un sorriso. – Che ti amo per davvero. Hey, niente scherzi. –

Draco chiuse gli occhi, e decise che non serviva rispondere.

Decise che glielo avrebbe detto in altro momento, che era stupido, da parte di Harry, fargli notare ogni giorno di più di dividere la credenza delle marmellate, il bagno, e perfino il divano e il giornale, la sera, con l’uomo più straordinario del mondo, un uomo capace di questo, capace di imbracciare una chitarra, solo per lui, un uomo capace dei gesti più grandi e di quelli più piccoli, per dimostrare ciò che provava, senza vergogna, senza pudore.

Fanculo la retorica dei sentimenti, fanculo le domande ridondanti e noiose, i dubbi, e tutto il resto. Lui non ne aveva, su di lui e su Harry. Un uomo come Harry non ti permetteva di avere dubbi, mai, nemmeno per un momento, nemmeno nella situazione peggiore.

Era per questo che il loro rapporto era costellato di piccole crisi, ogni tanto; crisi, mai dubbi. Crisi come quella di poco prima, ed ora Draco nemmeno ricordava più perché diamine gli fosse venuta in mente quella faccenda della canzone, perché l’aveva avuta. Aveva avuto la sua canzone, ed era la più bella, naturalmente, Harry non avrebbe potuto che scegliere il meglio, e chi se ne frega se non l’aveva mai sentita prima, se probabilmente apparteneva a quel repertorio di musica babbana che Harry conservava gelosamente nei suoi buffi dischetti metallici, quelli che metteva nella macchina nera e che suonava, ogni tanto, o quelli che sentiva sempre suonare a casa della sua amica Hermione Granger. Li stessi che si erano portati a quella festa, gli stessi che avevano scatenato in lui tutto quel malessere, ore, mesi, secoli prima che Harry facesse ciò che aveva fatto, per lui.

- Vieni. –

- Uhm? –

- Andiamo dentro. –

Harry prese Draco per mano, trascinandoselo dietro verso la porta d’entrata, e brandendo la chitarra con la mano libera. Draco sorrise, al pensiero che ora sarebbe andato a restituirla al legittimo proprietario, con un bel sorrisone grato sulle labbra. Decise che avrebbe fatto molta attenzione a chi la restituiva, perché avrebbe trovato il modo di raggiungerlo, senza farsi vedere, e di chiedergli di vendergli quella chitarra, per qualsiasi prezzo.

 

Harry e Draco raggiunsero di nuovo il salone, ancora gremito di gente chiacchiericcia, ed Harry si incamminò con sicurezza verso Hermione, confabulò un po’ con lei, e ritornò sui suoi passi.

Draco lasciò che gli prendesse un braccio, e lo conducesse verso la pista, ma dopo pochi passi cominciò a tirare indietro.

- Non mi va. – si giustificò sottovoce. Non che volesse spezzare la bella atmosfera romantica, fosse chiaro, ma non è che per la verità amasse molto ballare, e francamente in quel momento avrebbe di gran lunga preferito isolarsi in un angolo, con un calice di buon vino, e pensare a tutto ciò che era successo con calma, lasciandosi abbracciare dai ricordi freschissimi, godendosi il piacere di rivivere tutto, passo dopo passo, nella sua mente, per poi aspettare di avere ancora più voglia di abbracciare forte Harry, di tornare a casa con lui, di fare l’amore, l’amore vero, senza sprecare una goccia di energia in altro che non fosse dedicarsi completamente a ringraziare Harry per essere ciò che era.

 

Harry però non sembrava affatto dello stesso avviso. Rispose ai leggeri strattoni di Draco con un altro strattone, e mettendolo a tacere con una strizzatina d’occhio lo condusse nel bel mezzo della pista.

Draco avrebbe voluto dire qualcosa per insistere, ma di nuovo, si fermò di fronte alla consapevolezza di essere estremamente stupido. Non aveva riconosciuto il primo giro di accordi recitato dall’amplificatore della sala, ma le parole le aveva afferrate subito.

- Adesso che abbiamo la nostra canzone, il minimo che puoi fare è ballarla con me, non credi?-

 

Draco guardò Harry negli occhi, e decise di lasciar perdere.

Decise di non chiedersi come facesse lui a sapere, come avesse capito cos’era successo, decise di rinunciare a voler analizzare ogni passaggio, per riuscire a scoprire in quale esatto momento Harry avesse squadernato la tua testa per leggere che cosa vi passasse dentro, come in una noticina frettolosa su un diario. Decise di non cercare di indagare se questa fosse un’altra delle manifestazioni degli straordinari poteri magici di Harry James Potter, o se facesse piuttosto parte di quel corredo di abilità intuitive che lui aveva sempre manifestato nei suoi confronti, se non fosse semplicemente una declinazione, una sfumatura ulteriore dei suoi “che cos’hai, Draco” che arrivavano sempre quando Draco, effettivamente, aveva qualcosa.

Sorrise, quasi ghignò, e decise che semplicemente doveva avere un foglio di pergamena al posto della fronte, con su scritto “Harry dedicami una canzone, una canzone che sia per me, e per noi”.

Tutto qui.

- Sì. Ballarla con te è il minimo che posso fare. –

  
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