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Autore: FaDiesis    16/06/2012    3 recensioni
Dal capitolo 3:
Correvamo per i corridoi laccati di bianco dell'aeroporto di Eneta, affannati e gridando un "di qua!" di quando in quando.
Eravamo in ritardo. Terribile ritardo.
E il tutto solo perché litigando, in macchina, ci eravamo distratti e avevamo sbagliato strada. Un sacco di tempo perso per niente.
Alla fine eravamo arrivati, ma mancavano cinque minuti alla partenza del nostro volo.
Con la mia solita sfortuna, arrivammo al gate proprio in tempo per vedere l’aereo decollare nel cielo plumbeo.
Ci buttammo demoralizzati sulle sedie della sala d’attesa.
Passammo un quarto d'ora abbondante a borbottare e discutere di chi fosse la colpa, quando, all'improvviso una figura indistinta ci piombò davanti.
Era atterrata con una gamba piegata e una distesa, e le mani fasciate poggiate leggermente a terra.
Si alzò lentamente.
Piegò la testa.
E sorrise.

- STORIA IN PAUSA A TEMPO INDETERMINATO -
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Appena mettemmo piede in quel paese, ci stupimmo per la sua stranezza.
Tante casette, villette a schiera, vecchi palazzi e maestose ville erano costruite sparse, senza una regolare distanza l’una dall’altra.
Le tegole dei tetti dai colori caldi erano consumate dal vento e dalla pioggia, alcune cadevano proprio a pezzi, mentre le finestre erano piccole e dalle forme strane, come triangoli, trapezi e cerchi irregolari.
Ma il particolare che più si notava, erano quegli strani segni sulle pareti giallognole.
Beh, a prima vista mi sembravano semplici disegni, dipinti o qualcosa del genere, mentre osservando meglio realizzai che tra quelle figure stilizzate erano infilate lettere e numeri.
Rebus, erano rebus!
Che cosa strana…
Ma non era l’unica cosa bizzarra che caratterizzava quel posto… gli abitanti in sé erano diversi.
Sempre incappucciati, come se stesse per piovere in ogni momento, con un cappello nero e un taccuino in tasca.
Quattro ne avevamo  incontrati e quattro ci avevano rivolto una sfilza di domande.
Sembravano in tutto e per tutto investigatori! Probabilmente lo erano sul serio, ma allora l’ipotesi mi parve troppo stramba per essere vera.
Paco ci condusse in una locanda per riposare e mettere qualcosa sotto i denti.
Avevo la netta sensazione che la città –e l’intero paese- fosse avvolto da misteriosi segreti.
Potevano essere piccole cose, come la scomparsa di oggetti di poco valore, o grandi cose, come furti di notevole importanza o perfino omicidi.
Insomma, non era un paese così allegro.  
Ma la voce su cui tutti confabulavano era un furto, che da come ne parlavano potremmo definire Il Furto.
Dicevano che il ladro avesse rubato dei gioielli, dicevano che avesse rubato un quadro famoso, dicevano che avesse rubato dei volumi antichi dalla biblioteca.
Le ipotesi erano molte, ma non si era mai saputo quale fosse stata quella giusta, da molto tempo ormai ognuno la pensava come voleva.
Una sola cosa accumunava le diverse supposizioni: il luogo.
Infatti tutte erano “ambientate” nella celebre Villa Dovsterostsky.
Che poi, celebre per me non lo era per niente.
Non avevo la più pallida idea né dell’aspetto né della posizione geografica di questa fantomatica abitazione.
Sapevo solo che sulla facciata, proprio di fronte alla cupola al centro, era scolpito un maestoso leone.
Ne parlavano molto anche nella locanda dove ci portò Paco.
-Un altro!- il rumore del bicchiere sbattuto sul bancone del bar si confuse nel mormorio del locale.
Il signore anziano che serviva le bevande guardò in tralice l’uomo e gli riempì nuovamente il bicchiere con un liquido bluastro.
E poi… hic… c’era quell’incappucciato e… hic… è shalito su un ashino… -disse l’uomo dell’ordinazione, con la voce alterata dall’alcool. –Ve lo dico…hic…  io, aveva… hic… aveva una ar-armatura!
-Tzt, incappucciato, armatura! –insinuò un altro – lo sanno tutti che il Ladro è un abilissimo vecchio!
Dal divanetto nero su cui ci trovavamo all’angolo della sala, potevamo ascoltare tutti i discorsi dei clienti, senza sembrare ficcanaso.
Eravamo arrivati la sera stessa in cui avevamo lasciato le terme, seguendo Paco tra orride steppe e lunghi tortuosi percorsi nella foresta.
Fortunatamente il Mondo dei Gialli e dei Mistery era confinante con quello dei Fantasy e non avevamo dovuto fare tanta strada.
-Bah…- sbuffò Sean, seduto di fianco a me sul divano di pelle nera. –Cosa siamo venuti a fare qua? Non si fa altro che bere e parlare di questo fantomatico Furto!
Il ragazzo prese il suo bicchiere di bibita e bevve infastidito, fissando un quadro in cui erano ritratti una decina di uomini e donne in posa studiata.
-Te l’ho già detto, Sean, i proprietari sono amici di famiglia.
Sean borbottò qualcosa come “Mmh… sarà…” e incrociò le braccia sul petto. –Comunque questo locale è tetro.
Alzai gli occhi al cielo.
-E tu non ti accontenti mai di niente… E il tunnel sotto terra per raggiungere il Mondo dei Fantasy e le terme era troppo umido, la vegetazione della foresta ti pungeva le gambe, ora questo bar è “tetro”! –sbottai, con voce seccata. –Ti comporti come se fossi un principino.
-Eh, come… cos… NO! – emise una risatina con un non so che di nervoso. –Ma che razza di idee infantili che hai!
Lo guardai storto e mi rivolsi a Paco.
-Hai trovato la persona che cercavi? –chiesi. Aveva detto che ce ne saremmo andati appena avrebbe parlato con un suo conoscente che si trovava lì.
Almeno Sean si starebbe stato zitto e l’avrebbe piantata di lamentarsi.
Il bambino strinse gli occhi, scrutando la sala attentamente. –Eccolo là!
Vidi un uomo sulla sessantina alzarsi, e proprio mentre stava per uscire girarsi improvvisamente verso di noi, spalancando gli occhi.
A grandi passi si diresse al nostro tavolo, con l’impermeabile nero che gli svolazzava dietro come ali di pipistrello.
-Signorino Paco! Siete tornato! –esclamò, abbracciandolo calorosamente. Rimasi un po’ stupita da quel “signorino” e dal voi.  
Il bambino annuì, sorridendo cordiale.
-Loro sono Sefyr e Sean. –ci presentò con un cenno della testa.
-Piacere! – l’uomo ci regalò un grande sorriso, che spuntava dalla sua barba brizzolata e ci strinse la mano- Io mi chiamo Etthor… Ragazzo, ci siamo forse già visti? Hai un volto familiare… - si rivolse poi a Sean, guardandolo con le sopracciglia aggrottate.
-N-no… mai, signore.- rispose educatamente lui.
Dopo averci fatto qualche domanda (cosa che sembrava quasi un’abitudine, un vizio di questo strano paese) e aver raccontato un preciso resoconto del viaggio, prese in disparte Paco e gli parlò alcuni minuti.
Quando ritornarono da me e Sean –brutta mossa lasciarci soli, avevamo avuto la perfetta occasione di iniziare un’accurata discussione, con ovvie diverse convinzioni, sui generi dei romanzi migliori- ci portarono in una saletta appartata, più piccolina.
L’uomo si guardò attorno con sospetto e dopo essersi convinto che nessuno ci stava spiando, si diresse verso una parete, coperta per la maggior parte da un dipinto su telo di stoffa.
Spostò con delicatezza l’arazzo, che mostrò una discreta porticina.
Un passaggio segreto!
Ecco perché Paco ci aveva portato lì!
-Porta direttamente a casa mia, risparmieremo parecchio tempo. –ci spiegò.
Ci infilammo nella scorciatoia e dopo una decina di minuti ci imbattemmo in un’altra porta di legno consumato.
La aprimmo con una spintarella e una luce, una forte luce, ci investì in pieno.
-Ahia!- non riuscii a trattenere un’esclamazione di stupore, la luce del sole era così forte che mi dovetti coprire gli occhi con la mano.
Sbucammo in un enorme giardino, con tanti alberi e panchine dove sedersi a leggere in tranquillità.
C’era persino un laghetto blu al centro di un grande prato, con alcune paperelle che ci sguazzavano dentro.  
Paco s’incamminò attraverso il giardino, invitandoci a seguirlo lungo la gigantesca distesa d’erba.
Si avvicinò ad una vetrata e appoggiò il viso alla finestra, facendosi scudo sugli occhi con le due mani strette a cupola attorno la faccia.
-Etthor, che ore sono?- chiese poi al suo misterioso amico.
Lui guardò il sole, poi rispostò lo sguardo sul bambino. –Devono essere circa le cinque e quarantacinque del pomeriggio, Signorino.
Il volto di Paco s’illuminò. –Bene. Tra un quarto d’ora dovrebbero tornare i miei genitori. Possiamo aspettare comodamente là. –indicò un dondolo con dei soffici cuscini bianchi, proprio di fronte ad una parete con un grosso affresco colorato.
Sprofondai fra quei cuscini così comodi e morbidi e, felice di un po’ di riposo, chiusi le palpebre.
 
Dovevo essermi assopita, perché quando riaprii nuovamente gli occhi la luce era diminuita e anche solo quel poco che ne restava mi fece male, segno che mi ero abituata al buio.
Vidi Paco affianco a me che leggeva un tomo, e dall’altro lato Sean curvato un po’ in avanti, non più appoggiato allo schienale della panchina.
In effetti era proprio un movimento brusco del dondolo che mi aveva risvegliata, quindi il ragazzo si era appena mosso.
-Quanto ho dormito?- mormorai piano.
-Circa dieci minuti. –rispose Paco placido, senza neanche alzare gli occhi dal libro.
Oh, beh, pensavo di più.
Tornai ad osservare Sean, ancora chinato in avanti.
Il mento era poggiato sulle mani, e le palpebre semi-chiuse, come ad osservare attentamente qualcosa.
E quel qualcosa era l’affresco del muro innanzi noi.
-L’hai notato?- chiese lui, dopo un attimo di silenzio. –E’ un rebus. Come in città, ce n’erano moltissimi.
-Sì. Che cosa strana, vero?- risposi inarcando leggermente la testa, pensosa.
-Già.
Non lo avevo mai visto così taciturno, e la cosa mi parve leggermente sospetta.
-Non ci riuscirai mai.- lo punzecchiai, tanto per rompere il silenzio.
Lui alzò le sopracciglia ma tacque,  continuando ad osservare il rebus.
Fissai anch’io il dipinto. Vi era raffigurato un mucchio di persone in un angolo, con un A e una R sopra, mentre sotto una S e la sillaba TE c’erano due signore anziane.
Non ero mai stata brava con i rebus ma, ad essere sincera, mi parve piuttosto complicato da risolvere.
Come potevano essere interpretate le persone? Folla, forse? E le due signore anziane? Vecchie, nonne?
No, poi sarebbe venuta fuori una cosa come “Arfolla stenonne”… Proprio non aveva senso.
Sospirai, sconfortata. Vidi Sean alzare leggermente la schiena, corrugando le sopracciglia ancora di più.
-Ci sono!- esclamò subito dopo un attimo, battendosi un pugno sulla coscia. -Ho trovato la soluzione!
Lo guardai scettica: -Sarebbe?
-Ci sono tante persone nell’angolo, quindi c’è un sacco di “gente” e le due donne, sono vecchie e se ci fai caso c’è una certa somiglianza con le due ragazze proprio davanti alla gente, quindi io le ho interpretate come “ave” delle stesse. Se concludiamo unendo le lettere volanti, la frase è “Argentea veste”! –affermò con tono soddisfatto. –Sono un genio, ammettilo.
-Mmh- mugugnai, girando la testa. Notai poi un altro rebus, più piccolo e facilissimo, tanto che riuscii a risolverlo pure io in pochi secondi. –Ma guarda, quello lì piccolo riesco a farlo anch’io!
Vedi il vino, vicino a quel IN? E a fianco c’è un falsario, che scrive su dei quaderni copiando da una coppia di blocchi, i veri. Se lo colleghiamo al TAS marcato vicino, viene fuori veritas. Quindi, la soluzione del rebus è “In vino veritas”, famoso proverbio latino che allude alle verità  che emergono in stato di ubriachezza.
Sean mi guardò sorridendo e poi, come colto da un’illuminazione, cambiò espressione improvvisamente.
Spalancai gli occhi, ci ero arrivata anch’io.
-L’armatura, l’ubriaco alla locanda!- urlammo insieme, all’unisono.

 

Le petite angle du FaDiesis
 
Buongiorno!
Lo so, anche stavolta sono in ritardo pazzesco…
Però a mio parere penso che questo è il capitolo che mi è venuto meglio!
Beh, spero che continuerete a seguirmi e lascerete un piccolo commentino, anche solo per sgridarmi del ritardo… (:
Comunque ci sono le vacanze, adesso… avrò sicuramente più tempo per scrivere!
Bacioni
 
Esis <3

 

   
 
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