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Autore: paffywolf    16/06/2012    4 recensioni
Rachel, Quinn e Santana avevano sempre desiderato andare via da Lima. Ma sarà davvero New York il posto giusto per loro?
New York è il perfetto modello di una città, non il modello di una città perfetta.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Quinn Fabray, Rachel Berry, Santana Lopez
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A place for us

Salve a tutti! Il primo capitolo ha avuto un buon impatto con più di 100 visite in solo 3 giorni, quindi non posso che esserne più che soddisfatta. Grazie alle mie 3 meravigliose ragazze che hanno recensito e a tutti quelli che hanno aggiunto la prima storia tra le seguite o le preferite. E' bello sapere di avere la vostra fiducia, mi emoziono tanto. :)

Ho trovato una beta fantastica, Micol alias LionQuinn, la persona più "Santana" che io conosca. E' la beta perfetta per questo secondo capitolo, dato che a parlare è proprio la nostra latina preferita. Ho cercato di variare il più possibile lo stile, inserendo addirittura qualche parola o frase in spagnolo qua e là. Non preoccupatevi comunque, la lettura mi sembra abbastanza scorrevole . Mi scuso in anticipo per eventuali errori grammaticali in questa lingua, non l'ho mai studiata quindi è altamente probabile ci sia qualche castroneria. Fatemeli notare attraverso un messaggio o una recensione e correrò immediatamente a correggere, cospargendomi il capo di cenere e implorando il vostro perdono!

In questo capitolo una scena in particolare è stata difficile da scrivere, spero di essere riuscita a darle comunque il giusto risalto e la giusta importanza.
E niente, la smetto di dire scemenze e vi lascio alla lettura!
Un bacio enorme e grazie a tutti voi :)
Roberta



Capitolo II: Santana - La scoperta
Santana

Il suo respiro mentre dormiva era la cosa che più mi sarebbe mancata di Lima.
Brittany riposava accanto a me nel mio letto a una piazza e mezzo, troppo piccolo per dormirci comodamente in due. La mia ragazza si addormentava sempre rannicchiandosi a mo’ di gattino, appoggiando la testa sul mio seno con un sorriso felice sul volto. Le piaceva dormire così, la faceva sentire protetta. Il giorno dopo sarei partita per New York e mia madre ci aveva concesso un permesso speciale: una serata solo per noi due. Le accarezzai i capelli, baciandola sulla fronte, ripensando agli avvenimenti del pomeriggio.

*-*-*-*-*-*

Ero andata da mia nonna, su insistenza di mio padre.
“E’ sempre mia madre, Santana. Passa a salutarla.”
A nulla erano valsi i tentativi di mamma di dissuaderlo, né i miei. Per editto paterno, dovevo andare dalla nonna che mi aveva ripudiato con tanto amore. Ma l’avrei fatto a modo mio.
Durante il breve viaggio, avevo già programmato tutto. Volevo mi conoscesse per chi ero davvero: basta nascondere sentimenti, era il momento per esternarli e per farle capire cosa significasse davvero la parola verguenza.
Ero entrata in casa senza bussare, stringendo la mano di Brittany, presentandola fieramente come mi novia. L’espressione sconvolta sul volto di mia nonna rimarrà per sempre nei miei ricordi. Le sue urla in spagnolo avevano spaventato la povera Britt, convinta che quella donna fosse la strega voodoo di una raccolta di leggende portoricane che le avevo regalato.

Mio padre non aveva avuto nemmeno il tempo di parcheggiare la macchina: la mia adorabile nonnina ci aveva già sbattute fuori di casa. Io, in tutta risposta, lungo il vialetto che conduceva nell’antro della strega baciai appassionatamente Brittany, incurante della gente che passava. E fu solo quando mio padre ci separò, leggermente a disagio, che alzai lo sguardo e vidi il disgusto negli occhi di quella donna mentre ci spiava dalle tendine verdi della cucina. Salii sulla decappottabile di papà, indifferente alle occhiatacce dei passanti mentre abbracciavo e tentavo di consolare la mia ragazza.

“Sai Santana, immaginavo avessi qualcosa in mente quando mi hai detto che Brittany sarebbe venuta con noi, ma davvero non mi aspettavo questo.”disse mio padre, osservandoci dallo specchietto retrovisore.
“Cosa ti aspettavi, che giocassimo con le bambole?”ribattei io, infastidita.
“Un bacio di sicuro, su quello sei prevedibile. Ma non in mezzo alla strada, con i passanti e tutto il resto.”
“Non ho niente da nascondere. E probabilmente quei bigotti che ci osservavano avranno pensato stessimo girando un video amatoriale per Youporn. Hijos de puta.”

*-*-*-*-*-*

“San?”sussurrò lei, la voce impastata dal sonno.
“Dimmi, Britt.” Intrecciai distrattamente le dita tra i suoi capelli.
“Ho fatto un brutto sogno” mugugnò, abbracciandomi stretta e affondando il viso nell’incavo del mio collo. Il suo seno nudo contro il mio mi scatenò un brivido di eccitazione, ma cercai di porre un freno alla mia lussuria.
“Cosa hai sognato?” Le presi il mento con due dita, invitandola ad alzare lo sguardo. I suoi occhi cerulei erano impauriti.
“Lord Tubbington voleva venire con te a New York.”
Le accarezzai la guancia e la grattai appena sotto il mento, come avrei fatto con un cucciolo desideroso di coccole. “Sai benissimo che non succederà, Britt. Il tuo gatto mi odia perché non gli ho mai offerto uno dei miei sigari cubani.”
“Fallo partire da solo. Tu non andare via.”
“Britt, lui vuole andare a New York soltanto per trovare i suoi cuccioli. Giusto per vederli prima che vengano serviti nella zuppa scadente di qualche ristorante orientale. Io vado lì perché voglio rincorrere i miei sogni.”
“Ma tu corri veloce anche qui. A New York c’è una palestra speciale, che ti insegna a prendere i sogni?”
“Palestre specialissime. Ti allenano a acchiappare i sogni più grandi di tutti.” Sfregai il naso contro il suo zigomo, annusando il suo dolce profumo. Lei mugugnò qualcosa, ma non riuscii a capire bene.
“Puoi ripetere? Non ti ho sentito.”
“E non vuoi aspettarmi?”disse, la voce spezzata.
“Oh no Britt, no.”dissi, mentre una lacrima le rigava la guancia.
“Non vuoi più stare con me, San?”
“Certo che voglio stare con te, Brittany. Non voglio nessuna che non sia tu. Non voglio i baci e gli abbracci di altre donne, solo i tuoi. Sei la ragazza più dolce e perfetta che potessi mai trovare. Persino le tue lacrime sono dolci.” Le presi il viso fra le mani, sfiorando con le labbra quell’unica goccia di solitudine e tristezza. Poi le solleticai la pancia con la punta delle dita, facendola ridacchiare.
“Ma quando piangi non sei bella come quando sorridi. Quando sorridi il mondo sembra avere di nuovo un senso, Britt. E io voglio vederti sorridere domani, promesso?”
Brittany annuì, alzando il mignolo della mano destra.
“Promesso.”

*-*-*-*-*-*

Passammo la mattinata a casa di Brittany, in compagnia di sua madre: Susan Pierce mi sarebbe mancata terribilmente. Quella donna era più tosta di un muro di cemento armato, ma i suoi favolosi biscotti avrebbero fatto sciogliere persino un generale nazista. Quel giorno decise di affidarmi la sua ricetta segreta, così anche a New York avrei potuto avere un pezzettino di casa Pierce. Peccato non potessi portare con me anche i morsi delicati con cui Brittany rubava metà del biscotto che trattenevo tra i denti.
“Quando tornerai, Santana?”mi chiese, mentre stendeva l’impasto sul piano di marmo. Brittany era seduta su uno sgabello e ritagliava i biscotti utilizzando delle formine.
“Per Halloween di sicuro. E probabilmente anche per la festa del ringraziamento, dipende se papà sgancia i quattrini.”dissi, rubando un pezzetto di impasto crudo e infilandomelo in bocca.
“Santana!”esclamò, ridacchiando.
“Che c’è? Lo sai che vado pazza per i tuoi biscotti!”ribattei, leccandomi le dita.
“Sì, ma prima vanno cotti!”esclamò, colpendomi scherzosamente sulla testa con il mattarello di legno.
Trascorsi in quella casa le ultime ore a Lima. Susan preparò ben due teglie di biscotti, che poi ripose con cura in un barattolo dopo averli fatti raffreddare. Brittany prese poi dei pennarelli per vetro e iniziò a decorare quell’anonimo contenitore, rendendolo ai miei occhi la più meravigliosa opera d’arte.
Quando concluse, vi incollò sopra un’etichetta di carta plastificata – “Biscotti felici” - e sigillò il tutto con un bacio, lasciando che il segno del suo lucidalabbra fosse ben visibile sul coperchio.
“Così ogni volta che mangerai i biscotti della mamma potrai darmi un bacio.”

*-*-*-*-*-*

Mia madre e la madre di Brittany chiacchieravano sedute su una panchina, lasciandoci quegli ultimi preziosi minuti. Ridevano e scherzavano tranquille, ma potevo leggere sul volto di entrambe una velata tristezza che però mai ci avrebbero mostrato. In attesa che il treno partisse, Brittany rivelò il misterioso contenuto di una piccola borsa che aveva portato con sé fino in stazione.
“Aprila.”mi disse con un sorriso.
Il suo orsacchiotto preferito...
“Da stringere forte forte mentre dormi.”
... un campioncino del suo profumo...
“Così puoi spruzzarlo sul cuscino ed è come se dormissi assieme a te.”
... il suo bagnoschiuma preferito...
“Per ricordarti delle nostre docce assieme negli spogliatoi della scuola.”
... e la cosa più bella di tutte, un anello d’argento con all’interno inciso il suo nome.
“E’ un regalo di nonna, ma voglio che lo abbia tu.”
Presi tutti quei regali sentendomi scoppiare il cuore di felicità e tristezza al tempo stesso. La abbracciai stretta, sentendomi la persona più fortunata al mondo.

Il fischio del capotreno mi richiamò all’attenzione. Mancavano due minuti alla partenza e mi avviai alla porta dello scompartimento, tenendo per mano Brittany. Appoggiai il mio trolley rosso in una nicchia nella carrozza, in quel momento era l’ultima cosa di cui mi importava.
Rimasi fino all'ultimo secondo sulla banchina, continuando a baciarla e stringerla forte a me. Lacrime amare velavano lo sguardo di entrambe, ma riuscimmo a mantenere la promessa stretta la sera prima.
Il capotreno si avvicinò a noi e con fare sconsolato ci annunciò che il treno doveva partire. Lo maledissi non tanto velatamente. Quei cazzo di treni erano sempre in ritardo, invece quel giorno il mio era perfettamente puntuale. Merda.
Brittany mi prese la mano fra le sue, mi guardò seria negli occhi e con tono solenne annunciò:
“San, ti prometto che l’anno prossimo verrò da te e ti aiuterò ad acchiappare i sogni. Piazzeremo delle trappole per sogni ovunque. Sono come le trappole per topi, ma al posto del formaggio bisogna metterci tanti glitter colorati.” Sorrisi della sua dolce ingenuità.
“Certo Britt, ti aspetterò.”

Un ultimo bacio a suggellare quella promessa e le porte automatiche ci tranciarono in due.

Rimasi immobile di fronte alla porta, osservando Brittany attraverso il velo di sporcizia di quel piccolo finestrino.
“Ti amo.”mimò lei con le labbra, formando un cuore con le dita.
“Ti amerò per sempre.”le risposi io, appoggiando una mano sul vetro mentre la sua sagoma svaniva dalla mia vista.
Recuperai il mio bagaglio e mostrai al controllore il mio biglietto.
“Mi dispiace di avervi interrotte prima.”disse a mo’ di scusa. I suoi lunghi baffi grigi davano al suo volto un’espressione terribilmente comica. In altre occasioni avrei trovato qualche soprannome perfetto, ma in quel momento avevo altro per la testa.
“Non si preoccupi.” Un sorriso amaro comparve sul mio volto.
“Mi dia la sua valigia, signorina. La accompagno al suo posto.”
E mentre percorrevo quei pochi metri in quel treno traballante, il cellulare vibrò nella mia borsa.

Mi manchi già, San. Ma la tua mamma ha detto che tornerai ad Halloween, come le streghe. Ma tu non sei una strega, vero San?

Appoggiai le labbra sulla foto di Brittany che usavo come sfondo del cellulare con un sorriso.
Fottetevi, maledetti 900 chilometri. Io e Brittany ce la faremo.


*-*-*-*-*-*

“Santana, 4 hamburger al tavolo 6.”
Detestavo quel grasso signore dalla testa pelata, che ci aveva provato spudoratamente con me fin dal primo giorno in quel fottuto ristorante. Detestavo la sensazione di unto sulla pelle e l’odore delle cipolle che impregnava i miei poveri capelli. Detestavo dover indossare con quella ridicola divisa, con quella gonna troppo corta, fatta apposta per far arrapare qualche signore di mezza età.

Detestavo il mio appartamento, in cui a stento avevo un letto su cui dormire e un bagno in cui pisciare. Detestavo cucinare su un unico fornello a gas, avere un frigorifero rotto e non poter fare il bucato in una cazzo di lavatrice privata. Detestavo la padrona di casa, che si presentava puntualissima a casa mia con quella sua aria da stronza snob per riscuotere l’affitto. O meglio dire, a rubare i miei soldi guadagnati con fatica, visto che quell’appartamento era una merda. L’unico motivo per cui l’avevo scelto era che la linea internet funzionava abbastanza decentemente. Poter parlare e vedere Brittany, anche se solo attraverso il monitor del mio pc, era l’antidoto perfetto a tutto il veleno di quelle interminabili giornate newyorkesi.

Ma quella sera, tutto sarebbe stato diverso. Quella era la serata degli artisti dal vivo, in un piccolo bar vicino casa mia, e io ero riuscita a trovare un buco per il programma di quella serata: due minuti appena, ma mi sarebbero bastati. Avevo davvero bisogno di tirarmi su con un po’ di sana musica e scaricare un po’ di rabbia in una canzone. Ma quale scegliere?

In attesa della metropolitana che mi avrebbe ricondotto a casa, feci scorrere con il dito la lunga lista di canzoni sul mio iPhone. Avevo un dannatissimo bisogno di qualcosa di forte, così impostai la riproduzione casuale e iniziai a godermi la musica a un volume da spaccare i timpani. E poco importava che mi trovassi in una galleria piena di gente che mi fissava, io la musica la ascoltavo come cazzo mi pareva, ok?
Arrivata alla terza canzone, trovai quella perfetta per quella serata.

*-*-*-*-*-*

Santana Lopez e la sua prima esibizione nella Grande Mela.
O per meglio dire, Santana Lopez e la sua prima canzone arrangiata alla bell’e meglio su un palco sgangherato di un piccolo bar. Ma ero pur sempre a New York, da qualche parte dovevo pur iniziare.

Appena entrai nel locale mi presentai al proprietario, pagando la mia piccola quota per iscrivermi a quello strano concorso che aveva ben 500 dollari come primo premio.
Mi ero preparata in modo impeccabile per quella serata. Un microabito di pelle nera fasciava alla perfezione le mie curve, tacchi vertiginosi e capelli raccolti in una lunga e sinuosa coda di cavallo. Senza parlare della fascia rossa allacciata appena sotto le gemelle per metterle in risalto. A proclamare il vincitore sarebbero stati quei beoni ubriachi che frequentavano il bar, quindi più ero appariscente meglio era.
A esibirsi sul palco in quel momento c’era un ragazzo dannatamente scarso, che tracannava birra tra una parola e l’altra. Alla fine della canzone proruppe in un sonoro rutto, che venne accolto da grasse risate. Idioti.
Quando fu il mio turno salii sul palco improvvisato, accolta da un coro di fischi di approvazione. Passai lo spartito al chitarrista e gli feci segno di venirmi dietro.
“Always dei Blink? Ragazza, questa canzone dura più di due minuti.”replicò lui.
“Zitto e suona. ” gli intimai io. Si limitò a scuotere la testa, il mio sguardo furente lo indusse a non aggiungere altro.
Chiusi gli occhi per un istante, immaginando di essere a casa di Brittany. La vidi distesa sul suo letto, con Lord Tubbington sul grembo, che mi guardava adorante mentre cantavo per lei.


I've been here before a few times
And I'm quite aware we're dying
And your hands they shake with goodbyes
And I'll take you back if you'd have me
So here I am I'm trying
So here I am are you ready

Come on let me hold you, touch you, feel you
Always
Kiss you, taste you all night
Always

And I'll miss your laugh, your smile
I'll admit I'm wrong if you'd tell me
I'm so sick of fights I hate them
Lets start this again for real


Mentre cantavo, quel branco di Vichinghi privi di cervello smise di fare baccano. Erano bastate poche note per farli voltare tutti nella mia direzione. Erano tanti stupidi topolini che seguivano il loro pifferaio, senza sapere a cosa stessero andando incontro.
La mia esibizione durò ben più dei due minuti concordati con il proprietario. Quella sera cantai per quasi un quarto d’ora, ricoperta da applausi e fischi di approvazione da quella folla, incantata dalle mie capacità di pifferaia. E di cantante, ovviamente.

Arrivata alla fine della quarta canzone, un uomo in giacca e cravatta salì su quel palco improvvisato e mi mise tra le mani una busta di carta contenente il mio premio. Ironia della sorte, mia nonna faceva la stessa cosa alla fine degli anni scolastici in cui ero stata particolarmente brava. Bustarella di soldi e poi via a comprarmi quello che mi pareva: in fin dei conti, accompagnare la sua nipotina a scegliere un regalo oppure prenderne uno lei stessa sarebbe stata la stessa cosa, no?
“Te li sei meritati tutti, ragazza. Brava. Posso offrirti da bere?”
“Se paghi tu. E niente droga nel drink.”
Trascorremmo la serata assieme. Si chiamava Jonathan Gills, sposato e con due figlie. Ma finché continuava a pagarmi le consumazioni e offrirmi sigarette di marca, andava tutto bene. Poteva anche essere il padrino della mafia newyorkese e a me sarebbe andato bene comunque.
Si offrì di accompagnarmi per quello scarso chilometro che separava il bar da casa mia nella sua Mercedes nera, parcheggiata fuori il locale. Rifiutai l’offerta e mi incamminai. Si avvicinò a me sfiorandomi il braccio. Eh no, carino...

“Tenta di stuprarmi e prima ti acceco, poi ti prendo le palle a calci fino a farti azzerare qualsiasi possibilità di riproduzione. Entiendes?” sibilai, facendolo gelare.
“Voglio solo aiutarti. Ti accompagno a piedi, va bene?”
“Sii schietto e piantala di rompermi i coglioni.”dissi, incrociando le braccia. “Le maniere buone non mi piacciono, quindi vuota il sacco e dimmi cosa cazzo vuoi da me.”
“Sarò chiaro con te, moretta. Hai delle gran tette e un bel culo. E sei abbastanza magra e alta da poter guadagnare ben più dei 500 dollari che hai raggranellato stasera.”
Yo no soy una ramera!”Chi diavolo era quel cretino, una specie di protettore per puttane?
“Che cazzo hai detto? Ok, non mi interessa. Ti andrebbe di fare qualche foto per pubblicità?”

La sua offerta mi spiazzò e mi lusingò al tempo stesso. Ma capii subito che qualcosa non andava.
“Io non sono una modella, io canto.”risposi, vaga.
“Me ne fotto che tu canti. Hai carisma e questo è quello che serve nel mondo della moda. Se vuoi raggranellare qualche soldo in modo onesto, qui a New York ci sono tante possibilità per farsi notare.”
Continuavo a camminare più velocemente che potevo. Maledetti tacchi. La mia mano frugava all’interno del la borsetta alla ricerca del flaconcino con lo spray urticante.
“Un mio amico è in cerca di un paio di ragazze per una campagna pubblicitaria. Domani mattina fa un casting, tu vacci e mostragli questo.”disse, raggiungendomi e mettendomi in mano un biglietto da visita. “Saprà lui cosa fare. Il casting inizia alle 10, sul retro del biglietto trovi le info. Buona serata.”
E nel giro di pochi istanti, andò via. Senza lasciarmi nient’altro che quel bigliettino verde menta con su scritto il suo nome e qualche numero di telefono. Sul retro, vergato con una grafia spigolosa, c’era un indirizzo.

Quello fu l’inizio della mia scalata al successo. Ma anche della mia discesa.

   
 
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