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Autore: Elizabeth_Tempest    17/06/2012    1 recensioni
Amore sbagliato. Un amore che non ha sempre ragione, che non è sempre una favola.
"La gente pensa sempre che l’amore sia bello, allegro, privo di preoccupazioni. Uno stato delle cose in cui non esiste né dolore né dispiacere, una specie di perfetto (e perverso, a ben vedere) locus amoenus, che ci viene inculcato fin dalla culla. E così, nella nostra infanzia è un susseguirsi di principesse salvate da aitanti principi, personaggi dei cartoni che irrimediabilmente s’innamoreranno dell’eroico protagonista e povere contadinotte elevate a regine da amabili re." (dal primo capitolo)
Scritta per il Love (Never) Fails contest di Flaren 97
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nick Autore: o0°Lucetta_Streghetta°0o/Elizabeth_Tempest

Titolo: Tragedia in tre atti

Rating: Arancione

Genere: Generale, Introspettivo, Triste, Malinconico, Drammatico

Note/Avvertimenti: Long-Fic

Introduzione: La gente pensa sempre che l’amore sia bello, allegro, privo di preoccupazioni. Uno stato delle cose in cui non esiste né dolore né dispiacere, una specie di perfetto (e perverso, a ben vedere) locus amoenus, che ci viene inculcato fin dalla culla.

NdA: Amore sbagliato. Un amore che non ha sempre ragione, che non è sempre una favola: ho voluto descrivere l’amore violento, malvagio, di cui ogni giorno sono vittime moltissime donne.

Per il suo contenuto, questa Long-Fic può non essere adatta a persone particolarmente sensibili.

 

 

Atto I- I personaggi in scena

 

La gente pensa sempre che l’amore sia bello, allegro, privo di preoccupazioni. Uno stato delle cose in cui non esiste né dolore né dispiacere, una specie di perfetto (e perverso, a ben vedere) locus amoenus, che ci viene inculcato fin dalla culla. E così, nella nostra infanzia è un susseguirsi di principesse salvate da aitanti principi, personaggi dei cartoni che irrimediabilmente s’innamoreranno dell’eroico protagonista e povere contadinotte elevate a regine da amabili re.

Poi si cresce e si nota che la vita non è così: tranne una trascurabile minoranza, le ragazze non sono alte, bionde, con delle perfette chiome lunghe e lisce oppure arricciate in boccoli perfetti che non si rovineranno nemmeno ad attraversare Trieste con la bora che soffia o ad affrontare l’uragano Katrina.

E allora ecco che le principesse si trasformano in ragazzine impacciate, goffe, per poi rivelarsi bellissime, ammirate, intelligentissime e senza una pecca: mai un capello fuori posto; mai una citazione meno dotta di Jane Austen, ma sempre e rigorosamente romantiche, saltando a piè pari il significato femminista dei libri dell’autrice inglese, o delle sorelle Brönte; mai, assolutamente mai, problemi più seri del non sentirsi accettata quando evidentemente tali personaggi fanno di tutto per rendersi odiosi.

Troppo perfette? Ecco comparire all’orizzonte le “innamorate” gieffine, che dimostravano uno spirito di adattamento unico: erano in grado di cambiare fidanzato e o amante alla stessa velocità con cui una normale ragazza si cambierebbe la biancheria.

A 15 anni mi era venuto l’odio per l’amore, sommersa da questi stereotipi. Semplicemente, non sapevo che farmene di un sentimento insulso, privato da secoli di matrimoni combinati, vuote poesie e ancor più vuoti romanzi di ogni significato: esso era divenuto, per me, nulla di più che un buon argomento per un poemetto da quattro soldi.

Di amore vero, non ne avevo mai conosciuto: i miei genitori stavano assieme per consuetudine, dimentichi della passione e dell’affetto che, a conti fatti, probabilmente non avevano mai provato. Certo, si erano di sicuro stimati, in passato, ma una stima basata su fondamenti errati: la bellezza di mia madre e la sua educazione, che la rendeva una donna di aspetto piacevole e con cui un discorso da salotto della durata di dieci minuti poteva essere anche un momento di svago, ma che portato a livelli superiori, diveniva sterile e superficiale e la posizione di mio padre, che aveva una piccola impresa: forse non rendeva quanto la Apple, ma di certo ai miei nonni era bastato per rinunciare senza troppi indugi alla figlia minore, ben contenti che questa non morisse zitella e che avesse a disposizione un patrimonio da scialacquare che non fosse il loro. Su queste delicate fondamenta si era basato un veloce fidanzamento e un matrimonio che durava da ben venticinque anni. Dopo sette anni ero arrivata io e, nonostante fossero state avviate le pratiche per una separazione milionaria, che aveva scandalizzato le famiglie e i conoscenti, i quali si sperticavano in lodi immeritate per l’uno o per l’altra e in ancor più immeritate ingiurie; queste erano state sospese.

La rispettabilità prima di tutto. E io me ne ero altamente fregata, lasciando il “nido” paterno, tanto per parafrasare Pascoli, alla prima occasione: avevo 18 anni, un diploma in mano (ragioneria, giusto per fare un dispetto ai miei, che speravano di vedermi in uno dei licei privati più illustri della città), una valigia con dei vestiti comprati su un catalogo e tanta voglia di mandare al diavolo la mia famiglia.

Ebbi la mia prima esperienza in amore: il Chitarrista, un trentenne fuori corso all’università, che passava il tempo a suonare la chitarra col suo gruppo di amici, almeno, quando non erano troppo fatti. Fu deludente, dopo sei mesi di tira e molla, liti furibonde e riappacificazioni false, ma mi feci le ossa per le future delusioni. E furono tante…

Insomma, alla soglia dei ventitré anni, aveva sinceramente smesso di sperarci (ammesso che l’abbia mai fatto… forse è capitato, no, di certo è così: quegli uomini avevano stuzzicato la naturale vanità che risiede in ogni essere umano e questa era stata una debolezza inaccettabile), dopo storie disastrose che mi avevano portata sempre più in basso. Dovetti abbandonare il mio spazioso appartamento da studentessa, trasferendomi in periferia, in un monolocale fatiscente, lasciai gli studi e iniziai a saltare da un lavoro all’altro come una rana impazzita.

Una cosa l’avevo imparata: l’amore faceva male. E io non ero più disposta a sopportarlo. Smisi di uscire con i ragazzi, dedicandomi al primo lavoro stabile trovato dopo tempo: lavoravo in un café. Certo, forse non era uno di quei lavori di cui ci si sogna sopra la notte, a dodici anni, ma mi accorsi con piacere che mi piaceva. Stavo iniziando di nuovo a riprendere in mano le redini della mia vita, quando arrivò lui.

Sulle prime, non mi pareva diverso dai ragazzi che frequentavano il locale: un giovane musicista squattrinato, non di buona famiglia e con quell’aria da artista maledetto tipica di chi o “se la tira”, per dirla in gergo, o di chi nella vita ne aveva viste talmente tante che le esperienze fatte lo avvolgevano come un alone mistico.

Le mie colleghe pendevano dalle sue labbra e spesso ebbi il dubbio che Jay, così si chiamava, o almeno diceva di chiamarsi, se ne fosse portato a letto almeno un paio, ma non ebbi mai conferma, e sinceramente non la cercavo: se inizialmente di lui non mi importava, troppo presa dal mio progetto “Riprendiamo in mano la mia vita”, poi rimasi troppo invischiata nella sua ragnatela per avere la voglia e il coraggio di scoprirlo.

 

Terza classificata (1):

Oo°LucettaStreghetta°oO

Tragedia in tre atti

http://img593.imageshack.us/img593/6762/oolucettastreghettaootr.jpg

 

PARAMETRI DI GIUDIZIO:
Grammatica e lessico: 10/15( di cui Grammatica: 3,5/7, Lessico: 4,5/5 e Punteggiatura: 2/3)
Stile: 7/10
Originalità: 10/10
Riferimento al contest: 10/10
Gradimento personale: 4,5/5
Totale: 41,5/50

GIUDIZIO:

Grammatica e lessico: 8/15 (di cui Grammatica 4/7, Lessico 4,5/5 e Punteggiatura 2/3)

Inizierei dalla Grammatica, quella che più ti ha tolto punti: ciò che ti ha penalizzata di più è stato aver sbagliato i passati remoti (la prima persona singolare esce in “ii”, la terza in “ì”, non il contrario) e qualche coerenza dei tempi verbali, ma ho notato che sono soprattutto i passati remoti a crearti qualche problema (non preoccuparti, spesso succede, poiché siamo abituati ad usare di più il passato prossimo.)
Cito da te:

- Persi il lavoro qualche mese dopo e finì in ospedale per diversi giorni

- E alla fine capì che dovevo andarmene

- Lo capì troppo, troppo tardi

- una sera lo colpì violentemente con una padella

- riempì una borsa, rubai i miei risparmi e scappai

Inizialmente pensavo fosse un errore singolo, ma vedendo che si ripete parecchie volte non ho potuto far altro che toglierti punti, soprattutto perché non fa comprendere chi dei due personaggi compie l’azione (nel caso della seconda frase citata, per esempio, non riuscivo a capire come mai Jay avesse dovuto capire che lei doveva andarsene.)
Riguardo al Lessico, va abbastanza bene, anche se avresti potuto usare sinonimi che avrebbero reso la lettura più piacevole e scorrevole, ma nel complesso non è male.
Invece, sulla punteggiatura, ho qualche obiezione in più: spesso salti virgole, oppure usi le parentesi quando i trattini sarebbero più eleganti e adatti. I problemi di punteggiatura si incentrano soprattutto nell’Atto I, mentre negli altri non ci sono grossi problemi, se non per qualche punto e virgola o virgola qua e là.

Stile: 7/10

Lo stile è quanto – di solito – guardo di più in una storia, e il tuo è molto coinvolgente, è impossibile non trovarsi dentro le vicende che racconti, catapultati nei pensieri della protagonista.
Soprattutto nei momenti in cui lei racconta come è iniziato il suo calvario, mi ha molto impressionata il modo in cui hai descritto i suoi pensieri e sentimenti, ma soprattutto il ribrezzo che prova per sé stessa, in un certo senso si ritiene responsabile di ciò che le è successo, senza che ne abbia davvero la colpa.
Nonostante ciò, però, la Mini-Long presenta diversi e – ahimè – numerosi errori sui tempi verbali – per esempio, spesso hai iniziato al presente per poi finire al passato, errore che anche io spesso commetto, e per questo, ricontrollo moltissime volte le mie storie .
Questi errori, purtroppo, oltre a farti perdere diversi punti nella grammatica, te ne hanno tolti anche nello stile, perché rendono la lettura più difficile alla comprensione e meno gradevole.

Originalità: 10/10

La tua storia non è la prima che leggo con tematiche simili, ma non ne avevo letta mai nessuna che la trattasse così, analizzando così profondamente i pensieri della sfortunata protagonista, e quindi ho deciso di darti i voti pieni su questo parametro.

Riferimento al contest: 10/10

Anche su questo parametro hai indubbiamente raggiunto i pieni voti, infatti l’amore che hai descritto - che poi era amore solo dalla parte della protagonista -, è indubbiamente un amore ‘sbagliato’, un amore che non sarebbe dovuto nascere e che, infatti, ha portato alla rovina della protagonista, sia dal punto di vista fisico che psicologico.

Gradimento personale: 4,5/5

Con molte cose che hai scritto mi trovo d’accordo, spesso anche io le ho pensate, come per esempio quelle dell’inizio, sul fatto che in noi ragazze l’idea del principe azzurro e del “per sempre felici e contenti” viene inculcata fin dalla più tenera età, portandoci poi ad illudere noi stesse con uomini immaginari che non esistono più.
L’unica cosa che ha minato il mio giudizio personale sono stati, appunto, i numerosi errori nei verbi, ma altrimenti avresti avuto di certo il massimo.

PREMIO STORIA DRAMMATICA: Oo°LucettaStreghetta°oO, Tragedia in tre atti


http://img217.imageshack.us/img217/1259/oolucettastreghettaoopr.jpg
   
 
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