Nick Autore:
o0°Lucetta_Streghetta°0o/Elizabeth_Tempest
Titolo: Tragedia in
tre atti
Rating: Arancione
Genere: Generale,
Introspettivo, Triste, Malinconico, Drammatico
Note/Avvertimenti: Long-Fic
Introduzione: La
gente pensa sempre che l’amore sia bello, allegro, privo di
preoccupazioni. Uno stato delle cose in cui non esiste né
dolore né dispiacere,
una specie di perfetto (e perverso, a ben vedere) locus amoenus, che ci
viene
inculcato fin dalla culla.
NdA: Amore sbagliato. Un amore che non
ha sempre ragione,
che non è sempre una favola: ho voluto descrivere
l’amore violento, malvagio,
di cui ogni giorno sono vittime moltissime donne.
Per
il suo contenuto, questa Long-Fic può non essere
adatta a persone particolarmente sensibili.
Atto
I- I personaggi in scena
La
gente pensa sempre che l’amore sia bello, allegro, privo di
preoccupazioni. Uno
stato delle cose in cui non esiste né dolore né
dispiacere, una specie di
perfetto (e perverso, a ben vedere) locus amoenus, che ci viene
inculcato fin
dalla culla. E così, nella nostra infanzia è un
susseguirsi di principesse salvate
da aitanti principi, personaggi dei cartoni che irrimediabilmente
s’innamoreranno dell’eroico protagonista e povere
contadinotte elevate a regine
da amabili re.
Poi
si cresce e si nota che la vita non è così:
tranne una trascurabile minoranza,
le ragazze non sono alte, bionde, con delle perfette chiome lunghe e
lisce
oppure arricciate in boccoli perfetti che non si rovineranno nemmeno ad
attraversare
Trieste con la bora che soffia o ad affrontare l’uragano
Katrina.
E
allora ecco che le principesse si trasformano in ragazzine impacciate,
goffe,
per poi rivelarsi bellissime, ammirate, intelligentissime e senza una
pecca:
mai un capello fuori posto; mai una citazione meno dotta di Jane
Austen, ma
sempre e rigorosamente romantiche, saltando a piè pari il
significato
femminista dei libri dell’autrice inglese, o delle sorelle
Brönte; mai,
assolutamente mai, problemi più seri del non sentirsi
accettata quando
evidentemente tali personaggi fanno di tutto per rendersi odiosi.
Troppo
perfette? Ecco comparire all’orizzonte le
“innamorate” gieffine, che
dimostravano uno spirito di adattamento unico: erano in grado di
cambiare
fidanzato e o amante alla stessa velocità con cui una
normale ragazza si
cambierebbe la biancheria.
A
15 anni mi era venuto l’odio per l’amore, sommersa
da questi stereotipi.
Semplicemente, non sapevo che farmene di un sentimento insulso, privato
da
secoli di matrimoni combinati, vuote poesie e ancor più
vuoti romanzi di ogni
significato: esso era divenuto, per me, nulla di più che un
buon argomento per
un poemetto da quattro soldi.
Di
amore vero, non ne avevo mai conosciuto: i miei genitori stavano
assieme per
consuetudine, dimentichi della passione e dell’affetto che, a
conti fatti,
probabilmente non avevano mai provato. Certo, si erano di sicuro
stimati, in
passato, ma una stima basata su fondamenti errati: la bellezza di mia
madre e
la sua educazione, che la rendeva una donna di aspetto piacevole e con
cui un
discorso da salotto della durata di dieci minuti poteva essere anche un
momento
di svago, ma che portato a livelli superiori, diveniva sterile e
superficiale e
la posizione di mio padre, che aveva una piccola impresa: forse non
rendeva
quanto la Apple, ma di certo ai miei nonni era bastato per rinunciare
senza
troppi indugi alla figlia minore, ben contenti che questa non morisse
zitella e
che avesse a disposizione un patrimonio da scialacquare che non fosse
il loro.
Su queste delicate fondamenta si era basato un veloce fidanzamento e un
matrimonio che durava da ben venticinque anni. Dopo sette anni ero
arrivata io
e, nonostante fossero state avviate le pratiche per una separazione
milionaria,
che aveva scandalizzato le famiglie e i conoscenti, i quali si
sperticavano in
lodi immeritate per l’uno o per l’altra e in ancor
più immeritate ingiurie;
queste erano state sospese.
La
rispettabilità prima di tutto. E io me ne ero altamente
fregata, lasciando il
“nido” paterno, tanto per parafrasare Pascoli, alla
prima occasione: avevo 18
anni, un diploma in mano (ragioneria, giusto per fare un dispetto ai
miei, che
speravano di vedermi in uno dei licei privati più illustri
della città), una
valigia con dei vestiti comprati su un catalogo e tanta voglia di
mandare al
diavolo la mia famiglia.
Ebbi
la mia prima esperienza in amore: il Chitarrista, un trentenne fuori
corso
all’università, che passava il tempo a suonare la
chitarra col suo gruppo di
amici, almeno, quando non erano troppo fatti. Fu deludente, dopo sei
mesi di
tira e molla, liti furibonde e riappacificazioni false, ma mi feci le
ossa per
le future delusioni. E furono tante…
Insomma,
alla soglia dei ventitré anni, aveva sinceramente smesso di
sperarci (ammesso
che l’abbia mai fatto… forse è
capitato, no, di certo è così: quegli uomini
avevano stuzzicato la naturale vanità che risiede in ogni
essere umano e questa
era stata una debolezza inaccettabile), dopo storie disastrose che mi
avevano
portata sempre più in basso. Dovetti abbandonare il mio
spazioso appartamento
da studentessa, trasferendomi in periferia, in un monolocale
fatiscente,
lasciai gli studi e iniziai a saltare da un lavoro all’altro
come una rana
impazzita.
Una
cosa l’avevo imparata: l’amore faceva male. E io
non ero più disposta a
sopportarlo. Smisi di uscire con i ragazzi, dedicandomi al primo lavoro
stabile
trovato dopo tempo: lavoravo in un café. Certo, forse non
era uno di quei
lavori di cui ci si sogna sopra la notte, a dodici anni, ma mi accorsi
con
piacere che mi piaceva. Stavo iniziando di nuovo a riprendere in mano
le redini
della mia vita, quando arrivò lui.
Sulle
prime, non mi pareva diverso dai ragazzi che frequentavano il locale:
un
giovane musicista squattrinato, non di buona famiglia e con
quell’aria da artista
maledetto tipica di chi o “se la tira”,
per dirla in gergo, o di chi nella vita ne aveva viste talmente tante
che le
esperienze fatte lo avvolgevano come un alone mistico.
Le
mie colleghe pendevano dalle sue labbra e spesso ebbi il dubbio che
Jay, così
si chiamava, o almeno diceva di chiamarsi, se ne fosse portato a letto
almeno
un paio, ma non ebbi mai conferma, e sinceramente non la cercavo: se
inizialmente di lui non mi importava, troppo presa dal mio progetto
“Riprendiamo in mano la mia vita”,
poi
rimasi troppo invischiata nella sua ragnatela per avere la voglia e il
coraggio
di scoprirlo.
Terza
classificata (1):
Oo°LucettaStreghetta°oO
Tragedia in tre atti
PARAMETRI
DI GIUDIZIO:
Grammatica
e lessico: 10/15( di cui
Grammatica: 3,5/7, Lessico: 4,5/5 e Punteggiatura: 2/3)
Stile: 7/10
Originalità: 10/10
Riferimento al contest: 10/10
Gradimento personale: 4,5/5
Totale: 41,5/50
GIUDIZIO:
Grammatica
e lessico: 8/15 (di cui
Grammatica 4/7, Lessico 4,5/5 e Punteggiatura 2/3)
Inizierei
dalla Grammatica, quella che
più ti ha tolto punti: ciò che ti ha penalizzata
di più è stato aver sbagliato
i passati remoti (la prima persona singolare esce in
“ii”, la terza in
“ì”, non
il contrario) e qualche coerenza dei tempi verbali, ma ho notato che
sono
soprattutto i passati remoti a crearti qualche problema (non
preoccuparti,
spesso succede, poiché siamo abituati ad usare di
più il passato prossimo.)
Cito da te:
- Persi
il lavoro qualche mese dopo e
finì in ospedale per
diversi giorni
- E
alla fine capì che
dovevo andarmene
- Lo
capì troppo,
troppo tardi
- una
sera lo colpì
violentemente con una padella
- riempì
una borsa,
rubai i miei risparmi e scappai
Inizialmente
pensavo fosse un errore
singolo, ma vedendo che si ripete parecchie volte non ho potuto far
altro che
toglierti punti, soprattutto perché non fa comprendere chi
dei due personaggi
compie l’azione (nel caso della seconda frase citata, per
esempio, non riuscivo
a capire come mai Jay avesse dovuto capire che lei doveva andarsene.)
Riguardo al Lessico, va abbastanza bene, anche se avresti potuto usare
sinonimi
che avrebbero reso la lettura più piacevole e scorrevole, ma
nel complesso non
è male.
Invece, sulla punteggiatura, ho qualche obiezione in più:
spesso salti virgole,
oppure usi le parentesi quando i trattini sarebbero più
eleganti e adatti. I
problemi di punteggiatura si incentrano soprattutto nell’Atto
I, mentre negli
altri non ci sono grossi problemi, se non per qualche punto e virgola o
virgola
qua e là.
Stile: 7/10
Lo stile
è quanto – di solito – guardo
di più in una storia, e il tuo è molto
coinvolgente, è impossibile non trovarsi
dentro le vicende che racconti, catapultati nei pensieri della
protagonista.
Soprattutto nei momenti in cui lei racconta come è iniziato
il suo calvario, mi
ha molto impressionata il modo in cui hai descritto i suoi pensieri e
sentimenti, ma soprattutto il ribrezzo che prova per sé
stessa, in un certo
senso si ritiene responsabile di ciò che le è
successo, senza che ne abbia
davvero la colpa.
Nonostante ciò, però, la Mini-Long presenta
diversi e – ahimè – numerosi errori
sui tempi verbali – per esempio, spesso hai iniziato al
presente per poi finire
al passato, errore che anche io spesso commetto, e per questo,
ricontrollo
moltissime volte le mie storie .
Questi errori, purtroppo, oltre a farti perdere diversi punti nella
grammatica,
te ne hanno tolti anche nello stile, perché rendono la
lettura più difficile
alla comprensione e meno gradevole.
Originalità:
10/10
La tua
storia non è la prima che leggo
con tematiche simili, ma non ne avevo letta mai nessuna che la
trattasse così,
analizzando così profondamente i pensieri della sfortunata
protagonista, e
quindi ho deciso di darti i voti pieni su questo parametro.
Riferimento
al contest: 10/10
Anche su
questo parametro hai
indubbiamente raggiunto i pieni voti, infatti l’amore che hai
descritto - che
poi era amore solo dalla parte della protagonista -, è
indubbiamente un amore
‘sbagliato’, un amore che non sarebbe dovuto
nascere e che, infatti, ha portato
alla rovina della protagonista, sia dal punto di vista fisico che
psicologico.
Gradimento
personale: 4,5/5
Con molte
cose che hai scritto mi trovo
d’accordo, spesso anche io le ho pensate, come per esempio
quelle dell’inizio,
sul fatto che in noi ragazze l’idea del principe azzurro e
del “per sempre
felici e contenti” viene inculcata fin dalla più
tenera età, portandoci poi ad
illudere noi stesse con uomini immaginari che non esistono
più.
L’unica cosa che ha minato il mio giudizio personale sono
stati, appunto, i
numerosi errori nei verbi, ma altrimenti avresti avuto di certo il
massimo.