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Autore: The Cactus Incident    21/06/2012    6 recensioni
Stavo suonando con tutta me stessa per scaricarmi e non pensare a per quale cazzo di motivo non mi parlava se era stato lui a cominciare, quando la mano bianca e ossuta di Jimmy si posò sul mio polso che si muoveva freneticamente.
Alzai di scatto la testa, nervosa e lo trovai a mostrarmi un sorriso tranquillo che contagiava anche quelle iridi così azzurre nascoste dietro gli occhiali.
“Faccio troppo rumore?” “Non abbastanza da coprire quello del tuo cuore che si spezza e sanguina”
Genere: Commedia, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Matthew Shadows, Nuovo personaggio, Un po' tutti, Zacky Vengeance
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sch chapter prolog


Huntington Beach, ottobre 1998

Stacey P.O.V.
-Allora…. ci siamo, eh? :D- Messaggio da Meggie, assurdo. Doveva averci messo minimo sei ore per scriverlo. Sorrisi distrattamente e risposi.
-Finalmente! Non vedevo l’ora! Sono mesi che aspetto di trasferirmi in California-
Rispose decisamente subito per i suoi standard: doveva essersi esercitata parecchio.
-Ohhh anche io! >.< ci sarà da divertirsi, posso assicurartelo-
-Cazzo si! xD-
-Miss Floor, non diventi scurrile v.v—
-Miss Window, i nostri nomi fanno cagare <3-
-Decisamente <3-

Tre ore. Mi aspettavano ancora tre ore di aereo e finalmente saremmo arrivati a Los Angeles.
Da lì, altri cinquanta minuti per una cittadina dal nome lungo e strano (ovvero Huntington Beach) dove avrei vissuto almeno per i prossimi cinque anni con i miei genitori. Un vero record per gli standard di mio padre e il suo continuo viaggiare, non c’è ché dire.
Fortunatamente avevo i Guns e un’altra trentina di band ad accompagnarmi in quel lungo viaggio, visto che i miei genitori erano in coma profondo, spaparanzati su i loro seggiolini.
C’è da dire che ad Orlando non mi lasciavo questo granché. Si, avevo parecchi “amici”, uscivo sempre ed ero popolare, ma non me ne fregava una beneamata mazza di quella gente. Erano tutti…. sintetici. Puzzavano di finto da un chilometro e io con loro mi ero comportata di conseguenza.
Poi, un bel giorno, la nostra brillante prof di scrittura creativa ebbe la balzana idea di fare un esperimento con “pochi eletti” scelti a caso dalla dea bendata. L’aveva definito “un progetto interessante che vi farà crescere e conoscere nuove persone alla vecchia maniera”: amici di penna.
Aveva vari indirizzi di varie persone da tutt’America e io, essendo una degli “eletti” mi ero accaparrata quello di una Californiana che rispondeva al nome di Margaret Window.
Questo progetto, iniziato il primo anno e finito in primo, io e lei l’avevamo tirato avanti fino ad allora, ovvero terzo anno. Cominciato un po’ come un obbligo per entrambe (e inizialmente per me era tragica: Meggie ha una scrittura oscena) era diventata una bella cosa ed eravamo diventate amiche.
Ci sentivamo spessissimo, soprattutto telefonicamente, ma continuavamo a scriverci e mandarci cartoline, foto, di tutto. In estate ci era anche capitato di incontrarci, un paio di volte, mettendoci d’accordo e facendo i salti mortali e c’è da dire che andavamo decisamente d’accordo pure “dal vivo”.
Quindi, quando all’inizio dell’estate mio padre mi aveva annunciato che verso ottobre ci saremmo trasferiti in California, ero stata più che felice. Inutile dire che Margaret era al settimo cielo anch’essa. Si preannunciava un futuro interessante per me.
Mi rigirai distrattamente fra le dita uno dei lunghi boccoli castano chiaro e guardai fuori dall’oblò, vedendo solo nuvole. Wow.
Ah! Comunque io sono Stacey Floor, sedici anni, Orlando High School fino a ieri.
Abbastanza alta, fisico asciutto, lunghi capelli ricci castano chiaro, occhi gradi color cioccolato, labbra carnose (a detta di Meggie pure troppo, soprattutto il labbro inferiore) e guardandomi, tutto si potrebbe pensare tranne che ascolto musica metal, che fumo e che spesso e volentieri alzo abbondantemente il gomito. Beh, l’abito non fa il monaco, no? Fortunatamente, nel mio caso il mio aspetto copriva bene la mia vera natura “ribellina” (ma che stronzata).
Buttai uno sguardo all’orologio. Non ce la facevo più a stare lì.
Cullata dalle note di Welcome to the Jungle, partii in coma e dormii per un bel po’.

Margaret P.O.V.
“Dai Jimmy! Avevi promesso che mi avresti accompagnato!” sbottai inseguendolo per le scale che lui scendeva tre gradini alla volta. Ma che razza di gambe aveva?
“Non rompere, Meggie, ho da fare” disse divertito, tamburellando distrattamente con le bacchette sul corrimano, continuando a scendere.
“Ti ricordo che mi devi tre birre: sei in debito con me” “Facciamo che ti presto la macchina e in cambio mi annulli il debito” “Andata!” Mi tirò le chiavi della macchina e improvvisò un assolo sul corrimano.
Un batterista eccezionale, con quelle bacchette riusciva a far musica anche con un bidone dell’immondizia (e posso assicurarvi che il risultato non era niente male). Le portava dietro ovunque, sempre pronte (pronte a cosa, poi, era un mistero).
“Prima però mi dai uno strappo da Matt?” chiese e io alzai gli occhi al cielo, provocando una sua ennesima risata “Ok, basta che ci diamo una mossa”
C’infilammo nella vecchia carretta del mio vicino di pianerottolo e ci dirigemmo alla villetta dei genitori di quella montagna di Sanders.
Una volta arrivati, spinsi Jimmy fuori dalla vettura (se così poteva chiamarsi quel trabiccolo che continuava a camminare grazie a chissà quale divinità orientale).
Il garage era spalancato come al solito e si intravedevano Matt, Val e un tipo con i capelli verde acido che proprio non mi ricordavo.
“Ehi Nessie! da quando rubi auto?” Ecco, lui proprio non lo avevo notato. Peccato.
“Haner! sei ancora vivo, eh?” si avvicinò alla macchina col suo solito sorrisetto strafottente e si poggiò alla carrozzeria, con fare figo. Seh vabbè….. meglio non commentare.
“Così sembrerebbe… dispiaciuta?” “Decisamente si, carciofo” fece una sorta di sorriso tirato e batté un colpetto sul tettuccio della macchina. Osservai distrattamente il suo braccio destro, su cui s’intravedeva il solito e unico tatuaggio sulla metà superiore.
“Che ci fai nella vecchia carretta di Jim?” “Cazzi miei a Los Angeles” risposi tranquilla “Tu hai davvero qualcosa da fare a Los Angeles?” disse completamente allucinato “Sai Bee, il mio mondo non gira attorno a voi quattro, non so se mi spiego”
Fece una faccia strana, tirando le labbra in una “o” minuscola e socchiudendo gli occhi. Ogni volta che mi rivolgeva la parola, sentivo l’irrefrenabile desiderio di riempirlo di schiaffi, ma desistevo semplicemente perchè gli volevo bene.
“Ma non mi dire…. qualche esemplare di specie maschile talmente morto di figa da provarci con te?” “Parli per caso di un tuo gemello con dei gusti migliori dei tuoi, Haner?” “Non offenderei mai così un mio consanguineo” gli feci una smorfia.
“Quando la pianterai di rompere così tanto il cazzo?” “Ehi, rompere il cazzo al mostro di Loch Ness è un privilegio” “Invece insultare un coglione del tuo calibro è un’esperienza più unica che rara” “Io non ci scommetterei” “La piantate voi due?!” tuonò Matt nella nostra direzione, salutandomi con un cenno della mano al quale risposi nello stesso modo.
La storia del mostro di Loch Ness risaliva ad una vacanza studio risalente all’estate fra la terza media e il primo superiore in cui, mia madre e Brian Haner sr., avevano avuto la brillante idea di spedire entrambi fra le piovose e fredde Highlands scozzesi. Come se una ventina di americanini senza arte né parte, fra gli undici e i quattordici anni potessero trovare interessante un posto del genere.
Comunque, orribili gusti dei genitori a parte, in una visita guidata al lago di Loch Ness, per via del sopraccitato coglione, finii in acqua e qui arriva il bello: io non so nuotare.
Assurdo per una californiana, certo, ma io e l’acqua non eravamo proprio compatibili. La storia finisce con sempre lo stesso coglione che si butta in acqua e mi recupera. Ecco perché mi chiamava Nessie (nome del mostro di Loch Ness).
Ma tranquilli, ho restituito il favore salvandogli a mia volta la vita, un paio di estati prima: eravamo tutti al fiume, in aperta campagna. C’era chi pescava, chi beveva, chi pescava e beveva. Haner, del tutto sobrio era andato a recuperare legna e io stavo al tavolo a bere una birra, quando lo vedo mollare tutta la legna e correre verso “l’accampamento” reggendosi la mano.
Nel giro di una manciata di minuti, Haner era svenuto per terra, quasi in shock anafilattico, dovuto alla puntura di un’ape, a cui lui è allergico.
Resta da dire che l’unica nelle condizioni di poter guidare ero io. E così, con solo tre lezioni di guida fatte da Jimmy, completamente senza patente, avevo caricato Haner sul furgone di Matt e avevo guidato fino al più vicino pronto soccorso. Grazie solo a Jimi Hendrix sa chi, arrivammo sani e salvi, solo il furgone di Matt ne risentì un po’ (una fiancata del tutto rigata, uno specchietto perso per strada e un faro distrutto). Ecco perché lo chiamavo Bee (ape).
“Ci si vede e occhio a te” dissi giocando appena col pedale dell’acceleratore “Lo stesso vale per te” rispose lui con un mezzo sorriso, facendomi l’occhiolino e prima che potesse dire altro, sgommai via repentinamente (un gesto che Jimmy mi avrebbe fatto pagare caro, ne ero certa).
Ok, questa sono io.
Margaret Window, sedici anni, studentessa della Huntington Beach High School.
Classe 1982, un metro e sessantatre di sarcasmo, cattiveria verso chi se la merita e amore incondizionato per i propri cari.
Fisico asciutto un pò troppo muscoloso, capelli castani incasinati e con un taglio di capelli avanti di almeno dieci anni, con un enorme ciuffone, castano ramata.
Occhi color cioccolato, sempre truccati pesantemente di nero per sembrare più grandi e intensi, pelle simil- diafana, qualche lentiggine sul naso, lineamenti del viso un tantino spigolosi che (a detta di Jim) si addolcivano quando sorridevo, grazie a qualcosa come sette-otto fossette che mi spuntavano sulle guance e sul mento un po’ ovunque. Amica di una banda di metallari liceali con le idee un tantino confuse fra ormoni, birra, erba e musica metal a palla.
Diretta a Los Angeles per salutare/dare il benvenuto ad una ragazza della mai stessa età, rispondente al nome di Stacey Floor (si, Floor e Window: ci manca solo Door), Orlando, Florida, in questo momento su un aereo.
A quanto mi aveva spiegato per cellulare, sarebbe arrivata fra due ore, avrei dovuto farcela egregiamente visto che Huntington- Los Angeles sono più o meno cinquanta minuti.
Volevo partire bene, sarebbe dovuta stare ad Huntington per almeno i prossimi cinque anni e io ero l’unica ragazza di sua conoscenza (più o meno) per il momento. Volevo fare bella figura con la mia amica di penna. (forse avrei fatto meglio a mettere qualcosa di diverso da jeans da uomo strappati ovunque, maglietta striminzita dei Metallica dello scorso secolo e camicia a quadri rossi e neri da boscaiolo…. Mmm….).
Fortunatamente, grazie sempre al caro vecchio Hendrix sa chi, arrivai in orario per un pelo: avevo trovato un traffico spaventoso che mi aveva bloccato e invece di 50 minuti, avevo impiegato un ora e tre quarti.
Parcheggiai davanti all’aeroporto e mi fiondai all’interno, la camicia completamente aperta e calata su una spalla e i pantaloni un po’ troppo enormi che minacciavano pericolosamente di cadere (maledetta cintura che si era fregata Jimmy).
Dopo un paio di minuti, la vidi arrivare trascinandosi dietro un trolley e le andai incontro.

Stacey P.O.V.
Quando scendemmo dall’aereo non potevo crederci. Mi sembrava strano ricominciare a camminare, ma dovetti darmi una mossa e andare a recuperare i bagagli con i miei genitori.
Fortunatamente i nostri bagagli arrivarono vivi e vegeti e dopo averli recuperati tutti, uscimmo per addentrarci nell’ingresso. Alzai stancamente la testa, scrutandomi attorno e trovai quella testa quadrata, con i capelli castani strani che mi sorrideva in un tripudio di fossette.
“No….. oddio!” tirandomi un trolley le cui rotelle minacciavano di abbandonarmi da un momento all’altro  le andai incontro, ma feci fare a lei il grosso del tragitto.
Mi abbracciò forte e io contraccambiai, mollando il trolley.
“Ahahah! che bello rivederti, canottona mia!” “Vale lo stesso per me, nana” fece una mezza smorfia e si separò, prendendo il trolley che si era gentilmente allungato sul pavimento.
Dopo un paio di minuti ci raggiunsero anche i miei genitori.
“Salve signori Floor” “Oh, Margaret! quanto tempo!” le disse sorridente mio padre mentre le stringeva la mano. “Meggie, non sapevo saresti venuta” aggiunse mia madre, abbracciandola. “In verità non era sicuro. Problemi di trasporto, ma alla fine sono riuscita a recuperare un veicolo e sono venuta” “Beh, allora credo che potresti darci un passaggio fino ad Huntington, ancora non abbiamo chiamato un taxy” Meggie sorrise tranquilla “Certo nessun problema, però non spaventatevi per via del…. veicolo. Cammina che è una bellezza anche se è un po’ fatiscente”

Strano ma vero, arrivammo ad Huntington dopo poco meno di due ore e Meggie si fece spiegare da mio padre dove avremmo vissuto.
Aveva parcheggiato e i miei erano già scesi, quando le suonò il cellulare. Sentii chiaramente la voce maschile urlare dall’altro capo del telefono.
“Jim…” “Dove cazzo sei e dov’è la mia macchina?!?!?!?!??!” “Cazzo Jim te l’avevo detto che dovevo scendere a Log Angeles! Comunque sono appena arrivata ad Huntington” “Ok, dove sei” disse decisamente più tranquillo, ma io lo sentivo lo stesso. Meggie si guardò un attimo attorno e poi sorrise fra sé.
“Davanti alla casa del nano” Nano? la guardai interrogativa e lei mi fece segno come a dire “ti spiego dopo” scrollai le spalle e scesi dalla macchina.
Poco dopo mi seguì, ancora a telefono. “Se Jim, ok, arrivo fra un’oretta, ok?” “Mi serve la macchina” “Allora passati il pomeriggio da Johnny e quando ho finito ce ne andiamo insieme” il tipo sbruffò chiaramente “Seh, ok” “Ciao Jim” disse ridendo e rimise il cellulare in tasca.
“Allora…serve una mano?” chiese poi sorridendo.
Il soggiorno era invaso da scatoloni di tutte le dimensioni possibili e c’era solo qualche mobile.
“Mi aiuti a portare la roba mia in camera?” “Certo” “Mààà!” “Si?” “Qual è la mia camera?” “Secondo piano, a destra del bagno” “Ci entra Rachel?” “Certo!” sbuffò mio padre.
Dopo aver studiato un po’ tutti gli scatoloni, identificai i miei e Meggie mi aiutò a portarli sopra.
“Ok, andiamo”
Dopo aver capito quale fosse il bagno, camera mia fu facile da scovare. Pareti bianche con una strana greca viola e dei contorti motivi lilla nella metà inferiore separata dalla greca. “Però, figo” commentai osservando le pareti.
Oltre ai muri il resto era parecchio asettico: letto, armadio bello grande e scrivania, tutti bianchi con bordi viola e lilla.
Mollammo i primi scatoloni e poi cominciammo a fare su e giù per portarli tutti.
“Ehi, ma questa è tua, giusto?” disse Meggie indicando la custodia della grancassa della mia batteria.
“Si, porta pure quella, poi la montiamo”
Finiti scatoloni e pezzi di batteria, sistemai il mio tappeto a scacchi fucsia e nero e cominciai a tirare fuori un pezzo alla volta di Rachel, la batteria appunto.
Rachel era una Pearl  a righe nere e bianche con gli infissi di metallo color piombo.
“Cazzarola! Non capisco un tubo di batterie, ma questa è stupenda!” sorrisi soddisfatta “Meggie, ti presento Rachel” “E’ un piacere. Qualche volta devo presentarti Beast” “Bestia?” chiesi quasi allarmata.
“Si, la mia chitarra” “Magari! potremmo suonare insieme qualche volta” “Assolutamente si! Tanto adesso abbiamo tutto il tempo possibile, no?” scrollai le spalle e sorrisi, mentre armeggiavo con il rullante.
“Direi di si”

Dopo aver svuotato qualche scatolone in camera mia e aver piazzato la mia bellissima poltrona imbottita di polistirolo a forma di palla da tennis (la notte era semifosforescente), Meggie venne chiamata di nuovo dal fantomatico Jimmy e se ne dovette andare.
“Beh, allora ci vediamo domani, giusto? Vengo a darvi una mano” “Oh, sei davvero gentile Meggie” cincischiò mia madre “Si figuri, per me è un piacere” fece l’ennesimo sorrisone e fece per avviarsi all’uscita.
“Aspetta, ti accompagno”
Appena chiusa la porta, tuffò una mano in tasca e si mise fra le labbra una sigaretta (Marlboro gold). Dopo un paio di tiri gliela fregai.
“Meglio che vada, prima che Jimmy mi uccida” “Si, vai” dissi restituendole la sigaretta “A domani….” fece qualche passo e io feci lo stesso in direzione del protone, quando mi chiamò.
“Stacey?” “Si?” “Welcome To The Fucking Family!” urlò in modo teatrale prima di attraversare la strada, correndo verso uno spilungone con i capelli biondi sparati come a farne una corona e con gli occhiali affiancato da un nano che vicino a lui sembrava ancora più basso.
Sorrisi fra me, oh si, ci sarebbe stato da divertirsi.






E genteeeeeee! :D
Si, Cactus è tornata con una nuova long fic v.v
Ammettiamola, sono finita in un dannato cliché, ma m’ispirava troppo! >.<
Se non li avete mai visti e v’interessa, avrei un po’ di foto dei sevenfold in età scolare:D
Giusto per rendere di più l’idea v.v

Johnny:
http://media.tumblr.com/tumblr_lkndc5cnT61qf9aqw.jpg
 

Matt and Jimmy:
http://a8.sphotos.ak.fbcdn.net/hphotos-ak-ash4/270652_164479293617735_5973480_n.jpg

Zack:
http://a7.sphotos.ak.fbcdn.net/hphotos-ak-ash4/284533_173799916019006_3330125_n.jpg

 
e, signore e signori, la foto più brutta esistente di Brian:
http://a7.sphotos.ak.fbcdn.net/hphotos-ak-snc7/319215_214883301910667_1262644877_n.jpg

(dovrebbero vedersi tutte e.e spero)
(ne metterò anche altr,e visto che la storia farà qualche balzo negli anni v.v)
Bene, detto questo non mi resta granché da dire v.v
JD vedi di recensire ho la prossima volta ti brucio il culo  e volontariamente <3
Recensioni sarebbero gradite :D
See you next time! (Dio se odio ‘sta frase)
The Cactus Incident (Is Fucking Back)

  
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