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Autore: venerdi 17    21/06/2012    2 recensioni
Il mondo, tu, stretto in una mano, la mia.
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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2 - TESTARDO
 
Io so’ testardo,
c’ho la capoccia dura
e per natura non abbasso mai lo sguardo
è un’esigenza,
perché c’ho ‘na pazienza da leopardo.
E so’ testardo
e non mi ferma gnente
vado sempre avanti fino al mio traguardo
indifferente,
e non m’importa gnente se ritardo.
Io so’ de legno
e sembro muto e sordo
ma le tue parole sta’ tranquillo
che me le ricordo,
e qualche volta me le segno.
Io so’ de marmo,
ma tu m’hai sbriciolato
perché so’ testardo fino al punto
che so’ sempre innamorato,
pure se tu m’hai già scordato.
Però,
se ancora un po’ mi piaci
la colpa è dei tuoi baci,
che m’hanno preso l’anima
de li mortacci tua.
 
[Daniele Silvestri]
 
**
 
 
Lunedì 14 Maggio 2012
 
Entro con Luca in showroom. I tre piani del grattacielo trasudano lusso ed eleganza. L’abbinamento di mobili moderni e retrò dona agli ambienti un’aria estremamente raffinata e i tessuti d’arredo sono realizzati con le stampe che hanno reso negli anni la griffe della casa di moda riconoscibile in tutto il mondo.
Mentre attraverso corridoi e uffici, Luca mi mostra le modifiche fatte dall’ultima volta in cui sono stata qui. Saluto i colleghi che già conosco e mi presento ai nuovi arrivati. Usciti dalla stanza dove lavorano i ragazzi dell’ufficio stampa, rimane solo un ultimo reparto da visitare, quello che fra tutti amo di più. 
Guardare le otto signore sedute ognuna di fronte a una macchina da cucire, attente e concentrate a guidare la stoffa sotto l’ago, mi riporta per un attimo alla mia infanzia, rivedo in loro mia madre che, con la sua vecchia e ingombrante Singer posizionata sopra al tavolo della nostra cucina, sistemava orli o riparava i jeans strappati miei o di mia sorella.
Luca, con un cenno della mano, chiama la donna che, vista l’assenza di vestaglietta sopra gli abiti, intuisco essere la responsabile, e lei si avvicina sorridente. È una signora di circa cinquantacinque anni, molto composta e sobria con il suo filo di perle, la crocchia che raccoglie i capelli chiari striati di grigio e un paio di occhiali trattenuti dalla catenella legata al collo che le dondolano davanti al petto, mentre avanza verso di noi.
«Buongiorno, Emma» Luca la saluta mettendosi al suo fianco, poggiandole una mano dietro la schiena «Ti presento Rebecca Leoni, è arrivata oggi. Come ti avevo già detto si occuperà della divisione uomo» poi si rivolge a me «Emma Fabbri è la nuova responsabile della sartoria, è con noi da quando Janet è andata in pensione» sposta di nuovo lo sguardo su di lei «Ora saremo in due a romperti le scatole e a metterti fretta» sottolinea ridacchiando.
«Piacere» stringo la mano di Emma sorridendole «Spero che non crederà a una sola parola, io non rompo le scatole, per lo meno non così spesso come vuol far intendere lui» le dico indicando con il pollice Luca che si è spostato al mio fianco.
«Non preoccuparti, Rebecca, siamo abituate a lavorare sodo qua dentro. Inoltre in previsione del vostro arrivo sono state assunte due nuove sarte» risponde lei con un sorriso sincero rivolto a entrambi. 
«Bene, Emma, ora ti lasciamo al tuo lavoro» taglia corto Luca, sollevando subito dopo lo sguardo «Signore, grazie d’esistere» saluta le sarte con un ampio gesto della mano «E come sempre: è stato un vero piacere» termina, facendo un inchino.
È sempre il solito cazzone, non mi stancherò mai di ripeterlo. 
Usciamo da lì e finalmente mi accompagna a vedere quello che lui chiama il pezzo forte: il mio ufficio. 
Mentre in ascensore saliamo all’ultimo piano, gli chiedo come abbia fatto a trovare una première italiana a Los Angeles, allora mi spiega che Emma ha un figlio che, dopo essere venuto qui per lavoro, ha sposato una ragazza americana e che quando due mesi fa è nato suo nipote ha deciso di raggiungerli.
«Lavoriamo insieme solo da un mese e già la amo. Sembra che abbia un bastone nel sedere, ma credimi, ha un cuore d’oro sotto a quella camicetta di seta» conclude.
Usciti dall’ascensore, attraversiamo un breve corridoio e una porta a due battenti di vetro, entrando in un ufficio dove sono allineate due scrivanie, a una è seduta Karen, assistente di Luca da qualche mese, che si alza e mi viene incontro per presentarsi. È una ragazza piccola e minuta come me, ha i capelli castani chiari lunghi fino alle spalle e grandi occhi celesti, i lineamenti delicati del suo viso mi ricordano quelli di una bambola di porcellana. 
Margaret ancora non c’è, arriverà solo nel pomeriggio, con lei collaboravo già da Milano e in occasione dei miei precedenti viaggi a Los Angeles ho avuto modo di conoscerla personalmente. Luca, con una mano sulla mia schiena, mi guida verso la porta sulla parete sinistra.
«Ta-tàn!» esclama spingendomi, e così entro nella stanza dove trascorrerò la maggior parte delle mie giornate. 
L’ufficio è grande e illuminato da un’ampia vetrata, i raggi del sole s’infrangono sulla superficie della scrivania in cristallo nero, nella parete sinistra, sopra a un tappeto con fondo nero e disegni arancio, sono disposti un divano in pelle ad angolo e un tavolino da caffè, la libreria a destra è completamente ingombra dei books degli abiti di sfilata e collezione. 
Guardandomi intorno penso che sia tutto perfetto. Luca non solo conosce le mie preferenze a tavola, ma sa anche che amo gli ambienti piuttosto spogli e privi di gingilli inutili, niente piante, niente quadri, niente soprammobili, perché le sole cose che servono nel nostro lavoro sono un computer veloce e affidabile, un iPhone, e tanta, tantissima pazienza.
Da quattro anni noi due siamo i responsabili del reparto Vip & Celebrities della casa di moda “Vicky Ferraris” che, fondata dai genitori di Luca, unisce nel brand il nome di sua madre Vittoria e il cognome del padre Renzo Ferraris. 
Seguiamo i clienti che hanno esigenze particolari che i normali canali di distribuzione del nostro marchio non sono in grado di soddisfare. Si rivolgono da noi in showroom chiedendo abiti su misura, in prestito, in esclusiva, per realizzare un film, una tournèe, spot pubblicitari, trasmissioni televisive, abiti da sposa, da sposo, per le damigelle, per i paggetti, per il prete, per la moglie, per il marito, per l’amante ventenne, per l’amante dotato, per il cane, per il gatto, per la nonna al suo funerale (questa è la richiesta peggiore da esaudire, perché abbiamo i tempi un po’ strettini), o semplicemente perché preferiscono venire qui piuttosto che in boutique perché si sentono più gratificati e coccolati. 
Ultimamente le richieste sono aumentate in maniera esponenziale, soprattutto da parte degli americani, e Luca ed io non eravamo più in grado di seguirle tutte adeguatamente. Io, occupandomi della divisione uomo, avevo il vantaggio di dovermi spostare da Milano molto raramente, Luca invece, dirigendo la divisione donna, dato che quando si stratta d’abbigliamento il genere femminile è molto più esigente, era sempre costretto a fare su e giù da un aereo all’altro perché le clienti desiderano quasi sempre la sua presenza durante i fittings, probabilmente più per la sua avvenenza, piuttosto che per la sua, comunque notevole, competenza in fatto di moda. Stanco di passare più tempo in volo che in showroom, ha quindi deciso di partire e venire a Los Angeles per dedicasi esclusivamente della clientela americana. 
Gli accordi iniziali erano che io sarei rimasta a Milano per occuparmi delle richieste provenienti dagli showrooms di Asia ed Europa. Quando però la mia situazione personale è precipitata, mi ha proposto di trasferirmi con lui, e così ho fatto, lasciando che altri due colleghi subentrassero a noi nella sede di Milano. 
Inizialmente entrambi ci occupavamo sia dell’abbigliamento maschile che di quello femminile, un annetto dopo ho espresso il desiderio di poter seguire esclusivamente i clienti uomini. 
Luca passò un intero giorno, lungo, interminabile, sfiancante, a fare battute: “La verità è che vuoi l’esclusiva di chiedere se lo portano a destra o sinistra”, ”Ma sei davvero sicura sicura? Secondo me tutto quel testosterone ti farà male, non vorrei averti sulla coscienza”, ”Lo sai vero che rischi di diventare cieca? Oh mamma, dovrò regalarti un cane guida”. 
Malgrado le sue battute, che già dal momento in cui avevo chiesto quel cambiamento sapevo avrebbe fatto, fu ben felice di lasciare che fossi io ad accollarmi l’incombenza di lavorare per “ignoranti-pene-muniti che non distinguono un lupetto da un dolcevita”. Il solito esagerato.
Mentre Luca credeva di aver vinto alla lotteria non dovendo più occuparsi della divisione uomo, che ha sempre ritenuto noiosa e senza stimoli, io ero più che felice di lasciare a lui le mogli e le compagne degli ignoranti-pene-muniti, le cosiddette oche-silicone-munite che perennemente insoddisfatte del loro aspetto, tra l’altro poco visibile sotto strati di trucco e parrucco, e mummificate dentro le loro guaine contenitive, richiedono quintali di pazienza e tonnellate di smancerie.
Ma Luca non si scoraggia, anzi, si consola facilmente ogni volta che deve occuparsi delle giovani clienti, attrici, cantanti e soubrette con alcune delle quali si intrattiene anche fuori dall’orario di lavoro. Per allargare il suo giro di conquiste, ha addirittura convinto il padre ad aprire un club privato ed esclusivo, dichiarandolo indispensabile per l’immagine del marchio e che verrà inaugurato tra due settimane. 
Può infinocchiare i suoi, che amano così tanto il loro unico figlio da non essere capaci di negargli niente, ma io so che tra due sabati verrà aperta ufficialmente la caccia alle pollastre all’interno della riserva di Luca Ferraris.
«E quella porta?» chiedo a Luca, indicando l’angolo accanto alla libreria.
«Vai a vedere» risponde ammiccando. 
Faccio come dice e mi trovo all’interno di un piccolo bagno dotato di cabina doccia.
«Ma dai, il bagno in ufficio. Tu mi vizi»
«Vedrai che figata, io uso molto più spesso la doccia del mio ufficio che quella del mio appartamento»
«Appartamento? Quale appartamento? Non stai più alla villa?»
«In linea di massima sì. I miei con tutto il lavoro che hanno a Milano la usano così poco che posso godermela tranquillamente, ma ho comunque preso un loft a due passi da qui. Non sempre la sera ho voglia di guidare fino a Malibù» 
«Soprattutto quando hai tracce di sangue nell’alcol» lo sfotto, strizzandogli un occhio.
«Che palle! Non sono un ubriacone, non ho mai preso una sbronza in vita mia» lo guardo alzando un sopracciglio «Quasi mai» si corregge.
«Cambiamo discorso che è meglio. Posso dedicarti tutta la mattinata. Dopo pranzo arrivano la signora Carter e la figlia per scegliere l’abito da sposa. La vecchia è al quinto matrimonio e ha voluto di nuovo un abito bianco» ghigna divertito, mentre stravaccato sul divano con le braccia aperte accarezza la pelle della seduta. 
Rido anch’io, pensando alla “vecchia babbiona Carter”, con il suo viso rugoso coperto dal trucco pesante e i capelli ossigenati e cotonati. La immagino avvolta in una nuvola d’organza e chiffon mentre si muove come Marilyn, con l’aria che le solleva la gonna scoprendole la panciera. 
Ho i conati di vomito. In questi casi non è affatto positivo possedere una fantasia galoppante, termine che Alice ha coniato per i miei vaneggiamenti ad occhi aperti, spesso mi assalgono all’improvviso, come una scarica di gavettoni lanciati da un grattacielo che si schianta dritta sulla mia testa. 
«Lo so che sei deluso perché volevi essere tu il prossimo a incastrare quel bocconcino. Puoi sempre consolarti con la figlia» rido mentre mi siedo dietro la scrivania per verificare se la poltrona è davvero comoda come sembra. Sì, lo è.
«Scherzi? A quella mancano solo lo sciacquone e la catenella» ribatte, infilandosi il dito indice e medio in bocca «Non se ne parla proprio. Scommetto che malgrado l’età, é ancora vergine» 
«Possibile che alla veneranda età di ventotto anni non hai ancora imparato a guardare oltre l’aspetto fisico delle donne? In fondo, povera cucciola, non è colpa sua se ha preso dalla madre» 
«Ha parlato quella di primo pelo! Sbaglio o tra poco mi raggiungi?» 
Agito una mano come per scacciare ciò che ha appena detto «Sì, ma io sarò sempre più giovane di te»
«Oh, ma guarda, non ci avevo pensato. Certo che sei proprio un genio. Comunque, tornando alla povera Bambi, se davvero avesse preso dalla madre, altro che vergine. Quando sono a tiro la vecchia allunga sempre le mani. Una volta mi ha lasciato un livido su una chiappa» dice con sguardo incredulo «Comincio quasi a pensare che si sposa così spesso solo per poter stare un po’ con me quando proviamo gli abiti» afferma gonfiando il petto.
«Oddio, Luca, il tuo ego non ha veramente limiti»
«Sono semplicemente consapevole del mio fascino, che male c’è, scusa?» chiede con aria innocente.
«Oh, niente. Ora però basta con le stronzate. Da dove comincio?» chiedo entusiasta, tirandomi in avanti sulla poltrona e appoggiando i gomiti sopra la scrivania.
«Hai tutte le richieste e le scadenze nel tuo pc. Per quelle di questa settimana ci ho già pensato io. Se vuoi dargli un’occhiata, alcuni capi sono ancora giù alle spedizioni. Per quelle della prossima, ho passato tutto in sartoria, sono in lavorazione e li sta seguendo Meg» si raddrizza sullo schienale del divano e dopo essersi dato una pacca sulle ginocchia, mi guarda soddisfatto «D’ora in poi gli ometti sono tutti tuoi. Mi sono smazzato da solo anche tutti gli abiti per gli invitati all’inaugurazione, devi sono controllare come procedono»
«Oh certo, sia mai che vengano fotografati alla tua festa con i vestiti di un’altra maison» dico alzando occhi e braccia al soffitto.
Il momento battutine e aggiornamento lavorativo è terminato, lo capisco mentre mi guardo intorno e lo vedo giocherellare con lo strappo sul ginocchio dei suoi jeans. Rimaniamo in silenzio pochi minuti, finché incrociamo lo sguardo, così prendo un profondo respiro e rompo il silenzio, sperando di riuscire a trasmettergli tutta la mia riconoscenza «Devo ancora ringraziarti, senza il tuo aiuto non avrei mai avuto il coraggio di allontanarmi»
Scuote il capo abbassando il viso e subito dopo anche gli occhi «Sai bene che era da tempo che volevo trasferirmi, non ho fatto niente di così speciale, ti ho solo proposto di seguirmi» 
«Dico davvero, hai fatto tantissimo per me, e non parlo solo del trasferimento, della casa e di questo magnifico ufficio, ma del supporto che mi hai dato. Sei stato un vero amico. Sempre paziente malgrado i miei sbalzi d’umore. So di essere stata una palla al piede ultimamente e… insomma» alzo le spalle non sapendo proprio come continuare «Volevo solo ringraziarti»  
Mi guarda un po’ in imbarazzo. So che non ama sentirmi fare certi discorsi, preferisce quando lo prendo in giro o lo tratto male per scherzo «Lo sai che non devi ringraziarmi di niente. Ti voglio bene e sono felice di aiutarti. Anzi, mi sento in colpa per aver anticipato il mio trasferimento di un mese, ma volevo solo che per il tuo arrivo fosse già tutto sistemato. Anche se mi è pesato un sacco lasciarti sola proprio in questo momento» 
«Tranquillo. Dovevi seguire i lavori al club e io non potevo raggiungerti prima di avere consegnato tutti i capi per Cannes»
«Sì lo so. Ma insomma, come stai?»
«Bene, perché non si vede?» chiedo guardandomi.
«Lo vedo lo vedo. Quanti chili hai perso in questo mese?» solleva un sopracciglio tamburellando le dita sulla pelle nera del divano. Vorrebbe assumere un’aria minacciosa, invece mi fa sorridere.
«Boh, due o tre. Ma ora sto da dio con i pantaloni skinny» affermo.
«Che scema che sei!» mi punta un dito contro affilando lo sguardo «Ora che sei qui, ti terrò sott’occhio, carina, e controllerò che mangi regolarmente, e guai a te se sgarri» mi minaccia.
«Luca! Nemmeno mia madre mi stressa come te»
«Lei ora è lontana e ho tutta l’intenzione di assumere le sue veci. E ora, signorina-faccio-quello-che-mi-pare, posso sapere cos’hai combinato con Dario in questo mese?»
«Niente di che. È rimasto tutto esattamente come prima della tua partenza» 
Sospira a bocca chiusa allargando le narici. Io deglutisco e sento il mio stomaco che si contrae. So che è da quando ci siamo abbracciati ieri in aeroporto che vuole farmi la domanda che, con ansia, sono in attesa di sentirgli sparare. Prende tempo, sa che sta per addentrarsi in discorsi che potrebbero portarci a una furiosa discussione.
«Com’è possibile che sia tutto uguale? Voglio dire, come ha preso il tuo trasferimento?» abbasso gli occhi per non guardare i suoi che già mi stanno giudicando colpevole «Reb, dimmi la verità, come sei rimasta con lui?»
Sospiro e cerco di assumere l’espressione più innocente di cui sono capace, poi farfuglio le parole che lo faranno sicuramente alterare «Lui crede che… insomma… gli ho detto che starò qui solo per un breve periodo. Pensa che tornerò al massimo tra due-tre mesi e che questa separazione mi servirà a capire che lo amo. Non ha usato proprio queste parole ma quasi» 
«Reb!» grida, e io salto sulla poltrona portandomi una mano sul petto per lo spavento «Ma è possibile che continui a fare casini? Se pensa questo è colpa tua che non gli hai detto che non sai né quando né se tornerai. Che vuoi fare ora? Affrontare l’argomento per telefono? Con l’Oceano che vi separa?» me l’aspettavo che si sarebbe incazzato, non così tanto però.  
«Vuoi smettere di darmi sempre contro» sbotto anch’io «Non è così semplice per me parlare con lui, è terribilmente testardo» 
«Okay, è testardo, sono d’accordo con te, ma lo sei anche tu che ti ostini a tenergli nascosti i tuoi sentimenti e le tue vere intenzioni»
«Non è vero, lui sa perfettamente come la penso. Te ne ho parlato tante di quelle volte che... maledizione...» m’interrompo sprofondando nella poltrona «che non ho nemmeno più voglia di farlo»
«Spiegamelo un’altra volta, per favore. Ti ascolto» dice scocciato, incrociando le braccia. 
Gonfio le guance e guardando in alto soffio fuori l’aria lentamente.
«Lo sai benissimo. Voglio molto bene a Dario, è l’uomo migliore che io abbia mai frequentato, ma comunque non sono così sicura di amarlo. Con quello che è successo, poi, non so quanto sia giusto nei suoi confronti continuare questa relazione. Ho bisogno di tempo per capire cosa voglio e cosa è più giusto per tutti e due. Solo di una cosa sono certa: non voglio fare il salto di qualità. È solo lui che si sente stretto in questo tipo di rapporto. Ma poi dai, chiedermi di sposarlo. Ma ti rendi conto? A me, che  solo l’idea del matrimonio mi provoca l’orticaria e un attacco di gastrite acuta»
«Sì certo, lo cantava anche Anouk e ha già detto sì due volte» dice tirando su due dita della mano destra e muovendole.
«Me ne frego di quello che fa lei, e anche di tutti gli altri. Il matrimonio non fa per me, è per i deboli che hanno paura ad affrontare la vita da soli, uomini e donne che quando poi le cose non vanno come previsto, calpestano tutte le promesse fatte senza il minimo rimorso»
«Certo certo. Inutile illudersi perché l’amore eterno non esiste. Che senso ha sposarsi se tanto c’è il divorzio. Prima o poi l’attrazione fisica sparisce e a quel punto è meglio andarsene ognuno per la sua strada, e… bla… bla… bla…» facendo ruotare l’indice della mano destra, elenca una minima parte delle mie teorie contro il matrimonio. 
Alzo lo sguardo al soffitto e incrocio le braccia sulla scrivania.
«Okay, stai calma» si alza in fretta dal divano e prende posto sulla poltrona al di là della scrivania «Non sto certo dicendo che devi sposarlo, non lo farei mai. Tu non sei sicura, d’accordo, ma lui ti ama e vorrebbe trascorrere il resto della sua vita accanto a te, non è giusto illuderlo, non se lo merita, e questo lo sai anche tu» termina prendendomi una mano e chiudendola tra le sue.
«Non sto illudendo nessuno, lui sa benissimo quanto sono restia a intraprendere una relazione che comporti prendere degli impegni a lungo termine. Non ho nessuna intenzione di riporre tutte le mie speranze e il mio futuro nelle mani di un uomo, nemmeno se quest’uomo è Dario. Se lui sarà d’accordo e accetterà di continuare come abbiamo fatto finora, bene, altrimenti, amici come prima» mi massaggio le tempie, sentendo già vacillare tutto ciò che ho appena affermato «Forse però sbaglio di nuovo. Oddio, non lo so nemmeno io. So solo che la cosa migliore per lui sarebbe lasciarci e basta, non dovrei tenerlo legato a me senza dargli nessuna certezza. Ma ora come ora non sono in grado di decidere, e il mio egoismo in questo momento mi spinge a prendere tutto l’affetto che è in grado di darmi, senza curarmi delle sue esigenze» 
«Hai detto che quando ti ha chiesto di sposarlo, e tu sei rimasta zitta come un pesce lesso, ha detto di essere disposto ad aspettare. Non devi per forza prendere una decisione su due piedi»
«Sì lo so cosa mi ha detto. C’ero io, ricordi? E per essere precisi la sua è stata una non proposta» il mio tono non nasconde quanto mi scocci toccare l’argomento «E comunque, non mi ha detto per quanto tempo sarà disposto ad aspettare. Lo sto tenendo sul filo del rasoio ad attendere un sì che so benissimo fin da ora che non gli dirò mai. Non capisce che se il suo desiderio è crearsi una famiglia, stando dietro a me, sta solo perdendo tempo» 
«Scusa se insisto, ma sei sempre convinta che nascondergli la verità su tutto quello che è successo il giorno dell’incidente, sia la cosa migliore? Non pensi che avrebbe il diritto di sapere?»
«Che senso avrebbe a questo punto. Lo farei solo soffrire inutilmente»
«Ti manca solo il coraggio» sbotta, e io alzo la testa di scatto per fulminarlo con lo sguardo «Tesoro, devi assolutamente dirgli tutto quello che ti è passato per la testa quel giorno e della decisione che avevi preso prima che quell’idiota tatuato imbucasse uno stop senza nemmeno rallentare. Invece di farti assalire dai sensi di colpa, dovresti solo essere felice di essere ancora fra noi per poterlo raccontare» 
«Merda! Credi che non sappia che hai ragione? Non trovo il coraggio, okay! È ancora troppo presto per me. Sono una maledetta fifona che ha paura di raccontare tutte le cazzate che ha fatto. Un giorno forse, e dico forse, lo farò» dico con voce alterata.
«Trovalo questo cazzo di coraggio! Per la miseria, Reb, non ti riconosco più» anche la sua voce è salita di volume.
«Luca, non posso, gli ho mentito quasi per un mese intero prima dell’incidente» insisto, saltando sulla poltrona come se scottasse.
«E a oggi i mesi che gli racconti cazzate sono diventati quasi quattro» precisa lui, buttando lì la frase come se io non lo sapessi già.
«Oh, grazie Luca per il chiarimento. Sai dov’è la mia agenda? Me lo devo segnare. Che scema che sono, mi ero scordata da quant’è che sono diventata una bugiarda incallita» rispondo acidissima.
«Ma piantala! Sto cercando di dirti che non puoi continuare così. Sono sicuro che quando ti deciderai a vuotare il sacco, lui capirà che pensavi solo di fare la scelta giusta anche per il suo bene. Eri solo spaventata e confusa perché avevi deciso di…» 
Prima che dica il resto, mi alzo di scatto e gli punto un dito contro «Ora basta!» 
La discussione ha assunto come previsto toni piuttosto accesi e non voglio assolutamente litigare con lui, non si merita il mio tono isterico. Ma anche se è il migliore amico che si possa avere, devo farlo tacere prima che continui con le solite menate che mi propina ogni volta che affrontiamo l’argomento.
Mi rimetto seduta, sbattendo in fretta gli occhi per bloccare le lacrime sul nascere, mentre Luca mi scruta affranto perché con questa discussione pensa di aver risvegliato in me il senso di colpa, non sa che in realtà è vigile e pronto a riaffiorare in ogni momento. La sua ramanzina non c’entra proprio niente con lo smarrimento che probabilmente legge in questo momento nei miei occhi, perché ormai sono sospesa in questa specie di limbo dal giorno in cui ho rischiato di morire. 
Quel giorno pensai davvero di aver preso la decisione giusta. Ma invece sbagliai tutto quanto, perché avevo aspettato troppo, a decidere, a superare le paure, ad accettare quell’enorme cambiamento, così mi fu tolta la possibilità di cogliere l’opportunità che mi era stata data. 
Solo Luca e Alice sanno cosa è successo in quelle poche ore che mi hanno segnato in modo indelebile. E mentre lei ha accettato che mi prendessi tutto il tempo necessario per superare il mio senso di colpa, e anche che forse non troverò mai il coraggio per confessare tutto a Dario, lui ancora insiste perché gli dica tutta la verità e il prima possibile, e so che non si arrenderà fino a quando non l’avrò fatto.
«Reb, guardami» il suo tono è calmo e rassicurante. Ho sempre invidiato la sua capacità di cambiare umore in un istante «Ti dirò solo un’ultima cosa,  poi ti prometto che non toccheremo mai più l’argomento se non sarai tu a volerlo» sospira e continua guardandomi dritta negli occhi «Non sarai mai in grado di parlargli se prima non perdonerai te stessa» 
E con il mio silenzio, chiudiamo la discussione.
 
L’ora di pranzo arriva velocemente, ordiniamo dei piatti cinesi che consumiamo nel suo ufficio e, dopo aver bevuto il nostro caffè, lo lascio al suo appuntamento con la Carter. 
Mentre torno verso la mia stanza, sento gridare il mio nome e mi volto appena in tempo per vedere Margaret che mi salta al collo per abbracciarmi, con il suo metro e ottanta mi trovo con la testa schiacciata tra i suoi seni abbondanti.
«Reb! Che bello che sei qui. Non vedevo l’ora!» 
«Meg, così mi strozzi» la supplico ridendo.
«E te lo meriteresti anche, sono giorni che ti cerco e nemmeno rispondi ai miei messaggi» mi dà uno schiaffetto sul sedere e mi libera dall’abbraccio.
«Hai ragione, scusa, ma è stata una settimana piuttosto intensa» mi giustifico, e lei mi guarda stringendo un po’ i suoi occhietti neri.
«Okay, ti perdono. Ma dimmi, ti piace il nuovo ufficio? E l’appartamento? Ho aperto io al corriere quando ha consegnato la tua roba, così l’ho già visto, mi sembra perfetto per te» la sua voce è entusiasta.
«In effetti è bellissimo e soprattutto vicino al lavoro, con il taxi arriverò in un attimo»
«Il taxi? E perché? Lo sai che puoi usare un’auto aziendale»
«Meg, io non guido più» sussurro. 
«Oh cavolo, scusa, non lo sapevo. A causa dell’incidente?» non aspetta nemmeno la risposta «Poco male, vorrà dire che verremo a lavoro insieme con la mia auto. Ti prometto che andrò piano e sarò molto prudente. Ma ci pensi che bello, saremo vicine di casa!» prende le mie mani e saltella sul posto. 
«Allora io offrirò la colazione» 
«Non tentarmi, non mi avvicino a una pancake da… boh, non so nemmeno da quanto, e nonostante tutti i miei sforzi, come vedi, continuo a non calare di un etto. Tu piuttosto, ti vedo un po’ sciupat… cioè, scusa, non volevo dire che…» si zittisce portandosi una mano alla bocca. 
«Sì lo so, sono un po’ dimagrita. Ma questi ultimi mesi sono stati piuttosto stressanti» 
«Comunque stai benissimo, vorrei avere io questo problema. Ora però andiamo nel tuo ufficio, così diamo un’occhiata agli appuntamenti» 
 
Passiamo il pomeriggio controllando l’agenda e compilando un abbozzo di timing per i prossimi giorni. Questa prima settimana non ho molto da fare, Luca ha già evaso tutte le richieste, ma per tutto il mese prossimo sarò impegnata da mattina a sera. 
Lavoro bene con Margaret, è precisa e scrupolosa, posso sempre contare su di lei per risolvere i molti imprevisti, poi la sua energia e il suo entusiasmo contagiano inevitabilmente chi le sta intorno. Spero che riuscirà a farlo anche con me. 
Mentre controllo le e-mail da leggere, ne vedo una di Dario, guardo l’ora, sono le sei, le tre di notte in Italia, faccio per aprirla ma Meg si alza dalla poltrona stirando la schiena, e tra uno sbadiglio e l’altro farfuglia «Basta, ci vedo doppio, e anche tu per oggi fai festa. Ora andiamo a fare la spesa e ci prepariamo una bella cenetta a casa mia»
Alzo un attimo lo sguardo dal monitor per guardarla «Veramente io dovrei ancora finire di disfare le valigie. Anzi, per dirla tutta, dovrei proprio cominciare» 
«Eh no, ti ricordo che hai promesso di insegnarmi a preparare i veri spaghetti al pomodoro, e stasera ho proprio voglia di saltare la dieta. Quindi, arresta il sistema e alza il culo dalla poltrona. Subito!» ordina, mentre getta la mia giacca e la mia borsa sulla scrivania. 
«Okay, guardo solo se Luca è nel suo ufficio, altrimenti gli lascio un messaggio per avvertirlo che vengo via con te» 
 
Davanti ai nostri bicchieri ancora pieni di vino e i piatti ormai vuoti, Meg mi racconta i vari pettegolezzi dello showroom. La maggior parte dei colleghi che nomina non so nemmeno chi siano, devo interromperla continuamente per farmi fare un’accurata descrizione della persona di cui sta sparlando, almeno i volti li ricordo bene. 
Talvolta mi capita di vedere qualcuno per strada ed essere sicura di averlo già incontrato, ma non ricordo in quale circostanza e tanto meno il suo nome. Una volta, un ragazzo che era stato mio vicino di casa per una quindicina d’anni, mi chiamò per nome mentre ero in un supermercato. Rimasi imbambolata davanti a lui per un tempo che mi sembrò infinito, aprendo più velocemente possibile tutti i miei cassetti dei ricordi. Aprivo e richiudevo in modo frenetico, mentre l’ansia di star facendo una succulenta figura di cacca mi assaliva. La Rebecca nella mia testa era sfinita, correva come una pazza avanti e indietro, alla fine si girò verso di me, spettinata e sudata, e allargò le braccia dicendomi: ”Scusa Reb, ma non so più dove guardare”. Pensando che dovevo licenziare, con giusta causa, la piccola Reb nel mio cervello, me ne stavo zitta, davanti a quel ragazzone di due metri e stringevo il cestino della spesa con le mani che cominciavano a sudarmi. Per fortuna mi venne incontro lo sconosciuto che aveva capito da dove nascesse il mio evidente imbarazzo, mi disse il suo nome e io come una cretina cominciai a balbettare che era passato un sacco di tempo e che nel frattempo era cambiato e cresciuto. Lo salutai in fretta e con la coda fra le gambe continuai a fare la spesa. Ora però ricordo benissimo il suo nome. 
«Tu invece, dai raccontami un po’, come stai? Sono passati quasi tre mesi dall’incidente, vero?» chiede Meg, e io annuisco «Dio, quando Luca mi chiamò per dirmi che dovevo occuparmi del tuo lavoro perché eri in ospedale, mi spaventai tantissimo. Mi dispiace non essere venuta a trovarti, ma sai bene che non mi era possibile mollare così su due piedi lo showroom»
«Lo so, tranquilla, e poi, se ti avessi vista in ospedale, ti avrei ricacciata indietro io. E anche se non sei venuta, so che chiamavi ogni giorno per sapere come stavo. Tu e Karen siete state impagabili a occuparvi di tutto, visto che nemmeno Luca ha lavorato per giorni, non riuscivo a mandarlo via dalla mia camera nemmeno per farlo riposare un po’. Ha usato tutte le sue armi di seduzione con le infermiere per non farsi cacciare» le dico per sdrammatizzare.
«Luca era sconvolto, mi disse che dopo che aveva visto la tua auto, sembrava impossibile che tu fossi uscita da quel rottame solo con qualche livido e qualche taglio»
Posso capirlo, anch’io m’impressionai quando vidi le foto della mia auto, sembrava una scatoletta di tonno dopo un incontro impari con un mazzuolo.
«Sì, sono stata davvero molto fortunata» rispondo, senza alcun entusiasmo nella voce.
«E come va con il tuo bel giornalista?» ecco, sono fregata. E ora che le dico?
«Tutto bene, sì, insomma, adesso con questo trasferimento sarà un po’ più difficile vederci e stare insieme» tergiverso, anche se ora che è partita con le domande, si salvi chi può.  
«Infatti, mi chiedevo, come farete? Anche lui è molto preso dal lavoro, no? Con quel suo programma in tv. Intervista quelli che corrono con le macchine, vero?» non ha capito niente di quello che le ho già ripetuto non so quante volte. 
«Hai ragione, è molto impegnato. Quando non scrive per la rivista è in giro per il mondo per fare le telecronache delle gare del MotoGP» mi guarda con le sopracciglia aggrottate e vedo un grosso punto interrogativo che lampeggia sopra la sua testa «Le gare di moto, Meg, hai presente?» chiedo, mimando il gesto di dare gas a un manubrio. 
«Ah, ecco, infatti mi ricordavo c’entrasse quel vostro centauro… com’è che si chiama… aspetta, come lo stilista…» picchietta un dito sul mento guardando per aria.
«Intendi Valentino? » chiedo ridendo. 
«Sì certo! Valentino!» agita una mano per farmi capire che vuole liquidare il discorso «Va be’, a me interessa di più lo stilista, ovviamente. Ma tornando a noi, come farai con Diego? Verrà a trovarti, vero? E quando? Finalmente potrò conoscerlo» dice entusiasta. Sì certo, sono venuta per stare un po’ lontana da lui, e lui che fa, mi raggiunge? 
«Intanto si chiama Dario. E non credo che potremmo vederci prima di fine luglio, quando verrà per un gara a Monterey»
«Ma è un sacco di tempo! Cavolo! Dovrò aspettare ancora così tanto prima di conoscerlo» si lamenta «Non è che hai una foto di lui da farmi vedere?»
«No, non qui»
«Uffa, sono troppo curiosa» sbuffa, ma un secondo dopo si illumina e corre verso la camera «Però mi è venuta un’idea» grida per farsi sentire dall’altra stanza.
Saltellando, torna con un computer portatile e lo accende, poi, tamburellando impaziente con le unghie, aspetta l’avvio del sistema, mentre io la guardo non capendo cosa abbia in mente, so solo che sono spaventata dall’occhiata furba che mi sta lanciando.
«Che stai facendo?» le chiedo.
«Ora mi fai vedere il tuo fidanzato» afferma, e mentre io continuo a non capire, gira il computer verso di me «Dai, cerca qualche sua foto. Nel tuo paese è famoso, no? Dai muoviti!» esclama indicando la tastiera. 
Non ci credo, è una pazza sfrenata!
«Ma dai, Meg, piantala» cerco di chiudere lo schermo ma gridando mi blocca la mano. 
«Ferma! Ora me lo fai vedere, altrimenti faccio da sola, chiamo Luca e gli chiedo qual è il cognome di Diego» dice, afferrando il suo cellulare. 
Mi arrendo e digito: Dario Corsi giornalista sportivo. Un secondo e appaiono un sacco di link che lo riguardano.
«Dai a me!»
Meg mi sfila il mouse dalla mano e clicca su immagini. In un attimo il video si riempie di foto dello stesso bellissimo uomo dal viso a me così familiare: Dario con le cuffie mentre parla a un microfono durante la cronaca di qualche gara. Sorridente mentre abbraccia un motociclista con indosso la tuta di pelle. Sui seduto dietro la scrivania nell’ufficio della tv in cui lavora. 
E ancora Dario, in mezzo a una pista, accerchiato dalle Paddock girls, alias ombrelline, svestite con top e hot pants, e, ovviamente, un immancabile ombrello in mano a ciascuna. Mi avvicino allo schermo e affino lo sguardo per vedere meglio le mani che spuntano ai lati della vita di Dario, che non sono nient’altro che le estremità degli arti superiori delle due Paddock girls che gli sono più vicine, alias queste mi stanno un po’ sulle balle
Mi faccio un appunto mentale: quando, e se mai, andrò a vedere una corsa con lui, devo passare prima a comprare una sega elettrica, dovrà essere dotata rigorosamente di batteria ricaricabile per una migliore maneggevolezza e omologata per tagliare anche le ossa del corpo umano. Però, a differenza del maniaco del film “Non aprite quella porta” che fa brandelli delle sue vittime con il volto coperto da una maschera, io mi presenterò nei box a volto scoperto. Voglio che le Paddock girls, alias da domani cotechino gratis alla mensa del circuito per tutti, vedano bene in faccia chi sarà a infilare la poltiglia che rimarrà dei loro corpi siliconati dentro a un budello di maiale. Sono talmente persa nel mio trip mentale che vedo addirittura scorrere i titoli di coda del film trasmesso in fascia protetta solo nel mio cervello dal titolo: “Quando una donna con l’ombrello incontra una donna con la sega elettrica, quella con l’ombrello è una donna morta”. Ormai sono quasi alla fine e voglio sapere anche i nomi dei protagonisti, quindi continuo a leggere. Interpreti: Rebecca Eastwood-la donna incazzata con la sega elettrica, Paddock girls-il cotechino con l’ombrello. 
Premo il tasto stop per interrompere l’esecuzione del film che ha appena soffiato il podio a “Harry ti presento Sally” nella mia classifica personale dei preferiti e ridestandomi, come “La bella addormentata nel bosco di funghi allucinogeni”, vedo Meg che clicca su una bellissima immagine di Dario, la foto s’ingrandisce e lui appare a tutto schermo sorridente mentre è appoggiato con gli avambracci al manubrio di una moto, ha le mani intrecciate tra loro e i capelli neri scompigliati dal vento, indossa una camicia azzurra con le maniche arrotolate e con i primi due bottoni aperti, attorno al polso sinistro, in bella vista, vedo l’orologio che gli ho regalato a Natale. 
Quel giorno rimarrà per sempre stampato nella mia mente, non potrò mai scordare la mattina in cui Dario mi disse per la prima volta che mi amava e che quasi mi chiedeva di sposarlo. 
 
Dopo che uscii dal lavoro, andai da lui per trascorrere la vigilia insieme, aveva impiegato la giornata tra supermercato e fornelli per preparare i miei piatti preferiti. 
Passammo la serata tra le risate alimentate ora dopo ora dai bicchieri di vino e la palpabile tensione sessuale che quando raggiunse il culmine ci trascinò in camera da letto. Ci addormentammo all’alba, sfiniti, ancora piuttosto brilli, ma completamente appagati. 
Il giorno dopo, a metà mattina, mi alzai in silenzio per non svegliarlo, misi un po’ in ordine il disastro che avevamo fatto la sera prima e prepari la colazione, accanto alla sua tazza lasciai il pacchetto con dentro l’orologio e andai a svegliarlo con baci e carezze. 
Sedendosi a tavola vide il regalo, mi dette un bacio su una tempia e andò in camera, quando tornò, si fermò alle mie spalle: ”Il mio regalo volevo dartelo ieri sera, ma volevo che fossi perfettamente lucida quando l’avresti aperto, e considerando come eri brilla ho preferito aspettare”. 
Presi un biscotto e senza nemmeno voltarmi risposi: “Non ero l’unica persona brilla in questa casa ieri sera. E comunque mi sembra che il tuo regalo me lo hai già dato, più di una volta, per essere precisi” risposi, poi ridacchiai mentre inzuppavo il biscotto nel mio caffelatte. 
Mi picchiettò con un dito sulla spalla e mi voltai per guardarlo, aveva in mano una piccola scatolina di velluto blu, un nastro argento la chiudeva con un fiocco. Rimasi immobile sopra la mia sedia, con addosso solo una sua t-shirt bianca e le mutandine, avevo i capelli spettinati e gli occhi ridotti in due fessure per la nottata appena trascorsa. Imbambolata fissai la sua mano, con la vista offuscata dal panico riusciva a vederci sopra solo una macchia blu, percependo chiaramente il mio sangue diventare più fluido e in un attimo abbandonare il mio viso per raggiungere la punta dei miei piedi. Un pezzo del biscotto, che ancora senza rendermene conto tenevo in mano, cadde nel latte schizzando la mia maglia e la tovaglietta. 
Dario prese il pezzo di Grancereale ancora superstite tra le mie dita e lo lanciò sopra alla tavola, poi, prendendomi una mano, mi trascinò verso il divano, dopo essersi seduto stringendomi i fianchi mi fece sedere a cavalcioni sulle sue gambe. Mise la scatolina sul tavolino accanto a noi e prendendomi le mani tra le sue disse: ”Dalla faccia spaventata che hai, intuisco che hai capito perfettamente cosa c’è lì dentro”.
Cazzo se l’avevo capito!
Non percepivo più il mio corpo, mi fischiavano le orecchie e una Banda da festa di paese suonava nella mia cassa toracica, la grancassa era al centro esatto del mio cuore, mentre delle mini Majorettes vorticavano attorno alla mia testa roteando il loro bastone e agitando braccia e gambe, alzai lo sguardo per vederle meglio e abbassai subito la testa di scatto. Per un pelo, la biondina sulla destra, lanciando il bastone in aria quasi mi sfondava il cranio. La stronza mi sorrise. Ridi ridi, pensai, io riderò quando mi riprenderò dal mio stato di shock e tu sarai solo l’ennesimo ologramma che finirà a marcire con tutti gli altri da me generati. 
Dario prese il mio viso tra le mani e accarezzandomi le guance con i pollici chiese: ”Sei con me?” Ridestandomi annuii e guardandolo negli occhi riuscii solo a pensare che dovevo trovare in fretta le parole per rifiutare la sua proposta, parole che però non dovevano né ferirlo né allontanarlo da me. Non sapevo se lo amavo, ma era l’uomo migliore che avevo frequentato in quasi ventotto anni di vita e non volevo assolutamente rinunciare a lui. 
Prese di nuovo le mie mani e stringendole più forte di prima iniziò a parlare: “Fino a oggi ci siamo frequentati senza nessun tipo d’impegno da parte di entrambi, tranne l’esclusiva a letto, come se fossimo due amici che escono insieme e si divertano a scopare ogni tanto. La verità è che per me non sei mai stata un’amica, e con te non ho mai scopato e basta” la sua voce riusciva a essere dolce anche quando diceva parole volgari. 
Sospirò e continuò: “Hai messo fin dall’inizio dei limiti al nostro rapporto, e io fino a oggi ho cercato di rispettarli non avendo altra scelta se volevo stare con te. Oggi, con l’anello che è dentro a quella scatola, volevo chiederti di sposarmi”. 
Deglutii vistosamente spalancando gli occhi, allora lui mi trascinò sul suo petto e, accarezzandomi la schiena, continuò a parlarmi all’orecchio a bassa voce: “Non domani, non tra un mese o un anno. Volevo da te solo la promessa che prima o poi sarebbe successo. Volevo che mettessi quell’anello per dimostrarmi che il nostro rapporto aveva la possibilità di evolvere verso un nuovo obbiettivo desiderato da entrambi. Volevo farti conoscere la mia famiglia presentandoti come la mia fidanzata e volevo conoscere la tua presentandomi come il tuo fidanzato”. 
Sospirò di nuovo e alzò di poco il tono della voce: “Ma visto che non mi va di trascorrere il giorno di Natale al pronto soccorso, perché vista la tua reazione vedendo la scatola senza nemmeno averla aperta, so che se vado fino in fondo a quello che mi ero prefissato stramazzerai al suolo in preda a una crisi epilettica, per oggi mi limiterò solo a dirti che ti amo da impazzire e che tu sei la donna che desidero al mio fianco per il resto della mia vita. Ti prego di non arrabbiarti se sto andando contro alle regole che avevi stabilito fin dall’inizio, ma è evidente che non posso e non voglio più rispettarle. Non nego che se ora tu mi saltassi al collo dicendo che accetti la proposta che, bada bene, io non ti ho fatto, questo giorno diventerebbe il più bello dei miei trent’anni”. 
Questa volta sospirai io, dimostrandogli di essere ancora viva, piuttosto provata, ma ancora viva: “So che sei confusa e che ti ho presa completamente alla sprovvista. Starai anche pensando che è da troppo poco tempo che stiamo insieme perché io possa essere davvero sicuro di voler progettare un futuro con te. Effettivamente prima di conoscerti non avrei mai pensato di poter amare una pazza svitata come te. In realtà non avrei mai pensato di poter amare”. 
Mi baciò sul naso e sulla fronte: ”Ma ti garantisco che so perfettamente cosa voglio nella vita, e voglio te”. 
Stringendo la sua maglia, sospirai ancora: “D’ora in poi dovrai accettare che non nasconderò più i miei sentimenti per te. Ti dirò che ti amo ogni volta che ne sentirò l’esigenza e ti riempirò di tutte le attenzioni e l’amore che fino a oggi non hai voluto per paura di un coinvolgimento, nel quale, almeno io, sono già arrivato al punto di non ritorno. Ma prometto che non ti farò pressioni di nessun tipo, rispetterò i tuoi tempi e ti aspetterò”. 
Non pronunciai mezza parola, immobile come una statua continuai a stringere la sua t-shirt senza riuscire a guardarlo nemmeno negli occhi, mentre lui aveva circondato la mia schiena con un braccio. Sentivo la sua mano stringere delicatamente la mia vita mentre l’altra era sopra il mio pugno sul suo petto. 
Nei giorni precedenti avevo notato in lui un certo cambiamento nei miei confronti, era diventato particolarmente affettuoso e cercava di trascorrere con me più tempo possibile, trascurando talvolta i suoi impegni. Ogni tanto lo scoprivo a fissarmi assorto, e io, con la mia patologica ingenuità, pensavo, cominciando anche a preoccuparmi, che cercasse in me i primi segni d’invecchiamento. Mai avrei immaginato che potesse nascondere la dichiarazione che mi aveva appena fatto, ancor meno un’imminente non proposta. Non avevo capito niente, come al solito. 
Sopraffatta dai sensi di colpa, cedetti alle lacrime che già da un po’ premevano per uscire. Era quasi una scena comica, ero io che avevo rifiutato la sua non proposta, pur non avendo pronunciato una sola vocale, che singhiozzavo tra le sue braccia, mentre lui, che mi aveva appena aperto il suo cuore ricevendo un alt a tempo indeterminato ai suoi propositi, mi stringeva e soffiava dolcemente al mio orecchio parole di conforto. 
Quando mi calmai, mi fece alzare e prese la scatolina: “Questa per ora la mettiamo via” disse, e la riportò dove probabilmente era stata fino a mezz’ora prima. Tornò un attimo dopo tenendone in mano un’altra, più bassa e larga della precedente. Ancora in tremendo imbarazzo, la aprii cercando di sorridere e con voce roca sussurrai un timidissimo grazie
Ci sedemmo di nuovo a tavola per finire la colazione, io con indosso gli orecchini che mi aveva regalato, lui con l’orologio al polso.  
       
Fisso i suoi occhi limpidi nella foto pensando alla discussione di questa mattina con Luca. Vedendolo felice e sorridente, mi dico che non avrò mai il coraggio di confessargli tutto, non voglio essere io la causa della presenza di ombre nel suo sguardo, non potrei mai perdonarmelo. 
«Reb, ma è uno schianto!» esclama Meg, indicando con il palmo della mano lo schermo «Ora mi spieghi come hai fatto a lasciarlo solo a Milano? Se io stessi con uno così, non mi allontanerei di un metro da lui, notte e giorno. E probabilmente finirei ricoverata in una clinica per curare un attacco acuto di ninfomania» 
La capisco, e nemmeno sa quanto Dario in realtà sia ancora più bello dentro che fuori.
«Sì, in effetti è piuttosto carino» minimizzo. 
«Carino? Ma che carino! È fa-vo-lo-so. Cioè, guarda quegli occhi verdi, e quella bocca è tutta da baciare. È pure abbronzato» credo che questa foto risalga al mese scorso. Era andato nel Qatar dove si era svolta la prima gara della stagione motociclistica e tornò con un bellissimo colorito.
«E tu dici che è carino? Averne, cavolo, di uomini “carini” così» dice alzando le mani per mimare le virgolette. Okay, voglio troppo bene a Meg per voler trasformare anche lei in un insaccato, però ora basta sbavare sulla foto del mio Dario.  
«Possiamo continuare domani? Vorrei andare a casa» chiudo la foto, google e mi alzo. 
Ci diamo un bacio sulla porta e vado verso il mio appartamento.
 
Rientro a casa e mi siedo di nuovo davanti allo schermo di un portatile, voglio leggere e rispondere alla e-mail di Dario.
 
Ciao Tesoro, com’è andato il viaggio? Lungo, vero? Mi dispiace, so che odi volare per così tante ore. Vorrei essere lì per massaggiarti la schiena che sicuramente avrai indolenzita. Ho appena terminato la riunione settimanale e come ti avevo accennato giovedì vado a Le Mans e rientrerò a Milano lunedì mattina. Sembra che il tempo non sarà dei migliori, probabilmente pioverà, e le gare con la pioggia sono più faticose anche per noi telecronisti. Quando verrò a Monterey ti porterò con me. Non vedo l’ora, soprattutto di rivederti. Sono sicuro che anche se non sei un’appassionata, ti divertirai a vedere una gara del MotoGP dal vivo, è assurdo che in un anno non sia ancora riuscito a trascinarti con me in un circuito. Come sta Luca? Ti ha già portato a vedere il locale? Oggi non ti ho disturbato perché sicuramente sarai stata molto presa dalle novità, ma domani aspettati una mia chiamata. Tieni aperto Skype, mi raccomando.
Mi manchi e ti amo.

 
Ciao Bellissimo, sono appena rientrata da casa di Margaret. Invito a cena con fregatura: ho cucinato io perché voleva gli spaghetti. Luca sta bene, da quando è qui dice di essere molto meno stressato. Il club lo vedrò all’inaugurazione, anche se non impazzisco all’idea, lo sai che non mi piace molto fare vita mondana. Ora ti saluto e vado a letto, sai com’è: jet lag. 
Ci sentiamo domani.
Reb
 
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