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Autore: flautista_pearl    23/06/2012    5 recensioni
22 giugno 2017 è una data che difficilmente una ragazza di Due Foglie si scorderà. Questa ragazza infatti sarà protagonista di una guerra che era già stata programmata dal fato. Lei riuscirà con le sue energie e con il sostegno dei suoi più cari amici a vincere? Ma prima di tutto, si dovrà recare nella prestigiosa Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts dove imparerà a difendersi e dove scoprirà i misteri più profondi di se stessa e dei mondi.
All was well. O quasi?
Dal capitolo 2:
Lei sfoderò la bacchetta. Pensai subito che da un momento all’altro sarebbe comparso un Mangiamorte, di conseguenza mi aggrappai forte al suo braccio sinistro – stavo quasi per soffocare Piplup tra le braccia – ma invece mia madre fece una cosa alquanto insolita: picchiettò tre volte la punta della bacchetta sul muro di mattoncini davanti a noi. Dopo qualche secondo i mattoncini si mossero formando un arco e permettendo la vista straordinaria di una grande via gremita di gente, di maghi.
«Ecco, Lucinda. Questa è Diagon Alley».
Genere: Avventura, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Lucinda, Un po' tutti
Note: Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Anime
Capitoli:
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Diagon Alley [parte 2]

 
«Ecco, Lucinda. Questa è Diagon Alley».
Spalancai immediatamente la bocca e gli occhi alla vista spettacolare del viale. Alcuni maghi chiacchieravano, altri erano seduti a leggere il giornale, alcuni si scambiavano oggetti misteriosi – che non potevo identificare dovuta alla mia scarsa conoscenza sul Mondo Esterno – e talismani, un alquanto bizzarro uomo dovuto al fatto che indossava gilè verde fosforescente, pantaloni viola e scarpe rosso vermiglio, reggeva nel braccio sinistro una pila di quotidiani e nella mano destra sventolava un giornale, gridando: «Avery fa un’altra vittima! Comprate la Gazzetta del Profeta!».
«Su, Lucinda! Non mi dire che ti sei incantata un’altra volta!», esclamò mamma, riportando il mio cervello alla realtà.
Okay, questa è stata la terza volta che mi incantavo: la prima è stata nella sala d’attesa della stazione di Sciroccopoli, la seconda a Charing Cross Road e la terza qui, a Diagon Alley.
Cominciai a pensare che questa giornata d’estate sarà piena d’incontri e di magia. Oserei definirla incantevole.
«Adesso dove andiamo?», domandai, guardando le botteghe davanti a me.
«Alla Gringott», rispose lei. «La banca dei maghi», ed indicò un palazzo di marmo candido.
Ci dirigemmo verso l’imponente struttura bianca che spiccava tra i piccoli negozi di Diagon Alley, sentii che pian piano il vociare della folla scemava e percepii gli sguardi pesanti dei maghi su di me e i loro frasi sussurrate, quasi avessero paura che io le sentissi: «Non avevo visto la Winslow da più di un anno» o «Povera bambina! Vedere il proprio padre morire!».
Piplup cominciò ad imprecare gettando sguardi truci ai maghi, ma lo frenai quando stava per lanciare un bollaraggio verso una strega orribile, era vestita di stacci con il volto oserei dire deturpato e gli occhi infossati ma stranamente luminosi, vispi.
Volevo gridare ma mi trattenni. Una brava strega si comporta in modo educato!
Sembrava che fossi una sfortunata, la povera figlia che assistette alla morte del proprio padre e che era rinchiusa in casa per non fare la stessa fine del genitore.
Stavo per poggiare il piede sul primo gradino della scalinata di marmo della banca, quando una voce proveniente dalla farmacia mi fece trasalire e voltare.
«Che vi fissate tutti quanti?», urlò un uomo dal viso tondo. «Ritornate a dove eravate rimasti!», aggiunse poi.
«Neville?», domandò sbalordita mamma voltandosi.
«Olga!», disse il signore avvicinandosi e abbracciando mia madre.
«Lucinda!», fece il signore stupito. «Assomigli sempre di più a tua madre, hai suoi stessi occhi», aggiunse poi scrutandomi.
Okay, è ufficiale: tutte le persone che ho incontrato oggi – che per altro non ho mai incontrato in vita mia e non pensavo per niente di essere così, per come dire, “famosa”; beh, mia madre è la più famosa Auror di tutti i tempi ma è un fatto irrilevante – ce l’hanno con i miei occhi. Credo di essere l’unica di questi due Mondi con questo, chiamiamolo, “problema”. E se poi non sono l’unica, allora potrei fondare il club dei “Hai gli stessi occhi di tua madre”. Ho dovuto rinunciare al club dei Magonò di Sinnoh – fortunatamente – e adesso perché non farne uno nuovo, sul serio?
«Mi scusi signore, lei chi è?», chiesi. Credo che sia un mio diritto sapere con chi stia parlando soprattutto perché il signore conosce già la sottoscritta.
«Oh, giusto! Io sono Neville», a questo punto c’ero arrivata anche io, «Neville Paciock».
Sgranai immediatamente gli occhi quando l’uomo davanti a me pronunciò l’ultima parola: Paciock.
Feci scendere Piplup dalle mie braccia e frugai velocemente nella mia borsetta, finché non presi ciò che volevo: la lettera. La aprii:

 
Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts
 
Cara signorina Lucinda Winslow,
lei è stata ammessa alla scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts
 
I corsi avranno inizio il 1° settembre. Restiamo in attesa della Sua risposta via gufo entro e non oltre il 31 luglio p.v.
 
Con ossequi,
Neville Paciock Vicedirettore
 
Ecco: Paciock, Neville Paciok è il vicepreside della scuola. Adesso che ci faccio caso però, non c’è scritto il nome del direttore.
«Lucinda, cosa succede?», domandò mia madre con un sopracciglio alzato.
«Ehm, no niente. Non pensavo che lui fosse il vicepreside di Hogwarts».
«Oh, per, favore non chiamarmi signore, chiamami semplicemente Neville. Ti conosco da quando avevi cinque mesi», sgranai immediatamente gli occhi. Il signore davanti a me, mi conosce da quando avevo cinque mesi?
«Però, a scuola non puoi», e mi fece l’occhiolino. «Adesso vado, ancora devo ancora fare delle commissioni», e se ne andò non prima di abbracciare mia madre, di darmi un bacio sulla fronte e di dare un pizzicotto sulla guancia di Piplup.
Salimmo gli ultimi gradini di marmo della scalinata e ci fermammo davanti all’entrata. Sulla grande insegna che portava la banca vi è scritto “Gringott, banca dei maghi”.
Mi fermai davanti alle porte interne d’argento che recavano incisa una poesia: Quindi se cerchi nel sotterraneo un tesoro che ti è estraneo, ladro avvistato mezzo salvato.
Deglutii e avanzai verso l’ampio atrio, dagli alti banconi della sala di marmo spuntavano piccoli esseri di carnagione scura, con occhi scuri e stretti, gli occhiali a mezza luna sul naso, le orecchie a punta e le dita, che stringevano piume di Staraptor ‒ ma molto probabilmente si tratta di un animale ‒ lunghissime.
Mamma si avvicinò a uno di questi, la creatura alzò gli occhi dalla scrivania ed abbassò gli occhiali.
«Mi chiedevo quando sareste arrivate signora e signorina Winslow», disse l’esserino, che saltò sul pavimento e ci fece cenno di seguirlo. Mi accorsi che era bassissimo, forse aveva la stessa altezza di Piplup.
«Mamma, ma chi è?», sussurrai in modo che l’individuo davanti a noi non ci sentisse.
«Un folletto».
Il folletto ci guidò in una delle molteplici porte che conducevano fuori dalla sala ed entrammo in un corridoio di pietra illuminato da delle torce. Ci avviamo a passo rapido lungo i binari, il folletto fischiò e un carrello arrivò sbucando dal buio; balzammo a bordo, il folletto davanti ed io, Piplup e mia madre dietro, il vagoncino prese subito velocità e cominciò a curvare sempre in discesa, i miei capelli che volavano indietro. Dopo un paio di minuti o forse anche di più, il vagone si fermò davanti ad un atrio semicircolare di pietra illuminato solo da quattro torce, scendemmo e ci avvicinammo all’unica porta che c’era. Il folletto premette il palmo della mano destra sulla porta di legno e questa si dissolse all’istante svelando montagne di monete d’oro, d’argento e di bronzo, gioielli, tiare, diademi, medaglie, pietre come il rubino, l’opale, il zaffiro, lo smeraldo, l’ametista, il topazio e perfino il diamante; sulla sinistra c’erano tre file di scaffali su cui erano poggiate piccole fialette, alcune emanavano un odore inebriante, altri delicato, alcuni invece erano terribili; su certe boccette vi era scritto Pozione Restringente, Amortentia, Pozione Polisucco, Felix Felicis, Pozione Rimpolpasangue e altre di cui l’etichetta era rovinata. Girai intorno alle montagne di monete, provando diademi, pendenti, anelli; Piplup si provò alcune collane bizzarre, con piume e perle colorate; sinceramente non pensavo affatto che la casata dei Winslow fosse così ricca.
Beh, la mia famiglia aveva almeno cinque ville in ogni regione del mondo, casa mia era tra le più piccole con quattrocentocinquanta ­­­­­metri quadrati disposti su tre piani più trecento metri di giardino, se si potrebbe chiamare giardino perché il mio assomiglia più a un parco ‒ e poi ti credo che Barry strisci già al decimo giro del perimetro ‒. Okay, casa mia non si può definire una delle case più piccole dei due Mondi.
Il mio giro d’ispezione intorno ai tesori dei Winslow terminò quando mamma finì di riempire due piccoli sacchetti di monete d’oro e d’argento.
 
Dopo una decina di minuti eravamo al Ghirigoro: un negozio bellissimo, gli scaffali colmi di volumi, enciclopedie, romanzi, libri specifici sulla difesa, sugli incantesimi elementari fino ai più complessi, la trasfigurazione e le pozioni. Mamma mi comprò un libro: Differenze e analogie, è un libro che mette a confronto le caratteristiche degli animali con quelle delle creature magiche e dei Pokémon. Questi tipi di enciclopedie le definisco mattoni, che a me fanno impazzire, passavo gran parte del mio tempo a casa ascoltando concerti di Bach e Mozart, suonando il pianoforte o il flauto traverso o semplicemente leggendo romanzi gialli di Arthur Conan Doyle o di Agatha Christie e tutti libri che mi capitavano sotto il naso, passavo le ore in biblioteca tant’è che certe volte non pranzavo semplicemente perché mi ero tuffata in una lettura avvincente.
Presto l’aria del negozio fu irrespirabile con tutta la gente che affluiva per prenotare o prendere i libri per la scuola, di conseguenza chiesi a mia madre se potevo fare un giro per Diagon Alley ‒ anche perché Piplup cominciò a sudare tantissimo ‒, all’inizio esitò ma alla fine dovette cedere perché la coda di maghi all’esterno del negozio divenne lunghissima.
Uscii dal Ghirigiro, non prima che mamma mi desse un sacchetto pieno di monete, e respirai ingenti quantità d’aria, spostai lo sguardo da destra a sinistra valutando dove si potesse trovare Olivander, visto che la lettera ce l’ha mia madre per i libri e per tutte le cose di pozioni e astronomia, decisi di comprarmi una bacchetta.
Voltai a destra e camminai senza spostare lo sguardo dalle insegne dei negozi: Madama McClan: abiti per tutte le occasioni, Accessori da Quiddich di Qualità, Emporio del gufo, Telami e Tarlatane…
Quasi alla fine di del viale acciottolato di Diagon Alley vi era un’insegna a lettere d’oro scortecciate che portava scritto Olivander: Fabbrica di bacchette di qualità superiore dal 382 a.C., un lieve scampanellino accompagnò la mia entrata nella bottega; era un luogo molto piccolo, quasi buio.
Un uomo anziano, molto probabilmente sugli ottanta, sbucò dalla porta del retrobottega. Aveva due occhi vitrei. Mi osservò attentamente e disse:
«Buongiorno signorina Winslow», e sparì. Poco dopo riapparve con una scatoletta, l’aprì e rivelò una bacchetta, io la presi e la maneggiai.
«Acero», affermai, «Dieci pollici e tre quarti, sufficientemente elastica», il signor Olivander mi guardò stupefatto; non tutti sanno riconoscere una bacchetta, ma io sì: passavo sempre il tempo leggendo e un giorno scoprì nella biblioteca di casa un libro sui legni.
«Nucleo?», domandai, visto che non sapevo come scoprirlo.
«Crine di unicorno».
Prevedibile, tutta la famiglia Winslow aveva nella sua bacchetta il nucleo di crine di unicorno dato che il simbolo dello stemma della casata è un unicorno. La agitai: un’ampolla poggiata sul bancone scoppiò, riposi la bacchetta nella scatoletta; il signor Olivander era stupito.
«Non mi era mai successo», mormorò, «Tutti i Winslow hanno una simile bacchetta da più di cinquecento anni», sospirò. «Comunque, è la bacchetta a scegliere il mago e non viceversa», aggiunse; sgattaiolò dietro un mobile e riapparve con un’altra scatoletta che mi porse.
«Quercia, dodici pollici esatti, rigida, sempre nucleo d’unicorno», disse prima che potessi esaminarla.
La agitai e gli sportelli del mobile di legno accanto a me si aprirono e i fogli in essa contenuti volarono per tutta la stanza. Piplup scappò dalla parte opposta per non essere investito dalla folata di fogli.
«No. Neanche questa», sospirò. «Perché non proviamo…», si voltò e cercò una precisa scatoletta negli scaffali dietro al bancone.
«Eccola!», disse quando la trovò e me la porse. «Biancospino, undici pollici e mezzo, elastica, nucleo di fenice».
Esitai, nessun Winslow aveva la bacchetta con nucleo una piuma di fenice. Aprii con mani tremanti la scatoletta e presi la bacchetta in mano, immediatamente una sensazione di calore mi percorse la mano destra e ben presto la vampata si diffuse in tutto il corpo.
«Interessante», commentò il signor Olivander. «Devi sapere che il biancospino ha significati contraddittori: per i greci e i romani era simbolo di speranza e matrimonio, per i celti era invece simbolo di stregoneria e malasorte. Beh, dopotutto il biancospino ha sia bellissimi fiori bianchi sia spine aguzze. Nel folklore, il cespuglio di biancospino è legato alle fate: si dice che un biancospino solitario segnali la presenza di un reame fatato ‒ e generalmente è così ‒, mentre un boschetto con biancospini, querce e frassini sia un luogo in cui le fate sono visibili anche agli occhi dei Babbani. Secondo la tradizione, il legno per fabbricare una bacchetta magica può essere preso solo nel giorno di Beltane, a maggio».
«Fantastico! Ma, sa per caso perché la bacchetta ha scelto me? Nel senso perché nucleo di fenice se sono una Winslow?».
«Non lo so. Tua madre è una Winslow e tuo padre è Babbano. La fenice è il simbolo della famiglia dei Selwyn, la piuma contenuta nella tua bacchetta è la stessa di tutti loro, ma sinceramente non so cosa centri con te. Sa, signorina è stata la seconda bacchetta che ho fabbricato e adesso ha trovato una padrona».
«Capisco. Quanto costa?», domandai.
«Sette galeoni», afferrai il sacchetto che mi dette mamma e presi sette monete.
«Arrivederci e grazie!», salutai e afferrai la maniglia della porta.
«Grazie a lei. Credo che farà grandi cose con quella bacchetta signorina Winslow», disse il signor Olivander prima che uscissi.
Credo che farà grandi cose con quella bacchetta signorina Winslow.
Che intendeva dire? Avevo sì una bacchetta interessante, ma non credo che farò così spettacolari magie, c’ho messo un’eternità a fare una magia librandomi a due metri da terra.
Andai verso il Ghirigoro con dietro Piplup che marciava a testa alta: tutti lo guardavano, non deve capitare tutti i giorni di vedere un Pokémon.
Lo guardai divertita.
«Wow! Un Piplup!», urlò una ragazza, la voce era stranamente familiare, mi voltai e un dolore tremendo provai sulla fronte, caddi sul viale acciottolato e mi scivolò dalle mani il libro Differenze e analogie . Massaggiai la testa e vidi che la persona contro cui mi scontrai ‒ precisiamo è stata lei a scontrarsi contro di me ‒ era la stessa del treno: Misty Williams.
«Oh, scusami. È che ho visto il tuo Piplup», si alzò e mi aiutò a rialzarmi, poi corse da Piplup e lo abbracciò. Era una ragazza molto eccentrica.
Mi piegai per raccogliere il libro caduto ma sfiorai accidentalmente una mano, alzai lo sguardo e incrociai i miei occhi con due occhi color nocciola. Il mio cuore cominciò inspiegabilmente a battere, non ero mai stata tanto vicina ad un ragazzo, soltanto a Kenny e Barry perché erano i miei unici amici maghi di Due Foglie, ma adesso siamo nel Mondo Esterno.
«Perdona la mia amica, non sa quel che fa», disse porgendomi il libro.
Lo osservai attentamente e gli domandai: «Grazie, ma tu non sei quello del treno?», il mio cuore non voleva cessare di martellare.
«Sì, sono io, Ash Ketchum. Con chi ho il piacere di parlare?».
«Io sono Lucinda Winslow».
«Sei la ragazza che ha visto mori…», adesso il mio cuore cominciò  a pulsare di rabbia.
«Sì, sono la ragazza che ha visto morire suo padre», completai io mesta. «Andiamo Piplup!», il Pokémon saltò dalle braccia di Misty e camminò accanto a me, più che camminare marciavamo, beh forse correvamo perché quando mi fermai Piplup aveva il fiatone. Lacrime mi uscivano calde e amare, mi fermai, nessuno mi riconosceva come quella persona che vide il proprio padre morire, mi conoscevano come Lucinda.
Mi asciugai le lacrime col dorso della mano e sentii qualcuno sfiorarmi la schiena, alzai gli occhi e vidi un ragazzo castano con due occhi azzurri come il cielo e con un gelato in mano.
«Prendi», mi porse il gelato. «Credo che serva più a te che a me».
«Grazie!», lo presi e lo assaggiai. Era delizioso e fresco, la cosa ideale in quel momento.
«Io adesso devo andare», disse guardando il suo orologio al polso. «Ci si vede!».
«Aspetta dimmi almeno come ti chiami!», gridai ma lui non sentì, svoltò a destra con una mano in aria che mi salutava.
Piplup mi guardò con due occhi luminosi e le pinne giunte.
«Va bene, tieni», gli donai il mio gelato, era comprensibile che il Pokémon pinguino volesse un po’ di freschezza in una giornata d’estate come questa.
Chi era quel ragazzo?
Guardai pensierosa l’angolo in cui sparì il ragazzo, volevo almeno ridagli i soldi per il gelato. Piplup mi diede una gomitata e mi guardò, i suoi occhi volevano dire Lucinda Winslow ti sei innamorata.
«Non sono innamorata!», urlai, ma il mio cuore non smise di battere da quando avevo sfiorato la mano di Ash Insensibile Ketchum e non smise di martellare neanche quando quel ragazzo mi diede il suo gelato.
 
Raggiungemmo mamma al Ghirigoro e andammo a Il Calderone per comperare un calderone in peltro, misura standard due, un set di provette in vetro o di provette in cristallo ‒ scelsi quelli in cristallo ‒ e un set di bilance in ottone. Poi entrammo in Farmacia per acquistare gli ingredienti essenziali per le lezioni di pozioni come aconito, zanne di serpente, lumache cornute. Andammo poi da Winseacre’s Il Telescopio per comprare, appunto, un telescopio per astronomia.
Ci dirigemmo verso l’Emporio del Gufo, vendeva gufi selvatici, barbagianni, gufi da granaio, gufi bruni e civette bianche come recitava l’insegna. Mi ci volle un po’ per scegliere perché non capivo bene le caratteristiche di questi animali. Infine, presi una civetta bianca per le sue piume candide come la neve e per i suoi occhi color topazio, era bellissima, la chiamai Regina, pensai che fosse una buona compagna per Piplup quando saremmo ad Hogwarts.
Infine entrammo da Madama McClan: abiti per tutte le occasioni, Madama McClan mi prese le misure, Piplup cominciò a infilarsi tra le file di divise e a provare i mantelli che erano decisamente il triplo di lui, e in poco meno di mezz’ora la divisa scolastica era pronta; beh, con un colpo di bacchetta si possono fare grandi cose ed io vorrei scoprire le mie di cose.
 
Poco dopo ci ritrovammo alla stazione di King’s Cross, persuasi mamma a non Smaterializzarci per non provare per la terza volta in un giorno quella sensazione di compressione, quindi ci incamminammo per Londra con tutti i Babbani che ci scrutavano ‒ certamente girare per la città con in mano una gabbia in cui c’era una civetta non era una cosa che si vedeva ogni giorno ‒.
Non sono riuscita, però, a convincere mamma a non farci Smaterializzare a casa, perciò quell’orribile sensazione la riprovai; dopotutto avrei potuto provare la bacchetta subito: feci librare gli oggetti della mia camera per aria ‒ era sorprendente quanto fosse semplice fare magie con uno strumento che incanala tutta la tua forza, forse prima il problema era che non riuscivo a controllare i miei poteri ‒, feci suonare il pianoforte a colpi di bacchetta ed anche il flauto e il violino, ordinando il brano da eseguire e dando il tempo come un direttore d’orchestra.
 
Il primo settembre si avvicinava sempre di più, passavo intere giornate a compiere incantesimi, a leggere il libro che mi regalò mamma, a suonare e a passare i pomeriggi nelle spiagge di Sabbiafine, adesso che avevo una bacchetta avevo imparato la Fattura Gambemolli quindi in un certo senso sapevo anche proteggermi, e poi non ero sola c’erano con me anche Kenny e Barry, di conseguenza due maghi in più.
Alla fine ho fatto il forum su internet intitolato Hai gli occhi di tua madre. Non mi aspettavo che ci fossero degli iscritti, eravamo solo due: io e Harry Potter.
 
 
 
Angolo autrice:
Mi dispiace per l’attesa ma ho avuto gli esami di terza media, sono andati bene.
Allora, veniamo al capitolo vi chiedo di mettere in considerazione ogni fatto perché alcuni dettagli possono essere irrilevanti ma vi posso assicurare che fa tutto parte della storia.
Allora, la bacchetta: il legno è già stato spiegato sopra, nucleo di fenice lo scoprirete il perché più avanti, il significato è la rinascita, infatti la fenice muore e poi risorge dalle ceneri, la lunghezza: volevo che la bacchetta non fosse né troppo corta né troppo lunga, perciò dovevo scegliere un numero maggiore di nove e minore di tredici, ho pensato a un numero primo (11) e poi ho aggiunto 0,5, l’ho scelta inoltre elastica per facilitare a Lucinda la praticità.
Le bacchette d’acero sono adatte a persone con la mente indipendente, dotata d’ambizione e forte desiderio di conoscere e sperimentare cose nuove, ma anche adatte a persone riservate e complicate; legno adatto a Lucinda.
La quercia poteva adattarsi perfettamente a Lucinda la cui data di nascita corrisponde alla quercia nel calendario degli alberi celtico. La quercia è “il re della foresta”, simbolo di forza.
Tenete in considerazione la camera blindata dei Winslow e l’atteggiamento che ha la gente con Lucinda specialmente Ash, poi il gesto fatto dal ragazzo dagli occhi azzurri di cui ancora non ho rivelato il nome.
Insomma, tenete in considerazione tutto e fatemi sapere nelle vostre recensioni.
Poi vi ricordo che mentre leggete immaginatevi la scena nella vostra testa con le voci dei personaggi, credo che sapete come sono; la voce del ragazzo sconosciuto è quella di Renato Novara.
flautista_pearl
 
P.s.: Se non lo sapevate ieri era il compleanno della mia Lucinda ^.^
   
 
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