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Autore: Vampiresroads    25/06/2012    3 recensioni
Un giovane che non conosce l'affetto.
Un'amicizia finta con un ragazzo tremendamente diverso da lui.
Una giovane dalla storia complicata e misteriosa.
Come s'intrecceranno le due vite?
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Gender Bender
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L’arrivo dell’ultimo autobus utile per tornare a casa rapì tutti i pensieri che la confessione provocò.
-Kiam, è l’ultimo mezzo che hai per tornare a casa, sarebbe meglio che tu vada, o i tuoi si preoccuperanno, non credi? Ne parleremo domani, abbiamo un anno intero per combattere.-
-Non so se ne avremo l’opportunità.-
-L’anno è lungo, l’avremo eccome!-
-Ne è sicuro?-
-Sicurissimo.- confermò annuendo.  -Ora vai o perderai il pullman!- Sorrise e fece cenno con la mano di correre, mi chiesi se quell’uomo avesse ancora tanto da nascondermi, perdendomi nei miei pensieri, e non notai il mezzo in fase di partenza.
Iniziai a correre come un ossesso, inseguii l’ammasso di gente e carrozzeria fino alla fermata e il gentile autista si fermò, dandomi la possibilità di salire.
Un ultimo posto vuoto. Un’ ultima occasione di pensare in solitudine.
La pioggerella batteva tranquilla sui finestrini del veicolo, mentre io tentavo di illudere la mia mente di star sognando e di potermi permettere un meritato riposo. I tentativi fallirono e mi vidi costretto a nascondermi sotto ogni tipo di pensiero e mascherarmi dal giullare che avevo sempre voluto essere.
Appiattii l’ammasso di capelli dritti sotto un cappellino che un passante aveva appoggiato sul sellino e mi tolsi il giacchetto, nonostante fossero appena nove gradi ed ero l’unico cittadino in maniche corte.
Ero seduto all’’ultimo posto, il più lontano, per nascondermi da occhi indiscreti, e misi il giacchetto dentro lo zaino. Feci la stessa cosa per gli anfibi.
Controllai il portafogli: ero rimasto con ventuno dollari e poca fiducia di andare avanti, ma scesi alla fermata prima della solita e presi il primo treno che passò, senza nemmeno controllare la direzione.
Finalmente ero scappato: scappato a da tutti e tutto, fuggito dalla gente superficiale che non mi aveva mai voluto capire, fuggito dal mondo che non mi aveva mai voluto accettare, lontano da una storia che non sarei mai riuscito a capire.
Probabilmente era meglio così.
Non avevo la minima idea di come sarei sopravvissuto:  ventuno dollari sarebbero stati sufficienti per sopravvivere massimo un paio di giorni, ma non importava.
Per parecchio rimasi convinto che la vita si stava prendendo gioco di me, era tutto terribilmente assurdo, esageratamente assurdo. Mi convinsi della veridicità dei miei pensieri e affogai nel freddo clima del treno solitario.
Il suono allucinante dell’ultima fermata mi riportò nel mondo degli umani e scesi rapidamente dal treno.
Non ero mai stato in quella stazione, non era molto grande e non avevo la minima idea di dove mi trovavo, ma sembrava un posto abbastanza tranquillo e semplice.
Probabilmente non avevo ancora preso coscienza: cosa cazzo stavo facendo?
Il treno abbandonò la fermata con un fischio ancora più prolungato ed assordante, tanto da svegliarmi definitivamente e farmi realizzare l’enorme stupidaggine che stavo facendo.
Scappare di casa alle quattro del pomeriggio, con ventuno dollari in tasca, in una città di cui non sapevo assolutamente nulla; probabilmente ero drogato.
Un ragazzino dalla maglia colorata e l’aspetto simpatico mi si avvicinò quasi fossi un suo vecchio amico, e in effetti quel viso e quell’espressione eternamente giovane mi erano familiari, ma non la ricollegai a nulla.
Il suo passo rallentava costantemente e teneva lo sguardo fisso su di me, mentre cercavo di evitarlo per non farmi riconoscere, in caso anche lui abbia visto qualcosa di familiare in me o, magari, anche riconosciuto, mandando a monte i miei piani assurdi.
-Mio Dio Kiam!- Il ragazzo mi aveva visto davvero, ero spacciato.
-Da quanto tempo!- Improvvisai, fingendo di riconoscere la figura colorata ed agitata.
-Davvero amico… hai cambiato stile eh? Stai bene!-
-Ti ringrazio.- Risposi semplicemente abbozzando un sorriso inutile.
-Cosa ci fai qua? Non mi aspettavo di incontrarti. Qui il turismo sembra deceduto ed è difficile che qualcuno di Oakland venga a finire qui a Emeryville.- Affermò prendendomi a braccetto conducendomi fuori dalla stazione.
-Oh, Emeryville!- Esclamai sovrappensiero. –Perché? È proprio un bel posto dove vivere, no?-
Era tutto molto umiliante: stavo parlando con un ragazzo che si ricordava tutto di me, mentre io annuivo distratto, rischiando sempre che cogliesse la mia amnesia.
-Ma perché sei venuto?-
-Volevo solamente fare un giretto, Oakland dopo un po’ diventa parecchio noiosa.- Mi scappò una risatina, la noia era l’ultima cosa che popolava la mia mente contorta in quel periodo.
-Potevi almeno avvertirmi!- Esclamò irritato. –Ah, non importa. Ormai sei qui e dopo tutti questi anni possiamo ancora parlare come un tempo!- Quel ragazzo aveva ancora l’entusiasmo di un bambino. Contrastavamo parecchio: lui allegro e spensierato, io nero e contorto nei miei pensieri confusi di una vita in bilico, una scomparsa insensata e un professore collegato a tutto.
Stavo ragionando su come scoprire il suo nome e come c’eravamo conosciuti senza fare domande dirette, quando la mia suoneria improvvisa mi costrinse a distrarmi.
Mia madre: non potevo risponderle.
-Tutto bene?- Chiese, torcendo lo sguardo.
-Sì, tutto benissimo.- Risposi con la menzogna fra i denti e massacrandomi i capelli.
Ancora quella suoneria che iniziavo ad odiare: stavolta era mio fratello.
In quel momento la confusione mi divorò l’anima.
Aveva il diritto di sapere. Mi stavo arrendendo:entro domani mi avrebbero ritrovato e finita la punizione sarebbe tornato tutto come prima. Forse sarebbe meglio così: dovevo risolvere quell’arcano.
-Scusa amico, rispondo a mio fratello, poi mi racconti della tua vita!- Mi scusai, con aria un po’ acida.
-Fai pure!- Rispose, con la solita grazia.
_
-Pronto?-
-Porco cazzo Kiam, dove ti sei cacciato ora? Ti ammazzo due volte! Cosa cazzo ti è saltato in mente?-
La sua solita finezza mi fece sobbalzare.
-Tony, tranquillo, va tutto bene!- Tentai di calmare le acque, con scarsi risultati.
-Dove sei?-
-Mi devi promettere che non mi opporrai resistenza.-
-Dove sei?- Ripeté ancora, stavolta scandendo meglio le parole.
-Promettimelo!-
-Dipende. Ora parla.-
-Sono a Emeryville.-
-Cosa? Emeryville? Con chi sei? Sei solo? Perché sei lì?Oddio, che cazzo fai?-
-Ho sedici anni, so badare a me stesso.-
-Non mi sembra.-
-Non sono solo, sto con un amico.- Dissi, abbassando la voce.
-Kiam, perché? Ti hanno detto qualcosa?-
-Il signor Backfield….”
-Il tuo professore?-
-Esattamente.-
Tony si zittì e supposi che si pietrificò. Quel nome gli diede una stretta al cuore.
-Backfield? Cosa di ha detto?- Balbettò.
Stavo per rispondere, quando cadde la linea a causa della mancanza di soldi di mio fratello.

Il ragazzo mi chiamò.
-Hei, Kiam, ma sei sicuro di ricordarti di me?-
-Devo essere sincero? Non ricordo.- Azzardai.
-Oh, capisco. Eri così piccolo. Sono Liam! Non ricordi nulla? Giocavo con tuo fratello e la sua amica da sempre.
Forse lui ti ha raccontato diversamente. Ha rinnegato tante volte di conoscermi.
Giù a Oakland non ero considerato un granché.
Lì è rimasto mio padre, l’hai più visto? Henry Backfield.-

Backfield.
Una stretta al cuore mi tolse il respiro.

Un’altra chiamata, ancora mio fratello.

  
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