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Autore: _wizard_    25/06/2012    4 recensioni
Fin da piccola mi dicevano che il mio mondo era diviso a metà, che esistevano i magici e i non magici, che nessuno si poteva fidare di nessuno, e cosa più grave che nessuno era libero, ma io questo fino a poco tempo fa non lo capivo.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il mio primo giorno di lavoro mi recai al quartier generale, dopo aver dimostrato la mia identità mi fecero accomodare nella sala comune. Restai seduta su una poltroncina giallo canarino, scomoda e dura, pensando in quale guaio mi stessi cacciando quando, si avvicinò a me una ragazza con i capelli biondi raccolti in una coda, si presentò con il nome di Ariadne, mi sorrise, uno di quei sorrisi finti che non riusciresti a mascherare nemmeno con tutta la buona volontà, ad ogni modo ricambiai, era il mio primo giorno di lavoro, dovevo sembrare affidabile, competente e simpatica, in questo modo si sarebbero fidati di me in poco tempo.
Mi disse di seguirla, mi avviai senza fare domande,pensai che se non mi aveva detto nulla era perché non aveva nulla da dirmi,e non volevo di certo infastidirla con le mie insistenti domande .


Attraversammo moltissimi corridoi, ma era facile perdersi, ogni corridoio si diramava in altri due corridoi tutti dalle pareti bianche e spoglie, promisi a me stessa che non mi sarei dovuta perdere in quel luogo. Giungemmo ad una porta in metallo munita di scanner , Ariadne poggiò il palmo della sua mano e il piccolo schermo dopo aver emesso una luce verde si spense, e dopo pochi secondi si aprì la porta. La ragazza mi disse di entrare e subito dopo se ne andò, non degnandomi nemmeno di uno sguardo e lasciandomi spiazzata. Decisi di non dare troppo importanza all’aria da snob della mia accompagnatrice ed entrai.

Feci il mio ingresso in una sala alquanto semplice, pareti bianche e un tavolo rettangolare in legno con dieci sedie intorno. Seduto a capotavola si trovava un uomo in divisa.
Cercai di farmi notare schiarendomi la voce, al quel punto l’uomo alzò la testa e mi fece cenno di sedermi.

Si presentò brevemente come “il comandante di questa baracca”e lo disse con quella punta di sarcasmo che involontariamente mi fece sorridere. 
Il  suo nome era: Signor Dover,chiamami pure così mi disse, era un uomo di mezza età dalla corporatura robusta con i capelli grigi e gli occhi azzurro slavato, il suo carattere era intrattabile, si innervosiva per qualunque cosa, e anche io mi beccai una bella ramanzina, sosteneva non avessi la stoffa del comandante e tanto meno di un’addetta alla sicurezza.
Restai impassibile a quelle parole, o almeno esteriormente, perché dentro di me stavo già pensando ad aggettivi poco gradevoli che potevano essergli tranquillamente attribuiti.

Poi incominciò con la spiegazione di cosa il mio lavoro implicava:

- Sai bene che il muro non si deve oltrepassare. Dunque il muro fu costr. Si bloccò e poi riprese:

-Saprai già tutto al riguardo quindi non mi soffermerò. Annuii anche se dentro di me sapevo che ciò che sapevo era davvero poco.

– Il tuo compito è tenere alla larga i curiosi, nulla di più, a volte mi chiedo cosa serva visto che c’è un muro alto decine di metri e una cancello in metallo che impedirebbe ogni tentativo di fuga a chiunque.
Sarai sempre in coppia con qualche altro soldato a supervisionare. Quelle parole erano come una sconfitta,tutti i miei piani, costruiti passo per passo, si stavano sgretolando, non sarei giunta a nessuna conclusione in questo modo. Tutto quello che disse dopo non lo sentii, la consapevolezza che non sarei riuscita ad andarmene, si stava lentamente facendo largo dentro di me, demoralizzandomi e sopprimendo ogni mio piccolo tentativo di ribellione.


Dopo quelle parole me ne andai accompagnata questa volta da un ragazzo.
Decisi di andare a casa di Jennie. La strada che percorsi era più tetra e umida del solito, i pochi negozi aperti lasciavano esposti nelle vetrine oggetti elettronici  che non sarebbero mai stati comprati da nessuno, o almeno da nessuno proveniente da Confine.

La tecnologia era progredita in tutti i campi, agli inizi la gente ne era contenta, e spendeva tutti i propri risparmi per la cucina che preparava pranzo e cena al posto tuo o per la macchina che guidava da sola, ma questi momenti di gioia finirono tanto velocemente quanto erano arrivati.
Le ricerche in campo tecnologico avevano un prezzo e a pagarlo erano i cittadini, di conseguenza la popolazione si impoverì sempre di più. Molti lasciavano la propria città natale per trasferirsi nelle metropoli, ma anche lì il lavoro scarseggiava, i contadini non potevano più contare sulla produzione dei loro campi e piano, piano uno ad uno, abbandonarono tutto.
Era questa la situazione in cui si trovava la popolazione, per questo molti volevano scappare, attraversare il muro, perché erano giunti a pensare che tutto fosse meglio di dove vivevano in quel momento.


Quando arrivai a casa di Jennie, era nel giardinetto davanti casa sua, a leggere un libro: Difesa contro le creature della notte. Era il suo libro preferito e anche se tutti sostenevano che quei mostri fossero stati uccisi durante la guerra, c’era chi come noi due, pensava che ne fossero sopravvissuti alcuni e che si trovassero in mezzo a noi.

Mi sedetti vicino a lei, senza dire nulla.

– E’ andata male vero?

– Si, non c’è un modo per andare via.

– E’ una sciocchezza e lo sai anche tu, sappiamo bene entrambe che alcuni di noi ce l’hanno fatta.

– Sono scomparsi e non ne abbiamo più avuto notizie, per quanto ne sappiamo potrebbero essere morti!

– Tutti quanti nello stesso giorno? Un intero paese!

– E come hanno fatto allora? Jennie fece una breve pausa e poi disse: un tunnel. E annuì soddisfatta.

-Un tunnel. Ripetei con poca convinzione.

– Pensaci bene mi disse, ricordi quando la polizia aveva indagato sulla faccenda? Annuii.
– Bene, allora saprai che avevano trovato un pezzo di carta sgualcito con qualche simbolo sopra, in una delle case degli scomparsi, a cui non avevano dato nessuna importanza, pensando fosse un disegno di qualche bambino. Fece una pausa e poi riprese.
– E’ successo nel piccolo paese qui vicino, Olovar , ero andata a dare un’occhiata. La interruppi.

– Quel giorno che non eri venuta a scuola, e che quando ti avevo chiesto cosa avessi fatto mi avevi riposto che un giorno o l’altro me l’avresti detto? Annuì

– Beh sono passati due anni, grazie per avermelo detto. Sorrise, poi riprese subito il discorso.

– Ad ogni modo sappi che quando sono andata ad indagare, il disegno era ancora lì, inizialmente non capivo cosa fosse e stavo lasciando perdere anche io, quando un particolare nel disegno richiamò la mia attenzione. La guardai incuriosita.
– C’era disegnata una montagna, ma non una qualsiasi, la montagna del drago.

Quella montagna la conoscevo bene, da piccole andavamo a giocarci di nascosto, era stata soprannominata così a causa della sua forma, che richiamava  un po’ un drago.

– Così ho analizzato il disegno, e ho trovato molte cose che si trovano nella nostra città, tra cui il muro e a lato, dove finisce Confine e inizia la campagna, c’era disegnato un cerchio colorato di nero.

– Che tu hai interpretato come “il tunnel”.
– Precisamente.
- Hai ancora il disegno? Jennie mi guardò con aria scettica, come se ritenesse impossibile che  in questi anni avesse perso il disegno.
– Ovvio!  Mi rispose con un filo di stizza nella voce, poi aggiunse:
- Allora vieni con me?


Riflettei per qualche minuto su quello che aveva detto, l’idea era buona, non avevamo nulla da perdere anzi se avessimo trovato veramente un passaggio sotterraneo tanto di guadagnato, ma più ci pensavo più mi rendevo conto che era una cosa folle, e che nonostante tutto, non me la passavo tanto male nella città in cui vivevo.
I miei genitori non erano quasi mai a casa, a volte temevo di dimenticare che avessi dei genitori quando stavano via mesi e mesi, ma questo perché erano molto impegnati con il lavoro, certo i risultati si vedevano, visto che erano una delle famiglie più benestanti della città. Oltretutto qui avevo la certezza di un posto dove vivere, di un lavoro, mentre oltre il muro non sapevo cosa mi aspettasse, e tutti i miei amici per quanti pochi ne avessi erano qui. E così seppi esattamente che risposta darle, sperando di non pentirmene al momento dell’inizio dei giochi.
E dopo aver preso un lungo respiro dissi:  
– Certo!
  
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