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Autore: Daicchan    26/06/2012    6 recensioni
Il percorso che porterà la vita di quattro ragazzi e di chi gli sta attorno a crescere, ad intraprendere strade diverse, all'amore, al tradimento.
E l'ascesa di un folle verso il potere, che distruggerà la loro vita e quella dell'intero mondo magico.
Il quinto anno dei Malandrini e di Lily Evans, ma anche di Severus Piton e di tutti quei personaggi destinati a mutare, in maniera più o meno ampia, le sorti della Gran Bretagna.
Una storia di amicizia, di amore; ma anche di guerra e magia.
[Dall'ultimo capitolo]
-Avanti, sarà divertente!- protestò il ragazzo. -Una cosa innocente, niente Serpeverde in mutande o chewgum nei capelli.-
Lily sbuffò: -Mi sa che abbiamo idee differenti su cosa sia “innocente”, Potter. E a quanto pare ci sei di mezzo anche tu, Remus.- aggiunse, guardando il prefetto, e lui fu svelto a distogliere lo sguardo, a disagio. -Non me lo aspettavo.-
-Non fare così, Lily! Remus non ne sapeva nulla, è un’idea che mi è venuta ora!- intervenne Potter, dispiaciuto. -E poi sarà uno scherzo del tutto innocuo. Come quello delle sedie, lo scorso Natale.-
Genere: Avventura, Commedia, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, Lily Evans, Regulus Black, Severus Piton | Coppie: James/Lily
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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Capitolo 12

 Sole Freddo.

 

 

 

 

 

Quando quel mattino Lily Evans si guardò allo specchio, non si stupì affatto di quanto il proprio riflesso le apparisse infuriato.

Detestava le sue orecchie giganti, detestava quei capelli corti che le mettevano in mostra e detestava Potter perché era la causa di tutto il suo isterico, irrisolvibile, detestabile detestare.

Finì di allacciarsi il cravattino e di appuntarsi la spilla da prefetto sul maglione, spilla che ogni sera levava e riponeva sul comodino con orgoglio.

…Tuttavia, la sua attenzione era tutta focalizzata su quelle dannate orecchie, e poco importava se Alice aveva minacciato di porre fine alle sue lamentele ficcandole una pluffa in bocca –e, nota la natura violenta dell’amica, non dubitava che l’avrebbe fatto.-

Quindi si era decisa a celare il suo disagio, almeno finché sarebbe stata sotto lo sguardo vigile di Alice che, mentre s’infilava i calzettoni della divisa, la scrutava con attenzione ed intimidazione.

Purtroppo, però, Lily non era mai stata brava a nascondere le proprie emozioni, che le si leggevano perennemente in faccia, ed illudersi che Alice avrebbe scambiato il rossore sulle guance per qualcosa dovuto alla temperatura rinomatamente alta del Gennaio inglese non era che una futile ed ingenua speranza.

Nello specchio, Lily vedeva l’amica che dietro di lei stava a braccia incrociate e con aria corrucciata, e che a sua volta guardava la faccia di Lily nella superficie vitrea.

In un clima di attesa, le due si guardarono per qualche istante.

Poi, cedendo, Lily si portò le mani a coprire le orecchie, mortificata. << Le odio. >> sbuffò, atterrita.

<< Non puoi odiare un paio di orecchie. >>

<< Hai ragione. >> asserì la prefetto, sconsolata. << Non odio loro, ma il fatto che siano giganti. E, già che ci sono, odio anche Potter. >>

Alice la guardò malissimo. Era una ragazza bassina, coi capelli neri portati molto corti ed un simpatico viso rotondo, eppure in quel momento la sua aria era decisamente minacciosa.

La ragazza sospirò. << Lils, vuoi davvero che ti malmeni? >>

<< Fa’ pure. Userò le mie enormi orecchie come scudo. >> languì la prefetto, lasciandosi cadere sul letto dietro di lei. Non fece in tempo a fare nulla, che il cuscino di Alice le piombò in faccia.

<< …Ahi. >> si limitò a dire, con più apatia del solito. L’amica la osservò, divertita: tutta tranquilla, sdraiata a pancia in su sul letto, le braccia incrociate davanti al petto e un cuscino spiaccicato in faccia, Lily Evans rappresentava davvero uno spettacolo ridicolo.

Ridacchiando, le sollevò il cuscino dalla faccia, scoprendo l’espressione pacatamente sconsolata sul viso della prefetto.

<< Muoviti, dai. >> esclamò, divertita << Abbiamo Cura delle Creature Magiche esattamente tra un quarto d’ora, e dobbiamo ancora fare colazione. >>

Al pensiero di ben sessanta minuti occupati dal dover tenere a bada decine di animali, con un sorriso stampato in faccia in modo da non far capire all’insegnante quanto noiosa trovasse la sua materia, Lily avvertì ancor più impellente il bisogno di suicidarsi. Chiuse gli occhi, e sospirò per quella che doveva essere l’ennesima volta, quella mattina.

<< Odio Cura delle Creature Magiche. >>

<< Ed infatti è la materia in cui hai i voti più bassi. >> le fece notare l’amica, << Quindi sarebbe saggio evitare di fare tardi, non credi? >>

Lily, ancora in posizione supina, le rivolse un’occhiataccia. << Ti odio. >>

Alice rise: << Oggi non sei proprio in vena di sentimenti positivi, eh? >> scherzò e, per tutta risposta, la rossa le fece una linguaccia.

Poi si alzò di colpo, avvertendo un accenno di capogiro, mentre lo stomaco iniziava a protestare una notte di digiuno.

Doveva andare a mettere qualcosa sotto i denti.

Quando già era davanti alla porta della loro stanza, pronta a scendere di sotto, Alice si fermò, voltandosi indietro.

In quel momento, Lily notò l’espressione improvvisamente cupa sul suo volto.

<< E’ strana la camera con solo noi due, vero? >>

La rossa seguì il suo sguardo, verso l’ambiente circolare occupata dai quattro letti, due dei quali insolitamente ordinati e puliti, la luce flebile delle prime ore di una giornata invernale filtrava dalle finestre, illuminando il pulviscolo leggiero che aleggiava nell’aria.

<< Mary dovrebbe tornare presto. >> iniziò, incerta. << Per quanto riguarda Amy, l’importante è che stia bene. >>

A quelle parole, Alice s’irrigidì subito, chiedendo: << Credi davvero che… che abbia fatto bene ad andarsene? >>

Il suo tono insicuro e titubante rivelava quanto studiate fossero le parole che la bruna aveva adoperato, e Lily fece finta di non rendersene conto, così come nascose il fatto di aver notato immediatamente l’espressione preoccupata che l’amica le aveva rivolto.

Considerato che Amy Wilson si era ritirata da scuola perché era una Nata Babbana come lei, la domanda celata tra le parole di Alice non risultava essere poi così implicita.

E, d’altra parte, anche Lily era più che convinta della sua risposta.

Se il posto più sicuro in cui si possa essere è la propria casa, allora non aveva altro luogo dove andare.

Perché la sua casa non era più quell’abitazione a Cokeworth, la sua città natale, dove abitavano i suoi genitori e Petunia, quella stessa famiglia che percepiva sempre più distante e fredda ed ostile.

Non era quello il luogo in cui si sentiva protetta, a suo agio, a cui sentiva di appartenere.

Così, risoluta, disse: << Non c’è posto più sicuro di Hogwarts. >>

Alle sue parole, Alice tirò un sospiro di sollievo.

 

 

***

 

James, con le spalle al muro di fianco al ritratto delle Signora Grassa, deglutì, abbassando lo sguardo sul pacchetto in tessuto bianco che teneva in mano, stretto in cima da un nastro del color dei lillà.

Si sentiva nervoso, ed anche un po’ scemo, a dirla tutta.

Forse Sirius aveva ragione, forse quello che stava facendo era un po’ da femminuccia.

O forse, peggio ancora, ad avere ragione era quella vocina nella sua testa che gli diceva “C’est l’amour, Prongs” e che aveva la faccia di un cameriere francese con baffetti grigi arricciati, rosa in bocca e mandolino alla mano.

La stessa vocina di cui proprietario avrebbe volentieri preso a pedate.

Era una persona gentile ed educata lui, tutto qui. Per questo aveva preparato quei biscotti per Evans, per chiederle scusa.

…E no, non aveva intenzione di cucinare per Mocciousus, nonostante le brutte pustole che gli aveva procurato.

Si era sentito un po’ in colpa, a dire il vero, e non avrebbe mai detto a nessuno di essersi sporso dalla porta dell’infermeria per sbirciare il lettino su cui Madama Chips stava curando Piton.

Inutile dire che, non appena aveva constatato che stava bene e che l’unico danno riportato era l’improbabile colore di capelli, si era fatto una bella risata.

Aveva riso anche quando Sirius era tornato in sala comune coi capelli rossi pomodoro, ma questa era un’altra storia.

Ora, doveva concentrar… cioè, no, niente, non doveva fare nulla in particolare.

Doveva dare un pacco di biscotti ad Evans, perché era sua compagna di casa e da qualche settimana una sorta di pseudo-quasi-amica, e perché lui era uno ben educato.

Sì sì.

Non c’era di mezzo nessuna stupida cotta.

Stupido Sirius, e stupido cameriere/musicista francese.

E, già che c’era, diede della stupida anche alla porta nel ritratto, che aprendosi in quel momento gli fece rischiare l’infarto.

Infarto che, per l’esattezza, lo colpì non appena vide chi era appena uscito dalla sala comune dei Grifondoro.

Non che avesse motivo di essere nervoso per Evans, ovviamente.

Accompagnata da Alice, la ragazza di cui non gliene importava nulla si fermò sussultando nel vederlo, e lui a sua volta fece un sobbalzo non appena vide i suoi capelli.

Ok, non era calva come aveva sognato nei suoi più tormentati incubi quella notte, e nemmeno si trattava di un caschetto simile a quello di Alice, ma Merlino, erano decisamente corti, considerando che Evans era la stessa che fino al giorno prima li portava ben al di sotto delle spalle.

Ora, invece, i suoi bei capelli rossi superavano il mento e s’interrompevano a circa metà collo.

James si sentì come se un troll gli si fosse sdraiato sopra per schiacciare un pisolino –e finendo con lo schiacciare soltanto lui.-

Certo, le stavano comunque bene, ma… oh Godric, aveva distrutto una buona dozzina di centimetri dei capelli di Lily Evans!

E, a giudicare dall’espressione che le rivolse, nemmeno la ragazza sembrava aver gradito quel drastico cambio di stile.

In effetti, dire che la prefetto gli riservò la stessa occhiata che avrebbe potuto avere Peter davanti a sua madre quando in estate provava a sottoporlo ad una delle sue misere diete forzate, era un eufemismo.

Lily Evans pareva sul punto di estrarre la bacchetta a Cruciarlo con enorme piacere e soddisfazione.

A dir la verità, in quel breve scambiarsi di sguardi, James si sorprese di avere ancora la testa attaccata al collo.

Era ancora là, vero?

<< Ehi, Jim… >> lo salutò Alice, in evidente difficoltà. Il ragazzo avrebbe volentieri ricambiato il saluto se, tanto preoccupato e terrorizzato per l’aria omicida di Evans, si fosse ricordato della nobile arte del parlare.

Dopo una serie di tentativi a vuoto, gli uscì fuori qualcosa tra il “buongiorno”, “gnomo” e “mi è caduto il nonno”.

Probabilmente fu una delle ultime due, a giudicare dall’espressione più che perplessa che gli rivolse Alice e, dato che l’alternativa era sentirsi un imbecille completo, Prongs decise di passare oltre, aggiungendo un : << A tutto e due. >>

Detto ciò, volse la sua attenzione verso la prefetto e, sentendosi insolitamente timido ed impacciato, disse tutto ad un fiato: << Oggi la tua camicia è più bianca del solito, sai? I capelli ti stanno bene. Questi sono per te. Scusa! >> aggiunse poi, allungando verso di lei il pacco di biscotti, correndo il rischio di darle un pugno sul naso.

Si sentì miseramente scemo.

Evans rimase per un attimo interdetta, sbattendo le ciglia con un’aria tra lo scettico e lo stupito.

Poi, sospirò.

<< Alice, ti dispiace lasciarci un attimo da soli? >> domandò all’amica, con espressione stanca. L’altra rimase un secondo in silenzio, spostando lo sguardo da lei a lui, e viceversa.

Infine, annuì, incerta: << Sicuro. Ti aspetto in Sala Grande, ok? >> esclamò, mentre già iniziava ad allontanarsi.

<< Faccio subito. >> rieplicò la prefetto, non facendo presagire nulla di buono.

Alice scese le scale, e i due rimasero da soli.

James guardò timoroso la ragazza.

Lei lo osservava con aria severa, le braccia incrociate davanti al petto e i capelli tirati dietro le orecchie.

Ramoso si trattenne dal deglutire, non potendo invece fare a meno di stupirsi della propria condotta. Si sentiva nervoso, timido, preoccupato, e questo non gli capitava da molto, molto tempo.

Non a lui, che aveva sempre una risposta pronta.

Non a lui, che era brillante, spavaldo, strafottente.

Non a lui, il grande James Potter.

<< Non hai preso i biscotti. >> borbottò, con un tono un po’ ambiguo.

Per qualche assurdo motivo, si era sentito avvampare –doveva essere il caldo, già-, e ciò lo irritava inspiegabilmente. Che gli prendeva?

Evans, un po’ guardinga, inarcò un sopracciglio, abbassando lo sguardo verso il curato pacco che lui teneva ancora in mano. James cercò invano di decifrare la sua espressione, fino a quando la ragazza sollevò il suo sguardo verso di lui.

<< Perché mi stai dando dei biscotti? >> domandò la rossa, cauta.

James gonfiò le guance. Faceva caldo, il cuore gli batteva e parlare gli risultava stranamente complicato. << Per l’incidente di ieri pomeriggio, ovviamente.  >>

Oh, ecco, era il momento. Abbassò lo sguardo, pronto a pronunciare quelle parole che così raramente uscivano dalla sua bocca. << Ti chiedo scusa. >> disse infine, alzando poi lo sguardo verso la ragazza.

…Avrebbe voluto sprofondare.

Di tutto si sarebbe aspettato, meno che quell’espressione furiosa ed indispettita che era comparsa sul viso della prefetto.

<< E credi che questo sia sufficiente? >> sibilò, nell’evidente tentativo di trattenersi dall’urlare. James si fece piccolo piccolo, dispiaciuto.

<< E’ per i capelli? >>

<< Ovvio che non è per i capelli! >> sbraitò lei, decisamente con poca eleganza. << E’ per quello che hai fatto a Severus, e per quello che tu e la tua stupida banda di palloni gonfiati continuate a fargli! >>

Ramoso sobbalzò, e poi lo stupore lasciò spazio all’irritazione, che in meno di un battito di ciglia si tramutò in un indomabile moto di rabbia.

<< Ehi! >> sbottò, indispettito. << Non ti permetto di parlare così dei miei amici! >>

<< E come dovrei parlarne?! State sempre a darvi arie, e a trattare il resto di noi poveri mortali come mezze cartucce insignificanti! >> urlò la ragazza, gli occhi lucidi. E, in effetti, in quello sguardo furente James riuscì a cogliere anche un’espressione ferita. << C’è già un’intera comunità magica a trattarmi come feccia, ci mancava solo il tuo amico Black! >>

James, con la bocca aperta già pronta per replicare, rimase interdetto. Che c’entrava Sirius, in tutto quello?

<< Cosa intendi dire? >> domandò difatti, confuso.

La ragazza sospirò rumorosamente, con rabbia.

<< Non fare il finto tonto. E’ da prima delle vacanze di Natale che mi tratta come se fossi una sorta di rifiuto umano! Perché lui è un Black, per la miseria! Ha soldi che gli escono da tutte le parti, e la sua famiglia è così importante! >> aggiunse, ironica, facendo la voce grossa. << Noi povere persone comuni non meritiamo di certo il suo rispetto, no?! >>

<< Smettila. >> tagliò corto James, scuro in volto. Il crescente tono di ironia e rabbia stava iniziando ad innervosirlo. << Tu non lo conosci. >>

<< Conoscerlo?! Non c’è bisogno di conoscere una persona quando è così tronfia dal guardarti dall’alto in basso, perché non sei bello come lei, perché il tuo sangue è meno puro del suo! >>

<< Sta zitta! >> urlò James, a sua volta, prima ancora che potesse rendersene conto. Il pacco di biscotti gli era caduto di mano, sbattendo sul pavimento, ma quasi non se ne accorse. << Tu non sai niente di quello che sta Sirius sta passando! >>

Ma ciò non sembrò affatto calmare Evans. Anzi, la frustrazione covata in quelle settimane, ma anche in tutti quegli anni, veniva fuori con rabbia e veemenza, come un’irrefrenabile fiume in piena.

<< E voi? Voi lo sapete cosa passa Severus da cinque anni?! Lo sapete come si sente, a causa vostra?! >>

<< Non me ne frega niente di Piton! >> gridò il ragazzo, di rimando. Ormai sembrava una gara a chi urlava più forte. << A nessuno importa di Piton! >>

 << Importa a me, invece! >>

<< Be’, a nessuno importa nemmeno di te, allora! >>

<< Neanche di te, se per questo! >> urlò Evans in risposta, rossa in viso. << Pensi di essere al centro del mondo solo perché tutti gli studenti sbavano ai tuoi piedi, ma la verità è che nemmeno per loro conti qualcosa! E’ solo che sei troppo egocentrico e sbruffone per rendertene conto!  >>

<< La verità? La verità è che sei invidiosa! >>

Lei rimase sbigottita, poi scoppiò in una risata sarcastica: << Oh, Potter, non essere ridicolo. >>

<< Non sono affatto ridicolo! Sei solo invidiosa perché tutti mi adorano mentre tu sei sola come un cane! Quella ridicola sei tu, perché non riesci a capacitarti del fatto che io non piaccia solo a te, mentre il resto del mondo è in disaccordo con l’infallibile giudizio di Miss Prefetto Evans! Sei troppo piena di te per accettare il fatto di aver sbagliato!  >>

<< Questo non è vero! >>

<< Certo che lo è! >>  urlò James, frustrato. << Sennò perché ti ostineresti a non voler uscire con me, eh? >>

A quelle parole, Evans rise, rise a voce alta. << Oh, Potter, sei davvero più narcisista di quanto non pensassi! Non riesci proprio ad accettare di non piacere a qualcuno, vero? >>

<< Lo accetterei anche, se solo il giudizio di quella persona fosse fondato! Tu non sai assolutamente nulla, di me! >>

<< So solo che non ti fai nessun problema ad umiliare il mio migliore amico! >>

Fu il turno di James, di ridere: << Oh, certo che gli amici te li sai scegliere proprio bene, Evans. >> sentenziò, spietato.

La prefetto rimase un attimo a bocca aperta, senza parole. Poi, avvampò, irata. << Ce-certo che sei proprio incredibile! >> esclamò, acuta, quasi con incredulità. << E poi sarei io quella a sparare giudizi! Tu, invece, tu cosa sai di Severus, eh? >>

<< Il necessario. >> decretò lui, improvvisamente calmo. << So che frequenta un infido gruppetto di futuri Mangiamorte e che è insanamente appassionato di Arti Oscure. Non negarlo. >>

Lei rimase in silenzio, improvvisamente pallida. James la vide chinare i grandi occhi verdi verso il basso, con aria incerta.

<< Io… non puoi giudicare una persona dai suoi interessi. >>  

<< Ah no? >>

Calò un silenzio piuttosto pesante.

Si sentiva arrabbiato, James.

Perché Lily Evans non si rendeva conto di chi le stava accanto? Di con chi trascorreva le giornate, con chi condivideva risate, gioia, amicizia?

Perché lo preferiva a lui?

Non riusciva a capire se la ragazza fosse davvero così ingenua o se si limitasse semplicemente a serrare le palpebre e far finta di non vedere.

E, soprattutto, se era così indulgente con Piton, perché era talmente integerrima e dura nel giudicare lui, invece?

Merlino, perché si ostinava ad odiarlo?!

Rivolse il suo sguardo verso di lei, che teneva ancora gli occhi chinati verso il basso. La vedeva insicura, combattuta.

<< Libri… Non si tratta altro che di libri… >> mormorò, forse più a sé stessa. Ma a James non interessava: detestava il fatto che, anche dinnanzi all’evidenza, continuasse a prendere le difese di quel viscido di Mocciosus.

Era un qualcosa che lo irritava profondamente.

<< Non m’importa. >> disse quindi, risoluto. << Odio le Arti Oscure. >>

A quelle parole, la ragazza sollevò di scatto la testa, e questa volta James poté vedere in quegli occhi verdi una scintilla di collera.

<< Questo non ti permette di maltrattare Severus, Potter. >> esclamò, arrabbiata. << Non hai niente che ti renda migliore di lui, niente. La conversazione si chiude qui, per me. >>

Detto questo, senza quasi che lui avesse il tempo di capacitarsene, girò i tacchi e si allontanò in fretta, verso le scale.

James rimase un attimo di stucco, a fissarla, poi prese un gran respiro, mentre la collera tornava a salire: << CHI TI HA DETTO CHE ABBIAMO FINITO?! IO SONO MILLE VOLTE MEGLIO DI MOCCIOSUS! TORNA QUI! >>

Inutile dire che non gli soggiunse alcuna risposta.

James attese qualche attimo, in silenzio, e poi quasi si sorprese nel ritrovarsi a ringhiare per la rabbia.

Il suo sguardo, inevitabilmente, cadde sul pacco di biscotti a terra, lo stesso pacco che aveva confezionato con tanta cura e che sul momento aveva trovato delizioso, e quei biscotti che aveva impastato con entusiasmo e positività.

Mentre osservava la stoffa bianca rigonfia laddove i contorni dei biscotti erano più evidenti, con il nastrino un po’ sfilacciato, percepì la frustrazione prendere il sopravvento.

I biscotti scricchiolarono nell’infrangersi, quando il ragazzo li calpestò con rabbia.

 

 

***

 

Accasciato col viso contro il banco, osservato dalle ragazze estasiate che si affacciavano alla porta dell’aula di trasfigurazione per lanciargli un’occhiata adorante, e con l’anonimo cappello grigio in lana a coprirgli i capelli non ancora del tutto neri, Sirius si sentiva più cupo che mai.

Il suo compleanno si avvicinava e, come quasi ogni anno, presagiva che la vigilia della sua nascita sarebbe stata accompagnata da qualche sventurato evento.

Era talmente giù che aveva addirittura saltato la colazione e, direttosi direttamente in classe, aveva ottenuto il suo primo arrivo in anticipo a lezione della sua vita.

Peccato che nessuno fosse lì a vederlo.

Mentre la classe iniziava a riempirsi –oggi avevano lezione coi Serpeverde, che schifo-, qualcuno piombò sulla sedia accanto alla sua, con un sospiro.

Roteando di un pochino la testa, Sirius guardò il nuovo giunto.

<< Moony, hai una cera orribile. >> disse, schietto.

<< Senti chi parla. >> replicò Remus –più bianco che mai- mentre iniziava a disporre le sue cose sul banco. << Malessere o depressione canina? >>

Padfoot ridacchiò –proprio come un cane, guarda caso-, sebbene con aria un po’ cupa: << La seconda, ovviamente. Al contrario tuo, io sono una roccia. >>

<< Lieto che Jim e Pete non debbano procurarsi un abito per il tuo funerale, allora. >>

 << Tu, invece? >> domandò Sirius, scherzoso << Ne hai uno nascosto che tieni per l’occasione? >>

L’amico scosse la testa: << Tra i GUFO e i doveri da prefetto, non ne avrò bisogno, dato che con ogni probabilità mi ritroverò nella fossa accanto alla tua. >>

<< Che discorsi macabri. >> esclamò Peter, spuntando dal nulla come suo solito. Nonostante fosse abbastanza rotondetto ed impacciato, sapeva muoversi rapido e sgaiattolare tra i corridoi senza farsi notare. Proprio come un topo.

<< E tristi, pure. Non voglio assistere a nessuno dei vostri funerali. >> continuò il ragazzo, guardandosi poi attorno. << Dov’è James? >>

<< Al rapporto, signore. >> borbottò una voce alle loro spalle.

Ramoso era appena entrato in classe, scuro in volto, e si sedette bruscamente nel posto affianco a Peter. Questi, spaventato dalla sua brutta faccia, fu tentato di ritrarsi, intimorito, ma si limitò ad uno squittio sorpreso quando l’amico uscì il libro di trasfigurazione dalla borsa e lo sbatté con forza sul banco.

<< B-brutta giornata? >> balbettò, spaventato.

<< Di’ pure pessima. >> sbottò James, come risposta, << Ma non temere Lunastorta, per la luna piena di domani sarò in gran forma. >> aggiunse poi, voltandosi verso il prefetto e sforzandosi di apparire entusiasta.

Considerato che solitamente i sorrisi di James erano più che smaglianti, l’espressione moderatamente allegra che ne venne fuori risultò abbastanza deludente. Ma, dato che Sirius sembrava piuttosto depresso e Remus sul punto di morire lì, non se ne preoccupò più di tanto, e si limitò ad accasciarsi con la faccia spiaccicata sul banco.

In tutto quell’allegro quadretto, Peter, che quella mattina si era svegliato particolarmente di buon umore, si sentì abbastanza fuori luogo.

<< Avanti! >> esclamò allora, nel tentativo di risollevare il morale. << pensate a quanto ci divertiremo domani notte! >>

<< Perché, dove dovete andare, domani notte? >> sibilò una quinta voce.

Peter sussultò, rendendosi conto solo in quel momento di aver parlato a voce troppo alta e nel momento sbagliato, dato che Piton si era ritrovato a passare di fianco al loro banco per raggiungere la prima fila. Non ebbe nemmeno il tempo di pensare ad un qualsiasi patetica risposta che non avrebbe pronunciato comunque, data la sua timidezza, che James e Sirius , chi per un motivo e chi per l’altro, gridarono all’unisono: << FATTI GLI AFFARI TUOI, MOCCIOSUS! >>

La risposta fu talmente bruca che il Serpeverde sussultò e, perplesso, preferì allontanarsi di gran carriera.

Padfoot, in virtù forse della sua forma di Animagus, sembrò quasi ringhiare.

<< Non lo sopporto, quel Piton. >>

<< A chi lo dici. >> bofonchiò James, più cupo che mai.

 

 

***


Sirius uscì dall’aula di Trasfigurazione da solo.

Aveva detto ai suoi amici di dovere andare in bagno, ed invece il suo stimabile scopo era quello di saltare le lezioni.

Era troppo depresso per doversi sortire le inutili ciance dei professori.

Che gliene importava di come preparare pozioni e della successione dinastica dei giganti di montagna?

In quel momento, non riusciva a pensare a nient’altro che la sua misera condizione.

Era stato ripudiato, per Godric.

Merlino, era un dannato miserabile.

Era finito come sua cugina Andromeda.

… Non che poi fosse una brutta fine, in effetti.

C’era solo una piccola differenza: Andromeda si era sposata.

Aveva qualcuno che l’amava, che la stringeva a sé nel cuore della notte, qualcuno con cui mettere su famiglia.

Lui, invece, era condannato a rimanere solo come un cane.

Il difficile rapporto con la sua famiglia l’aveva condizionato a tal punto da fargli temere di non potersi fidare più di nessuno.

Se persino sua madre l’aveva tradito, cosa avrebbe trattenuto una donna dal non spezzargli il cuore?

Sirius sospirò, cupo.

Aveva i Malandrini, certo, ma prima o poi anche loro si sarebbero fatti una vita, con mogli e figli, e non poteva contare di avere riservato tutta la loro attenzione, il loro affetto.

Immerso in quei pensieri, si accorse solo all’ultimo momento della figura estremamente familiare che scorse al di là del portico, vicino al chiostro innevato.

Una ragazzina con una massa di capelli biondi stava di fronte a suo fratello Regulus.

Al collo portava una sciarpa dei colori di Cornovero; a giudicare dall’altezza, doveva essere del primo, massimo secondo anno.

Tenendo il capo chino, gli allungò qualcosa.

Regulus esitò un istante, parve sorpreso. Poi, accettò ciò che la ragazzina gli porgeva, prima che questa scappasse via.

Sirius si avvicinò, le mani in tasca.

Il fratello nemmeno si accorse del suo arrivo, intento com’era a fissare quella busta che doveva contenere una lettera d’amore.

<< A quanto pare, hai successo, fratellino. >> disse, e il Serpeverde sussultò leggermente, colto di sorpresa. Sirius lo osservò con interesse. Quella bambina, coi suoi enormi occhi blu, l’aveva colpito il giorno dello Smistamento; per questo si ricordava di lei. 

<< Sei stato gentile. >> constatò, rivolto al fratello minore. << I suoi genitori sono babbani, lo sai, vero? >>

Regulus si espresse in una semplice, muta, smorfia di fastidio.

<< Sono solo stato educato. Che cosa vuoi, Sirius? >>

Il ragazzo sospirò, mentre il lieve venticello gli scompigliava i capelli. Gli sembrava tutto così dannatamente complicato. Merlino, com’era stancante.

Si sedette sui gradini del portico: magari così gli sarebbe tutto venuto più facile.

<< Parlare, solo questo. >> sollevò lo sguardo verso di lui. << e capire perché ce l’hai con me. >>

Regulus, sempre freddo, sempre contenuto, non mostrò alcuna reazione. << Avercela con te implicherebbe un coinvolgimento emotivo. Ma tu non sei più nessuno, per quel che mi riguarda. Non conti più nulla. >> disse, gelido, e tuttavia non era riuscito a pronunciare quelle parole senza prima distogliere lo sguardo, ed entrambi ne conoscevano il motivo.

Per quanto Regulus si sforzasse di convincersi del contrario, non era possibile fingere che i tredici anni passati assieme non fossero mai esistiti.

Sirius conosceva suo fratello come le sue tasche, e non avrebbe avuto alcuna difficoltà nel leggere l’esitazione nei suoi occhi.

D’altronde, anche in quel momento, per quanto il Serpeverde avesse tentato di apparire calmo e imperturbabile, al fratello la sua incertezza era risultata immediatamente evidente.

Chiara come l’acqua.

E forse, forse era vero.

Magari ogni traccia d’affetto che Regulus provava per lui era scomparsa, seppellita dal rimorso e chissà quali sentimenti negativi inculcatigli dai loro genitori.

Ma che per lui avesse smesso di esistere, questo non poteva riuscire a crederlo.

Regulus era arrabbiato.

E Sirius poteva comprenderlo, ma non accettarlo.

<< Non c’è motivo per cui tu debba avercela con me, Regulus. >> disse, calmo. << Sono tuo fratello, d’altronde. >>

Un’espressione d’ira a stento trattenuta deformò per un attimo il viso del tredicenne.

<< No. >> replicò, a denti stretti. << Forse lo eri un tempo, ma non ora. Adesso, non sei che un estraneo, uno schifoso Babbanofilo traditore del tuo sangue. >>

Sirius rimase di stucco, per un istante, incapace di rispondere. Tutta quella rabbia l’aveva colto alla sprovvista, eppure, gli ci volle solo qualche attimo per carpire quell’astio come qualcosa di maledettamente famigliare.

Si lasciò sfuggire un accenno di risata.

Era questo ciò che pensava di lui, quella vecchia strega?

“Divertente” pensò fra sé e sé, con amara ilarità. “Ma non di certo inaspettato.”

<< Traditore del tuo sangue. Babbanofilo. >> il ragazzo ripeté le parole del fratello non senza un tocco di cupo divertimento. << Belle parole, davvero. Peccato che non siano le tue, vero? >>

Regulus, malgrado la sua indole composta, avvertì un moto di rabbia ruggire dal profondo del suo animo.

Guardava l’espressione di Sirius, come sempre così presuntuosa, convinta di essere nel giusto e di poterli giudicare tutti dall’alto della sua santa rettitudine da Grifondoro; guardava quell’espressione, la sua faccia, gli occhi identici a quelli di suo padre, e non provava altro che odio.

Strinse i pugni, sull’orlo di scoppiare.

<< Smettila. >> sibilò a denti stretti, ma Sirius parve non sentirlo.

Lo guardava con comprensione, lui. Come se avesse bisogno di una qualche forma di pietà.

Era lui ad essersene andato, era lui il reietto, ad aver compiuto una scelta stupida ed irreversibile, lui quello da compatire.

E invece no, Sirius si comportava come colui che aveva preso una decisione di certo sofferta, ma giusta.

Perché a quanto pare allontanarsi dalla propria famiglia era stata una liberazione.

E intanto, continuava, a fissarlo con i suoi occhi grigi e quell’aria comprensiva che così poco gli si addiceva, e che tanto faceva infuriare il fratello minore.

<< Regulus, io ti conosco. >> disse il traditore, tranquillo, mentre il suo animo fremeva, prossimo all’esplosione. Il Serpeverde cercò di trattenersi.

<< Smettila. >> ripeté, fremente di rabbia.

Tuttavia, il fratello sembrava imperterrito. << So chi sei tu, e chi sono loro. Tu sei diverso. >>

<< NO! >> urlò Regulus, incapace di contenersi. << SEI TU QUELLO DIVERSO, QUELLO CHE HA SBAGLIATO, IL TRADITORE! >> le parole uscivano senza controllo, con rabbia e disperazione. << PENSI DI ESSERE MIGLIORE DI NOI, MA NON FAI ALTRO CHE DARTI ARIE E DISPREZZARE PERSINO LA TUA FAMIGLIA! NON HAI OCCHI CHE PER I TUOI AMICI, IL RESTO DEL MONDO NON E’ ALTRO CHE FECCIA! PURE I TUOI GENITORI, PURE IO! MI FAI SCHIFO, TI ODIO!>>

Rimase senza fiato, affannato. Avvertiva gli occhi bruciargli e il resto del corpo in fiamme, nonostante non li circondasse altro che neve.

Fissava Sirius, e lui ricambiava il suo sguardo, sorpreso.

Sorpreso e, poi, arrabbiato.

<< Ora è colpa mia, no? >> disse, digrignando i denti. << E’ colpa mia se la nostra famiglia non è composta che da psicopatici razzisti, se volevano che m’immolassi per i loro stupidi valori da fanatici, vero? >>

Regulus cercò di riprendere fiato dalla precedente sfuriata. << Non sarebbe andata così se tu ti fosti comportato diversamente. >> disse semplicemente.

Qualcosa sembrò scattare in Sirius. Qualcosa che sapeva di rancore, furia, astio.

<< Diversamente? >> non c’era traccia di sarcasmo nella sua voce, solo rabbia. << E come, per l’esattezza? Come un cagnolino che obbedisce agli ordini senza pensare? Come te? >>

Regulus sollevò il mento con fierezza. Non sarebbe bastato il disgusto di suo fratello a denigrarlo, a demolire le sue certezze e a fargli credere di essere in torto.

<< Esatto. >> rispose dunque, con un’austerità insolita per i suoi tredici anni, ma consueta per ogni Black che si rispetti. << Sono i nostri genitori. Gli dobbiamo obbedienza, e rispetto. >>

Sirius inarcò un sopracciglio.

Non poteva crederci. O meglio, cazzo, non voleva, per quanto fosse evidente.

<< Sono pazzi, lo sai, vero? >>

<< L’opinione di un traditore non ha nessuna rilevanza. >> disse lui e a Sirius, per un attimo, parve di rivedere suo padre.

<< Tuttavia, per quello che vale, io sono come loro. Sono un Black. >> continuò Regulus, con altezzosa fierezza. << se hai deciso di rompere con la dinastia dei Black, non puoi farlo a metà, dovrai farlo anche con me. Decidi da che parte stare. >>

Sirius, seduto ancora sulla fredda pietra, lo guardò dal basso.

Fu allora che capì.

Non era il suo fratellino quello che aveva di fronte.

Era Regulus Arcturus, l’erede della dinastia Black.

Si fece scuro in viso, cupo.

Per quel che lo riguardava, la parte da cui stare l’aveva ormai scelta da tempo.

<< Se è così, >> iniziò, tetro. << Non abbiamo più nulla da dirci. >>

Regulus, con sua sorpresa, chinò lo sguardo, con apparente tristezza.

Che fino alla fine avesse conservato una qualche speranza?

<< Proprio come pensavo. >> si limitò tuttavia a dire il Serpeverde.

Mentre lo superava, Sirius preferì non guardarlo.

Dicevano che un ricordo visivo s’imprime con maggiore facilità e saldezza nella memoria, e lui preferiva non portarsi appresso l’immagine dell’ultima volta che aveva considerato suo fratello tale.

Regulus se ne andò senza dire una parola, salendo i gradini su cui il Grifondoro era seduto e percorrendo il breve portico in pochi passi.  S’imbatté contro una persona che veniva dal senso opposto, esitò un attimo e rientrò nel castello.

Attirato dalla breve imprecazione che Regulus aveva borbottato nell’urtarsi contro il nuovo venuto, Sirius si voltò e quel che vide, senza una determinata ragione, lo infastidì parecchio.

<< Piton. >> sibilò, seccato. La sua presenza sortiva sempre un brutto effetto su di lui, figurarsi dunque in una circostanza simile. << Che diamine vuoi? >>

Mocciosus lo guardò di traverso. Perplesso come un dottore davanti ad uno psicopatico che si è appena infilato un calzino in bocca.

<< Assolutamente nulla. Devo andare in un posto e questa era la strada più breve. >>

Sirius assottigliò lo sguardo.

<< Non ti credo. Origliavi come tuo solito, vero? >> domandò, diffidente.

Il Serpeverde rimase incredulo per qualche secondo, forse incerto su quale reazione assumere. Poi, a quanto pare, decise di classificare la sua sospettosità come qualcosa di assolutamente patetico, e sollevò gli occhi verso l’alto.

<< Sei ridicolo. Per quel che tu ne creda, non sei al centro dei miei pensieri, sai? >> sospirò, esasperato, acido.

…E Sirius, per qualche strana ragione, scoppiò, come se una piccola molla dentro di lui fosse scattata, e avesse fatto saltare gli argini che tenevano a sotto controllo tutta la frustrazione e la rabbia serbate in quelle settimane, e che con la conversazione con Regulus avevano raggiunto il culmine.

<< Sei un bugiardo! >> urlò, scattando in piedi. << Te ne stai sempre lì, tutto gobbo e viscido, a spiarci e a seguire le nostre mosse! Sempre ad impicciarti nei nostri affari, proprio come stamattina! >>

L’altro lo guardò per qualche istante, stupito.

Poi, inesorabilmente, Sirius vide il suo sopracciglio inarcarsi in un’espressione di scetticismo.

Di superiorità.

Piton scosse il capo. << Sei pazzo. >> disse con sufficienza, mentre gli passava accanto col solo scopo di superarlo e proseguire per la sua strada.

Ma Sirius non lo sentì, non aveva attenzione che per tutta quell’ira che gli dilaniava l’animo, da cui doveva liberarsi.

In Piton, vedeva la più vicina e adatta valvola di sfogo.

<< Mi fai impazzire, sempre a spuntare dal nulla col tuo lurido nasone! E’ insopportabile, odioso! Mi fai pena, ossessionato da noi come sei! >>

Piton, di qualche passo davanti a lui, continuò a camminare, dandogli le spalle e scuotendo una mano in cenno di saluto. << Addio, Black. >>

<< “Dove è che andate stanotte?” >> gli fece il verso, deformando la voce del Serpeverde in un lamento sbiascicato e acuto. << “Dov’è che va il vostro amico Lupin?” Bene, se questo servirà a toglierti da mezzo ai piedi, te lo dirò! >>

Fu come una doccia d'acqua gelida, per Piton.

Udite le ultime parole, si fermò di botto, incredulo, paralizzato.

Lentamente, si voltò verso il Grifondoro: Sirius aveva il viso arrossato, lo sguardo furente, il fiatone.

Una strana luce brillava nei suoi occhi.

<< Come, prego? >> domandò il Serpeverde, cauto.

<< Stanotte. >> rispose il ragazzo, determinato. << Vai al Platano e usa un ramo o un bastone per premere una piccola nodosità sul tronco. Dopo, potrai andare. >>

Piton aggrottò le sopracciglia, diffidente. << Come faccio a sapere che non è un altro dei tuoi stupidi scherzi? >>

<< Sta a te scoprirlo. >> rispose Sirius, imperturbabile. Dentro di sé, non sentiva altro che vuoto, un senso di freddezza. << Ti aspetto, stanotte. >>

Fece dietro front e, con la stessa sensazione glaciale, rientrò nel castello, lasciando il Serpeverde lì, da solo.

Appena si lasciò il freddo di Gennaio alle spalle, si voltò.

Con un breve sguardo verso l’esterno, scorse Piton in mezzo al parco esitare, e poi continuare per la sua strada, lasciando le sue orme sul candido manto bianco che ricopriva il suolo.

Seguì la sua sagoma nera e ricurva e magra allontanarsi, e poi scomparire, verso una meta sconosciuta.

Ora, era definitivamente solo.

 

<< Decidi da che parte stare. >>

 

Le parole di suo fratello gli rimbombavano nella testa, eppure Sirius avvertiva uno strano torpore assalirgli la mente, facendogli dimenticare sofferenza e dolore.

Avrebbe dovuto essere triste, forse.

Ma non provava nulla di tutto quello.

Era freddo, come il manto bianco che ricopriva i prati di Hogwarts, e che lui continuava a fissare dalla finestra.

Neve, illuminata dalla tiepida luce del sole.

Ecco.

Sirius, in quel momento, era ghiaccio come la neve, ma illuminato dal sole.

Un sole che non riscalda, un sole invernale, un sole freddo, ma che permette di avvertire qualcosa al di fuori del gelo imperturbabile.

Un sole che in lui si manifestava come la consapevolezza di quel che aveva appena fatto.

Qualcosa di giusto.

E… divertente.

"Ho scelto da che parte stare, fratellino."

Odiava i Black.

Odiava la sua famiglia, e tutte le persone a loro simili.

Odiava tutti quegli schifosi Serpeverde impiccioni.

Mentre osservava la neve cadere e cadere, un’indecifrabile sensazione lo pervase.

Ormai, non si tornava più indietro.

Lo scherzo era appena cominciato.

 

 

  
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