-‘Però, per quanto non mi ricordi di lui, mi ricordo ancora come mi batteva forte il cuore e quanto ero felice’-
 
Quello era niente.
Era niente in confronto a quello che sentiva quando guardava Q.
Gli piaceva davvero, se lo ripeteva giorno e notte.
Ora non era nemmeno più sicuro che si fidasse di lui visto che continuava a non credergli quando gli diceva che lo capiva.
 
­- Ma prima avevo avuto paura anche io. Prima anche io mi ero odiato a morte, avevo pensato ci fosse qualcosa di sbagliato in me. Non sei solo, Q.’ e gli prese la mano-
 
Non sei solo, non sei solo, non sei solo.
Q. continuava a ripeterselo nella testa mentre fissava la sua immagine allo specchio.
Era tutto uguale a prima; i suoi occhi, i lineamenti del suo volto, era lui.
Eppure c’era qualcosa di diverso in quell’immagine, qualcosa di speciale.
 
 
‘Devo parlargli’ si dissero contemporaneamente i due ragazzi, ognuno nella sua casa, ognuno immerso nella propria vita.
Non immaginavano che dall’altra parte anche l’altro stesse così. Forse davvero non erano soli.
Uscirono di corsa, camminarono il più veloce possibile con gli occhi inchiodati a terra.
Era buio, pioveva.
Si incontrarono a metà strada
‘Io non so più chi sono!’ piagnucolò Q. quando erano ancora lontani
M. gli corse incontro e lo strinse forte.
‘Va bene così’ gli sussurrò all’orecchio e sentì il cuore di Q. calmarsi poco a poco.
Entrarono in un vecchio garage per ripararsi dalla pioggia e ci passarono la notte.
Seduti sul cofano di una macchina.
M. sembrava seccato; le sopracciglia chiare e fine erano leggermente aggrottate sulla fronte e gli occhi fissavano un punto a vuoto in lontananza.
‘Sai, non importa davvero quello che pensano’ disse per spezzare il silenzio.
Q. era quasi sbalordito che l’amico potesse addirittura sapere cosa stesse pensando.
‘A me un po’ importa..’
‘Te l’ho detto: hanno paura. E anche tu ce l’hai. Lo so. Io ci ho messo del tempo ad accettarmi, anche se tu credi che sia sempre stato uno forte e coraggioso, ma ci ho messo molto di meno ad accettare gli altri. Non è un crimine, Q.’
‘Mia  madre..’ iniziò Q., ma si fermò a sorridere
‘Che ha detto?’
‘Niente, niente di niente. Non dice niente. Se è così tanto normale perché a tutti viene difficile parlarne?’
M. non sapeva cosa rispondere stavolta, si limitò a guardarlo.
Q. scese dalla macchina, incrociò le braccia e camminò avanti e indietro. Non pensava niente, aveva solo una grande confusione in testa. Gli occhi di M. sembravano chiedere pietà, ma Q. non se ne accorse nemmeno.
Si girò di scatto e lo baciò.
Era un bacio dolce e appassionato allo stesso tempo e sapevano di voler entrambi la stessa cosa adesso.
Volevano durasse in eterno, volevano che il tempo si fermasse in quell’istante.
Volevano dimenticare il dolore che avevano provato e volevano sentirsi due persone innamorate.