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Autore: La sposa di Ade    30/06/2012    2 recensioni
Volute di fumo si innalzavano dalla macerie di quella che una volta era stata la capitale più fiorente del mondo degli Umani, l’ immensa e sfarzosa Ethis era ora ridotta a un campo di battaglia per un’ ultima guerra.
Una figura, pallida e barcollante, affacciata alla finestra della sua stanza osservava con occhi di pece quello scenario troppo familiare, così poco era passato; quel breve periodo di dopoguerra in cui chiunque si trascinava in cerca di una luce, seppur effimera, era finito. Sostituito da ciò che di peggio si poteva immaginare.
Il suono della battaglia, cozzare di armi, schizzi di sangue e morte si era diffuso ovunque, un requiem caotico risvegliava una sete di sangue che da tempo sperava di aver abbandonato, sperava di averla lasciata in quella cella due anni prima insieme a tutto quel sangue che aveva versato solo per il desiderio di uccidere. Con una daga legata al polso e ciò che restava dell’ Ala d’ Argento avrebbe combattuto, gustandosi tutto il sangue che sarebbe riuscita a versare.
6° Classificata
al contest ‘Aboliamo gli Happy Endings!’ indetto da
WodkaEiffel
Genere: Angst, Fantasy, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dirty souls'
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Ho sonno e fa caldo, e non so che cavolo scrivere qui così… ehm, ringrazio chi è arrivato a leggere fino a questo punto (ormai manca poco alla fine). Homicidal Maniac, io aspetto il pagamento u.u
Lo so che dovrei rileggerlo, almeno la prima parte, ma sto crollando e sinceramente non ne ho molta voglia, voglio solo pubblicare questo cavolo di capitolo e togliermelo da sotto il naso.
Piccola parentesi, in teoria questa doveva essere la terza parte dello scorso capitolo ma è venuto fuori che questa famigerata terza parte è solo il primo paragrafo e, non avendo abbastanza fantasia per trovare un titolo decente per questo capitolo, ho scritto una delle prime cose che mi è venuta in mente…

Cap. 18. L’ Ala d’ Argento e il Frigorifero. Sorry
Ormai Neah è esperta nello strappare cuori u.u
Buona lettura e buona notte :D

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Capitolo 18. L’ Ala d’ Argento e la Morte.

Vieni nel mio mondo, guarda attraverso i miei occhi. Cerca di capire
[Within Temptation – See who I am]

La nebbia sembrava essersi diradata un poco, rendendo possibile vedere dove si mettevano i piedi, ma l’ aria era comunque pesante, si poteva sentire l’ umidità infilarsi nelle fibre dei vestiti e creare brividi spiacevoli lungo la schiena, la vampira procedeva a passo tranquillo senza mai distogliere lo sguardo dalla schiena del re, o meglio, dal suo collo e quando lui si fermò si fermò anche lei, nella nebbia sempre più rada intravide un’ altra figura avvicinarsi ad Eiron, parlarono per un poco, poi il re continuò per la sua strada e così fece anche Neah, che però avanzò solo di un paio di passi prima di fermarsi per cercare di capire chi fosse la figura che ora si stava avvicinando a passo svelto, quasi correndo, verso di lei.
Strinse gli occhi maledicendo quello sinistro che ancora non era guarito del tutto e con poca fatica riuscì a capire che la figura slanciata e alta che si stava avvicinando era Rhies.
Lei attese, fino a che non riuscì a scorgere sul suo volto un sorriso a trentadue denti che però sparì non appena il ragazzo riconobbe Neah.
Passò qualche istante in cui sul volto del giovane principe passarono espressioni differenti; prima una sorta di paura ben celata, sconcerto, incredulità e infine rimase un’ espressione sorpresa, poteva immaginare quante domande stessero affollando la sua mente, vista la sua bocca che si apriva e richiudeva muta in cerca della prima cosa da dire.
“Che ci fai qui?” Chiese lui, forse in modo un po’ scortese. La vampira fece per rispondere ma venne interrotta a un’ altra domanda.
“No aspetta, chi sei tu?” Semplicemente non poteva credere di aver avuto accanto tutto il tempo ciò che stava cercando senza accorgersene.
“L’ Ala d’ Argento in carne e ossa.” Rispose lei allargando un poco le braccia e sollevando le sopracciglia, con un’ espressione un po’ triste riprese a camminare, Rhies la seguì mentre la testa si riempiva di ogni sorta di ricordi e immagini, era lei allora, era stata lei ad uccidere suo nonno, ma la cosa che di più lo sconcertò fu il fatto di non provare rabbia, né sentì il desiderio di vendetta impadronirsi di lui, il fatto era che suo nonno –un po’ come faceva suo padre, ma solo un po’- sembrava non vederlo, non gli parlava e tutto quello che faceva per lui era lanciargli occhiate di cui il principe se ci pensava tuttora non ne capiva il significato. Non aveva mai provato un senso di affetto per lui, e di certo la cosa era reciproca. Mandò giù il malloppo di sentimenti e riprese a parlare, tentando si dissimulare lo stupore di quell’ ultima scoperta.
“Ok, e quindi che ci fai qui?” Continuava a fissarla, senza riuscire a credere di essere davanti a una leggenda bellica, ovviamente si sentiva intimorito da quella vampira dall’ aspetto di una giovane donna, più di quanto lo fosse prima di scoprirlo.
“Non ricordi? Avevi detto che se volevo sarei potuta venire con te.” Ma ora era tutto più complicato, se solo l’ avesse saputo prima. Si voltò verso di lui e lo vide fremere quando i suoi occhi incontrarono le sue cicatrici.
“Che ti è successo?” Stava iniziando a stufarsi, lei. Tutte quelle domande la infastidivano.
“Mio padre si stava annoiando.” Rispose semplicemente lei.
“Comunque, sai cosa sta per succedere vero?” Continuò, voltando la testa per guardarlo. Lui sembrò quasi perdersi nei suoi occhi, o meglio, in quello che non poteva più vedere, ricordava quando si erano fermati alla locanda, ricordava i suoi occhi neri non come due pozzi profondi in cui annegare, quella volta erano come porte chiuse ermeticamente, al contrario quell’ occhio cieco del colore che ricordava vagamente il cielo poco prima di un tempesta, ma un cielo grigio che non si sarebbe aperto neanche per far scendere i fulmini sulla terra.
Annuì appena “Un’ altra guerra, vero?” Distolse poi lo sguardo, cercando con gli occhi la schiena di suo padre, anche se probabilmente era già rientrato.
Annuì a sua volta. “Questa volta sarà diverso però” Ripensò ai Rinati e al Generatore, ormai sembravano non venire più considerato nemici. Rhygen era morto per niente quindi? Un brivido di rabbia le percorse la schiena e la mascella si contrasse mentre sentiva la pressione dei canini sul labbro inferiore.
“Non è bello essere usati, non dovresti…” Iniziò deciso il principe.
“Credi che mi piaccia? Essere usata e considerata al pari di un’ arma?” Ma fu proprio in quel momento che sentì un forte desiderio, quasi lo stesso che aveva provato due anni prima, chiusa in quella lurida cella, quel desiderio irrefrenabile di uccidere, di far soffrire, ma non voleva essere un’ arma, non più. “Eppure non so che altro fare, l’ unico modo per finire una guerra è con la morte di una delle due schiere.” Lo sapeva, che anche fuggire sarebbe stato inutile, perché ci aveva già provato, quando Rhygen l’ aveva accolta senza fare domande, ma poi era morto, e da allora tutto era iniziato a precipitare. Anche senza volerlo davvero, tutto quello che poteva fare era uccidere e far soffrire.
 

L’ elfo si guardò un attimo intorno, tentando di capire se il fischio che sentiva alle orecchie provenisse da un fattore esterno o se fosse solo nella sua testa, aveva una gran sete, nonostante avesse mandato giù una quantità imprecisata di boccali di birre. Intorno a lui c’ era il vecchio scenario del bar decorato con un mucchio di rose di cristallo rosse, ne aveva anche una al collo, la solita.

“E perché mai avrei dovuto? Avete svolto il lavoro per me, per di più questo non mi sembra il posto adatto per ammazzare qualcuno, pieno di rose di cristallo rosso e di, cosa sono quelle, ballerine?” Gli tornò in mente quel breve discorso che aveva avuto con alcuni Generatori, tra cui Azue, che se la ridevano mentre lui se ne stava bello che ubriaco a oziare, gli venne da ridere.
Sbatté un paio di volte il boccale vuoto sul tavolo, e non seppe dire se lo fece per un motivo valido, sentiva solo il bisogno di farlo, quindi l’ aveva fatto e basta.
Dopo un po’ che Zephit si stava passando le mani sul volto una cameriera passò e versò dell’ altra birra nel bicchiere dell’ elfo, e quando quest’ ultimo spostò le mani dal volto e spostò lo sguardo sulla birra rimase esterrefatto, quale misericordiosa divinità aveva appena riempito il suo boccale di birra? Senza starci a pensare troppo lo portò alle labbra e ne bevve metà, quando lo posò sul tavolo una sensazione fastidiosa si propagò nella sua testa costringendolo a cercare con la fronte il fresco del legno, la rosa che teneva al collo gli era finita davanti al viso, tanto vicina da fargli incrociare gli occhi per vederla bene e procurargli un senso di nausea.
C’ era decisamente troppo caldo in quella locanda, e troppo baccano –con grande probabilità c’ erano anche quelle ballerine della volta scorsa, quelle che gli avevano trapanato la testa- fece scivolare il bicchiere verso il proprio viso provocando un rumore abbastanza fastidioso per le sue orecchie appuntite, e lo fece aderire poi alla sua fronte sospirando di sollievo quando la superficie fresca del bicchiere lo fece rabbrividire.
Intorno a lui c’ era baccano, o forse era solo nella sua mente, o forse ancora erano i sorsi di birra che facevano baldoria nel suo stomaco a farlo sentire così angosciato. Fu solo un attimo, nell’ istante in cui batté la palpebre un’ immagine fin troppo chiara si insinuò nella sua mente; un corpo riverso a terra avvolto da candidi abiti macchiati dal sangue che lentamente si allargava sul legno chiaro, un coltello e delle mani pallide e sporche che lo lasciavano cadere a terra con uno spasmo.

Mi dispiace… Ma da ora andrà tutto per il meglio
Una voce che conosceva fin troppo bene, e ogni volta che riaffiorava era come se non se ne fosse mai dimenticato, e si riscopriva sempre ad ascoltarla con una forte malinconia mescolata a un intenso senso di colpa.
“Sta’ zitta stronza.” Biascicò con la lingua impastata, mentre iniziava a sentire di nuovo troppo caldo.
Con uno sforzo notevole sollevò il boccale appoggiandoselo sulla tempia, di nuovo una sensazione piacevole che però svanì nell’ arco di breve tempo, rovesciò quindi il boccale alla ricerca di una parte della sua superficie ancora fresca, peccato però, che non aveva ancora finito di bere.
 

Finì in una stanza per gli ospiti, profumata da fiori troppo appariscenti e odorosi. E quasi a farlo apposta era pieni di specchi.
Passò solo qualche minuto lì dentro, giusto il tempo di togliersi il lungo cappotto nero e crogiolarsi per un po’ nell’ indecisione di portarsi in giro per il castello l’ Ala d’ Argento. Alla fine con un sospiro pensante buttò sul letto la spada, constatando che se avrebbe dovuto difendersi in un castello pieno di Umani la spada non sarebbe stata strettamente necessaria.
Passò quasi tutto il pomeriggio a gironzolare per il castello, e dovette ammettere che fino a un certo punto fu divertente; le guardie e i servi che incrociava le lanciavano sguardi pieni di curiosità, di sconcerto e alle volte di puro odio, lei rispondeva a tutti con un gran sorriso, cioè, quello che relativamente era il sorriso di un vampiro.
Più tardi, quasi all’ ora di cena, quando un lieve odore di marcio si diffuse nel’ aria Neah si trovò a seguire quella scia lieve, ma comunque fastidiosa, che stava emergendo dalle cantine. Non era di certo qualche bottiglia di vino rotta, né l’ odore di muffa e stantio ad attirare la sua attenzione, bensì l’ odore, seppur lieve, di putrefazione che alleggiava nell’ aria, anche se probabilmente era lei l’ unica a percepirlo.
Raggiunse le cantine e appena aprì la pensante porta in legno desiderò non aver lasciato nella sua stanza la spada.
Azue se ne stava seduto, con il viso rivolto verso la porta, davanti a un ampio tavolo sul cui stava tentando di deporre un cadavere le cui condizioni erano disastrose; gli mancava una gamba e il suo viso era un teschio privo di pelle, la vampira si chiese per un istante se si potesse riportare in vita anche un corpo ridotto in tali condizioni. Il Generatore non si accorse della sua entrata, tanto era impegnato a issare il corpo, tentando di non far muovere troppo il tavolo per non versare la bottiglia di vino appoggiata lì affianco.
“Non dovresti giocare con i morti.” Disse Neah, sorprendendo Azue che sobbalzò lievemente e poi sospirò.
“Rivogliamo le perdite, ha detto lui, quindi mi tocca lavorare.” Rispose accompagnando le parole con una smorfia quando con uno sforzo maggiore riuscì a sistemare il corpo morto lì sopra.
Restarono un po’ in silenzio, la vampira appoggiata tranquillamente alla porta e il Generatore a trafficare con il corpo.
“Da che parte stai tu?” Chiese poi lei in un moto di apparente curiosità.
“Sono neutrale, uccido e riporto in vita chi mi pare.” A quelle parole il nervosismo e la rabbia le fece prudere le mani e con uno scatto si avvicinò al Generatore appoggiando una mano sul torace del cadavere, sorrise appena, prima di affondare con forza la mano nella carne morta, in un attimo raggiunse il cuore, lo strinse con forza e lo strappò dalla sua sede, per poi lasciarlo appoggiato sullo sterno del cadavere a mo di trofeo.
“Non sarebbe più corretto dire traditore visto che ti diverti ad ingrossare gli eserciti di entrambi le parti? E dimmi, li puoi riportare in vita ance così?”
“Lo faccio per i loro desideri, cioè per quello che non possono ottenere.” Sospirò, studiando il cuore spento e scuro che si era ritrovato sotto il naso. “Assolutamente si, non serve per forza un cuore per far camminare gli esseri viventi, o i morti… o qualunque altra cosa, per di più costui era un abile guerriero.” Scrollò leggermente la testa per scostarsi dal viso ciocche argentee e fastidiose mentre meditava sull’ ultima frase.
“Comunque, saranno i loro desideri a portarli alla tomba.” L’ angolo della sua bocca si sollevò. “Infondo Dimitri ed Eiron sono piuttosto simili, non trovi?”
“Sono entrambi insensibili?” Chiese con finta curiosità la vampira.
“Anche tu lo sei.” Rispose il Generatore trattenendo una risata e rimettendosi a sedere, i suoi occhi d’ ambra sembravano splendere nella penombra puzzolente di quel posto, Neah ignorò il suo commento, non che le importasse, ovvio.
“Quello di cui volevo parlare era tutt’ altro, comunque. Ciò che intendo è che i desideri ti portano alla tomba perché quello che si desidera realmente è ciò che non si può ottenere, e questo di conseguenza ce lo fa desiderare di più, quindi continuiamo a cercarlo. Comunque, resto della convinzione che nonostante lo si cerchi di ottenere, anche sprecando la propria vita, non lo si riuscirà mai ad avere, ci sarà sempre qualcosa pronto ad andare storto, a far fallire i tuoi piani e a non far avverare il tuo desiderio.” Fece spallucce come se stesse parlando del più e del meno. “E a questo punto si torna al punto di partenza, cioè a desiderarlo ancora, se non addirittura più di prima.” Sorrise, soddisfatto del suo discorso. “È un circolo vizioso, di cui tutti noi siamo vittima” Nonostante il suo volto fosse più rilassato del solito nelle sue espressioni si poteva scorgere un velo di oscurità, forse più cupo del solito, che ricopriva tutto come la neve della prima nevicata dell’ anno.
“Quindi stai insinuando che io non riuscirò ad uccidere mio padre?” Il Generatore sollevò l’ indice destro con un’ espressione soddisfatta, pronto ad esclamare ‘Esatto!’ ma la sua espressione si fece subito dubbiosa e fissò interdetto la vampira, con i suoi occhi color ambra che sembravano voler scavare dentro di lei.
“Non è esattamente quello che intendevo, però…” Continuò a guardare la vampira, osservando attentamente l’ occhio sano, e lo vedeva, era certo di poter vedere quel desiderio di cui parlava prima lui stesso nascosto in fondo alla sua anima sporca. Voleva quel che era più normale desiderare essendo un essere divenuto immortale. Ambire ad uccider qualcuno non era abbastanza, a meno che quel qualcuno non fosse se stessi. “io non posso aiutarti, mi dispiace.”  Bevve un sorso di vino dalla bottiglia che aveva lì di fianco.
“E comunque, se vuoi fare dei discorsi profondi con qualcuno dovresti parlare con Zephit, sempre che sia sobrio.” Neah si voltò decisa a tornare nella ‘sua’ stanza e a rimanerci per un bel po’.
“Ah! Questa sera ci sarà una cena sfarzosa, non mancare!”

 

 
 

Boh, ho sonno…

  
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