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Autore: taemotional    30/06/2012    0 recensioni
[Autore: Koko] [Akame]
"..."Cosa fai scappi?" mi chiese la ragazza, il cui nome mi era sconosciuto.
Merda, speravo di potermi risparmiare gli imbarazzanti saluti della cosiddetta mattina dopo, invece probabilmente avevo fatto troppo rumore.
"Devo andare a scuola" le risposi senza enfasi, intanto che mi rivestivo.
"Ah è vero che frequenti ancora il liceo, mi sembravi molto più grande"
"Questo solo perché ieri sera la tua vista era ingannata dall' alcool. Ora vado ci si vede"
Presi la mia cartella e mi fiondai fuori dalla porta mentre lei mi stava ancora dicendo qualcosa, del tipo 'non ho nemmeno il tuo numero di cellulare'. Ma non mi importava, era stata solo un passa tempo."
Genere: Angst, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Jin, Kazuya
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Erano solo le cinque del mattino.  La stanza da letto di Jin era colorata da una pallida luce, che le tende non riuscivano a filtrare . Lui
era accanto a me, stava ancora dormendo. Mi alzai cercando di non fare troppo rumore. Andai in cucina e dopo aver preso un
bicchiere d’acqua mi diressi fuori, sul balcone. Il sole spuntava timidamente da dietro alcuni grattaceli. Si levava lentamente, come
se stesse prendendo coraggio per innalzarsi in cielo, per riscaldare tutti con il suo calore e per abbagliarci con i suoi raggi. L’aria era
ancora pungente e accarezzava delicatamente il viso. A quell’ora del mattino era ancora possibile guardare il sole senza che gli occhi
lacrimassero. Il mio sguardo si perse  in quella palla infuocata. Allungai una mano come per sfiorarlo, era impossibile che io riuscissi
a toccarlo, non stavo tenendo conto delle distanze che ci dividevano.
‘Cosa potevo fare con mio padre?’ Non appena questo pensiero si fece strada nella mia mente il braccio che stavo tendendo
all’orizzonte cadde, e tornò nella sua posizione naturale.
Anche da sobrio il suo unico pensiero era l’alcool. Davvero non capiva che con la sua dipendenza stava demolendo tutto intorno a
lui? Era come una catena. Distruggendo il suo fegato stava distruggendo la sua salute, quindi se stesso e la sua distruzione portava a
quella della nostra famiglia, e con essa me nello specifico. Mi sentivo dentro un tornado. Mi trascinava ovunque, contro la mia
volontà e non riuscivo a liberarmi.
Ad un tratto sentii un rumore alle mie spalle e mi girai di scatto, facendo cadere a terra il bicchiere che mi ero dimenticato di avere in
mano. Guardai atterrito Jin che mi fissava senza comprendere ciò che era appena successo. Io ero rimasto immobile, benché avessi
chiaramente percepito alcune schegge di vetro che si scontravano con le mie gambe.
“Kazuya!” gridò Jin contro il mio viso intanto che mi scuoteva per le spalle. “Kazuya! Tutto bene?”
D’ un tratto mi rianimai.
Mi chinai rapidamente a terra per raccogliere i frammenti di vetro. “Scusami!” affermai con un po’ di vergogna.
Jin prese il mio volto tra le sue mani così da obbligarmi a guardarlo negli occhi. “Kazuya che succede?”
“Nulla. Stavo solo pensando e mi sono spaventato quando ti ho sentito arrivare”
“Andiamo dentro” mi ordinò senza guardarmi. Lasciai a terra i pezzi di vetro e rientrai.
Jin era appoggiato con una mano sul tavolo e mi dava le spalle. Chiusi la porta finestra e tentai di chiamarlo: “Ji..”
“Kazuya si può sapere che diavolo ti prende?” Mi urlò girandosi di scatto.
Sgranai gli occhi. Non capivo la situazione. Era arrabbiato con me. “Come?” chiesi solo.
“Non puoi andare avanti così. Continui a scappare da ogni situazione, non stai affrontando niente”
“Che cosa?” domandai con rabbia avvicinandomi a lui.
“Ma non lo capisci? Stai fuggendo dalla tua vita. Sei scomparso per una settimana dopo quello che è successo con i tuoi, oggi te ne
sei andato senza concludere nulla con tuo padre”
“Ma sei impazzito? Che cosa ti passa per la testa? Hai sempre detto che andava bene così, che dovevo fare un passo alla volta. Cosa
è cambiato ora?”
“E’ cambiato tutto. Guarda come ti stai riducendo. Forse non è la strada giusta, forse ho sbagliato io a non spronarti”
“Questa è la mia vita! Tu non c’entri” urlai e cercai di andarmene. Cosa gli avevo appena detto? Lui non c’entra con la mia vita? Lui
è parte della mia vita.
“Scappi di nuovo” fece una lunga pausa che mi portò a girarmi. Era sul punto di piangere. “Scappi di nuovo da me”
Mi avvicinai rapidamente a lui. “Che cosa dici? Non me ne vado. Sono qui.”
“Mi hai già dimenticato una volta cosa ti impedirà di rifarlo?”
“No Jin. Non dire idiozie. Io non ti dimentico, ne ora ne mai!” Lo abbracciai e lui poggiò la fronte contro la mia spalla. Sentii che mi
si stava bagnando il petto, probabilmente stava piangendo. Quanto ero stato egoista? Pensavo di conoscerlo, ma non lo conoscevo
affatto. Stava soffrendo, forse più di me. Era lontano da tutta la sua famiglia. Era praticamente solo qui, e mi ero ancora permesso di
dirgli di non intromettersi nella mia vita. Che deficiente che sono. Aveva solo paura per me e che lo lasciassi completamente solo.
Abbassai la testa per avvicinare la bocca alle sue orecchie e mormorai: “Perdonami” presi una pausa e gettai fuori un po’ d’aria dal
naso “Ti amo”.
Lui alzò di scatto la testa e mi guardò intensamente negli occhi, io gli stavo sorridendo. Mi baciò.
Nel momento in cui il bacio si concluse posammo le nostre fronti l’una contro l’altra.
“Anche io ti amo” sussurrò sorridendo.

Dopo le lezioni mi diressi in aula insegnati per parlare con Jin.
“Professor Akanishi” lo chiamai ed il suo viso improvvisamente sbucò da quella moltitudine di volti che popolavano la stanza,
“potrebbe venire un attimo fuori?” Lui annuì e si diresse verso di me.
“Dimmi” mi chiese con un po’ di sorpresa.
“Sto per andare da mio padre”
“Bene, faccio su l…” tentò di dirmi, ma lo fermai prima che finisse.
“So già cosa mi dirai e non voglio sentirlo..”
“Ma i..”
“Niente ma, lasciami finire”.
Lui sbuffò e mi fece un cenno di assenso con la mano, come se mi stesse caritatevolmente concedendo di proferire parola.
Così io continuai: “Ti prego permettimi di andare senza di te. So che vorresti venire anche tu per supportarmi, ma non mi aiuta la tua
presenza. Sento sempre di dovere fare di più perché ci sei tu e non voglio deluderti. Quindi, per questa volta, vorrei recarmi là da
solo. Tornato a casa ti racconterò tutto”
Storse le labbra. “Ti vengo a prendere davanti all’ospedale. Chiamami quando hai fatto” non sembrava molto soddisfatto ma ero
felice che avesse capito.
“Grazie Ji..” ma mi bloccai. Vidi uscire dall’aula insegnati la mia professoressa di matematica.
“Grazie professore. A domani” lo salutai tentando di sembrare il più naturale possibile.
Lui non sembrava aver compreso quello che stava accadendo, infatti mi stava fissando con la fronte corrucciata. Me ne andai
facendogli l’occhiolino, assicurandomi che quella vecchia arpia non stesse guardando.
 
Dopo aver inspirato profondamente ed espirato successivamente, entrai nella stanza di mio padre la numero 204.
“Papà” lo chiamai.
“Papà? Ma sei diventato cieco?” con mia grande sorpresa mi rispose un’anziana dalla voce roca “Sono una donna! Fuori dalla mia
stanza piccolo impertinente!”
“S-sì, mi scusi” uscii rapidamente e mi chiusi la porta alle spalle.
Una donna? Più che una donna sembrava un concentrato di rughe. Che megera.
Piuttosto dov’era finito mio padre? Che avessi sbagliato stanza? Impossibile, ero certo fosse la 204, il giorno in cui incontrai, dopo
tanti anni Jin, il 20-4. Non potevo avere sbagliato numero. Probabilmente l’avevano spostato in vista dell’intervento. Andai a cercare delle infermiere.
Dopo averne individuata una cominciai: “Scusi mi sa dire dove posso trovare il signor Kamenashi?”
“Solo un attimo” mi rispose e si mise subito a cercare il suo nome tra i le cartelle che teneva in mano. “Il signor Kamenashi è stato
dimesso qualche ora fa”
“Come?” le chiesi sporgendomi verso di lei, indicai le cartelle e continuai “controlli meglio, doveva essere operato a giorni. Non è
possibile che sia stato dimesso.”
“Mi dispiace. Non possiamo fornirle più informazioni” affermò indietreggiando, con tono sostenuto.
“Sono suo figlio. Ora mi è concesso avere più informazioni?”
“Stando a quanto c’è scritto il paziente si è rifiutato di subire l’intervento e ha deciso di tornare a casa. Se permette io andrei” Mi
passò accanto e quasi non la notai. Ero paralizzato. Si era rifiutato? Quel bastardo. Immaginavo anche il perché. Sentii la rabbia
ribollirmi in corpo. Mi misi a correre.
Arrivato davanti a casa suonai assiduamente il campanello ma non ebbi alcuna risposta.
Portai le mani sul viso e mi lasciai scivolare lungo il portone.
Un suono attirò la mia attenzione. Era la suoneria del mio telefonino. Lo sfilai dalla tasca e lessi il nome che appariva sul display.
‘Jin’. Non gli avevo fatto sapere nulla, doveva essersi preoccupato, era ormai ora di cena.
“Pronto” risposi iniziando così la chiamata.
“Kazuya allora? Per quanto ne hai ancora?”
“Ho finito. O meglio non ho mai iniziato. Sono davanti a casa mia, ti aspetto qui.”
“Davanti a casa tua? Ma ch..” allontanai il telefono dall’orecchio mentre stava ancora parlando e chiusi la chiamata. Gli avrei poi
 
raccontato tutto più tardi, non mi andava di parlare. Poggiai la testa sulle ginocchia in attesa del suo arrivo. Svuotai la mente. Non
volevo pensare a quello che era appena successo, se l’avessi fatto avrei segnato la mia condanna. Volevo aspettare Jin e a quel punto 
ci avrei pensato cercando di non essere governato dall’ira. Ero in standby.
Passarono alcuni minuti e sentii il rumore della marmitta di una moto, ma non alzai ugualmente gli occhi. Percepii il suo tocco sulla
mia testa. Mossi la mia mano per far si che incontrasse la sua, senza mai tirare su il capo. Afferrai la sua mano e solo allora concessi
ai miei occhi di rivedere la luce. Lo stavo guardando con un espressione apatica.
“Che cosa è successo?” mi domandò a bassa voce Jin. La scelta di quel tono di voce mi fece pensare che lui credesse di non dover
fare troppo rumore, altrimenti sarei caduto in pezzi. Come se fossi una foglia che rimane a mala pena aggrappata all’albero e bastasse
un impercettibile soffio per farla precipitare.
“Sì è fatto dimettere. Rifiuta l’intervento” risposi con voce statica, come se non stessi provando emozioni. Forse non riuscivo più a
provarne per quell’uomo, ne avevo provate troppe.
“Ma se non si sottopone all’intervento..”
“Morirà? Sì. Ma a lui importa di morire bagnato dalle gocce della sua vodka piuttosto che dalle lacrime dei suo cari”
Tacemmo per molti secondi poi mi alzai in piedi. Avanzai verso Jin. Quando mi trovai al suo fianco posi la mia mano sulla sua spalla
e senza guardarlo in viso lo sollecitai: “Andiamo. Sono stanco”
 
Quella mattina fui svegliato dal rumore assordante e fastidioso della sveglia. Jin non era più nel letto. Doveva trovarsi già in cucina
così lo raggiunsi.
“Buongiorno” lo salutai con ancora tutta la bocca impastata, reduce del sonno. La televisione accesa faceva da sotto fondo.
“Buongiorno!” il suo saluto fu accompagnato da un sorriso.
Mi sedetti a tavola e bevvi il succo d’arancia che Jin mi aveva già versato nel bicchiere. Non parlammo. La mia attenzione fu
richiamata da una notizia del telegiornale.
“Ieri notte un uomo, che si trovava in uno stato di ebbrezza, camminando su un muretto alto cinque metri ha perso l’equilibrio ed è
caduto rompendosi l’osso del collo. Tutti i tentativi di soccorso sono stati inutili. E’ morto sul colpo”
Alzai la testa di scatto e, spalancando gli occhi, guardai basito il televisore. Non era stata fatta nessuna allusione ad alcun nome, ma
ero quasi certo di sapere chi fosse quell’uomo.
Mi girai a guardare Jin che mi stava fissando a sua volta con occhi increduli. Interruppi il contatto visivo dando un’occhiata veloce
all’orologio. Le 7.27. Di lì a poco saremmo dovuti uscire per andare a scuola. Ci preparammo nel totale silenzio, eravamo rimasti
scioccati da ciò che poco prima avevamo sentito.
Usciti dal portone di casa mi arrestai.
“Kazuya?” mi chiamò Jin, sicuramente sapeva già cosa gli avrei detto.
“Vado a casa” risposi alzando lo sguardo che prima era fisso sul marciapiede grigio.
Jin non rispose. Fece sono un gesto di approvazione con la testa. I suo occhi, i suoi movimenti, persino il suo silenzio trapelavano
preoccupazione. Se avessi avuto uno specchio dove riflettermi probabilmente avrei visto la stessa ansia.
“Ti chiamo” 
Io alzai la mano per salutarlo.
Stavo per andarmene quando: “Prendi!” mi lanciò qualcosa. La afferrai al volo. Tenevo stretto nelle mani ciò che mi aveva lanciato.
Dischiusi le mani e vidi un mazzo di chiavi. Non dissi niente. Spostai l’attenzione da quei pezzi di metallo al viso di Jin. Lo guardai
con le sopracciglia aggrottate.
“Nel caso avessi bisogno di stare da solo. Tornerò a casa per le 16.00. A dopo” mi sorrise. Quel sorriso mi parve un incoraggiamento.
Gli sorrisi di rimando per ringraziarlo. Strinsi forte nelle mani le chiavi e me ne andai.
 
Ero entrato in casa mia utilizzando le mie chiavi. Non avevo suonato, mi era parso così naturale. Come se fosse un giorno come tanti.
Forse cercavo solo di scappare dall’idea che continuava ad angosciarmi. Fuggivo di nuovo. Jin aveva avuto proprio ragione, sono
ancora un immaturo che non riesce ad affrontare le cose a testa alta.
“Mamma! Sono a casa!” gridai dal fondo delle scale sperando di ricevere qualche risposta.
Nulla. Mia madre non mi rispose. Eppure ero certo fosse in casa, sul divano era poggiata la sua borsa. Salii lentamente le scale.
Qualunque cosa fosse successa non volevo saperla subito.
Bussai alla porta della camera dei miei. Poiché la porta era socchiusa applicai una leggera pressione su questa, e creai più spazio così
da riuscire ad entrare.
“Mamma?” la chiamai timidamente, vedendo che aveva il viso nascosto nel cuscino.
Un singhiozzo interruppe la mia attesa. Era palese quello che fosse successo. Strinsi forte i pugni e mi avvicinai a letto.
Mi sedetti accanto a lei volgendole le spalle. Si era creato un strano silenzio, anche io interiormente ero in silenzio. Forse stavo solo
attendendo una qualche catastrofe. La calma prima della tempesta.
Ero stanco di aspettare, di fuggire. Volevo maturare e cambiare ciò che odiavo di me stesso. Presi coraggio e cominciai: “Ho visto il
telegiornale questa mattina…” non riuscii a concludere che mia mamma si mise a piangere in modo più rumoroso. Mi girai verso di
lei e posai la mia mano sulla sua schiena. Non appena sfiorai la sua pelle il suo corpo tremò, come se si stesse ritraendo da me.
Staccai rapidamente la mano e la guardai con gli occhi sbarrati, poi spostai il mio sguardo sul viso di mia madre: si era messa seduta
sul letto e ora mi stava fissando con le guancie scavate dall’acqua che cadeva senza sosta dai suo occhi neri. I capelli ramati le
coprivano gran parte del viso ma riuscivo benissimo a vedere le sue emozioni.
“Mamma?” la chiamai.
“Tuo padre… Tuo padre è, è” si fermò. “Nonostante tutto io lo amavo. Ogni volta che ti picchiava, che picchiava me io cercavo di
pensare all’uomo che era un tempo. Speravo che sarebbe tornato ad esserlo prima o poi. Invece è morto da ubriaco” tirò su col naso e
dopo una breve pausa continuò “le ultime parole che mi ha rivolto sono state: ‘Stai zitta e lasciami bere’, poiché io l’avevo invitato a
scendere da quel muretto. E’ così tanto orribile che io stia male per la sua morte dopo quello che ha fatto a tutti noi?”
“No. No. Era tuo marito, nel bene e nel male”
Le lacrime che avevano cessato di cadere ripresero in maniera più abbondante. La abbracciai. Cercavo di stringerla forte per farle
 
capire che c’ero e l’avrei aiutata. Rimanemmo così per un po’. Quel fu il momento più intimo e vero che io e mia madre avemmo
dopo molto tempo.
 
Ero seduto sul divano e continuavo a cambiare canale senza seguire minimamente quello che appariva sullo schermo della TV.
L’audio era disattivato. Ancora quel silenzio. Stavo aspettando la mia crisi? Eppure dentro di me regnava la pace, non provavo
dolore. Chissà come poteva una cosa così enorme non muovere nulla in me. Il peso era immenso ma non mutavo.
Sentii accarezzarmi i capelli e mi girai sorridendo. Non lo avevo sentito entrare.
“Ciao Jin!” lo salutai sempre con il sorriso, anche se in ogni mio gesto ed espressione vi era la fatica. Come sempre, non riuscivo ad
essere felice fino in fondo.
“Tutto a posto?”  domandò lui sedendosi al mio fianco.
“Sì. Ho pranzato con mia madre, o almeno ho tentato di farla mangiare”
“Tuo padre?” me lo chiese come se avesse paura della mia risposta.
“E’ morto” risposi senza sbilanciarmi.
“Stai bene?”
“Sì,” feci una brevissima pausa e mi girai verso di lui e continuai: “stranamente sì”
Lui mi guardò aggrottando le sopracciglia ed avvicinando di più il suo viso al mio. Dopo essere tornato alla posizione iniziale mi
parlò nuovamente: “Sei sicuro?”
“Sì. Non sto male per la perdita di mio padre. L’avevo già perso anni fa, quando aveva iniziato a bere. Non era più lui da tanto tempo,
era solo schiavo dell’alcool. Quindi perché dovrei stare male ora, nel presente, per qualcosa che ho perso nel passato?
Semplicemente è come se ora la sua scomparsa si fosse concretizzata, ma io la percepivo già prima in modo più astratto. Ora è solo
definitiva.”
Jin restò in silenzio, probabilmente non si aspettava una simile risposta. Nessuno se la sarebbe mai aspettata. Anche se mi stava
guardando con un po’ di smarrimento, sapevo che aveva capito, o per lo meno ci cercava di farlo.
 
Il prete continuava con la sua lunga manfrina su ciò che è necessario fare in vita per assicurarsi la benevolenza di dio.
“Chi getta via la sua vita non è degno di essere felice nell’aldilà”.
Non appena sentii queste parole alzai la testa, che cercavo di nascondere, per non essere osservato da tutti coloro che si aspettavano
disperazione e cordoglio da parte mia, e scattando in piedi uscii rapido dalla chiesa. Mi dispiaceva per mia mamma, ma non avevo
intenzione di rimanere un secondo di più ad ascoltare quel celebrante sputa sentenze.
“Kazuya!” mi girai non appena sentii chiamare il mio nome, “Non ascoltare ciò che dicono” così Jin concluse la frase.
“Lo so. Però non ce la faccio a stare lì, non credendo in queste cose, e dovendomi sorbire le prediche di quello!” affermai
accompagnando la frase con un gesto della mano, come per indicare la persona a cui mi riferivo.
“Vuoi andare a casa?”
“Voglio andare a fare colazione!”
“Che?” mi chiese con aria interrogativa.
“Andiamo in un bar” lo invitai, “ho fame!” finii appoggiando una mano sul mio stomaco.
Jin dopo un primo momento di disorientamento alzò le spalle. Essendosi, poi, avvicinato a me, poggiò il suo braccio sull’estremità
superiore della mia schiena e mi invitò ad andare facendomi un segno con il capo.

Eravamo seduti nel bar, uno di fronte all’altro. Il locale era poco frequentato, c’eravamo solo io e Jin. L’unica cameriera si trovava
dietro al bancone, con aria annoiata e con la musica nelle orecchie sfogliava lentamente una rivista inutile di gossip.
Jin stava bevendo una spremuta d’arancia e ogni tanto addentava la sua brioche vuota. Io invece non mi ero trattenuto: avevo già
quasi finito di trangugiare la mia, l’ultimo pezzo ancora ricolmo di crema giaceva su un fazzoletto accanto alla tazza di cappuccino.
Bevvi velocemente la mia bevanda e mangiai soddisfatto il mio ultimo pezzo di brioche.
“Avevi fame, eh?” mi domandò Jin. Anche se più che una domanda pareva un’ affermazione.
Mi aveva guardato per tutto il tempo, con quei suoi occhi magnetici. Faticavo un po’ a mangiare come mio solito, sapendo di essere
continuamente osservato, ma cercai di non darci peso. Non mi dispiaceva il fatto che mi guardasse, anzi forse mi faceva stare bene.
Non risposi e gli sorrisi, senza mostrare i denti. Avevo paura di avere dei pezzi di brioche attaccati da qualche parte.
Mi alzai: “Vado un attimo in bagno”.
Mi stavo girando per andare quando mi arrestò: “Fermo, vieni qui!”
“Che c’è?” domandai inclinando un po’ la testa.
“Vieni qui” mi ripeté allungando un braccio verso il mio viso. Io mi sporsi verso di lui e lasciai che prendesse il mio viso tra le sue
dita. “Hai pezzi di brioche ovunque,” mi sgridò dolcemente pulendomi il viso “proprio come i bambini” sorrise ed alzò in modo scherzoso gli occhi al cielo.
Non appena finì mi distaccai e andai verso il bagno senza proferire parola.
‘Non sono un bambino. Va bene che ho qualche anno in meno di lui, ma non voglio che mi consideri tale.’
Ero davanti allo specchio, con le mani poggiate sul bordo del lavandino metallico, fissai il mio riflesso. Accennai una risata e
buttando fuori l’aria dal naso mi spostai un po’ avanti con il corpo. ‘Che idiota. Ma posso impuntarmi su certe cose? Mi stava solo
prendendo in giro!’ pensai. Mi tolsi i residui della mia colazione che, come avevo previsto, erano rimasti sui denti e tornai di là.
Mi sedetti: “Allora ch…” ma mi bloccai. Presi rapido il menù e mi nascosi dietro quello.
Jin mi stava guardando come se stesse cercando di capire le intenzioni degli attori in un film senza audio. I suoi occhi mi
domandavano cosa stesse succedendo. Vendendo che fissavo qualcosa dietro di lui si girò. Io gli afferrai subito la mano, che teneva
poggiata sul tavolo, per farlo rigirare, accompagnando la presa con un verso.
Dietro di lui c’erano Taguchi ed Ueda. Che ci facevano lì?  Insieme poi.
Avvicinai il mio volto a lui tenendo la testa a pochi centimetri dal tavolo.  Pretesi che lui facesse lo stesso, gli strattonai la mano ed
anche lui si abbassò. Sembravamo due soldati dietro ad una trincea, o forse solo degli idioti.
“C’è Taguchi!” sussurrai.
Dopo aver capito il motivo dei miei movimenti Jin mi guardò storto e cercò di rialzarsi, ma lo bloccai percuotendo ancora la sua
mano.
“Che c’è?” chiese scocciato a bassa voce.
Lo guardai in cagnesco storcendo un po’ la bocca. “Non è da solo. E’ con il mio ex insegnate di box” asserì.
Continuò a fissarmi senza capire quale fosse il problema.
Sbuffai ed alzai gli occhi al cielo. “Voglio vedere che combinano, ma se ci vedono non faranno mai nulla”
“Ti improvvisi detective ora?” mi incalzò lui ironicamente.
“Ssssh!” sibilai sorridendo.
Ad un certo punto spalancai gli occhi e mi immobilizzai. Ero sotto shock. Jin sventolò davanti al mio viso la sua mano, ma non ebbi
nessuna reazione.
“S-si.. si.. si sono baciati” balbettai solo.
Jin strabuzzò, anch’egli, gli occhi.
Non me lo sarei mai aspettato. Mi ripresi, mi rialzai e feci segno a Jin di andare. Lasciai i soldi sul tavolo e mi diressi da Taguchi ed
Ueda, i quali erano troppo impegnati a fare le loro cose per poter accorgersi dei movimenti all’interno del locale.
“Uepi! Ti ho portato i soldi!” li interruppi.
Ueda si girò con sguardo assassino: “Va via! E fatti gli affari tuoi”. Taguchi scoppiò a ridere ma si arrestò nel attimo in cui Ueda lo
fulminò con lo sguardo.
“Non sapevo steste insieme” affermai posando la  mia mano sulla spalla di Ueda, il quale la guardo con quasi ribrezzo. “Va beh,”
continuai e spostai la mano dal suo corpo con quasi timore, “ti lascio i soldi qui” poggiai i soldi sul tavolo, fortuna che li avevo portati
dietro con l’intenzione di passare in palestra dopo il funerale, “ci si vede!” li salutai e prendendo Jin per mano lo trascinai
fuori dal caffè.
Eravamo appena usciti e non facevo altro che guardare la porta del bar. Avevo paura che uscisse Ueda e iniziasse a prendermi a
cazzotti.
Jin aveva iniziato a camminare e si stava allontanando dal locale. “Muoviti tartaruga!” mi sollecitò sorridendo.
Iniziai a camminare verso di lui. “Non sono una tartaruga” borbottai a bassa voce prima di raggiungerlo.
“Dove andiamo?” gli chiesi non appena l’ebbi raggiunto.
“Vieni!” affermò prendendomi la mano “ti voglio portare in un posto” e si mise a correre, per raggiungere il luogo dove aveva
parcheggiato la moto. All’inizio rimasi un po’ indietro, lo vedevo correre contro il sole. Come se sapesse esattamente dove voleva
arrivare. Io, come mio solito, rimanevo indietro e il sole non mi scaldava mai completamente il viso. Mi muovevo perché si muoveva
lui, correvo dietro di lui non verso ciò che volevo. Ma non sarebbe stato così ancora per molto. Finalmente, avevo capito verso cosa
volevo andare.
Affrettai il passo e lo raggiunsi. Lui si girò verso di me, non volgendo più lo sguardo al sole, mi sorrise. Mi fermai di colpo e, di
conseguenza, obbligai anche lui ad arrestarsi.
Jin si avvicinò di più a me. Io gli presi il viso tra le mani e lo baciai. Mi sembrò la cosa più giusta e normale da fare. Volevo che
questa sensazione di sicurezza mi accompagnasse per tutta la vita.
Nonostante pochi giorni prima mio padre fosse passato a miglior vita io stavo bene, ero in pace. Forse è proprio qui il punto: aveva
smesso di vivere soffrendo. Si era liberato della sua dipendenza. Era sereno, o almeno mi piaceva pensare che fosse così. Non avevo
mai pensato che potesse esistere una qualche vita ultraterrena, probabilmente non lo pensavo nemmeno in quel momento. Tuttavia
speravo che ci fosse per mio padre.
Speranza, tutti ci nutriamo di speranze. Perché ci piace immaginare, o perché abbiamo paura del futuro. Qualunque fosse la risposta
non importava. Sarebbe stata buona e valida qualsiasi opzione. L’importane è riuscire a proseguire a testa alta, in qualsiasi modo.
Qualsiasi cosa ci rassicuri è corretta. Non per tutti, ma per qualcuno lo è.
Quando i nostri visi si allontanarono l’uno dall’altro gli sorrisi, e riprendendolo per mano mi misi a correre. La situazione si era
invertita: adesso lui mi stava raggiungendo accelerando.

Mi aveva portato sulla riva del fiume.
Il sole si specchiava nell’acqua, resa azzurra dal colore del cielo. Sembrava che il riflesso brillante nell’acqua emanasse calore, come
lo emanava quella palla di fuoco sopra la nostra testa. Sicuramente, però, se mi fossi gettato in acqua per toccarlo sarebbe svanito e il
mio corpo sarebbe stato circondato dal freddo del liquido nel quale ero immerso.
Nel immaginarmi tutto questo mi venne in mente il sogno che feci non appena conobbi Jin. La mia vita fino a quel momento era
paragonabile al sole riflesso nell’acqua. Ora vivevo, non mi immaginavo di vivere.
Eravamo rimasti immobili ad osservare i giochi di luce che il sole aveva il potere di creare con l’ausilio dell’acqua.
Ci sedemmo, come se avessimo sentito che era il momento di farlo. Mi era già capitato, ma questa sensazione si ripresentava: sentivo
le nostre menti legate. Non parlammo per un po’.
Il calore del sole si era un po’ indebolito quando iniziai a parlare: “Sai Jin,” come iniziai lui si girò verso di me con gli occhi umidi.
“Perché stai piangendo? E’ successo qualcosa?” chiesi preoccupato avvicinando il mio corpo al suo.
Lui si strofinò gli occhi e replicò: “Ma no! E’ solo che ho tentato di guardare il sole”.
Nell’aver preso atto di questo, tornai alla posizione precedente, allontanandomi dandogli una lieve spinta sulla spalla sinistra.
“Che cosa mi volevi dire?”
“No, niente” risposi io distogliendo lo sguardo.
“Kazuya!” mi apostrofò inclinando la testa.
“Ormai è passato. Prima o poi te lo dirò”
“No. Non prima o poi. Ora” affermò obbligandomi a parlare.
Mi vergognavo a dirlo. Non sapevo che cosa mi fosse preso un attimo prima, ma ora tutta il mio coraggio si era dileguato.
Respirai profondamente ed iniziai: “Dicevo che… Okay. Volevo dire che… una volta era tutto diverso. Prima ero completamente
solo. Probabilmente tu non lo sai, ma spesso passavo notti fuori casa con ragazze che conoscevo in discoteca la sera stessa. Adesso
sono arrivato a capire che probabilmente lo facevo solo perché mi sentivo…” feci una pausa per cercare il termine più adatto
“abbandonato”
Jin era rimasto immobile ad ascoltarmi. Ora però era il suo turno: “Ti capisco perfettamente. Quando io ero in America mi sentivo
sempre fuori posto, inadeguato. Ma da quando sono tornato qui, da quando ho tra le mani l’unico rapporto del quale mi sia mai
importato veramente, sto bene. Mi piace anche insegnare, cosa che credevo impossibile” finì con una flebile risata.
“Penso di aver capito cosa voglio nel mio futuro. Dopo tutto quello che è accaduto alla mia famiglia, mi piacerebbe poter aiutare i
ragazzi che vivono queste situazioni indirettamente, e chi vive la dipendenza direttamente. Io sono riuscito ad uscirne grazie a te, ma
non tutti hanno questa fortuna” sospirai, “certo è che dovrò mettermi a studiare seriamente per diventare la persona che finalmente
ho capito di essere, ma direi che ne varrà la pena” conclusi strizzando l’occhio.
Jin sorrise e sentii che quel sorriso era uno dei più intensi che mi avesse mai mostrato. “Sono davvero fiero e felice per te, Kazuya!”
Si avvicinò a me e mi baciò. Io inspirai quel profumo, Jin. Era tutto perfetto in quell’istante. Volevo che le lancette dell’orologio
cessassero di muoversi.
Mi ero ritrovato e con Jin ero sicuro che non mi sarei più perso.

After a few years it will become a memory
So I tried to add the forgotten memories to this moment now.
[…]
I had lost sight of something as the days
passed by
Just like that, I have to make the first move
To not let go of the hand I am holding.
                                  (Care – Jin Akanishi)

   
 
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