Thanks to everyone
Per il
supporto, per i complimenti, per l’assiduità con cui seguite questa altalenante
storia a puntante. E’ di rito ribadire l’impossibilità di garantire più
frequenza: posso solo e sempre promettere che non verrà mai del tutto
interrotta.
Buona
lettura a tutti.
Spero che questo capitolo sia in grado di piacervi e coinvolgervi.
Le cose
cominciano a muoversi…
… ma non
come tutti sperate.
The
Draco and Hermione’s Opera
Capitolo 10. Tra il prima e il poi [Parte Seconda]
I thought
the world of you
I thought nothing could go wrong
But I was wrong
I was wrong
If you, if you could get by
Trying not to lie
Things wouldn’t be so confused
And I wouldn’t feel so used
Pensavo che eri
tutto il mondo
Pensavo
che niente potesse andare male
Ma mi sbagliavo
Se tu, se tu potessi farcela provando a non mentire
Le cose non sarebbero così confuse
E io non mi sentirei così usato
[Cranberries – Linger]
*** *** ***
Domenica 15
Dicembre. Ore 15.37
Hogwarts. Un corridoio a caso.
Non si è fatta vedere…
Sconvolgente,
quella considerazione turbava profondamente tutto il suo essere. Tanto da
indurlo a calpestare con aria oltraggiata il pavimento dei corridoi di
Hogwarts, sfogando l’irritazione su di esso in attesa
di poterlo sfogare sulla persona che così sconsideratamente gliel’aveva
causata. E, per inciso, non appena l’avrebbe trovata, prima di disintegrarla
con un raggio laser o decapitarla con un calcio rotante, l’avrebbe messa a
parte del fatto che in tutta la giornata non si era fatta
vedere neanche una volta!
Lo trovava
inconcepibile!
La fronte
aggrottata e lo sguardo tagliente vagavano corrucciati da uno studente
all’altro, cercando la chioma riccioluta di quella cretina che l’aveva esentato
dallo studiare, quel giorno, e l’aveva mollato come un idiota senza nulla da
fare!
Non è che
lui prendesse ordini da lei, eh! La questione era
molto differente!
Per quel
che lo riguardava era altresì ben ora che lei si rendesse conto di quanto lui
le fosse superiore! Del resto, riteneva oltremodo indegno che una persona si
prendesse la responsabilità della sua specifica istruzione e vi si sottraesse
con tutta quella leggerezza! Se fosse stata l’istruzione di Barile/Botte Paciock avrebbe trovato giustamente indegno il contrario,
ovviamente. Ma si trattata della sua
istruzione! Del suo futuro! Del perno
di tutta la sua vita!
O per lo
meno di quello che avrebbe dovuto essere.
E per
quanto non lo fosse, trovava doppiamente
indegno che quell’ignobile persona non lo considerasse tale, mancando di
fiducia nel fatto che un giorno avrebbe potuto esserlo!
Nello
svoltare per entrare nel porticato del cortile interno di Hogwarts, però, lo
raggiunse una voce famigliare:
« Draco! »
Inconfondibilmente
Hermione Granger.
Trovata!
Si girò
seccamente verso dove era arrivata la voce, psicologicamente pronto a urlarle addosso tutto il giustificatissimo
rancore per averlo tanto impudentemente ignorato per tutto il giorno. E non
crediate: non è che quando se la vide arrivare in una corsa sgraziata,
sorridente nel suo solito modo assurdo, con i capelli che ondeggiavano crespi
al vento, lui pensò che le avrebbe risparmiato qualcosa.
Eh no!
Anzi, a maggior ragione l’avrebbe ripresa perché
ingiustificatamente felice!
Perciò,
assolutamente sicuro di sé, dilatò le narici, inspirò profondamente, aprì
spropositatamente la bocca, gonfiò ancora di più il petto e-
« Draco,
finalmente ti ho trovato! »
E flop.
Il fastidio
si afflosciò.
Ma non
perché era contento che lei l’avesse cercato, eh!
A lungo, comunque.
Certo,
ovviamente doveva essere stato a lungo. Non c’erano possibilità che non lo
fosse, altrimenti non avrebbe detto “finalmente”. Ed era indubbio che se invece
avesse iniziato a cercarlo poco prima e accidentalmente trovato presto – o,
peggio, se proprio si fossero incontrati per caso e proprio in quell’istante
lei si fosse accorta che avrebbe dovuto cercarlo - sicuramente non sarebbe
stata graziata del raggio laser o del calcio rotante. Del resto, raziocinando
con estrema obiettività, ritenne che il fatto che l’avesse cercato – e cercato
a lungo (magari addirittura dalla sera prima, non lo escludeva affatto, infondo
lui si sarebbe cercato dalla sera prima se se ne fosse
venuta a creare l’occasione) potesse rendere un poco più perdonabile la sua
comunque scorretta e deplorevole attitudine irresponsabile.
Con una
disposizione d’animo molto più indulgente aspettò dunque
che lei si avvicinasse ancora di qualche metro. Lo fece guardando attentamente
la goffaggine con cui sgambettava in modo assolutamente ridicolo verso di lui.
E, si, a
quel punto si sentì disposto a risparmiarle un po’ tutto quello che aveva
progettato di infliggerle.
Gli venne
anche quasi voglia di rivolgerle una specie di smorfia derisoria.
Qualcosa
che a un sorriso ci sarebbe anche assomigliato, magari. E, forse, i molti che
intorno a lui stavano notando, perplessi, che il Draco Malfoy sempre
corrucciato, arrogante e sprezzante di sempre in quel momento aveva qualcosa di
molto diverso dal solito si sarebbero infine convinti che non fosse davvero solo
un’impressione.
Che più
sereno di tanti lo fosse diventato sul serio.
D’altro
canto non appena si rese visibile, appena dietro a Hermione, un’inconfondibile
testolina scarlatta, il suo umore capitolò rapidamente.
E tornò il
caro vecchio, cupo e aspro, odioso e collerico Draco Malfoy che tutti conoscevano.
Riaggrottando la fronte che si era appena rilasciata, concluse rapidamente che l’indifferenza
e la sciatteria con cui Hermione Granger l’aveva ignorato per almeno tutta la
mattina – composta da ben cinque ore, 300 minuti e ben
18.000 secondi - trascorrendola viceversa con quella sottospecie di piattola
ambulante era decisamente imperdonabile!
Altero,
persino marmoreo nella sua nuova veste di giudice supremo, accolse Hermione assottigliando
lo sguardo e ribattendo seccato:
« Che
c’è? »
Ginny
Weasley gli scoccò un’occhiata fulminante, come per dirgli di tacere
immediatamente e non rivolgersi ad una sua amica in quel modo.
Gli
saltarono subito i nervi.
Da quando
in qua quel Piattolame Strisciante pensava di valere
tanto da prendersi il diritto di opporsi ad un suo modo di fare?! L’idea che lo pensasse da sempre
unita all’immagine della loro più recente, furiosa discussione – in cui l’aveva
apostrofato in mille indignitosissimi modi – diede
fuoco a tutti i nervi rimasti.
Le rilanciò
uno sguardo cocente.
Hermione,
invece, ignorando completamente qualsiasi fattore esterno – preda, solamente,
di una fervente eccitazione – esclamò:
« Volevo
chiederti come andava il Manuale! E’ da ieri che ci penso! Com’è? Abbastanza
chiaro? Scorrevole? Interessante? »
« Quale
Manuale? » Domandò in tono inquisitorio la sorella del bifolco più bifolco
della famiglia più bifolca del mondo del bifolchi. Squadrando
con sospetto e un qual certo istintivo orrore l’espressione contenta dell’amica.
Da parte
sua, lui le lanciò un altro sguardo assolutamente inequivocabile.
Di
un’irritazione molto diversa dalla precedente, però.
Perché, più
di tutto, non trovava legittimo che quell’isterica e insignificante ragazzina
se ne stesse lì, con quell’espressione da schiaffi, a partecipare ad una cosa
che non la riguardava. Certo, era odiosa anche solo per il fatto di esistere,
anche solo per essere nata sotto lo stesso tetto di Ronald Lenticchia Weasley,
Zerbino tutto fare e senza prezzo… ma restava tutto sommato sopportabile finché
non interveniva in qualcosa che, obiettivamente, non c’entrava proprio niente
con lei.
Per la
precisione, quando Hermione Granger parlava con lui, i suoi stupidi amichetti
non dovevano intromettersi. Niente perché. Niente ma. Niente obiezioni. Niente
di niente.
Era così e
basta.
Per questo
replicò aspramente molto prima che potesse farlo
Hermione:
« Nulla
che possa interessarti, Weasley. »
Un lampo
passò negli occhi acquosi di Ginny. Che subito scoccò a Hermione, accanto a lei,
uno sguardo triplamente inquisitorio.
Caschi male, stracciona, nessuno ti dirà niente.
« Un
Manuale che abbiamo comprato ieri a Hogsmean. » Disse
al contrario Hermione, spensieratamente. In un gran sorriso che lui ritenne ebete
in una maniera a stento concepibile.
Le lanciò un’occhiata
tra lo sconvolto e l’indignato, sbottando con voce acuta:
« Perché
gliel’hai detto?! »
« Siete
andati a Hogsmean insieme?! »
Stridé invece Ginny, con voce ancora più acuta, e ancora più sconvolta.
Nell’istante
esatto in cui Hermione scostò il capo per raccontare all’amica le loro
vicissitudini, lui aggrottò la fronte con profondo risentimento.
Perché
aveva risposto prima a lei? Perché si stava rivolgendo a quell’essere inutile quando lui era presente? E perché le parlava come se
fosse un essere utile?! Il fatto che fossero sempre state grandi amiche non gli
sembrava una motivazione sufficiente!
Ma alla
fine Hermione sorrise anche a lui. Ancora entusiasta. Ancora eccitata alla sola
idea di quell’insulso manuale. Ancora ridicolmente contenta.
E lui se ne
dimenticò…
Si
dimenticò che aveva pensato che esistessero affari solo loro. Si dimenticò che Hermione aveva impunemente prestato prima
attenzione a Ginny Weasley piuttosto che a lui. Si dimenticò che esisteva Ginny Weasley.
E la corresse, aspro per la necessità di essere se stesso, con
una smorfia sul viso che non era solo una smorfia:
« Comunque
è uno stupido manuale. »
Hermione inarcò
le sopracciglia, ritraendosi con sdegno e dando definitivamente a Ginny le spalle
e la chioma riccioluta. Cominciò allora a rinfacciargli che non era affatto
stupido. E tanto più lui le rinfacciava che invece lo era,
tanto più lei si ostinava.
Per qualche
minuto gli piacque notare come Miss Migliore Amica venisse
tenuta da parte. E poco importava se non era tanto per
lui quanto per un libro – che comunque apparteneva a lui.
Per il
resto del tempo, comunque, per quanto splendidamente cupa potesse diventare
E quando si
separarono, Ginny Weasley era una maschera di disapprovazione e lugubrità che si riduceva ad una macchia inutile su un
pavimento.
Mentre loro
due erano semplicemente loro due.
Nelle loro versioni migliori.
Ma questo
per qualcuno era un po’ davvero troppo…
Tornò tranquillo
nella sua sala comune.
Guardando fuori da una delle finestrelle che davano sul cortile gli
parve che stesse per ricominciare a nevicare.
Si sentì
pieno di un luminoso senso di aspettativa.
Perché se
avesse di nuovo nevicato lui e Hermione avrebbero di nuovo fatto a palle di
neve. Era quasi sicura che ci sarebbe stata occasione senza andarla troppo a
cercare. Ma se mai non ci fosse stata, riteneva comunque che non sarebbe stato
troppo difficile crearla. Infondo, lui non era per niente una persona distratta, ma Hermione era abbastanza credulona da poterlo pensare
se glielo si fosse fatto credere.
Perciò
sarebbe bastato poco per convincerla che aveva di nuovo dimenticato un qualche
manuale al campo di Quidditch. Da lì, poi, tutto
sarebbe stato semplice. Un’offesa inventata. Una palla di neve lanciata.
Qualche scivolone e qualche corsa tra le panche.
E se
proprio sarebbe venuta troppo presto l’ora di rientrare al castello, avrebbe
comunque potuto fingere che lei gli avesse tirato un
sasso in testa. Così, di certo, se anche fossero rientrati, sentendosi
colpevole lei non se ne sarebbe tornata dai suoi stupidi amici
ma sarebbe rimasta a vegliare sulla sua ferita.
Davanti ad
una finestra.
Aspettando
la prossima nevicata.
E pensando
che la primavera era ancora molto, molto lontana. Pensando a un numero
probabile di volte che avrebbe davvero potuto nevicare. Una smorfia soddisfatta
gli illuminò non lo sguardo, ma proprio tutto
il viso.
Era quello
il suo limbo.
In cui
pensava di poter restare ancora a lungo. In cui pensava di poter decidere cosa
fare, quando farlo, con chi farlo, condizionando tutto e tutti e non venendo condizionato da nessuno. Era quello il limbo in cui
si sentiva libero di fare qualunque cosa e di star bene, alle sue condizioni,
finché ne avesse avuto voglia.
Inutile
dire che arriva per tutti, prima o poi, un momento per capire come vanno
realmente le cose…
« Ti
diverti? »
Si girò verso
l’ingresso della sala comune, stranamente vuota a quell’ora del pomeriggio. A
pochi passi dalla soglia, una Pansy Parkinson straordinariamente al peggio di sé lo scrutava
con stampata in viso una smorfia scolpita nelle pietra.
Le braccia incrociate sul petto. Le pupille già fiammeggianti.
« Come? »
Le domandò, subito inacidendosi.
« Ti
ho chiesto se ti diverti. » Ripeté lei, schioccando le parole con un tono
tagliente, mentre gli occhi azzurri lo fissavano con un’espressione strana.
Un’espressione
di fronte a cui, per dirla tutto, gli andò subito il
sangue alla testa.
Perché Pansy lo guardava quasi come se lui fosse un Corvonero. Anzi, peggio!
Un Tassorosso! E oltre a Lady Polpaccio-da-Macho Weasley che si intrometteva nei
suoi affari, ciò che odiava più al mondo era Pansy Parkinson che lo guardava come se fosse un Tassorosso!
Inarcò le
sopracciglia, altamente seccato.
« A
fare cosa? » Schioccò, acido.
« A
farti mettere sotto da quella sciacquetta della
Granger. » Sibilò, velenosa, Pansy, con un lampo
crudo che le sfrecciò negli occhi.
Lo sguardo
gli si acuì a sua volta, infiammandosi rapidamente.
« Io
non mi faccio mettere sotto da nessuno! » Sbottò, indignato. Da nessuno,
in generale. E meno che
Beh, Draco
Malfoy, di donne, non ne capiva un’h.
« Mi
stai dando dell’isterica, Draco? » Vibrò Pansy,
cominciando a fissarlo con uno sguardo da indemoniata.
Si ritrasse
di un passo, perplesso.
E adesso che le prende?
Le aveva
fatto qualcosa? Non gli sembrava. L’aveva offesa in qualche modo che si
meritava? Probabile, ma comunque se lo meritava. L’aveva offesa, allora, in
qualche modo che non si meritava? Improbabile: che insulto non si meritava?
Forse, essendo lui molto bello… no, anzi, essendo lui eccezionalmente bello, Pansy era gelosa
del fatto che per lui non fosse più importante della cicca sputata da Goyle e appiccicata da Tiger
sotto la cattedra della McGranitt giusto due giorni
prima.
Quando la
vide avanzare, a pugni stretti, e intravide un libro appoggiato sul comodino
vicino, un improvviso dejaveu gli balenò nella testa.
E tutto
d’improvviso le guance gli si incassarono, impallidendo.
Oh porca vacca…
Cominciando
a sudare freddo e ad un passo dall’essere preso dal panico, afferrò stoicamente
il vago sprazzo di lucidità che ancora possedeva e osò il tutto per tutto. In
un gesto fulmineo, avanzò, agguantò il libro con una mano e ri-indietreggiò
di due passi, per estrema precauzione.
Gettando
un’occhiata rapida a Pansy notò che questa aveva
assottigliato ancora di più lo sguardo e dilatato le narici del naso in una
maniera eccezionalmente minacciosa. Ma, del resto, sentendosi il libro tra le
mani, le sue guance tornarono del bel bianco-verdastro di sempre, ri-ingrassando di qualche grammo.
Infondo – anche se obiettivamente non era il suo punto migliore - ci teneva
alla sua fronte. E senza libro, per quanto folle, Pansy gli sembrava a quel punto relativamente innocua.
Decisamente, Draco Malfoy, delle donne, non ne capiva un’h.
« Cosa… »
Pronunciò con voce strozzata Pansy, mentre lo
scintillio nei suoi occhi acquisiva una più tetra e nello stesso tempo più
intensa luminescenza: « Si può sapere cosa
diavolo ti affascina tanto di lei?! »
Ed ecco il
momento esatto in cui Draco Malfoy ebbe il suo momento di gloria come replica
perfetta dell’Urlo di Munck.
Perché non
si ammutolì, semplicemente, traumatizzato. Non spalancò semplicemente gli occhi
in risposta ad uno sgomento che gli sorgeva
direttamente dall’anima a quel punto straziata. No, in quel momento tutto il
suo essere acquisì le tonalità drammatiche di un cadavere che ha avuto una vita piena di tanta, tanta sofferenza.
Ritornare
alla realtà, dopo l’attimo di vuoto assoluto che si era impadronito della sua
mente provata, non fu d’aiuto.
Io affascinato… da CHI?
« Ho
bisogno d’aria… » Biascicò, atterrito, facendo un passo incerto verso le
scale e scostando gli occhi al pavimento. Lottando strenuamente per non
accasciarsi al suolo, preda di violenti sbalzi di temperatura e di un vorticoso
capogiro.
Hermione
Granger era una persona intelligente?
Va bene,
era intelligente. Era, inoltre, tutto sommato, generosa e
gentile? Va bene, tutto sommato lo era. Ed era divertente? Oh si, lo era eccome. Di un ridicolo allucinante, da piegare in
due la persona più cinica e indifferente della terra. Ed aveva l’aspetto di un
essere umano? … ok, magari non ad una prima occhiata,
ma infondo si poteva definire una pianta o un animale? No, perché anche se i
suoi capelli erano un po’ come la chioma del Platano Picchiatore comunque aveva
due mani con cinque dita ciascuna. Il che implicava
che fosse per lo meno un animale. E del resto, se lo fosse stato avrebbe dovuto
necessariamente essere una scimmia – sempre per la questione delle dita. Ma lei
era una scimmia?
…
Una scimmia, eh…?
No… ok, non era una scimmia. Va bene! Era un essere umano! Lo
era! E va bene! VA BENE! OGNI TANTO SEMBRAVA PURE UNA RAGAZZA! SI! Si, per dio,
lo ammetteva!!
Ma… affascinante?
Travalicava
a stento i limiti della decenza.
E senza
scomodare tutto il resto, sarebbero bastati i capelli ad annichilire ogni minimo
dubbio al riguardo.
Incurante
dello stato spaesato e puramente sconvolto in cui versava in quel preciso
momento, distrutto psicologicamente dall’idea che qualcuno lo credesse capace
di rimanere affascinato da Hermione Granger, Pansy
gli si avventò addosso, facendolo ritrarre istintivamente di un altro passo.
« L’hai
già dimenticato, Draco? » Gli gridò, alterata, tesa come una corda di violino
per ragioni che lui, sinceramente, avrebbe fatto fatica a capire persino se
fosse stato lucido. E per di più – a causa di quella pazza! – non era mai stato
in uno stato più confusionale di quel momento! « Hai
già dimenticato tutto quello che rappresenta?! Quello
che lei, semplicemente, incarna! » Aggrottò le sopracciglia, turbato. Ma
che diceva? Incarnare? Ma stavano parlando di cibo? E perché proprio di carne?
A lui non piaceva. Gli piaceva la marmellata all’arancia, invece. E comunque
cosa c’entrava il cibo?! « Hai già dimenticato
quante volte hai pensato che saresti stato contento che non esistesse?! » Che non esistesse chi? Cosa? La carne? La marmellata all’arancia? « Quante volte lei,
Draco, quante volte
Pur nella
confusione mentale di quel momento, quelle parole Draco le intese nitidamente.
E in un
gesto inconscio, secco e rapido, allontanò la mano che Pansy
aveva teso verso di lui nella foga del momento. E la guardò inconsapevolmente
serio. Con qualcosa nello sguardo che era insieme lacerante e lacerato.
E per
quanto Pansy sarebbe impallidita, dalla rabbia,
dall’angoscia o dal terrore, da quel momento in avanti chi avrebbe perso
veramente colore, tra i due… sarebbe stato lui. Mentre il tono della
conversazione che fino a quel punto gli era sembrata
un gioco – pur di pessimo gusto – acquisì qualcosa di così amaro da fargli
salire un conato di vomito in gola.
« E se
anche fosse? » Ribatté, cercando di scacciare qualsiasi pensiero dalla
mente. Ma con la fronte talmente aggrottata da fargli male.
« Credi
davvero che per lei non sia più così? » Gli domandò fremente Pansy. Con le membra tremanti. Con la voce stridula che gli
parve così acuta che le orecchie cominciarono a fischiargli. « Credi
davvero che lei abbia improvvisamente messo tutto da parte? Credi davvero che
voglia stare con te?! »
« Che
diavolo stai dicendo?! » Replicò, con lo sguardo
che lottava per non apparire contratto da un’improvvisa mancanza d’aria.
Che diavolo
stava dicendo?
Una persona
che correva in quel modo così stupido. Che rideva in quel modo così ridicolo.
Una persona che si impegnava in quella maniera così maniacale. Che detestava il
Quidditch
ma avrebbe inforcato una scopa per dimostrare di saperci andare. Una
ragazza che andava in giro con quel tipo di capelli senza vergognarsene. Che
capeggiava guerre contro gli Elfi Domestici e si entusiasmava per un libro.
Una persona che sapeva essere orgogliosa di tutti…
Una persona
così valeva mille Pansy Parkinson.
Una persona così poteva essere gentile col suo peggior nemico. Una persona così
poteva sorridere a chiunque. Vivere nel suo limbo lasciando che lui decidesse
tutte le regole. Una persona così poteva… poteva…
Cancellare sei anni d’odio?
Si, Hermione
Granger l’aveva fatto! Era strano? E allora? Lei era strana!
Lei l’aveva
fatto!
Oppure…
Oppure…
Oppure
aveva ragione la voce che stava disfacendo il suo cervello.
La voce che
ancora non ascoltava. La voce a cui non aveva dato
importanza, fingendo che non ne avesse. A cui aveva
sempre guardato con supponenza, pensando di poterselo permettere. Una voce che
parlava di un’idea che una persona che ha visto anche solo per un momento
quanto in basso possano cadere le persone, ha, almeno una volta, per chiunque
lo circondi.
L’idea che
sei anni di odio non si cancellano.
L’idea che
Hermione Granger, per quanto potesse essere speciale, non sarebbe
mai potuta, comunque, essere così impeccabile…
Fu strano…
…
impercettibile, quasi…
… ma in
quel momento sentì qualcosa spezzarsi.
« Tu
sei stato solo il meno sveglio! » Urlava Pansy, invece,
sconsideratamente. Persino, quasi con disperazione. « Tu sei stato solo
quello che si è lasciato ingannare dai sorrisi! Dagli sguardi! Per questo lei è
rimasta con te fino a questo punto! »
La sua
espressione si deformò, spaccandosi come quello che si era appena spaccato
dentro di lui. In frantumi, un senso agghiacciante di frustrazione e cocente
vendetta lo invase. E gli occhi gli si dilatarono, mentre la fronte gli si
contrasse.
« Quando
guardava te, i suoi occhi non vedevano te! »
E il libro
che le dita tenevano a stento divenne improvvisamente impossibile da sostenere…
« Quando
guardava te, i suoi occhi vedevano- »
Uno screzio
acutissimo mozzò in gola la voce di Pansy.
Il libro
che aveva tenuto tra le dita vigeva sul pavimento, dopo avervi cozzato e aver
prodotto uno screzio che era echeggiato, breve, per le mura di pietra.
La sua mano
restava ancora mezza sollevata. Stretta in una morsa brutale che ne sbiancava
le nocche e ne faceva tremare le ossa.
Pansy
Parkinson, invece, restava in
piedi, pietrificata e ammutolita, di fronte allo sguardo incredibile di
un ragazzo che conosceva da anni e di cui sino a pochi giorni prima avrebbe
detto di conoscere ogni espressione come le sue tasche. Del resto, come non gli
aveva mai visto il sorriso che lui aveva rivolto a Hermione Granger, poco
prima, e per cui aveva voluto farlo pagare… non gli
aveva neanche mai visto lo sguardo con cui la fissava in quel momento.
Quel
rancore che serrava i denti, per far uscire non un grido… ma un singhiozzo
spezzato.
*** *** ***
Domenica 15
Dicembre. Ore 18.37
Hogwarts. Sala Comune di Grifondoro.
Ginny
Weasley, abbandonata su una delle morbide poltrone di velluto rosso che troneggiavano
nella stanza, fissava il camino con bieche occhiate di profondo risentimento. Avendo
da molto rinunciato a lanciarle alla persona che le sedeva nella poltrona
vicina e minimamente le aveva dato retta, assorta nella lettura di un enorme
volume di Aritmazia.
Dopo alcuni
attimi riempiti solo dal rumore scoppiettante dei lapilli del fuoco, Ginny si
decise infine a mugugnare, tetramente:
« Ancora
non posso credere che tu sia andata con lui a Hogsmean,
Hermione… »
Sollevò gli
occhi arzilli su di lei, guardandola con un’innocenza disarmante.
« Come? »
Le chiese, inarcando le sopracciglia limpidamente.
« Niente.
» Borbottò Ginny, sprofondando mollemente nella poltrona. « Ho detto che non
posso credere che inizino le vacanze. »
« Vero? »
Assentì con aria corrucciata, chiudendo con contrarietà il libro di Aritmazia. « Anche secondo me
è troppo presto. »
In effetti,
avevano fatto davvero pochi compiti. Pochi test. Trovava persino più opportuno
che per il settimo anno venissero abolite tutte le
vacanze.
Sarebbe
stato senz’altro più funzionale.
Vide Ginny
mettersi una mano sulla fronte, scuotendola con rassegnata esasperazione.
« Io
intendevo che sono felice che siano iniziate. »
« Oh. »
Esclamò, sorpresa e in qualche modo risentita.
« Va
beh, comunque martedì facciamo la festa per l’inizio delle vacanze. » La
incalzò Ginny con un po’ d’indolenza. « Ci vieni, no? »
In uno
slancio istintivo di trepida disapprovazione per il sovvertimento delle regole
per mere ragioni di ricreazione comune, si frenò appena prima di aprire la
bocca. Riafflosciatasi cupamente sulla sedia, in
preda al tormento che le recava aver voluto partecipare ad una festa sovversiva
– vedi, quella per la vittoria di Serpeverde – troncò la disapprovazione, offesa
con se stessa per non essersi permessa di mantenersi una studentessa onesta.
Rispose con
un sommessissimo e profondissimo:
« …
si. »
Ginny inarcò
un sopracciglio, più soddisfatta.
« Bene. »
Disse quindi, ritirandosi un po’ su sulla sedia, con qualche più vigoroso
sospiro. « Sarà una bella festa, vedrai, ti divertirai. »
Oh beh, allora
erano a posto!
Fissava
ombrosa il fuoco scoppiante cercando una punizione abbastanza cruenta per il
suo comportamento orribilmente irresponsabile. L’idea che si sarebbe divertita
partecipando ad una festa che per la sua più aurea quintessenza violava una tra
le più importanti regole di comportamento di Hogwarts non sapeva certo
consolarla!
Maledetta Festa di Serpeverde!
Come le era
venuto in mente di andarci?!
Ah già, Draco mi aveva invitata…
… ehi, un momento…
Un’idea che
le sembrò subito incredibilmente geniale
le attraversò il cervello e le schiarì il viso cupo in un’espressione
folgorata.
« Senti,
Ginny… » Esordì, persin sconcertata da se stessa
da siffatta grandezza di pensiero.
Ginny si
girò verso di lei, tranquilla.
« Cosa? »
« Posso
portare Draco alla festa? »
« Prego? » Proruppe Ginny assottigliando
lo sguardo su di lei con minaccioso sconcerto.
« Beh,
ecco… lui mi aveva invitato alla festa di Serpeverde, quindi… » Cercò di
dire, esitante, con gli occhi che restavano speranzosamente riflessi in quelli
dell’amica.
Lasciò le
parole sospese, fiduciosa del fatto che Ginny avrebbe infine compreso la sua
buona fede. Infondo era solo una festa. E lui l’aveva invitata a quella di
Serpeverde. Senza contare che, pur in una maniera alquanto atipica, Draco aveva
avuto verso di lei qualche sorta di premura.
Non è che fosse in debito, o che volesse ricambiare. Era una specie di
definitivo accordo di tregua.
Una specie di suggello di amicizia?
Nel
pensarlo le venne in mente un sorriso.
Era quello
che erano diventati.
Qualcosa di
molto simile a quello, comunque. E la cosa, impossibile un tempo, la rendeva
invece in quel momento molto felice.
Draco era
un cretino, d’accordo. Ma anche Ron era un cretino.
E non
significava che li stesse mettendo sullo stesso piano.
Non li stava tanto meno paragonando. Il modo in cui Ron le
era stato amico… il modo in cui Ron le era amico, era un modo che non cercava in nessun altro e non aveva
mai neanche visto riflesso in Draco. Quando guardava Draco, a dire il vero,
vedeva sempre un tipo di cretino molto differente da Ron.
Per quanto
intensamente cretino allo stesso modo.
« Dimmi
che stai scherzando, Hermione. » Riprese Ginny, criptica e perentoria nel
tono di voce cadaverico.
Deglutì,
nascondendosi inconsciamente dietro il libro di Aritmazia
e osando ammettere, con voce fioca:
« …
ehm… no… »
Vide Ginny
socchiudere le palpebre e trarre un profondo sospiro per mantenersi calma. L’espediente
riuscì. Se non forse per i tremiti scomposti che cominciarono scuoterla ad
intermittenza facendola pensare che sarebbe rimasta ferrea e nauseata in una
disapprovazione granitica. Esordendo in un “no”, secco, a cui,
infondo, era pronta anche a rimettersi.
Al
contrario, in nome della loro amicizia, Ginny Weasley e i suoi principi morali
capitolarono dopo quindici secondi esatti.
Con una
sofferenza che le segnava il pallido viso e le contorceva lo stomaco in nodi
allucinanti. Che le faceva salire conati di vomito lungo la trachea – e c’è da notare che generalmente passano dall’esofago, il ché
dava l’idea di quanto tutti il suo apparato digestivo potesse non digerire la
cosa - Ginny esordì con voce strozzata:
« Se… »
« Si? »
Saltò su, guardandola con un gran sorriso.
Intuì il
conato di vomito brontolare nella gola di Ginny all’arcuarsi del tutto
involontario della sua bocca, mentre quasi soffocandosi nel dirlo l’amica
soffiava tra i denti:
« Se, per esempio, si togliesse dalla
faccia quella sua insopportabile aria superiore… »
Facile.
Potrei trasfigurare la sua faccia.
« Se non mostrasse troppo le sue insane
passioni per ciò che riguarda i Serpeverde… »
Mh,
già più difficile.
Ed era
mezza sicura che quando lui si sarebbe messo a
discutere sul fatto che gli unicorni facevano schifo e i serpenti erano belli –
argomento che nel suo immaginario sarebbe senz’altro saltato fuori – non
avrebbe potuto addurre come scusa che non è scientificamente provato che i
serpenti sono una passione ineluttabilmente legata ai Serpeverde.
Però potrei sempre tirargli un calcio sugli
stinchi.
Certo,
quello sicuramente avrebbe spostato l’argomento su altro.
« Se non mostrasse troppo di essere Serpeverde… » Continuava
Ginny, impallidendo attimo per attimo.
Ahia. Altro
difficile problema.
Trasfigurare
i suoi vestiti non sarebbe stato sufficiente. E non avrebbe potuto tirargli un
calcio sugli stinchi perché non sarebbe cambiato nulla.
Però una
gomitata nello stomaco magari avrebbe fatto la differenza.
« Se, insomma, potesse riuscire ad essere
meno se stesso … »
E qui non
gli venne in mente nessun espediente violento o pacifico per ovviare al
problema.
Del resto,
nel tentativo di non svenire dalla vergogna e dal senso di colpa per il tradimento
che sentiva stesse compiendo nei confronti di tutti i suoi più alti ideali, Ginny
terminò, in un sospiro pesantissimo:
« … forse… potrebbe venire. »
E la gioia
fu così immensa che, quasi luminescente,
saltò giù dalla sedia incurante di tutto. Vibrante dall’eccitazione. Stringendo
tra le proprie le mani fredde e pallide di Ginny.
« Grazie! Grazie!
» Gridò, estatica, prima di correre via.
Spezzato il
respiro a metà gola, Ginny osservò sconvolta le sue mani. Poi, ancor più
atterrita, il libro di Aritmazia rivoltato indignitosamente per terra, con tutte le pagine spiegazzate
che nell’euforia non si era accorta
di aver fatto cadere.
Tornò però indietro
appena pochi attimi dopo, con aria corrucciata. Si chinò sul libro. Lo chiuse.
Ne appiattì molto bene tutte le pagine. E solo dopo
averlo deposto con infinita cura sul
divanetto, ritornò sui suoi estatici passi.
E Ginny
Weasley tornò gloriosamente a respirare.
Sicura,
almeno, di una cosa: che Hermione Granger restava e con ogni probabilmente
sarebbe restata, sempre e comunque, Hermione Granger.
Ma la
verità era che felice, Hermione, lo era tornata come non lo era tanto…
Nello
svoltare, frettolosa ed eccitata, l’angolo dell’ennesimo corridoio si trovò di
fronte niente meno che Draco Malfoy.
I loro
sguardi si incrociarono da lontano.
Il suo si illuminò.
Quello di
lui si contrasse. Ma Hermione non lo vide, come non vide quanto crudamente la guardava mentre si avvicinava.
… era
talmente contenta che non lo vide.
E lo
salutò, piena di spensieratezza:
« Draco!
Ciao! »
Per la
troppa foga, incappò anche nell’unica pietra messa male di tutti i pavimenti di
Hogwarts e cadde carponi a terra, sbattendo le ginocchia sul pavimento.
Ahia!
Si rialzò
faticosamente, mettendo le mani sulle gambe e facendo una smorfia nel sentire
le ossa doloranti.
Ma nella
sua testa non cambiò nulla.
E quando la
risollevò – pur più contrariata – aveva ancora l’espressione di una persona che
ha tanto di quello che avrebbe voluto avere. Che è
felice di tante delle cose che le erano capitate.
… che una
di quelle cose, infondo, ce l’ha davanti…
Nel gelo
che l’accolse, nello sguardo vitreo di Draco, rimase imprigionata e, subito,
ferita.
« Non
chiamarmi più col mio nome. » Masticò il ragazzo, con gli occhi assottigliati,
pulsante dalla rabbia. L’espressione le si infranse
addosso. « Stammi lontana. » Ringhiò gelido, ancora, il Serpeverde,
fissandola con un astio profondo. Con le mani che gli tremavano. « Non
voglio più avere niente a che fare con te. Mai più, mi hai capito? »
Cosa…?
Non fece in
tempo a riprendersi che Draco le aveva già dato le spalle.
Cosa aveva
detto? Cosa era successo?
Lo seguì
ammutolita, solo con lo sguardo.
Non poté
obiettare, contrastarlo, fermarlo. Non poté nemmeno muoversi per qualche
attimo. Nella mente, solo il vuoto. Nella gola, solo un respiro che faticava a
deglutire. Negli occhi, solo un’angoscia improvvisa. Ma dentro di sé nessuna
domanda.
Non se ne
fece.
E neanche
dopo ore cercò un senso a niente… perché l’aveva guardata in una maniera che
non lasciava spazio a niente. Uno sguardo diverso da qualsiasi le avesse mai
rivolto.
Un rancore
vero.
Che aveva radici
molto più profonde di quello generato dall’illusione
di una nobiltà di sangue mancata…
E mentre
dentro di sé sapeva che quella era la fine di qualsiasi cosa ci fosse stata, si
sentì per un attimo come se gli occhi le si sarebbero
riempiti di pianto…
*** *** ***
Lunedì 16 Dicembre.
Ore 10.37
Hogwarts. Ingresso.
Certo, non
dover dire a Dean che aveva permesso a Hermione di
invitare Draco alla festa dei Grifondoro l’aveva fatta sentire molto meglio.
Sul momento,
anzi, non le era importata una bella cippa che Dean l’avesse fermata ancora prima
di iniziare a rotolarsi per terra supplicandolo di perdonarla, dicendole che
Hermione lo mandava a dire che per la festa non se ne faceva niente. Aveva
chiesto, ammutolita, il perché. Dean, altrettanto
ammutolito, aveva detto che aveva visti incrociarsi Hermione e Draco e gli era
sembrato che la temperatura fosse scesa molto sotto lo zero assoluto.
Scioccata,
l’ombra di un sorriso si era impadronita del suo viso.
Avevano
litigato?
Tanto meglio!
Non è che
smaniava all’idea di trovarsi accidentalmente di fronte Draco Malfoy ad una
festa dove si supponeva non ci fosse nessuno a cui
voler spaccare la faccia. Certo, a Lavanda e Calì un
bello schiaffone ogni tanto le veniva di darlo, ma da lì a risvegliare seri
istinti sanguinari, pieni di squartamenti e cruente lapidazioni c’era un passo
piuttosto lungo.
Beh, oddio… forse non così lungo, infondo.
Ma comunque
se si parlava di Malfoy, nello specifico, lo diventava! Ed era stata veramente
contenta di sapere che il pericolo di vederlo alla festa era stato scongiurato – anche se poi un improvvisa lettera mandata da
Mamma Weasley l’aveva rivoluta a casa giusto per quel giorno, e quindi buona
notte e suonatori alla festa di Grifondoro. E, parliamoci molto chiaramente,
quando Neville, quella mattina a colazione, aveva detto che credeva che le cose
tra Hermione e Draco fossero andate male, il ché – nessuno pareva ricordarselo
– era come erano andate esattamente per sei anni, aveva ringraziato il cielo in
olandese perché aveva esaudito le sue preghiere!
Mai avrebbe
sperato in qualcosa di meglio, ecco.
E comunque
qualcosa di meglio era perfino successo!
La cara Narcissa Malfoy, che per quel che le riguardava avrebbe
dovuto seguire il marito in qualche posto poco meritevole, aveva fatto recapitare
al figlio le stesse sollecitazioni della sua. Tralasciando l’avversione
intestinale che gli mettevano quelle coincidenze che in qualche modo li
accomunavano. Tralasciando la repulsione convulsa con cui per un attimo aveva
ringraziato quell’arpia con una qual certa reverente gratitudine. Tralasciando
tutto il resto, insomma si era preparata a partire in fretta e furia pensando
che tutto sarebbe tornato alla normalità.
E per
l’Hermione che non aveva visto dal giorno prima
riteneva che il modo migliore per iniziare quel periodo di catarsi fosse
vedersi strappata dal fianco la spina fastidiosa di quello che credeva di poter
chiamare, nuovamente, con assoluto, incredibile, appagante e inimmaginabile
orgoglio, la persona che sulla faccia della terra avrebbe avuto meno rapporti
amichevoli al mondo con lei e le persone a lei care.
Draco Malfoy, i tuoi giorni di gloria sono finiti!
Si, era
questo che aveva pensato.
Quando però
era scesa all’ingresso di Hogwarts, trascinandosi dietro le valigie, e l’aveva
visto accidentalmente incappare in Hermione e cercare di scansarla, pur non
riuscendoci, le era parso che l’espressione di Draco fosse di un gelo innaturale.
Che, infondo,
lo ammetteva, aveva comunque sorpreso anche lei.
Ma di Draco
se n’era subito fregata.
Quella che
aveva fatto crollare tutte le sue speranze era stata invece Hermione…
« Draco,
senti… » L’aveva sentita esordire, con una voce che le era sembrata subito
un po’ meno vivace del solito.
Aveva visto
Malfoy ritrarsi brusco, dando le spalle a lei, che guardava.
« Ti
ho già detto che non voglio avere niente a che fare con te. » L’aveva
sentito soffiare tra i denti, con un tono di un’asprezza corrosiva. « Non
farmelo più ripetere, Mezzosangue. »
Ehi, ma che diavolo gli prende?!
L’aveva
pensato.
Quasi in un
moto contrariato, quasi pensando – pur non volendo accettarlo – che si era
abituata che le cose non andassero più in quel modo. E si era offesa, forse,
non perché lui avesse parlato tanto male, ma perché lui non le avesse più
parlato bene.
Ma anche di
quello se n’era poi dimenticata.
Perché nel
ritrarsi di Hermione, dandole modo di vederla in viso, un’immagine
terribilmente evocativa si era sovrapposta quasi perfettamente a quello che
vedeva.
Lo scambio
di battute che era seguito, l’aveva poi raggelata.
« Io… »
Aveva detto nervosa e incerta Hermione. « Io… ecco… ti volevo dare questo. »
E aveva
tirato fuori un pacchetto.
Un regalo,
ne era sicura. Da come Hermione l’aveva guardato. Da come l’aveva tenuto. Da
come gliel’avrebbe dato, sa solo lui avesse voluto prenderlo. E, certo, un moto
di incredibile disapprovazione l’aveva travolta alla sola idea che Hermione avesse speso una sola falce per quell’idiota. Ma a farla
star male non era stato quello…
Draco aveva
lanciato uno sguardo tagliente all’oggetto.
E poi uno brutale a Hermione.
Secco, quasi
fremente, aveva sibilato:
« Non lo voglio. »
Era stato
solo un attimo, solo uno, ma le era parso che lui
stesse per sollevare un braccio tremante, e colpire Hermione. Si era scoperta
avanti di un passo, preoccupata. Ma se avrebbe colpito lui per aver colpito la
sua migliore amica, o sostenuto la sua migliore amica per essere stata colpita
da lui quello in quel momento aveva capito di non saperlo.
E la
differenza era sottile, ma c’era.
Quello che
invece era certa di sapere, era che l’espressione un po’ sofferente di
Hermione, ferita a quelle risposte, l’aveva colpita in una maniera che quasi
aveva fatto soffrire anche lei.
« Allora… ehm…
te lo lascio qui. » Aveva mormorato Hermione, con
un tono di voce sempre molto fievole.
« Fa
come diavolo ti pare. » Aveva sentenziato Malfoy, impenetrabile.
Impassibile. « E ora puoi anche andartene. »
E non aveva
aspettato che Hermione rispondesse qualcosa per fare i primi gradini verso
l’esterno. Ma fu certa che Draco avesse sentito l’amica quando
questa, da lontano, con una nota nostalgica terribilmente bassa, gli aveva
mormorato:
« Buon
Natale. »
E lui a
quel punto forse l’avrebbe picchiata davvero.
Forse a
quel punto uno schiaffo furente, vibrante, gliel’avrebbe impresso in viso come
si imprime un marchio, col fuoco.
Perciò era
stata contenta che Malfoy se ne fosse poi, invece, andato, ignorando con
sprezzo il regalo lasciato per terra.
Era stata
contenta e non aveva perso un secondo per raggiungere Hermione, che era tornata
all’interno della scuola.
L’aveva chiamata.
Hermione si
era fermata. Si era girata. E l’aveva aspettata qualche metro più avanti.
Avvicinarsi
non era stata una buona idea.
Hermione
sorrideva. Non era un bel sorriso. Ed eppure per quanto poco bello, per quanto
stanco, la smorfia tra le due la fece lei.
« Auguri
per la partenza. » Le aveva detto l’amica, sinceramente.
Tanto
sinceramente da rendere la sua smorfia ancora più contratta e i suoi occhi,
nell’osservarla, ancora più preoccupati.
« Già,
la mamma ha chiamato all’improvviso. » Aveva risposto, inventando una risatina
che era risultata priva di qualsiasi genere di allegria. « Quindi niente festa o cose così, solo a Natale dalla famiglia. »
Hermione le
aveva sorriso ancora, dicendo:
« A Dean sarà dispiaciuto. »
E lei si
era stretta nelle spalle, scostando lo sguardo da un’altra parte.
Cercò di
trovare il coraggio di chiederle perché Draco avesse cambiato così
improvvisamente umore, ma sapeva che avrebbe dovuto anche trovare il coraggio,
poi, di guardarla negli occhi quando le avrebbe risposto.
E quello
non l’avrebbe avuto.
Allora, pur
sentendo un peso sul cuore all’idea di lasciarla, l’aveva salutata:
« Allora
adesso io vado. »
Hermione
aveva annuito, salutandola a sua volta.
L’aveva chiamata solo pochi attimi dopo, quando già lei le aveva
voltato le spalle.
« Ah,
Ginny? »
« …si? » Le aveva chiesto, girandosi con fatica verso di
lei, temendo che accadesse qualcosa di brutto. Come se davvero potesse
succedere. Come se davvero quell’immagine che non le aveva lasciato la mente e
si era confusa con la realtà potesse essere un
presagio terribile.
Quello che
invece Hermione le aveva detto le aveva dato speranza…
« Salutami
Ron e Harry. »
L’aveva
detto dolcemente.
E in quel
momento lei era lì, a guardare Hermione Granger che nonostante tutto aveva
superato una crisi terribile. Che ne era uscita. Che sapeva ancora prendersi
cura delle cose importanti e considerare tutto importante.
Ma comunque
non riuscì a sorridere quando le garantì, con una
convinzione che risultò quasi grave:
« Senz’altro. »
Perché per
quanto avesse capito che si trattasse di una situazione differente, aveva comunque
sperato che non ci sarebbe più stati quei giorni. Quelli in cui Hermione era un
solo pallido esempio di sé. Certo, non così pallido come dopo quell’estate. No,
certo che no… ma anche se era sciupata solo un po’, sapeva che quando sarebbe
tornata dalle vacanze Hermione avrebbe avuto gli occhi incassati nelle cavità
oculari. Delle borse bluastre sotto di essi. L’aspetto
di una persona abituata ad essere stanca e triste.
Hermione,
che di energie ne aveva sempre avute. Che aveva una tempra morale e una fibra
indistruttibile. Un orgoglio incancellabile.
Stanca.
No… non
sarebbe sembrata più lei.
E tutto per colpa di Malfoy…
L’espressione
le si indurì, ritornando al pensiero di lui che così
tranquillamente cambiava umore, che così tranquillamente distruggeva Hermione.
E, si, le faceva rabbia.
Avrebbe
voluto che lui non fosse mai entrato nella vita
dell’amica. E un paio di settimane prima avrebbe anche fatto di tutto per farlo
uscire. Ma dentro di sé, giunti a quel punto, sperò che le cose si sistemassero.
Che lui si voltasse, tornasse indietro, che non la
guardasse più in quella maniera orribile. La
disturbava l’idea di pensarlo! La disturbava terribilmente! La disturbava
l’idea di dover rischiare di nuovo la sua sanità mentale e calpestare ogni suoi più alto principio morale per dire a Dean di aver lasciato che Hermione portasse Draco ad una
delle loro feste!
Ma
l’avrebbe fatto.
Per Hermione,
giunti a quel punto, l’avrebbe fatto.
Perché a
quel punto le cose non stavano come aveva sperato. Non stavano che Hermione si fosse sobbarcata di una responsabilità che doveva portare
avanti e che stava portando avanti sino alle più radicali conseguenze. Non
stavano che a Hermione sarebbe passata in fretta. Non stavano che Hermione
avrebbe potuto trovare qualcun altro con cui passare il tempo, una volta che le
fosse passata.
Non che
“tanto era Draco Malfoy” e quindi non c’era niente da perdere con lui.
Né che una
persona simile non sarebbe mai potuto diventare importante per nessuno.
No.
Anzi…
.. stavano
che Hermione aveva di nuovo perso qualcuno che, importante, lo era già diventato…
*** *** ***
Lunedì 16 Dicembre.
Ore 10.37
Hogwarts. Sala Comune di Serpeverde.
Theodore Nott si girò dietro di sé con uno sguardo atterrito.
E lui,
Blaise Zabini, accolse la cosa come un fausto
presagio.
« Che
c’è? » Gli chiese, con infinita tranquillità.
Prima di
rispondere, Theodore sprofondò, teso come la corsa di un violino, nella
poltrona accanto a lui, e trasse un paio di profondissimi sospiri, con gli
occhi che fissavano il pavimento pieni di solenne
angoscia.
Rettifico.
“Fausto”
non era sufficiente. Miracoloso era
decisamente più appropriato per definire quel presagio.
I due
profondissimi sospiri nel vocabolario di Theodore erano di rito per le
catastrofi. E per quanto bene si fossero messe le cose il
giorno prima, con l’improvvisa intrattabilità di Draco, non aveva
neanche sperato che potessero mettersi tanto
bene da guadagnare i due chimerici sospiri.
« L’ha
trattata malissimo. » Disse infine Theodore, prostrato, con lo sguardo
vacuo e sgomento.
« Chi ha trattato chi? » Domandò con falsissima innocenza, trattenendo il senso
infinito di compiacimento nel veder Theodore vibrare, davanti a lui, appena
prima di esplodere, zampillante
d’angoscia:
« Draco
e Hermione Granger, Blaise! »
Ah, quanto
era servito annoiarsi per ben sei anni, solo in attesa
di quell’ultimo settimo! Quanto!
« Beh,
si sono sempre odiati, no? » Specificò, con l’abituale flemma, scotendo
lentamente il capo. « Mi sembra più che normale. »
Guardando
l’espressione di Theodore corrucciarsi vividamente, in un trasporto altruistico
di immense proporzioni, con insito all’interno un rimprovero di straordinarie
potenzialità paradigmatiche, la sua espressione rimase come rapita da
quell’assoluto e limpido sgomento.
Quanto
meritava l’ingenuità di Theodore?
« Piantala!
Lo sai benissimo che le cose erano cambiate
nell’ultimo periodo… Era questo quello che intendevi dicendomi di guardare in
prospettiva, no? » Si oppose quasi in un bisticcio di parole il compagno,
con le sopracciglia tanto aggrottante da fargli certamente male. « Pensavi
che lui e
Si portò
una mano davanti al viso, dietro alla quale nascose il sorriso arcuatosi in una
smorfia subdola e incredibilmente cinica.
10 e lode.
Ecco quanto meritava l’ingenuità di Theodore.
Non meno. Mai meno.
Semplicemente, il massimo su qualsiasi scala.
Un ragazzo che pensava che la massima prospettiva per Draco Malfoy ed
Hermione
Granger fosse l’andare d’accordo e lo affermava con tanta convinzione e
trasporto – ed era tanta, meravigliosamente
tanta – meritava persino la lode.
Ci volevano
più persone come Theodore al mondo.
Per il suo
divertimento, personalmente, ne bastava uno. Ma in uno slancio particolarmente
altruistico pensò che avrebbe potuto elargirne almeno uno a tutti i suoi
parenti nel massimo nome dell’affetto famigliare. Uno a ciascuno. Da spupazzare. Irridire. Umiliare. E
da cui farsi comunque riverire.
E poi, una
volta stufatisi, da fare a pezzi arto dopo arto.
Già,
sarebbe stato altresì buono che per ognuno di quei “Theodore” ci fosse una
famiglia abbastanza ricca da poter pagare una bella lapide per i figli.
Che
certamente sarebbero morti presto.
Magari
raggomitolandosi a terra in contorsioni e sofferenze sconosciute. Giacché erano
talmente generosi che probabilmente vi si sarebbero prestati prima di morire. Si
sarebbero spenti pietosamente. Nel tormento della loro coscienza. Magari
affannandosi persino a perdonare i loro carnefici. E perciò una bella lapide
era doverosa, perché in tutta quella vita di sacrifici e tormenti sarebbe stata
l’unica prova della loro bontà e l’unico – e per l’altro non godibile – merito
che avrebbero ricevuto.
E poi, come
tutti gli altri, buoni o cattivi, sarebbero diventati solo cibo per i vermi.
« Mi
stai ascoltando o no? » Lo riprese in ansia Theodore, con gli occhi
stravolti dal senso incalzante dei problemi, delle tragedie, della sofferenza
altrui. E di tutto quello che c’era di doloroso nel mondo.
Il sorriso
gli tornò. Più tranquillo e ilare.
Scacciò con
entusiasmo il cinismo e il realismo. E scacciò anche l’altruismo. Che delle
loro noie, delle loro lapidi e dei loro giocattoli se ne occupassero
gli altri. Parenti o non parenti. Che il mondo decadesse
o marcisse come meglio credeva.
Lui, il suo
Theodore ce l’aveva.
Ed era
anche convinto che con ogni probabilità non si sarebbe mai stufato di lui.
« Sì,
sì. » Gli rispose, blando, fintamente accondiscendente nel tono e nello
sguardo sottile. Intenzionato con gioia a proseguire quella conversazione fino
in fondo. E a lasciare fuori dalla mente la realtà
quanto più possibile. « Ti sto ascoltando. Ed è proprio come dici tu.
»
« Eh! »
Esclamò teso Theodore, indicando in un gesto quasi isterico la finestra della
sala comune. « Però adesso lui non la vuole più vedere! L’ho visto proprio
un attimo fa che le diceva di andarsene! »
Incrociò le
braccia sul petto, caricando di criptica serietà lo sguardo.
« La
cosa può significare solo una cosa. » Replicò, fissando Theodore profondamente
negli occhi.
Quegli
lesse in quella profondità una solennità e una gravità che lo fecero
impallidire.
« Cioè? »
Chiese il Serpeverde, quasi sgomento all’idea che potessero presagire qualcosa
di veramente drammatico.
« Che
tu li hai spiati dalla finestra. » Concluse, invece, lui, pacato. Fissandolo
placido.
« Oh,
Blaise! » Sbottò Theodore con sfibrata durezza. Ma subito sciogliendosi in
una più rimproverante ed esasperata contrarietà: « Vuoi essere serio per una volta! »
Gli rivolse
uno sguardo straordinariamente ed eccezionalmente irritante. E schioccò, inarcando
le sopracciglia con lenta e suadente precisione:
« Ma io
sono sempre serio. »
Theodore lo
guardò quasi affranto, riprendendolo ancora, impazientemente – e in realtà con
una pazienza spropositata:
« Blaise! »
Ma lui non
faceva che sorridere. Ridere, quasi.
Perché
poteva sopportare tutto con la più autentica impenetrabilità. Tutto. Ma non Theodore che per l’ennesima,
la centesima, la millesima volta, credeva, ciecamente, nella sua più assoluta
partecipazione. Non l’innocenza con cui Theodore lo trattava come se non fosse
il guerrafondaio che scatenava la guerra per cui lui
cercava sempre una soluzione.
Tutto,
veramente. Ma non quello.
Per cui
alle volte si dimenticava persino del copione da seguire.
« Draco
Malfoy non abbandonerà
La realtà
era che non esisteva sguardo più studiato di quello che non appariva
eccessivamente studiato. Ma del resto questo lo sapevano lui e la coscienza che
aveva bruciato anni prima proprio in cambio di quella brillante intelligenza
con cui così facilmente sapeva indurre gli altri a offrirgli svaghi nella vita
monotona di Hogwarts.
Theodore,
per parte sua – rischiando di farlo sorride un’altra volta allo scoccargli del
tutto inutile di uno sguardo sospettoso – domandò, con aria guardinga:
« E… e
come fai ad esserne così sicuro? »
Decise di
ignorare il modo assolutamente ridicolo con cui il compagno gli chiedeva,
infondo fiducioso del suo giudizio, seppur diffidente della sua persona, di
qualcosa per cui lui si preoccupava solo come fonte costante
di divertimento. E che d’altro canto in quel momento occupava tutto l’essere
convulsamente partecipe di Theodore.
« Pansy avrà graffiato un nervo scoperto, no? » Spiegò,
tranquillamente. Quasi svogliatamente sul finire della frase. Perché a parlare di cose ovvio ci si annoia con una rapidità impressionante.
E quello
era ovvio. Anzi, scientifico.
Era
scientifico che le gatte morte graffino e gli esseri
umani sciocchi e stupidi si facciano graffiare. E se Theodore non fosse stato
intento ad ascoltare, a pendere dalle sue labbra per cercare conforto
e speranza in una situazione per lui irrisolvibile, si sarebbe forse
accorto di quanto profondamente agghiaccianti fossero gli occhi e le smorfie di
Blaise quando il cinismo e il realismo nel pensare agli esseri umani riempivano
la sua espressione di raggelante freddezza…
« Ma
Draco infondo sa quanto Hermione Granger sia l’unica
che può farlo stare veramente bene. » Riprese del resto con una più
soffice espressione di superiore finezza, tornando a parlare del mondo dei suoi
giochi. Più bello. Più vario. Più colorato. « E’ piuttosto ottuso… » Aggiunse,
in un sorriso particolarmente ilare nel riflette su
quanto Draco fosse, effettivamente, ottuso. « … ma questo infondo lo sa
benissimo. »
Theodore
inarcò un sopracciglio, perplesso.
« … e
allora perché ha rifiutato il suo regalo? » Domandò, non capendo.
Blaise
allargò il sorriso, appollaiandosi sulla sedia con maggior distensione. E con
un’enigmatica ma ridente, e assolutamente compiaciuto espressione sul viso,
ribatté, in tono fintamente interrogativo:
« L’ha
rifiutato? »
« Che
vuoi dire? » Chiese Theodore, ritraendosi sulla sedia in un attimo di pura
confusione.
Mentre, spronato
dal dubbio e dallo sguardo ironico che gli veniva
rivolto, il compagno si affacciava alla finestra che dava sul cortile, Blaise Zabini ampliava il sorriso sul suo viso.
E Theodore Nott vedeva che il regalo “lasciato” in realtà non c’era più…
« Voglio
dire che un graffio non può cancellare quello che ti dà il calore umano. »