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Autore: silverwings    15/01/2007    15 recensioni
C’è almeno una persona al mondo con cui è risaputo che non si possa avere a che fare senza nutrire l’incontrollabile desiderio di sopprimerla: è la propria nemesi naturale. E’ come avere la stessa carica. Negativo o positivo non fa differenza. E’ scientificamente provato che ci si respinge. E’ attestato per il 100% dei casi.
Ma la vita è un po’ diversa dalla scienza…
Genere: Romantico, Azione, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Draco/Hermione
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Thanks to everyone

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Per il supporto, per i complimenti, per l’assiduità con cui seguite questa altalenante storia a puntante. E’ di rito ribadire l’impossibilità di garantire più frequenza: posso solo e sempre promettere che non verrà mai del tutto interrotta.

Buona lettura a tutti.
Spero che questo capitolo sia in grado di piacervi e coinvolgervi.

Le cose cominciano a muoversi…

… ma non come tutti sperate.

The Draco and Hermione’s Opera

Capitolo 10. Tra il prima e il poi [Parte Seconda]

I thought the world of you
I thought nothing could go wrong
But I was wrong
I was wrong
If you, if you could get by
Trying not to lie
Things wouldn’t be so confused
And I wouldn’t feel so used

Pensavo che eri tutto il mondo
Pensavo che niente potesse andare male
Ma mi sbagliavo
Se tu, se tu potessi farcela provando a non mentire
Le cose non sarebbero così confuse
E io non mi sentirei così usato

[CranberriesLinger]

*** *** ***

Domenica 15 Dicembre. Ore 15.37
Hogwarts. Un corridoio a caso.

Non si è fatta vedere…

Sconvolgente, quella considerazione turbava profondamente tutto il suo essere. Tanto da indurlo a calpestare con aria oltraggiata il pavimento dei corridoi di Hogwarts, sfogando l’irritazione su di esso in attesa di poterlo sfogare sulla persona che così sconsideratamente gliel’aveva causata. E, per inciso, non appena l’avrebbe trovata, prima di disintegrarla con un raggio laser o decapitarla con un calcio rotante, l’avrebbe messa a parte del fatto che in tutta la giornata non si era fatta vedere neanche una volta!

Lo trovava inconcepibile!

La fronte aggrottata e lo sguardo tagliente vagavano corrucciati da uno studente all’altro, cercando la chioma riccioluta di quella cretina che l’aveva esentato dallo studiare, quel giorno, e l’aveva mollato come un idiota senza nulla da fare!

Non è che lui prendesse ordini da lei, eh! La questione era molto differente!

Per quel che lo riguardava era altresì ben ora che lei si rendesse conto di quanto lui le fosse superiore! Del resto, riteneva oltremodo indegno che una persona si prendesse la responsabilità della sua specifica istruzione e vi si sottraesse con tutta quella leggerezza! Se fosse stata l’istruzione di Barile/Botte Paciock avrebbe trovato giustamente indegno il contrario, ovviamente. Ma si trattata della sua istruzione! Del suo futuro! Del perno di tutta la sua vita!

O per lo meno di quello che avrebbe dovuto essere.

E per quanto non lo fosse, trovava doppiamente indegno che quell’ignobile persona non lo considerasse tale, mancando di fiducia nel fatto che un giorno avrebbe potuto esserlo!

Nello svoltare per entrare nel porticato del cortile interno di Hogwarts, però, lo raggiunse una voce famigliare:

« Draco! »

Inconfondibilmente Hermione Granger.

Trovata!

Si girò seccamente verso dove era arrivata la voce, psicologicamente pronto a urlarle addosso tutto il giustificatissimo rancore per averlo tanto impudentemente ignorato per tutto il giorno. E non crediate: non è che quando se la vide arrivare in una corsa sgraziata, sorridente nel suo solito modo assurdo, con i capelli che ondeggiavano crespi al vento, lui pensò che le avrebbe risparmiato qualcosa.

Eh no!

Anzi, a maggior ragione l’avrebbe ripresa perché ingiustificatamente felice!

Perciò, assolutamente sicuro di sé, dilatò le narici, inspirò profondamente, aprì spropositatamente la bocca, gonfiò ancora di più il petto e-

« Draco, finalmente ti ho trovato! »

E flop.

Il fastidio si afflosciò.

Ma non perché era contento che lei l’avesse cercato, eh!

A lungo, comunque.

Certo, ovviamente doveva essere stato a lungo. Non c’erano possibilità che non lo fosse, altrimenti non avrebbe detto “finalmente”. Ed era indubbio che se invece avesse iniziato a cercarlo poco prima e accidentalmente trovato presto – o, peggio, se proprio si fossero incontrati per caso e proprio in quell’istante lei si fosse accorta che avrebbe dovuto cercarlo - sicuramente non sarebbe stata graziata del raggio laser o del calcio rotante. Del resto, raziocinando con estrema obiettività, ritenne che il fatto che l’avesse cercato – e cercato a lungo (magari addirittura dalla sera prima, non lo escludeva affatto, infondo lui si sarebbe cercato dalla sera prima se se ne fosse venuta a creare l’occasione) potesse rendere un poco più perdonabile la sua comunque scorretta e deplorevole attitudine irresponsabile.

Con una disposizione d’animo molto più indulgente aspettò dunque che lei si avvicinasse ancora di qualche metro. Lo fece guardando attentamente la goffaggine con cui sgambettava in modo assolutamente ridicolo verso di lui.

E, si, a quel punto si sentì disposto a risparmiarle un po’ tutto quello che aveva progettato di infliggerle.

Gli venne anche quasi voglia di rivolgerle una specie di smorfia derisoria.

Qualcosa che a un sorriso ci sarebbe anche assomigliato, magari. E, forse, i molti che intorno a lui stavano notando, perplessi, che il Draco Malfoy sempre corrucciato, arrogante e sprezzante di sempre in quel momento aveva qualcosa di molto diverso dal solito si sarebbero infine convinti che non fosse davvero solo un’impressione.

Che più sereno di tanti lo fosse diventato sul serio.

D’altro canto non appena si rese visibile, appena dietro a Hermione, un’inconfondibile testolina scarlatta, il suo umore capitolò rapidamente.

E tornò il caro vecchio, cupo e aspro, odioso e collerico Draco Malfoy che tutti conoscevano.

Riaggrottando la fronte che si era appena rilasciata, concluse rapidamente che l’indifferenza e la sciatteria con cui Hermione Granger l’aveva ignorato per almeno tutta la mattina – composta da ben cinque ore, 300 minuti e ben 18.000 secondi - trascorrendola viceversa con quella sottospecie di piattola ambulante era decisamente imperdonabile!

Altero, persino marmoreo nella sua nuova veste di giudice supremo, accolse Hermione assottigliando lo sguardo e ribattendo seccato:

« Che c’è? »

Ginny Weasley gli scoccò un’occhiata fulminante, come per dirgli di tacere immediatamente e non rivolgersi ad una sua amica in quel modo.

Gli saltarono subito i nervi.

Da quando in qua quel Piattolame Strisciante pensava di valere tanto da prendersi il diritto di opporsi ad un suo modo di fare?! L’idea che lo pensasse da sempre unita all’immagine della loro più recente, furiosa discussione – in cui l’aveva apostrofato in mille indignitosissimi modi – diede fuoco a tutti i nervi rimasti.

Le rilanciò uno sguardo cocente.

Hermione, invece, ignorando completamente qualsiasi fattore esterno – preda, solamente, di una fervente eccitazione – esclamò:

« Volevo chiederti come andava il Manuale! E’ da ieri che ci penso! Com’è? Abbastanza chiaro? Scorrevole? Interessante? »

« Quale Manuale? » Domandò in tono inquisitorio la sorella del bifolco più bifolco della famiglia più bifolca del mondo del bifolchi. Squadrando con sospetto e un qual certo istintivo orrore l’espressione contenta dell’amica.

Da parte sua, lui le lanciò un altro sguardo assolutamente inequivocabile.

Di un’irritazione molto diversa dalla precedente, però.

Perché, più di tutto, non trovava legittimo che quell’isterica e insignificante ragazzina se ne stesse lì, con quell’espressione da schiaffi, a partecipare ad una cosa che non la riguardava. Certo, era odiosa anche solo per il fatto di esistere, anche solo per essere nata sotto lo stesso tetto di Ronald Lenticchia Weasley, Zerbino tutto fare e senza prezzo… ma restava tutto sommato sopportabile finché non interveniva in qualcosa che, obiettivamente, non c’entrava proprio niente con lei.

Per la precisione, quando Hermione Granger parlava con lui, i suoi stupidi amichetti non dovevano intromettersi. Niente perché. Niente ma. Niente obiezioni. Niente di niente.

Era così e basta.

Per questo replicò aspramente molto prima che potesse farlo Hermione:

« Nulla che possa interessarti, Weasley. »

Un lampo passò negli occhi acquosi di Ginny. Che subito scoccò a Hermione, accanto a lei, uno sguardo triplamente inquisitorio.

Caschi male, stracciona, nessuno ti dirà niente.

« Un Manuale che abbiamo comprato ieri a Hogsmean. » Disse al contrario Hermione, spensieratamente. In un gran sorriso che lui ritenne ebete in una maniera a stento concepibile.

Le lanciò un’occhiata tra lo sconvolto e l’indignato, sbottando con voce acuta:

« Perché gliel’hai detto?! »

« Siete andati a Hogsmean insieme?! » Stridé invece Ginny, con voce ancora più acuta, e ancora più sconvolta.

Nell’istante esatto in cui Hermione scostò il capo per raccontare all’amica le loro vicissitudini, lui aggrottò la fronte con profondo risentimento.

Perché aveva risposto prima a lei? Perché si stava rivolgendo a quell’essere inutile quando lui era presente? E perché le parlava come se fosse un essere utile?! Il fatto che fossero sempre state grandi amiche non gli sembrava una motivazione sufficiente!

Ma alla fine Hermione sorrise anche a lui. Ancora entusiasta. Ancora eccitata alla sola idea di quell’insulso manuale. Ancora ridicolmente contenta.

E lui se ne dimenticò…

Si dimenticò che aveva pensato che esistessero affari solo loro. Si dimenticò che Hermione aveva impunemente prestato prima attenzione a Ginny Weasley piuttosto che a lui. Si dimenticò che esisteva Ginny Weasley.

E la corresse, aspro per la necessità di essere se stesso, con una smorfia sul viso che non era solo una smorfia:

« Comunque è uno stupido manuale. »

Hermione inarcò le sopracciglia, ritraendosi con sdegno e dando definitivamente a Ginny le spalle e la chioma riccioluta. Cominciò allora a rinfacciargli che non era affatto stupido. E tanto più lui le rinfacciava che invece lo era, tanto più lei si ostinava.

Per qualche minuto gli piacque notare come Miss Migliore Amica venisse tenuta da parte. E poco importava se non era tanto per lui quanto per un libro – che comunque apparteneva a lui.

Per il resto del tempo, comunque, per quanto splendidamente cupa potesse diventare la Blatta, le uniche cose che vide furono le espressione corrucciate, offese, arruffate e splendenti di Hermione.

E quando si separarono, Ginny Weasley era una maschera di disapprovazione e lugubrità che si riduceva ad una macchia inutile su un pavimento.

Mentre loro due erano semplicemente loro due.

Nelle loro versioni migliori.

Ma questo per qualcuno era un po’ davvero troppo…

Tornò tranquillo nella sua sala comune.

Guardando fuori da una delle finestrelle che davano sul cortile gli parve che stesse per ricominciare a nevicare.

Si sentì pieno di un luminoso senso di aspettativa.

Perché se avesse di nuovo nevicato lui e Hermione avrebbero di nuovo fatto a palle di neve. Era quasi sicura che ci sarebbe stata occasione senza andarla troppo a cercare. Ma se mai non ci fosse stata, riteneva comunque che non sarebbe stato troppo difficile crearla. Infondo, lui non era per niente una persona distratta, ma Hermione era abbastanza credulona da poterlo pensare se glielo si fosse fatto credere.

Perciò sarebbe bastato poco per convincerla che aveva di nuovo dimenticato un qualche manuale al campo di Quidditch. Da lì, poi, tutto sarebbe stato semplice. Un’offesa inventata. Una palla di neve lanciata. Qualche scivolone e qualche corsa tra le panche.

E se proprio sarebbe venuta troppo presto l’ora di rientrare al castello, avrebbe comunque potuto fingere che lei gli avesse tirato un sasso in testa. Così, di certo, se anche fossero rientrati, sentendosi colpevole lei non se ne sarebbe tornata dai suoi stupidi amici ma sarebbe rimasta a vegliare sulla sua ferita.

Davanti ad una finestra.

Aspettando la prossima nevicata.

E pensando che la primavera era ancora molto, molto lontana. Pensando a un numero probabile di volte che avrebbe davvero potuto nevicare. Una smorfia soddisfatta gli illuminò non lo sguardo, ma proprio tutto il viso.

Era quello il suo limbo.

In cui pensava di poter restare ancora a lungo. In cui pensava di poter decidere cosa fare, quando farlo, con chi farlo, condizionando tutto e tutti e non venendo condizionato da nessuno. Era quello il limbo in cui si sentiva libero di fare qualunque cosa e di star bene, alle sue condizioni, finché ne avesse avuto voglia.

Inutile dire che arriva per tutti, prima o poi, un momento per capire come vanno realmente le cose…

« Ti diverti? »

Si girò verso l’ingresso della sala comune, stranamente vuota a quell’ora del pomeriggio. A pochi passi dalla soglia, una Pansy Parkinson straordinariamente al peggio di sé lo scrutava con stampata in viso una smorfia scolpita nelle pietra. Le braccia incrociate sul petto. Le pupille già fiammeggianti.

« Come? » Le domandò, subito inacidendosi.

« Ti ho chiesto se ti diverti. » Ripeté lei, schioccando le parole con un tono tagliente, mentre gli occhi azzurri lo fissavano con un’espressione strana.

Un’espressione di fronte a cui, per dirla tutto, gli andò subito il sangue alla testa.

Perché Pansy lo guardava quasi come se lui fosse un Corvonero. Anzi, peggio! Un Tassorosso! E oltre a Lady Polpaccio-da-Macho Weasley che si intrometteva nei suoi affari, ciò che odiava più al mondo era Pansy Parkinson che lo guardava come se fosse un Tassorosso!

Inarcò le sopracciglia, altamente seccato.

« A fare cosa? » Schioccò, acido.

« A farti mettere sotto da quella sciacquetta della Granger. » Sibilò, velenosa, Pansy, con un lampo crudo che le sfrecciò negli occhi.

Lo sguardo gli si acuì a sua volta, infiammandosi rapidamente.

« Io non mi faccio mettere sotto da nessuno! » Sbottò, indignato. Da nessuno, in generale. E meno che mai Hermione Granger! Che una sciacquetta non lo era, comunque. « E ora, io andrei, se non dispiace a te e ai tuoi scatti isterici! » Aggiunse caustico, pensando che in quel modo avrebbe brillantemente chiuso quella stupidissima conversazione.

Beh, Draco Malfoy, di donne, non ne capiva un’h.

« Mi stai dando dell’isterica, Draco? » Vibrò Pansy, cominciando a fissarlo con uno sguardo da indemoniata.

Si ritrasse di un passo, perplesso.

E adesso che le prende?

Le aveva fatto qualcosa? Non gli sembrava. L’aveva offesa in qualche modo che si meritava? Probabile, ma comunque se lo meritava. L’aveva offesa, allora, in qualche modo che non si meritava? Improbabile: che insulto non si meritava? Forse, essendo lui molto bello… no, anzi, essendo lui eccezionalmente bello, Pansy era gelosa del fatto che per lui non fosse più importante della cicca sputata da Goyle e appiccicata da Tiger sotto la cattedra della McGranitt giusto due giorni prima.

Quando la vide avanzare, a pugni stretti, e intravide un libro appoggiato sul comodino vicino, un improvviso dejaveu gli balenò nella testa.

E tutto d’improvviso le guance gli si incassarono, impallidendo.

Oh porca vacca…

Cominciando a sudare freddo e ad un passo dall’essere preso dal panico, afferrò stoicamente il vago sprazzo di lucidità che ancora possedeva e osò il tutto per tutto. In un gesto fulmineo, avanzò, agguantò il libro con una mano e ri-indietreggiò di due passi, per estrema precauzione.

Gettando un’occhiata rapida a Pansy notò che questa aveva assottigliato ancora di più lo sguardo e dilatato le narici del naso in una maniera eccezionalmente minacciosa. Ma, del resto, sentendosi il libro tra le mani, le sue guance tornarono del bel bianco-verdastro di sempre, ri-ingrassando di qualche grammo.

Infondo – anche se obiettivamente non era il suo punto migliore - ci teneva alla sua fronte. E senza libro, per quanto folle, Pansy gli sembrava a quel punto relativamente innocua.

Decisamente, Draco Malfoy, delle donne, non ne capiva un’h.

« Cosa… » Pronunciò con voce strozzata Pansy, mentre lo scintillio nei suoi occhi acquisiva una più tetra e nello stesso tempo più intensa luminescenza: « Si può sapere cosa diavolo ti affascina tanto di lei?! »

Ed ecco il momento esatto in cui Draco Malfoy ebbe il suo momento di gloria come replica perfetta dell’Urlo di Munck.

Perché non si ammutolì, semplicemente, traumatizzato. Non spalancò semplicemente gli occhi in risposta ad uno sgomento che gli sorgeva direttamente dall’anima a quel punto straziata. No, in quel momento tutto il suo essere acquisì le tonalità drammatiche di un cadavere che ha avuto una vita piena di tanta, tanta sofferenza.

Ritornare alla realtà, dopo l’attimo di vuoto assoluto che si era impadronito della sua mente provata, non fu d’aiuto.

Io affascinato… da CHI?

« Ho bisogno d’aria… » Biascicò, atterrito, facendo un passo incerto verso le scale e scostando gli occhi al pavimento. Lottando strenuamente per non accasciarsi al suolo, preda di violenti sbalzi di temperatura e di un vorticoso capogiro.

Hermione Granger era una persona intelligente?

Va bene, era intelligente. Era, inoltre, tutto sommato, generosa e gentile? Va bene, tutto sommato lo era. Ed era divertente? Oh si, lo era eccome. Di un ridicolo allucinante, da piegare in due la persona più cinica e indifferente della terra. Ed aveva l’aspetto di un essere umano? … ok, magari non ad una prima occhiata, ma infondo si poteva definire una pianta o un animale? No, perché anche se i suoi capelli erano un po’ come la chioma del Platano Picchiatore comunque aveva due mani con cinque dita ciascuna. Il che implicava che fosse per lo meno un animale. E del resto, se lo fosse stato avrebbe dovuto necessariamente essere una scimmia – sempre per la questione delle dita. Ma lei era una scimmia?

Una scimmia, eh…?

No… ok, non era una scimmia. Va bene! Era un essere umano! Lo era! E va bene! VA BENE! OGNI TANTO SEMBRAVA PURE UNA RAGAZZA! SI! Si, per dio, lo ammetteva!!

Ma… affascinante?

Travalicava a stento i limiti della decenza.

E senza scomodare tutto il resto, sarebbero bastati i capelli ad annichilire ogni minimo dubbio al riguardo.

Incurante dello stato spaesato e puramente sconvolto in cui versava in quel preciso momento, distrutto psicologicamente dall’idea che qualcuno lo credesse capace di rimanere affascinato da Hermione Granger, Pansy gli si avventò addosso, facendolo ritrarre istintivamente di un altro passo.

« L’hai già dimenticato, Draco? » Gli gridò, alterata, tesa come una corda di violino per ragioni che lui, sinceramente, avrebbe fatto fatica a capire persino se fosse stato lucido. E per di più – a causa di quella pazza! – non era mai stato in uno stato più confusionale di quel momento! « Hai già dimenticato tutto quello che rappresenta?! Quello che lei, semplicemente, incarna! » Aggrottò le sopracciglia, turbato. Ma che diceva? Incarnare? Ma stavano parlando di cibo? E perché proprio di carne? A lui non piaceva. Gli piaceva la marmellata all’arancia, invece. E comunque cosa c’entrava il cibo?! « Hai già dimenticato quante volte hai pensato che saresti stato contento che non esistesse?! » Che non esistesse chi? Cosa? La carne? La marmellata all’arancia? « Quante volte lei, Draco, quante volte la Granger ha desiderato che tu non esistessi?! »

Pur nella confusione mentale di quel momento, quelle parole Draco le intese nitidamente.

E in un gesto inconscio, secco e rapido, allontanò la mano che Pansy aveva teso verso di lui nella foga del momento. E la guardò inconsapevolmente serio. Con qualcosa nello sguardo che era insieme lacerante e lacerato.

E per quanto Pansy sarebbe impallidita, dalla rabbia, dall’angoscia o dal terrore, da quel momento in avanti chi avrebbe perso veramente colore, tra i due… sarebbe stato lui. Mentre il tono della conversazione che fino a quel punto gli era sembrata un gioco – pur di pessimo gusto – acquisì qualcosa di così amaro da fargli salire un conato di vomito in gola.

« E se anche fosse? » Ribatté, cercando di scacciare qualsiasi pensiero dalla mente. Ma con la fronte talmente aggrottata da fargli male.

« Credi davvero che per lei non sia più così? » Gli domandò fremente Pansy. Con le membra tremanti. Con la voce stridula che gli parve così acuta che le orecchie cominciarono a fischiargli. « Credi davvero che lei abbia improvvisamente messo tutto da parte? Credi davvero che voglia stare con te?! »

« Che diavolo stai dicendo?! » Replicò, con lo sguardo che lottava per non apparire contratto da un’improvvisa mancanza d’aria.

Che diavolo stava dicendo?

Una persona che correva in quel modo così stupido. Che rideva in quel modo così ridicolo. Una persona che si impegnava in quella maniera così maniacale. Che detestava il Quidditch ma avrebbe inforcato una scopa per dimostrare di saperci andare. Una ragazza che andava in giro con quel tipo di capelli senza vergognarsene. Che capeggiava guerre contro gli Elfi Domestici e si entusiasmava per un libro.

Una persona che sapeva essere orgogliosa di tutti…

Una persona così valeva mille Pansy Parkinson. Una persona così poteva essere gentile col suo peggior nemico. Una persona così poteva sorridere a chiunque. Vivere nel suo limbo lasciando che lui decidesse tutte le regole. Una persona così poteva… poteva…

Cancellare sei anni d’odio?

Si, Hermione Granger l’aveva fatto! Era strano? E allora? Lei era strana!

Lei l’aveva fatto!

Oppure…

Oppure…

Oppure aveva ragione la voce che stava disfacendo il suo cervello.

La voce che ancora non ascoltava. La voce a cui non aveva dato importanza, fingendo che non ne avesse. A cui aveva sempre guardato con supponenza, pensando di poterselo permettere. Una voce che parlava di un’idea che una persona che ha visto anche solo per un momento quanto in basso possano cadere le persone, ha, almeno una volta, per chiunque lo circondi.

L’idea che sei anni di odio non si cancellano.

L’idea che Hermione Granger, per quanto potesse essere speciale, non sarebbe mai potuta, comunque, essere così impeccabile…

Fu strano…

… impercettibile, quasi…

… ma in quel momento sentì qualcosa spezzarsi.

« Tu sei stato solo il meno sveglio! » Urlava Pansy, invece, sconsideratamente. Persino, quasi con disperazione. « Tu sei stato solo quello che si è lasciato ingannare dai sorrisi! Dagli sguardi! Per questo lei è rimasta con te fino a questo punto! »

La sua espressione si deformò, spaccandosi come quello che si era appena spaccato dentro di lui. In frantumi, un senso agghiacciante di frustrazione e cocente vendetta lo invase. E gli occhi gli si dilatarono, mentre la fronte gli si contrasse.

« Quando guardava te, i suoi occhi non vedevano te! »

E il libro che le dita tenevano a stento divenne improvvisamente impossibile da sostenere…

« Quando guardava te, i suoi occhi vedevano- »

Uno screzio acutissimo mozzò in gola la voce di Pansy.

Il libro che aveva tenuto tra le dita vigeva sul pavimento, dopo avervi cozzato e aver prodotto uno screzio che era echeggiato, breve, per le mura di pietra.

La sua mano restava ancora mezza sollevata. Stretta in una morsa brutale che ne sbiancava le nocche e ne faceva tremare le ossa.

Pansy Parkinson, invece, restava in piedi, pietrificata e ammutolita, di fronte allo sguardo incredibile di un ragazzo che conosceva da anni e di cui sino a pochi giorni prima avrebbe detto di conoscere ogni espressione come le sue tasche. Del resto, come non gli aveva mai visto il sorriso che lui aveva rivolto a Hermione Granger, poco prima, e per cui aveva voluto farlo pagare… non gli aveva neanche mai visto lo sguardo con cui la fissava in quel momento.

Quel rancore che serrava i denti, per far uscire non un grido… ma un singhiozzo spezzato.

*** *** ***

Domenica 15 Dicembre. Ore 18.37
Hogwarts. Sala Comune di Grifondoro.

Ginny Weasley, abbandonata su una delle morbide poltrone di velluto rosso che troneggiavano nella stanza, fissava il camino con bieche occhiate di profondo risentimento. Avendo da molto rinunciato a lanciarle alla persona che le sedeva nella poltrona vicina e minimamente le aveva dato retta, assorta nella lettura di un enorme volume di Aritmazia.

Dopo alcuni attimi riempiti solo dal rumore scoppiettante dei lapilli del fuoco, Ginny si decise infine a mugugnare, tetramente:

« Ancora non posso credere che tu sia andata con lui a Hogsmean, Hermione… »

Sollevò gli occhi arzilli su di lei, guardandola con un’innocenza disarmante.

« Come? » Le chiese, inarcando le sopracciglia limpidamente.

« Niente. » Borbottò Ginny, sprofondando mollemente nella poltrona. « Ho detto che non posso credere che inizino le vacanze. »

« Vero? » Assentì con aria corrucciata, chiudendo con contrarietà il libro di Aritmazia. « Anche secondo me è troppo presto. »

In effetti, avevano fatto davvero pochi compiti. Pochi test. Trovava persino più opportuno che per il settimo anno venissero abolite tutte le vacanze.

Sarebbe stato senz’altro più funzionale.

Vide Ginny mettersi una mano sulla fronte, scuotendola con rassegnata esasperazione.

« Io intendevo che sono felice che siano iniziate. »

« Oh. » Esclamò, sorpresa e in qualche modo risentita.

« Va beh, comunque martedì facciamo la festa per l’inizio delle vacanze. » La incalzò Ginny con un po’ d’indolenza. « Ci vieni, no? »

In uno slancio istintivo di trepida disapprovazione per il sovvertimento delle regole per mere ragioni di ricreazione comune, si frenò appena prima di aprire la bocca. Riafflosciatasi cupamente sulla sedia, in preda al tormento che le recava aver voluto partecipare ad una festa sovversiva – vedi, quella per la vittoria di Serpeverde – troncò la disapprovazione, offesa con se stessa per non essersi permessa di mantenersi una studentessa onesta.

Rispose con un sommessissimo e profondissimo:

« … si. »

Ginny inarcò un sopracciglio, più soddisfatta.

« Bene. » Disse quindi, ritirandosi un po’ su sulla sedia, con qualche più vigoroso sospiro. « Sarà una bella festa, vedrai, ti divertirai. »

Oh beh, allora erano a posto!

Fissava ombrosa il fuoco scoppiante cercando una punizione abbastanza cruenta per il suo comportamento orribilmente irresponsabile. L’idea che si sarebbe divertita partecipando ad una festa che per la sua più aurea quintessenza violava una tra le più importanti regole di comportamento di Hogwarts non sapeva certo consolarla!

Maledetta Festa di Serpeverde!

Come le era venuto in mente di andarci?!

Ah già, Draco mi aveva invitata…

… ehi, un momento…

Un’idea che le sembrò subito incredibilmente geniale le attraversò il cervello e le schiarì il viso cupo in un’espressione folgorata.

« Senti, Ginny… » Esordì, persin sconcertata da se stessa da siffatta grandezza di pensiero.

Ginny si girò verso di lei, tranquilla.

« Cosa? »

« Posso portare Draco alla festa? »

« Prego? » Proruppe Ginny assottigliando lo sguardo su di lei con minaccioso sconcerto.

« Beh, ecco… lui mi aveva invitato alla festa di Serpeverde, quindi… » Cercò di dire, esitante, con gli occhi che restavano speranzosamente riflessi in quelli dell’amica.

Lasciò le parole sospese, fiduciosa del fatto che Ginny avrebbe infine compreso la sua buona fede. Infondo era solo una festa. E lui l’aveva invitata a quella di Serpeverde. Senza contare che, pur in una maniera alquanto atipica, Draco aveva avuto verso di lei qualche sorta di premura.

Non è che fosse in debito, o che volesse ricambiare. Era una specie di definitivo accordo di tregua.

Una specie di suggello di amicizia?

Nel pensarlo le venne in mente un sorriso.

Era quello che erano diventati.

Qualcosa di molto simile a quello, comunque. E la cosa, impossibile un tempo, la rendeva invece in quel momento molto felice.

Draco era un cretino, d’accordo. Ma anche Ron era un cretino.

E non significava che li stesse mettendo sullo stesso piano. Non li stava tanto meno paragonando. Il modo in cui Ron le era stato amico… il modo in cui Ron le era amico, era un modo che non cercava in nessun altro e non aveva mai neanche visto riflesso in Draco. Quando guardava Draco, a dire il vero, vedeva sempre un tipo di cretino molto differente da Ron.

Per quanto intensamente cretino allo stesso modo.

« Dimmi che stai scherzando, Hermione. » Riprese Ginny, criptica e perentoria nel tono di voce cadaverico.

Deglutì, nascondendosi inconsciamente dietro il libro di Aritmazia e osando ammettere, con voce fioca:

« … ehm… no… »

Vide Ginny socchiudere le palpebre e trarre un profondo sospiro per mantenersi calma. L’espediente riuscì. Se non forse per i tremiti scomposti che cominciarono scuoterla ad intermittenza facendola pensare che sarebbe rimasta ferrea e nauseata in una disapprovazione granitica. Esordendo in un “no”, secco, a cui, infondo, era pronta anche a rimettersi.

Al contrario, in nome della loro amicizia, Ginny Weasley e i suoi principi morali capitolarono dopo quindici secondi esatti.

Con una sofferenza che le segnava il pallido viso e le contorceva lo stomaco in nodi allucinanti. Che le faceva salire conati di vomito lungo la trachea – e c’è da notare che generalmente passano dall’esofago, il ché dava l’idea di quanto tutti il suo apparato digestivo potesse non digerire la cosa - Ginny esordì con voce strozzata:

« Se… »

« Si? » Saltò su, guardandola con un gran sorriso.

Intuì il conato di vomito brontolare nella gola di Ginny all’arcuarsi del tutto involontario della sua bocca, mentre quasi soffocandosi nel dirlo l’amica soffiava tra i denti:

« Se, per esempio, si togliesse dalla faccia quella sua insopportabile aria superiore… »

Facile.

Potrei trasfigurare la sua faccia.

« Se non mostrasse troppo le sue insane passioni per ciò che riguarda i Serpeverde… »

Mh, già più difficile.

Ed era mezza sicura che quando lui si sarebbe messo a discutere sul fatto che gli unicorni facevano schifo e i serpenti erano belli – argomento che nel suo immaginario sarebbe senz’altro saltato fuori – non avrebbe potuto addurre come scusa che non è scientificamente provato che i serpenti sono una passione ineluttabilmente legata ai Serpeverde.

Però potrei sempre tirargli un calcio sugli stinchi.

Certo, quello sicuramente avrebbe spostato l’argomento su altro.

« Se non mostrasse troppo di essere Serpeverde… » Continuava Ginny, impallidendo attimo per attimo.

Ahia. Altro difficile problema.

Trasfigurare i suoi vestiti non sarebbe stato sufficiente. E non avrebbe potuto tirargli un calcio sugli stinchi perché non sarebbe cambiato nulla.

Però una gomitata nello stomaco magari avrebbe fatto la differenza.

« Se, insomma, potesse riuscire ad essere meno se stesso … »

E qui non gli venne in mente nessun espediente violento o pacifico per ovviare al problema.

Del resto, nel tentativo di non svenire dalla vergogna e dal senso di colpa per il tradimento che sentiva stesse compiendo nei confronti di tutti i suoi più alti ideali, Ginny terminò, in un sospiro pesantissimo:

« … forse… potrebbe venire. »

E la gioia fu così immensa che, quasi luminescente, saltò giù dalla sedia incurante di tutto. Vibrante dall’eccitazione. Stringendo tra le proprie le mani fredde e pallide di Ginny.

« Grazie! Grazie! » Gridò, estatica, prima di correre via.

Spezzato il respiro a metà gola, Ginny osservò sconvolta le sue mani. Poi, ancor più atterrita, il libro di Aritmazia rivoltato indignitosamente per terra, con tutte le pagine spiegazzate che nell’euforia non si era accorta di aver fatto cadere.

Tornò però indietro appena pochi attimi dopo, con aria corrucciata. Si chinò sul libro. Lo chiuse. Ne appiattì molto bene tutte le pagine. E solo dopo averlo deposto con infinita cura sul divanetto, ritornò sui suoi estatici passi.

E Ginny Weasley tornò gloriosamente a respirare.

Sicura, almeno, di una cosa: che Hermione Granger restava e con ogni probabilmente sarebbe restata, sempre e comunque, Hermione Granger.

Ma la verità era che felice, Hermione, lo era tornata come non lo era tanto…

Nello svoltare, frettolosa ed eccitata, l’angolo dell’ennesimo corridoio si trovò di fronte niente meno che Draco Malfoy.

I loro sguardi si incrociarono da lontano.

Il suo si illuminò.

Quello di lui si contrasse. Ma Hermione non lo vide, come non vide quanto crudamente la guardava mentre si avvicinava.

… era talmente contenta che non lo vide.

E lo salutò, piena di spensieratezza:

« Draco! Ciao! »

Per la troppa foga, incappò anche nell’unica pietra messa male di tutti i pavimenti di Hogwarts e cadde carponi a terra, sbattendo le ginocchia sul pavimento.

Ahia!

Si rialzò faticosamente, mettendo le mani sulle gambe e facendo una smorfia nel sentire le ossa doloranti.

Ma nella sua testa non cambiò nulla.

E quando la risollevò – pur più contrariata – aveva ancora l’espressione di una persona che ha tanto di quello che avrebbe voluto avere. Che è felice di tante delle cose che le erano capitate.

… che una di quelle cose, infondo, ce l’ha davanti…

Nel gelo che l’accolse, nello sguardo vitreo di Draco, rimase imprigionata e, subito, ferita.

« Non chiamarmi più col mio nome. » Masticò il ragazzo, con gli occhi assottigliati, pulsante dalla rabbia. L’espressione le si infranse addosso. « Stammi lontana. » Ringhiò gelido, ancora, il Serpeverde, fissandola con un astio profondo. Con le mani che gli tremavano. « Non voglio più avere niente a che fare con te. Mai più, mi hai capito? »

Cosa…?

Non fece in tempo a riprendersi che Draco le aveva già dato le spalle.

Cosa aveva detto? Cosa era successo?

Lo seguì ammutolita, solo con lo sguardo.

Non poté obiettare, contrastarlo, fermarlo. Non poté nemmeno muoversi per qualche attimo. Nella mente, solo il vuoto. Nella gola, solo un respiro che faticava a deglutire. Negli occhi, solo un’angoscia improvvisa. Ma dentro di sé nessuna domanda.

Non se ne fece.

E neanche dopo ore cercò un senso a niente… perché l’aveva guardata in una maniera che non lasciava spazio a niente. Uno sguardo diverso da qualsiasi le avesse mai rivolto.

Un rancore vero.

Che aveva radici molto più profonde di quello generato dall’illusione di una nobiltà di sangue mancata…

E mentre dentro di sé sapeva che quella era la fine di qualsiasi cosa ci fosse stata, si sentì per un attimo come se gli occhi le si sarebbero riempiti di pianto…

*** *** ***

Lunedì 16 Dicembre. Ore 10.37
Hogwarts. Ingresso.

Certo, non dover dire a Dean che aveva permesso a Hermione di invitare Draco alla festa dei Grifondoro l’aveva fatta sentire molto meglio.

Sul momento, anzi, non le era importata una bella cippa che Dean l’avesse fermata ancora prima di iniziare a rotolarsi per terra supplicandolo di perdonarla, dicendole che Hermione lo mandava a dire che per la festa non se ne faceva niente. Aveva chiesto, ammutolita, il perché. Dean, altrettanto ammutolito, aveva detto che aveva visti incrociarsi Hermione e Draco e gli era sembrato che la temperatura fosse scesa molto sotto lo zero assoluto.

Scioccata, l’ombra di un sorriso si era impadronita del suo viso.

Avevano litigato?

Tanto meglio!

Non è che smaniava all’idea di trovarsi accidentalmente di fronte Draco Malfoy ad una festa dove si supponeva non ci fosse nessuno a cui voler spaccare la faccia. Certo, a Lavanda e Calì un bello schiaffone ogni tanto le veniva di darlo, ma da lì a risvegliare seri istinti sanguinari, pieni di squartamenti e cruente lapidazioni c’era un passo piuttosto lungo.

Beh, oddio… forse non così lungo, infondo.

Ma comunque se si parlava di Malfoy, nello specifico, lo diventava! Ed era stata veramente contenta di sapere che il pericolo di vederlo alla festa era stato scongiurato – anche se poi un improvvisa lettera mandata da Mamma Weasley l’aveva rivoluta a casa giusto per quel giorno, e quindi buona notte e suonatori alla festa di Grifondoro. E, parliamoci molto chiaramente, quando Neville, quella mattina a colazione, aveva detto che credeva che le cose tra Hermione e Draco fossero andate male, il ché – nessuno pareva ricordarselo – era come erano andate esattamente per sei anni, aveva ringraziato il cielo in olandese perché aveva esaudito le sue preghiere!

Mai avrebbe sperato in qualcosa di meglio, ecco.

E comunque qualcosa di meglio era perfino successo!

La cara Narcissa Malfoy, che per quel che le riguardava avrebbe dovuto seguire il marito in qualche posto poco meritevole, aveva fatto recapitare al figlio le stesse sollecitazioni della sua. Tralasciando l’avversione intestinale che gli mettevano quelle coincidenze che in qualche modo li accomunavano. Tralasciando la repulsione convulsa con cui per un attimo aveva ringraziato quell’arpia con una qual certa reverente gratitudine. Tralasciando tutto il resto, insomma si era preparata a partire in fretta e furia pensando che tutto sarebbe tornato alla normalità.

E per l’Hermione che non aveva visto dal giorno prima riteneva che il modo migliore per iniziare quel periodo di catarsi fosse vedersi strappata dal fianco la spina fastidiosa di quello che credeva di poter chiamare, nuovamente, con assoluto, incredibile, appagante e inimmaginabile orgoglio, la persona che sulla faccia della terra avrebbe avuto meno rapporti amichevoli al mondo con lei e le persone a lei care.

Draco Malfoy, i tuoi giorni di gloria sono finiti!

Si, era questo che aveva pensato.

Quando però era scesa all’ingresso di Hogwarts, trascinandosi dietro le valigie, e l’aveva visto accidentalmente incappare in Hermione e cercare di scansarla, pur non riuscendoci, le era parso che l’espressione di Draco fosse di un gelo innaturale.

Che, infondo, lo ammetteva, aveva comunque sorpreso anche lei.

Ma di Draco se n’era subito fregata.

Quella che aveva fatto crollare tutte le sue speranze era stata invece Hermione…

« Draco, senti… » L’aveva sentita esordire, con una voce che le era sembrata subito un po’ meno vivace del solito.

Aveva visto Malfoy ritrarsi brusco, dando le spalle a lei, che guardava.

« Ti ho già detto che non voglio avere niente a che fare con te. » L’aveva sentito soffiare tra i denti, con un tono di un’asprezza corrosiva. « Non farmelo più ripetere, Mezzosangue. »

Ehi, ma che diavolo gli prende?!

L’aveva pensato.

Quasi in un moto contrariato, quasi pensando – pur non volendo accettarlo – che si era abituata che le cose non andassero più in quel modo. E si era offesa, forse, non perché lui avesse parlato tanto male, ma perché lui non le avesse più parlato bene.

Ma anche di quello se n’era poi dimenticata.

Perché nel ritrarsi di Hermione, dandole modo di vederla in viso, un’immagine terribilmente evocativa si era sovrapposta quasi perfettamente a quello che vedeva.

Lo scambio di battute che era seguito, l’aveva poi raggelata.

« Io… » Aveva detto nervosa e incerta Hermione. « Io… ecco… ti volevo dare questo. »

E aveva tirato fuori un pacchetto.

Un regalo, ne era sicura. Da come Hermione l’aveva guardato. Da come l’aveva tenuto. Da come gliel’avrebbe dato, sa solo lui avesse voluto prenderlo. E, certo, un moto di incredibile disapprovazione l’aveva travolta alla sola idea che Hermione avesse speso una sola falce per quell’idiota. Ma a farla star male non era stato quello…

Draco aveva lanciato uno sguardo tagliente all’oggetto.

E poi uno brutale a Hermione.

Secco, quasi fremente, aveva sibilato:

« Non lo voglio. »

Era stato solo un attimo, solo uno, ma le era parso che lui stesse per sollevare un braccio tremante, e colpire Hermione. Si era scoperta avanti di un passo, preoccupata. Ma se avrebbe colpito lui per aver colpito la sua migliore amica, o sostenuto la sua migliore amica per essere stata colpita da lui quello in quel momento aveva capito di non saperlo.

E la differenza era sottile, ma c’era.

Quello che invece era certa di sapere, era che l’espressione un po’ sofferente di Hermione, ferita a quelle risposte, l’aveva colpita in una maniera che quasi aveva fatto soffrire anche lei.

« Allora… ehm… te lo lascio qui. » Aveva mormorato Hermione, con un tono di voce sempre molto fievole.

« Fa come diavolo ti pare. » Aveva sentenziato Malfoy, impenetrabile. Impassibile. « E ora puoi anche andartene. »

E non aveva aspettato che Hermione rispondesse qualcosa per fare i primi gradini verso l’esterno. Ma fu certa che Draco avesse sentito l’amica quando questa, da lontano, con una nota nostalgica terribilmente bassa, gli aveva mormorato:

« Buon Natale. »

E lui a quel punto forse l’avrebbe picchiata davvero.

Forse a quel punto uno schiaffo furente, vibrante, gliel’avrebbe impresso in viso come si imprime un marchio, col fuoco.

Perciò era stata contenta che Malfoy se ne fosse poi, invece, andato, ignorando con sprezzo il regalo lasciato per terra.

Era stata contenta e non aveva perso un secondo per raggiungere Hermione, che era tornata all’interno della scuola.

L’aveva chiamata.

Hermione si era fermata. Si era girata. E l’aveva aspettata qualche metro più avanti.

Avvicinarsi non era stata una buona idea.

Hermione sorrideva. Non era un bel sorriso. Ed eppure per quanto poco bello, per quanto stanco, la smorfia tra le due la fece lei.

« Auguri per la partenza. » Le aveva detto l’amica, sinceramente.

Tanto sinceramente da rendere la sua smorfia ancora più contratta e i suoi occhi, nell’osservarla, ancora più preoccupati.

« Già, la mamma ha chiamato all’improvviso. » Aveva risposto, inventando una risatina che era risultata priva di qualsiasi genere di allegria. « Quindi niente festa o cose così, solo a Natale dalla famiglia. »

Hermione le aveva sorriso ancora, dicendo:

« A Dean sarà dispiaciuto. »

E lei si era stretta nelle spalle, scostando lo sguardo da un’altra parte.

Cercò di trovare il coraggio di chiederle perché Draco avesse cambiato così improvvisamente umore, ma sapeva che avrebbe dovuto anche trovare il coraggio, poi, di guardarla negli occhi quando le avrebbe risposto.

E quello non l’avrebbe avuto.

Allora, pur sentendo un peso sul cuore all’idea di lasciarla, l’aveva salutata:

« Allora adesso io vado. »

Hermione aveva annuito, salutandola a sua volta.

L’aveva chiamata solo pochi attimi dopo, quando già lei le aveva voltato le spalle.

« Ah, Ginny? »

« …si? » Le aveva chiesto, girandosi con fatica verso di lei, temendo che accadesse qualcosa di brutto. Come se davvero potesse succedere. Come se davvero quell’immagine che non le aveva lasciato la mente e si era confusa con la realtà potesse essere un presagio terribile.

Quello che invece Hermione le aveva detto le aveva dato speranza…

« Salutami Ron e Harry. »

L’aveva detto dolcemente.

E in quel momento lei era lì, a guardare Hermione Granger che nonostante tutto aveva superato una crisi terribile. Che ne era uscita. Che sapeva ancora prendersi cura delle cose importanti e considerare tutto importante.

Ma comunque non riuscì a sorridere quando le garantì, con una convinzione che risultò quasi grave:

« Senz’altro. »

Perché per quanto avesse capito che si trattasse di una situazione differente, aveva comunque sperato che non ci sarebbe più stati quei giorni. Quelli in cui Hermione era un solo pallido esempio di sé. Certo, non così pallido come dopo quell’estate. No, certo che no… ma anche se era sciupata solo un po’, sapeva che quando sarebbe tornata dalle vacanze Hermione avrebbe avuto gli occhi incassati nelle cavità oculari. Delle borse bluastre sotto di essi. L’aspetto di una persona abituata ad essere stanca e triste.

Hermione, che di energie ne aveva sempre avute. Che aveva una tempra morale e una fibra indistruttibile. Un orgoglio incancellabile.

Stanca.

No… non sarebbe sembrata più lei.

E tutto per colpa di Malfoy…

L’espressione le si indurì, ritornando al pensiero di lui che così tranquillamente cambiava umore, che così tranquillamente distruggeva Hermione.

E, si, le faceva rabbia.

Avrebbe voluto che lui non fosse mai entrato nella vita dell’amica. E un paio di settimane prima avrebbe anche fatto di tutto per farlo uscire. Ma dentro di sé, giunti a quel punto, sperò che le cose si sistemassero. Che lui si voltasse, tornasse indietro, che non la guardasse più in quella maniera orribile. La disturbava l’idea di pensarlo! La disturbava terribilmente! La disturbava l’idea di dover rischiare di nuovo la sua sanità mentale e calpestare ogni suoi più alto principio morale per dire a Dean di aver lasciato che Hermione portasse Draco ad una delle loro feste!

Ma l’avrebbe fatto.

Per Hermione, giunti a quel punto, l’avrebbe fatto.

Perché a quel punto le cose non stavano come aveva sperato. Non stavano che Hermione si fosse sobbarcata di una responsabilità che doveva portare avanti e che stava portando avanti sino alle più radicali conseguenze. Non stavano che a Hermione sarebbe passata in fretta. Non stavano che Hermione avrebbe potuto trovare qualcun altro con cui passare il tempo, una volta che le fosse passata.

Non che “tanto era Draco Malfoy” e quindi non c’era niente da perdere con lui.

Né che una persona simile non sarebbe mai potuto diventare importante per nessuno.

No.

Anzi…

.. stavano che Hermione aveva di nuovo perso qualcuno che, importante, lo era già diventato

*** *** ***

Lunedì 16 Dicembre. Ore 10.37
Hogwarts. Sala Comune di Serpeverde.

Theodore Nott si girò dietro di sé con uno sguardo atterrito.

E lui, Blaise Zabini, accolse la cosa come un fausto presagio.

« Che c’è? » Gli chiese, con infinita tranquillità.

Prima di rispondere, Theodore sprofondò, teso come la corsa di un violino, nella poltrona accanto a lui, e trasse un paio di profondissimi sospiri, con gli occhi che fissavano il pavimento pieni di solenne angoscia.

Rettifico.

“Fausto” non era sufficiente. Miracoloso era decisamente più appropriato per definire quel presagio.

I due profondissimi sospiri nel vocabolario di Theodore erano di rito per le catastrofi. E per quanto bene si fossero messe le cose il giorno prima, con l’improvvisa intrattabilità di Draco, non aveva neanche sperato che potessero mettersi tanto bene da guadagnare i due chimerici sospiri.

« L’ha trattata malissimo. » Disse infine Theodore, prostrato, con lo sguardo vacuo e sgomento.

« Chi ha trattato chi? » Domandò con falsissima innocenza, trattenendo il senso infinito di compiacimento nel veder Theodore vibrare, davanti a lui, appena prima di esplodere, zampillante d’angoscia:

« Draco e Hermione Granger, Blaise! »

Ah, quanto era servito annoiarsi per ben sei anni, solo in attesa di quell’ultimo settimo! Quanto!

« Beh, si sono sempre odiati, no? » Specificò, con l’abituale flemma, scotendo lentamente il capo. « Mi sembra più che normale. »

Guardando l’espressione di Theodore corrucciarsi vividamente, in un trasporto altruistico di immense proporzioni, con insito all’interno un rimprovero di straordinarie potenzialità paradigmatiche, la sua espressione rimase come rapita da quell’assoluto e limpido sgomento.

Quanto meritava l’ingenuità di Theodore?

« Piantala! Lo sai benissimo che le cose erano cambiate nell’ultimo periodo… Era questo quello che intendevi dicendomi di guardare in prospettiva, no? » Si oppose quasi in un bisticcio di parole il compagno, con le sopracciglia tanto aggrottante da fargli certamente male. « Pensavi che lui e la Granger potessero andare d’accordo! Ecco! »

Si portò una mano davanti al viso, dietro alla quale nascose il sorriso arcuatosi in una smorfia subdola e incredibilmente cinica.

10 e lode.

Ecco quanto meritava l’ingenuità di Theodore.

Non meno. Mai meno.

Semplicemente, il massimo su qualsiasi scala.

Un ragazzo che pensava che la massima prospettiva per Draco Malfoy ed Hermione Granger fosse l’andare d’accordo e lo affermava con tanta convinzione e trasporto – ed era tanta, meravigliosamente tanta – meritava persino la lode.

Ci volevano più persone come Theodore al mondo.

Per il suo divertimento, personalmente, ne bastava uno. Ma in uno slancio particolarmente altruistico pensò che avrebbe potuto elargirne almeno uno a tutti i suoi parenti nel massimo nome dell’affetto famigliare. Uno a ciascuno. Da spupazzare. Irridire. Umiliare. E da cui farsi comunque riverire.

E poi, una volta stufatisi, da fare a pezzi arto dopo arto.

Già, sarebbe stato altresì buono che per ognuno di quei “Theodore” ci fosse una famiglia abbastanza ricca da poter pagare una bella lapide per i figli.

Che certamente sarebbero morti presto.

Magari raggomitolandosi a terra in contorsioni e sofferenze sconosciute. Giacché erano talmente generosi che probabilmente vi si sarebbero prestati prima di morire. Si sarebbero spenti pietosamente. Nel tormento della loro coscienza. Magari affannandosi persino a perdonare i loro carnefici. E perciò una bella lapide era doverosa, perché in tutta quella vita di sacrifici e tormenti sarebbe stata l’unica prova della loro bontà e l’unico – e per l’altro non godibile – merito che avrebbero ricevuto.

E poi, come tutti gli altri, buoni o cattivi, sarebbero diventati solo cibo per i vermi.

« Mi stai ascoltando o no? » Lo riprese in ansia Theodore, con gli occhi stravolti dal senso incalzante dei problemi, delle tragedie, della sofferenza altrui. E di tutto quello che c’era di doloroso nel mondo.

Il sorriso gli tornò. Più tranquillo e ilare.

Scacciò con entusiasmo il cinismo e il realismo. E scacciò anche l’altruismo. Che delle loro noie, delle loro lapidi e dei loro giocattoli se ne occupassero gli altri. Parenti o non parenti. Che il mondo decadesse o marcisse come meglio credeva.

Lui, il suo Theodore ce l’aveva.

Ed era anche convinto che con ogni probabilità non si sarebbe mai stufato di lui.

« Sì, sì. » Gli rispose, blando, fintamente accondiscendente nel tono e nello sguardo sottile. Intenzionato con gioia a proseguire quella conversazione fino in fondo. E a lasciare fuori dalla mente la realtà quanto più possibile. « Ti sto ascoltando. Ed è proprio come dici tu. »

« Eh! » Esclamò teso Theodore, indicando in un gesto quasi isterico la finestra della sala comune. « Però adesso lui non la vuole più vedere! L’ho visto proprio un attimo fa che le diceva di andarsene! »

Incrociò le braccia sul petto, caricando di criptica serietà lo sguardo.

« La cosa può significare solo una cosa. » Replicò, fissando Theodore profondamente negli occhi.

Quegli lesse in quella profondità una solennità e una gravità che lo fecero impallidire.

« Cioè? » Chiese il Serpeverde, quasi sgomento all’idea che potessero presagire qualcosa di veramente drammatico.

« Che tu li hai spiati dalla finestra. » Concluse, invece, lui, pacato. Fissandolo placido.

« Oh, Blaise! » Sbottò Theodore con sfibrata durezza. Ma subito sciogliendosi in una più rimproverante ed esasperata contrarietà: « Vuoi essere serio per una volta! »

Gli rivolse uno sguardo straordinariamente ed eccezionalmente irritante. E schioccò, inarcando le sopracciglia con lenta e suadente precisione:

« Ma io sono sempre serio. »

Theodore lo guardò quasi affranto, riprendendolo ancora, impazientemente – e in realtà con una pazienza spropositata:

« Blaise! »

Ma lui non faceva che sorridere. Ridere, quasi.

Perché poteva sopportare tutto con la più autentica impenetrabilità. Tutto. Ma non Theodore che per l’ennesima, la centesima, la millesima volta, credeva, ciecamente, nella sua più assoluta partecipazione. Non l’innocenza con cui Theodore lo trattava come se non fosse il guerrafondaio che scatenava la guerra per cui lui cercava sempre una soluzione.

Tutto, veramente. Ma non quello.

Per cui alle volte si dimenticava persino del copione da seguire.

« Draco Malfoy non abbandonerà mai Hermione Granger. » Disse, traendo un sospiro e guardando Theodore in un modo che parve tranquillo e non eccessivamente studiato.

La realtà era che non esisteva sguardo più studiato di quello che non appariva eccessivamente studiato. Ma del resto questo lo sapevano lui e la coscienza che aveva bruciato anni prima proprio in cambio di quella brillante intelligenza con cui così facilmente sapeva indurre gli altri a offrirgli svaghi nella vita monotona di Hogwarts.

Theodore, per parte sua – rischiando di farlo sorride un’altra volta allo scoccargli del tutto inutile di uno sguardo sospettoso – domandò, con aria guardinga:

« E… e come fai ad esserne così sicuro? »

Decise di ignorare il modo assolutamente ridicolo con cui il compagno gli chiedeva, infondo fiducioso del suo giudizio, seppur diffidente della sua persona, di qualcosa per cui lui si preoccupava solo come fonte costante di divertimento. E che d’altro canto in quel momento occupava tutto l’essere convulsamente partecipe di Theodore.

« Pansy avrà graffiato un nervo scoperto, no? » Spiegò, tranquillamente. Quasi svogliatamente sul finire della frase. Perché a parlare di cose ovvio ci si annoia con una rapidità impressionante.

E quello era ovvio. Anzi, scientifico.

Era scientifico che le gatte morte graffino e gli esseri umani sciocchi e stupidi si facciano graffiare. E se Theodore non fosse stato intento ad ascoltare, a pendere dalle sue labbra per cercare conforto e speranza in una situazione per lui irrisolvibile, si sarebbe forse accorto di quanto profondamente agghiaccianti fossero gli occhi e le smorfie di Blaise quando il cinismo e il realismo nel pensare agli esseri umani riempivano la sua espressione di raggelante freddezza…

« Ma Draco infondo sa quanto Hermione Granger sia l’unica che può farlo stare veramente bene. » Riprese del resto con una più soffice espressione di superiore finezza, tornando a parlare del mondo dei suoi giochi. Più bello. Più vario. Più colorato. « E’ piuttosto ottuso… » Aggiunse, in un sorriso particolarmente ilare nel riflette su quanto Draco fosse, effettivamente, ottuso. « … ma questo infondo lo sa benissimo. »

Theodore inarcò un sopracciglio, perplesso.

« … e allora perché ha rifiutato il suo regalo? » Domandò, non capendo.

Blaise allargò il sorriso, appollaiandosi sulla sedia con maggior distensione. E con un’enigmatica ma ridente, e assolutamente compiaciuto espressione sul viso, ribatté, in tono fintamente interrogativo:

« L’ha rifiutato? »

« Che vuoi dire? » Chiese Theodore, ritraendosi sulla sedia in un attimo di pura confusione.

Mentre, spronato dal dubbio e dallo sguardo ironico che gli veniva rivolto, il compagno si affacciava alla finestra che dava sul cortile, Blaise Zabini ampliava il sorriso sul suo viso.

E Theodore Nott vedeva che il regalo “lasciato” in realtà non c’era più…

« Voglio dire che un graffio non può cancellare quello che ti dà il calore umano. »

  
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