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Autore: rolly too    01/07/2012    6 recensioni
Kidd ha tirato troppo la corda, e il suo migliore amico si è trasformato nel nemico più pericoloso con cui abbia mai avuto a che fare. Perché Killer è forte, determinato, e soprattutto è stanco di lui e del suo comportamento. Davanti a una minaccia tanto grande e tanto dolorosa, nemmeno il Capitano Kidd sa più che cosa fare, e forse nemmeno il suo storico nemico e amante può aiutarlo, e anzi, potrebbe anche essere in pericolo.
Genere: Angst, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Killer | Coppie: Eustass Kidd/Trafalgar Law
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Penguin si morse la parte interna della guancia nel tentativo di resistere allo sguardo severo di Law, ma non ci riuscì. Fu costretto a distogliere gli occhi dalla figura del suo capitano, sconfitto.
«Non intendo mettermi contro Eustass-ya.» ribadì Law. «Perciò appena Killer-ya starà meglio lo lasceremo nella prima isola che troveremo, e non ti metterai in contatto con lui finché le cose non si saranno sistemate.»
Per quanto lo riguardava, il comportamento di Law era sbagliato e pericoloso, almeno per Killer. Forse se la sarebbe potuta cavare contro Kidd, ma se Law decideva di aiutare l'altro capitano, allora non aveva speranze.
«Non intendo nemmeno fargli del male, comunque.» sospirò Trafalgar. «Quindi stai tranquillo. Anche se vorrei fargliela pagare per quello che ha fatto alla ciurma, gli concederò di andarsene senza conseguenze.»
«Grazie, capitano.»
«Ma se vi mette in mezzo di nuovo lo ucciderò.»
Penguin si sentì gelare a quelle parole. Sapeva che non era nella natura di Law perdonare chi aveva fatto del male alla ciurma, e già la concessione che gli stava regalando era fuori dall'ordinario. Sperava davvero che Killer evitasse di fare cose eccessivamente idiote, perché aveva la possibilità di salvarsi e l'avrebbe sprecata, se Law avesse avuto anche solo il sospetto che la ciurma rischiava qualcosa. Questa volta non poteva permettersi di giocare, perché si era scelto un avversario più temibile ancora di Kidd.
Doveva parlargli, per spiegargli come si stavano mettendo le cose e qual era la posta in gioco.
Inaspettatamente, Law gli rivolse un piccolo sorriso.
«Nelle condizioni in cui è non penso che sia una minaccia. Piuttosto che stare qui a discutere con me, però, dovresti andare da lui. Parlagli, e fallo ragionare.»

Penguin entrò nell'infermeria con passi lenti, insicuro.
Non era certo che Killer si fosse svegliato, e non voleva disturbarlo. Quando fu dentro, però, si rese conto che l'altro non dormiva più.
Erano passati solo pochi giorni da quando l'aveva trovato in quella capanna e nonostante le sue condizioni fossero gravi era migliorato molto, e, anche se con un po' di fatica, aveva ripreso a parlare.
«Come ti senti?» gli chiese Penguin avvicinandosi al letto.
«Sto bene.»
«Sì, certo.» Penguin lo fissò. Era la prima volta che gli parlava da quando l'avevano portato sul sottomarino. Quando si era svegliato c'era Wakane con lui, e nell'unica altra occasione che aveva avuto di vederlo era stato accompagnato da Trafalgar, e non avevano avuto modo di stare soli. Però voleva davvero parlargli, e cercare di capire che cosa gli passasse per la testa.
«Te la sei vista proprio brutta.» commentò sedendosi accanto al letto. «Se non ti avessi trovato saresti morto entro un paio di giorni, lo sai?»
Killer non rispose. Gli rivolse uno sguardo stanco, sfibrato, e Penguin si limitò a scostargli i capelli biondi dal volto carezzandogli la fronte.
«Spero che tu non abbia in mente altri scherzi come quello del veleno.» gli disse, serio. «Law questa volta te la fa passare, ma se ci riprovi non credo che ti andrà così bene.»
Ma Killer rimase ancora in silenzio, senza distogliere lo sguardo dai suoi occhi e Penguin, nonostante tutto, non riuscì a capire che cosa passasse per la mente dell'altro.
«Va bene che non ti piace Trafalgar» riprese allora «ma lui ti sta curando. So che sei forte, ma non pensi che sia rischioso mettersi contro Kidd e anche contro Law?»
«Kidd non capisce.» rispose Killer.
Penguin rimase in silenzio, cercando di capire come quelle parole si collegassero a ciò che aveva appena detto. Gli ci volle qualche secondo per rendersi conto che Killer aveva ignorato la sua domanda, ma nonostante questo decise di assecondare il suo discorso per vedere dove voleva arrivare.
«Che cosa non capisce?»
«Tutto.»
«Di te?»
«Sì.»
Penguin fu costretto a riflettere diversi istanti su quelle parole, ma non riuscì a darci un senso compiuto.
«Vuoi parlarne?» domandò alla fine.
Killer lo guardò solo per poco, e subito spostò lo sguardo verso la parete, impedendo a Penguin di incrociare il suo sguardo.
«Kidd mi ha portato via da lì.» iniziò Killer.
Penguin annuì. Aveva già sentito quella storia, ma se Killer voleva ripeterla andava bene. Se poteva aiutarlo, qualunque cosa andava bene.
«Ha ucciso quegli uomini e mi ha fatto curare. Si è preso cura di me.»
Sapeva anche quello.
Kidd, ormai diversi anni prima, era entrato per errore nel locale in cui Killer era costretto a vivere. Si trattava di una sola stanza, sporca e calda, con una forte illuminazione. Così la descriveva Killer.
Kidd aveva visto Killer, allora ridotto a poco più di uno scheletro sporco ed emaciato, con gli zigomi troppo sporgenti e il volto deturpato da orribili cicatrici che quegli uomini gli avevano causato con il fuoco di alcuni accendini e ferri incandescenti, e accanto a lui un uomo morto.
E a sovrastare il ragazzo, che non aveva ormai neanche la forza per reggersi in piedi, c'erano altri uomini armati di bastoni e spranghe di ferro, e lo colpivano con forza, ormai in procinto di ucciderlo.
Killer aveva spiegato a Penguin che lo stavano punendo per aver ucciso il loro compagno, e poco importava se l'aveva fatto perché quello intendeva fargli del male. Per quella gente Killer non era altro che una proprietà su cui sfogare le frustrazioni alla fine della giornata, e non aveva diritto di lamentarsi per il trattamento che subiva.
E lui, ormai incapace di difendersi, senza nemmeno riuscire più a lamentarsi per il dolore che quei colpi gli procuravano, si era rassegnato a morire. E poi, anche se non aveva capito bene come fosse successo, i quattro uomini che lo aggredivano erano morti a terra, e chino su di lui c'era Kidd che gli parlava. Killer aveva confessato che non ricordava assolutamente nulla di ciò che Kidd gli aveva detto, né tanto meno cosa lui avesse risposto, ma Kidd l'aveva preso in braccio e portato via da lì.
L'aveva condotto sulla nave, e lì, insieme a Wire, si era preso cura di lui. Avevano pulito le sue ferite, gli avevano dato abiti caldi e avevano fatto di tutto per salvargli la vita. Gli davano da mangiare e ripulivano quando vomitava ciò che era troppo pesante per il suo stomaco, e non si lamentavano mai.
Kidd, soprattutto, lo teneva d'occhio, lo spronava a fare del proprio meglio per rimettersi in forze. Gli parlava per evitare che impazzisse a causa degli incubi, del terrore.
Quando si era reso conto che Killer non riusciva nemmeno a mettersi in piedi, privo di energie come era, aveva fatto di tutto per aiutarlo a camminare di nuovo, portandolo in giro per la nave sostenendo tutto il suo peso, portandogli il cibo migliore, finché Killer non era stato meglio.
«Gli devo tutto.» sussurrò Killer. «E gli voglio bene. Lui è il mio migliore amico. Ma non capisce.»
«Per questo l'hai attaccato?»
Killer scosse la testa.
«È stato lui ad attaccare me. È venuto nella mia cabina, voleva fare sesso. Io non volevo. Non mi piace farlo con lui, mi fa male.» Parlava a voce bassa, lentamente, senza nemmeno guardare Penguin. Era come se stesse parlando da solo. «Prima era diverso.» sospirò Killer, sofferente. «Mi andava bene, perché non avevo conosciuto nient'altro che violenza da quegli uomini, e invece Kidd voleva che piacesse anche a me, e anche se mi faceva male non mi importava, perché non lo faceva con cattiveria, era solo il suo modo di fare.» Prese un respiro profondo, tremando appena, poi proseguì con la voce che s'incrinava: «È diverso da quando ho conosciuto te. Quando lo facciamo... Non mi fai male, e mi piace. Ho iniziato a rifiutare Kidd, e lui s'infuria. Non lo faccio perché  ho qualcosa che non va con lui, solo che non mi piace andarci a letto insieme. Quella sera era ubriaco... Non ne potevo più, Pen. Ogni sera era così. Se era sobrio faceva un po' di storie, e basta. Ma Kidd beveva tanto nell'ultimo periodo, e per me era un incubo. Mi sembrava di essere tornato in quella stanza. Avevo paura che perdesse la testa e mi costringesse. Non volevo più cedere solo per non litigare. E quella sera... è venuto da me, ha cercato di buttarmi sul letto. Lo so che non lo faceva con l'intento di farmi male, so che non era in sé. Ma io davvero non ce la facevo più. L'ho allontanato, l'ho buttato fuori dalla mia cabina.»
Fece una pausa, riprese fiato. Penguin rimase in silenzio e si limitò a prendergli delicatamente la mano e lasciare che si sfogasse come meglio credeva.
«Gli ho detto che doveva smetterla, che non sono una sua proprietà. Gli ho detto che non volevo più fare sesso con lui, che doveva andare a tormentare qualcun altro. Gli ho detto... gli ho detto che è come quegli uomini. Che mi fa male come me ne facevano loro, e lui non ci ha più visto. So che ho sbagliato a dirgli quella cosa.» Sospirò, mordendosi il labbro, e proseguì : «Non voglio che mi facciano di nuovo quelle cose. E non voglio che me le faccia Kidd. Non volevo fargli del male, non volevo che perdesse il braccio. Tutto quello che è successo...»
Interruppe il discorso a metà, si guardò intorno con sguardo preoccupato, e continuò con tono urgente:
«Tutto quello che è successo... L'ho preparato subito dopo che me ne sono andato dalla ciurma. Anche il veleno. In quel momento volevo solo fargli più male possibile, per questo ho mirato a voi e a Law. Poi vi ho seguiti, e quando ho capito quello che avevo fatto mi sono pentito. Ho cercato di tornare indietro, perché c'era anche un'altra cosa, Pen, più pericolosa del veleno e se per caso fosse già successo tutto... Ero così arrabbiato, lo volevo solo uccidere! Ma adesso non voglio più, ho capito che sto sbagliando, non voglio fargli male. Devo avvertirlo di quello che ho fatto, così potrà evitare una tragedia... Dovevo tornare indietro, ma non ci sono riuscito.»
Penguin annuì e si alzò.
«Allora lascia che vada a parlare con il capitano. Gli spiegherò che non vuoi farci del male, e farò in  modo che si metta in contatto con Kidd, e gli potrai parlare, d'accordo?»
Killer annuì distrattamente, ma Penguin si accorse subito che quel discorso doveva averlo stancato più del dovuto. Aveva gli occhi appannati, lo sguardo vacuo, e nel momento in cui gli toccò la fronte sentì che era bagnata di un sudore freddo. Prima che potesse fare qualunque cosa si rese conto che l'altro aveva perso i sensi, e si affrettò a farlo sdraiare nuovamente, prima di alzarsi per andare a cercare Law.
Uscì dall'infermeria e si diresse verso la cabina di Law. Entrò senza bussare, e quando lo vide Trafalgar gli rivolse uno sguardo soddisfatto, come se avesse portato a termine un compito che lui stesso gli aveva dato.
«Ti ha spiegato come sono andate le cose?»
«Sì. Capitano, senti...» Ma Penguin fu costretto a interrompersi.
Anche Trafalgar aveva sentito. Le pareti del sottomarino e il pavimento tremavano, come scossi da brividi, e l'intera imbarcazione aveva iniziato a oscillare in modo preoccupante. Si resero conto solo dopo pochi secondi che stavano tornando in superficie, ma nessuno aveva dato l'ordine di risalire.
«Che succede?» domandò Penguin.
Il metallo prese a incrinarsi e cigolare, come se fosse stato sottoposto a un grande sforzo.
Penguin vide Law farsi mortalmente pallido e correre fuori dalla cabina, ignorandolo completamente.
«Eustass-ya!» lo sentì solo chiamare, in un'imprecazione furiosa che Penguin riuscì a cogliere prima che il capitano sparisse dalla sua vista.
   
 
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