Cicatrici di ghiaccio
Giunse
l'alba del decimo giorno di reclusione.
I
segni dello scempio erano presenti ovunque in quella buia cella di
prigionia, era sufficiente entrarvi ad occhi chiusi e odorare l'aria,
era sufficiente ascoltare le grida e gli ansiti che si consumavano e
venivano soffocati in laceranti spire di pianto.
Alcuni
strumenti di tortura erano appesi alle pareti della cella e
oscillavano come spettri in attesa di essere adoperati. Altri invece,
usati di recente, giacevano sparpagliati sul pavimento.
Due
dei più ricercati esecutori di Asgard lavoravano attorno al
corpo
inerte di Loki.
Le
punte acuminate d'acciaio scavavano nella pelle come sanguisughe
affamate, bucavano brutalmente la cute che rispondeva a quelle
insostenibili violenze ricoprendo di uno strato ghiacciato la parte
lesa. Un estremo sforzo autodifensivo che il corpo Jotun del giovane
Loki metteva in atto, ma a che prezzo...
Il
Signore degli Inganni trattenne a malapena un grido mentre avvertiva
l'ennesimo sperone acuminato scavargli la carne sottile del
ginocchio, rompere le fragili cartilagini e i legamenti. Le braccia,
ridotte a due rami nodosi, erano appese alla parete retrostante,
strette nella morsa di polsini irti di sottili aghi. Del suo corpo,
nudo e devastato dalle emorragie, sembrava rimanesse solo lo
scheletro. La tecnica di autodifesa peculiare della sua razza aveva
il difetto di essere estremamente inefficace e autodistruttiva sul
suo esile fisico, non certo possente come quello di un Gigante di
ghiaccio. Il suo corpo richiedeva immani quantità di
nutrimento ed
energie, e non trovandole nei normali pasti quotidiani, le strappava
dalla carne dei muscoli superflui.
Loki
infatti non riusciva più a mangiare, qualsiasi cosa
ingerisse la
rigettava immediatamente. Forse perché faticava a mantenere
la
consueta sembianza divina conferitagli da Odino e il suo metabolismo
Jotun assimilava malvolentieri il cibo di Ásaheimr, o forse
per il
disgusto causatogli dalle terribili torture cui, ormai da parecchi
giorni, era sottomesso.
Uno
dei due asgardiani, quello che pareva più giovane e
più crudele,
gli liberò i polsi dalla morsa, sanguinanti e pieni di
minuscoli
fori. Loki si accasciò a terra, privo di forze, e
un'improvvisa
fitta all'addome gli stroncò il già debole
respiro.
Qualcos'altro
reclamava a gran voce la sua porzione di nutrimento.
Portò
una mano a toccarsi il ventre, cercando di zittire l'impellente
bisogno di quel bolo famelico.
Ormai
non c'era più dubbio.
Dentro
di sé cresceva il figlio illegittimo della stirpe reale di
Asgard.
«Portami
la mistura acida che ti avevo fatto preparare...»
I
suoi due aguzzini si atteggiavano da freddi professionisti, badavano
bene a non sporcarsi le mani del suo sangue, si dedicavano con
perfezione maniacale alle procedure ideate da chissà quale
sadico,
trattando la loro preda come fosse un comunissimo oggetto inanimato,
privo di coscienza alcuna. Non l'avevano certo malmenato o
violentato, quello era il compito che, la sera, spettava alle guardie
notturne. Ai miseri che volevano abbattere la loro inettitudine su
chi era più debole e miserabile di loro.
Un
intruglio simile ad olio bollente gli venne cosparso su tutto il
corpo: era freddo, e non gli provocava alcun male, apparentemente.
Loki
alzò lo sguardo smarrito verso l'asgardiano che gli stava
riservando
quel trattamento, che lo toccava con riluttanza e gli cospargeva
quell'insolita mistura sulle braccia, sulle gambe, sull'addome... Ma
il dolore giunse pochi attimi dopo.
L'unguento,
se a primo impatto pareva freddo, ora era divenuto insostenibilmente
caldo. Ardeva e sfrigolava come le fiamme di Múspellsheimr,
s'insinuava nelle cavità sanguinanti delle ferite senza
alcun
attrito e scavava più a fondo, bruciando la carne e
sciogliendo
all'istante le deboli foglie ghiacciate che avevano tentato di
rimarginare le gravi lesioni.
Loki
venne tramortito da quell'inaspettata violenza e si premette con
forza una mano sulla bocca, cercando di non urlare. Non era un acido
che corrodeva e sfigurava, come si sarebbe aspettato, ma era un
intruglio che bruciava, senza tuttavia lasciare segni di abrasioni
sulla pelle.
Era
evidente che Thor non volesse vedere il corpo del suo bel fratellino
irrimediabilmente rovinato.
Le
lacrime gli si fermavano sugli occhi, non riusciva a piangere. Il suo
corpo cercava di trattenere dentro di sé anche la
più piccola
goccia di liquido, in reazione alla terribile arsura cutanea.
E
mentre veniva consumato da quell'orribile punizione, assisteva alla
preparazione della sua prossima tortura.
L'inferno
durò fino a sera tarda.
Improvvisamente
e senza preavviso venne il silenzio: i due esecutori lasciarono la
cella e tutto finì, o almeno per quel giorno. Loki si
rannicchiò
contro la parete, coprendosi con la solita coperta sporca. Quando i
carcerieri entrarono a reclamare la loro parte, il dio non ci fece
nemmeno caso. La tortura aveva avuto fine, e non era lontanamente
paragonabile al trattamento che gli avrebbero riservato le due
guardie. Solo, non appena esse entrarono, rivolse loro uno sguardo
deciso e regale, di sufficienza, e si stupì di parlare come
parlava
un tempo ai servitori.
«Quanto
manca?»
«A
cosa?»
«Alla
mia condanna a morte».
I
due asgardiani si guardarono un momento per poi scoppiare a ridere
malignamente, credendo che quella richiesta fosse dettata dalla
paura.
«Quattro
giorni. Non tanto in verità».
E
Loki trovò la forza di sorridere. Non tanto.
*
L'atmosfera
a palazzo era tutt'altro che serena.
Thor
sedeva sul trono, ma non riusciva certo a rallegrarsene. La madre era
ancora immersa in un lutto silenzioso, non aveva mai manifestato
apertamente il suo dolore, ma proprio per questo le pene che
l'affliggevano diventavano più evidenti e pesanti.
Nonostante ciò,
il fatto che Thor fosse sul trono e che Loki stesse pagando per le
sue nefandezze riusciva a rassicurarla sul domani.
Un
sentimento impervio e oscuro stava prendendo vita nel cuore della
nobile asgardiana, un sentimento d'odio forse, nei confronti del
figlio adottivo.
Ma
poi, non appena questo timore prendeva forma, ella s'impegnava di
scacciarlo dalla mente.
«Madre,
non darti pensiero», le sussurrò Thor prendendo
una sua esile mano
e baciandola, tuttavia con labbra tremanti. Lei scosse la testa,
rifiutando quel contatto e indietreggiando per guardare meglio la
figura tormentata del figlio.
«Io
sono fiera di te Thor, e sono felice di vederti a capo di Asgard, di
Ásaheimr, e di tutti i Nove Mondi. So che sarai all'altezza
di tuo
padre, e noi riponiamo in te tutte le nostre speranze».
Thor
le restituì uno sguardo incredulo, come non credesse alle
proprie
orecchie. Dopo tutto quello che era successo, era innaturale sentire
simili parole uscire dalla bocca di sua madre. Thor non era portato
per la menzogna, la copertura gli stava stretta, e l'enorme senso di
colpa presto sarebbe accresciuto fino a diventare insostenibile per
la sua coscienza.
Dette
queste poche ma incisive parole, Frigga
abbandonò la grande
sala regale, non lasciando al figlio nemmeno il tempo di ribattere di
fronte a quell'eccesso di fiducia. Egli, per la frustrazione,
digrignò i denti e si lasciò andare in una
manifestazione rabbiosa,
sferrando due possenti pugni ai braccioli dorati del seggio.
Quattro
giorni.
Tra
quattro albe suo fratello sarebbe morto, e Thor non aveva alcun modo
di impedirlo senza danneggiare se stesso. Avrebbe dovuto scegliere
tra la sua vita e quella di Loki, e anche se questa era una scelta
che aveva già fatto, non era stato capace di rispettarla.
Non era
coerente con sé stesso, si chiedeva in che modo avrebbe
potuto
esserlo nei confronti dei suoi cittadini.
In
quell'attimo, quasi in concomitanza con l'uscita della regina, fecero
irruzione nella sala Sif, Volstagg, Hogun e Fandral interrompendo gli
intricati pensieri del re.
«Thor!»
Contenti di rivedere un caro amico, sfoggiarono un sorriso sincero,
che però non poté essere ricambiato adeguatamente
dal semidio.
«Amici
miei, mi fa piacere rivedervi!» Li accolse aprendo loro le
braccia,
lasciando il trono per venirgli incontro. «Quali notizie da
Vanaheimr?»
I
quattro guerrieri erano infatti tornati da poco dal regno degli
dèi
Vani, in qualità di ambasciata pacifica di
Ásaheimr. Un'ambasciata
pacifica pronta tuttavia a combattere in caso di fallimento dei
negoziati.
Parlò
Fandral: «a detta loro, sono in lutto per il grande Odino, e
pongono
gli omaggi alla tua nomina ma...»
Lo
spadaccino si bloccò, guardando confuso gli altri, come se
non si
volesse addossare la responsabilità delle sue parole.
Continuò
allora Hogun: «...ma noi abbiamo il sospetto che vogliano
approfittare di questo periodo di vuoti di potere per imporre la loro
supremazia sui Nove Mondi, per minare l'egemonia di Asgard. Il tuo
nome, Thor, non fa ancora paura quanto il nome di Odino».
«Allora
lo farò diventare temibile tanto quanto quello di mio
padre»,
asserì il semidio, mosso da un improvviso moto d'ira
all'idea di non
essere rispettato. Lo stavano sottovalutando, Vanaheimr si faceva
beffe di lui, e assieme a Vanaheimr chissà quanti altri
mondi a
partire da Jötunheimr tramavano di rovesciarlo.
Immerso
in pensieri molteplici, uno più tormentato dell'altro, Thor
si
diresse verso l'uscita della sala, deciso a liberarsi della presenza
di coloro che aveva sempre considerato degli ottimi compagni e
confidenti, nonché amici. Ma stavolta non avevano fatto
altro che
aumentare le sue preoccupazioni.
«Dove
vai?» Chiesero all'unisono, confusi davanti alla reazione del
dio
del tuono.
«Lady
Sif, vieni con me», disse soltanto Thor, lasciandosi alle
spalle
l'indesiderata compagnia e uscendo dalla stanza dei ricevimenti.
La
giovane seguì il re senza alcuna esitazione, raggiungendolo
lungo i
corridoi illuminati dalle torce. Poteva intuire - sebbene in modo del
tutto distorto - i suoi sentimenti: odio e rancore verso Loki, dolore
e tristezza per la morte di Odino, timore di sostenere il nuovo
incarico affidatogli. Era del tutto normale che si comportasse in
modo strano e diverso dal solito, in un modo che non gli si addiceva.
«Senti
Thor, io posso capire come ti senti, ma ora dovresti cercare di
riordinare le idee e iniziare a governare. I tuoi sudditi nutrono una
grande fiducia in te, e anch'io sono sicura che saprai eguagliare, se
non addirittura superare tuo padre».
Thor
tentennò un momento a quelle parole e si bloccò,
tuttavia
continuando a dare le spalle a Sif.
Fiducia,
fiducia... possibile che tutti gli asgardiani nutrissero questo
smisurato sentimento di amore e fiducia in lui? Forse aveva ragione
Loki, Asgard era un popolo di stolti che non sapeva riconoscere i
suoi nemici.
«No,
tu non puoi capire come mi sento», disse prima di continuare
a
percorrere i lunghi corridoi dorati, lasciando che il viso di Sif si
colorasse di delusione.
Una
delusione tuttavia che sarebbe svanita di lì a poco. Thor la
portò
nei suoi alloggi, nel giardino dove, da bambini, lui e suo fratello
passavano gran parte del tempo. Un esiguo stagno verde d'alghe
gracidava sommesso, e le libellule ronzavano contente della frescura
notturna. Il semidio si fermò tra la ghiaia, guardando
pensoso la
luna e i pendii boscosi di Azüle che si scorgevano in
lontananza,
tra le nuvole. E finalmente si decise a voltarsi verso la ragazza.
Le
mise due forti mani sulle spalle e le rivolse uno sguardo
indecifrabile. Non vi era più né rancore,
né tristezza né paura
nei suoi occhi chiari, vi era solo caos, confusione, indecisione.
La
bella combattente provò allora ad aprir bocca, ma Thor si
affrettò
a bloccare le sue parole con un bacio profondo e violento. Un bacio
che nulla aveva a vedere con quelli casti e soffusi che si scambiava
con Loki.
Gli
occhi castani di Sif si dilatarono per la sorpresa, poi, resasi conto
di quel che stava accadendo, li chiuse appagata e trionfante. Thor
non aveva smesso di pensare a lei.
Dopo
alcuni turbinosi attimi, il semidio lasciò le labbra gonfie
e
bagnate della ragazza, e la guardò deciso.
«Io
ti voglio come mia regina».
I
suoi occhi si accesero di stelle.
Le
lune assistettero silenziose e distanti a quelle parole, la natura
circostante continuò nel suo moto perpetuo, i profumi, i
suoni, i
colori, ogni cosa era come prima.
Eppure
nel cuore di Lady Sif era scoppiata una tempesta.
Chi
l'avrebbe detto che sarebbero bastati dei vecchi sentimenti e dei
buoni propositi per domare un'amazzone.
*
Loki
non riusciva a prendere sonno, sebbene sul suo corpo gravasse una
stanchezza immane. Una guardia giaceva al suo fianco, addormentata,
provata dall'amplesso. Guardò il suo viso con disgusto e
altezzosità, con un cipiglio regale che, nonostante tutto,
gli era
rimasto. Gli venne naturale chiedersi a che limiti potesse arrivare
la meschinità di Asgard.
In
quell'inferno l'unica luce incorrotta pareva essere quella creatura
che lottava disperatamente tra la vita e la morte, nel suo ventre,
ignara che il luogo in cui cresceva, apparentemente sicuro, sarebbe
stato annientato di lì a poco.
Avrebbe
dovuto odiare quel bambino? No. Non ci sarebbe riuscito nemmeno se
avesse voluto. Era parte di sé, e dopotutto era stato
concepito in
una notte d'amore. Inoltre per uno Jotun ermafrodita era impossibile
riuscire ad odiare il proprio figlio, la condizione ambigua di Loki
rafforzava il proprio affetto materno. Era una sensazione che da un
lato lo spiazzava, non aveva mai sperimentato nulla di simile, anche
se sapeva di essere dotato di tali capacità; dall'altro,
trovava la
cosa del tutto naturale, conforme alla sua indole.
Mentre
era così immerso nei suoi pensieri, giunse l'alba. Un
pallido raggio
s'insinuò attraverso uno spiraglio della guardiola:
incominciava un
altro giorno di torture.
Il
dio degli inganni acuì i suoi sensi e si mise sulla
difensiva, come
una gatta minacciata protegge i propri piccoli. La notte era stata
più breve del previsto.
Le
porte di sicurezza si aprirono con uno scatto, e gli venne portato il
primo pasto. Stavolta il ragazzo si sforzò di ingurgitare
qualsiasi
cosa gli dessero di commestibile, cercando di non vomitare. Deglutire
gli provocava un dolore immenso, come se avesse l'esofago lacerato da
mille ferite pulsanti, ma doveva cercare di mangiare.
Forse
fu il leggero recupero di forze a farlo tornare, per la seconda
volta, nella sua forma femminile.
Cauto
e spaesato, toccò quell'insolito corpo di donna, i fianchi
più
larghi adatti per dare alla luce un bambino, il seno più
gonfio del
previsto, i capelli lunghi e mossi. L'unica parte del corpo che
riconosceva come propria erano le gambe, lunghe, snelle, glabre.
Spaventato
che gli esecutori tornassero da un momento all'altro e lo scoprissero
in quello stato, Loki si rannicchiò ancor di più
contro la parete
per nascondere le sue fattezze. Forse era solo un'impressione, ma gli
pareva che il feto vivesse meglio in quel corpo. Per portare avanti
la gravidanza nei migliori dei modi, probabilmente avrebbe dovuto
cercare di rimanere il più possibile in quella forma.
Ma
per il momento, tutti questi pensieri erano vani. Tre giorni
più
tardi sarebbe morto, e con lui il bambino che portava in grembo.
Accecato
dall'ira, non si accorse nemmeno di essere tornato nella sua consueta
forma maschile. Era una cosa che sfuggiva dal suo controllo, che non
poteva decidere razionalmente, e questo lo allarmava non poco.
Pochi
minuti più tardi, la porta di sicurezza si aprì
nuovamente.
Ansante
e spaventato, Loki fissò negli occhi i suoi due aguzzini che
entravano nel loculo.
«Sei
già sveglio, tanto meglio».
Alle
parole tonanti dell'asgardiano, si ridestò anche il
carceriere
addormentato. Scattò goffamente in piedi e rivolse uno
sguardo di
scusa ai due nuovi arrivati, prima di dedicare un ultimo sprezzante
calcio al condannato. Quest'ultimo strinse i denti e
sopportò,
deciso a non mostrare segni di debolezza davanti a simili
vigliaccherie.
«Scusate,
questa feccia Jotun mi avrà incantato con qualche
stregoneria».
Detto questo, la guardia lasciò in fretta e furia la stanza,
seguito
dallo sguardo pieno di risentimento di Loki.
I
due carnefici iniziarono a preparare con impensabile freddezza la
prossima tortura: un cilindro di vetro con un ago
all'estremità,
riempito di un liquido color elettrico per nulla rassicurante. Loki
cercò di esaminare la sostanza osservandone il colore e la
consistenza: probabilmente era un debole veleno che gli avrebbe
potuto provocare contrazioni, spasmi, bruciori intensissimi. O forse
era una droga, una sostanza stordente.
Dopotutto
lui era condannato a morte, era possibile che gli somministrassero
una mistura che l'avrebbe ucciso a lungo termine, o comunque qualcosa
di altamente pericoloso.
«Ora
cerca di calmarti», disse in tono autoritario uno dei due
asgardiani
mentre, con braccia forti, gli bloccava i movimenti. L'altro
avvicinò
la siringa alla sua pancia magra e scoperta, per iniettargli la
sostanza nel corpo nel modo più efficace possibile.
Fu
in quel momento che, per la prima volta, il panico investì
Loki
tutto d'un tratto, come un turbine che gli annebbiava la ragione, e
l'istinto gli ordinò di ribellarsi.
«NO!»
Scosse
forte la testa e tentò inutilmente di divincolarsi, di fare
resistenza alla morsa ferrea della guardia, ma a nulla valevano i
suoi sforzi. Non era mai stato dotato di particolare forza fisica,
nemmeno in condizioni normali. L'unica via d'uscita che gli restava
era la supplica, o l'astuzia.
«No,
ti prego, fermati...»
Loki
chiuse gli occhi e strinse le labbra; tremava, i brividi lo
avvolgevano. Se quell'ago fosse penetrato all'interno del suo ventre
e avesse rilasciato quella sostanza proprio a contatto con il
bambino, l'avrebbe sicuramente ucciso. Infine comprese che l'unica
speranza alla quale poteva aggrapparsi era dire la verità.
«Dite
al vostro signore Thor che...»
Si
bloccò, non riconoscendo la propria voce. L'esecutore si era
fermato, ed ora lo guardava attonito, mentre l'altro aveva allentato
d'istinto la presa.
«E...
e tu chi sei?» Balbettò spaesato uno dei suoi
carnefici.
Il
dio degli inganni allora si rese conto con terrore che aveva
nuovamente acquistato fattezze femminili.
Ecco spiegato lo smarrimento dei due aguzzini e il
cambiamento
di voce. Il fisico gli si era affusolato, ristretto in alcune parti e
dilatato in altre, secondo un criterio che, nelle sue condizioni, non
riusciva a controllare. Quel corpo era fastidioso, e se possibile
ancor più vulnerabile. Loki cercò di raccogliere
le gambe per
nascondere la propria intimità, ma ottenne il solo risultato
di
scivolare maldestramente sul pavimento bagnato; i piedi e le caviglie
si costellarono di schegge di vetro.
Tuttavia
tentò di non perdere il controllo, e ripeté
deciso ciò che aveva
cercato di dire pochi attimi prima.
«Dite
al vostro signore Thor che suo figlio cresce dentro di me, almeno che
sia consapevole di aver stroncato non una ma due vite».
I
due esecutori si alzarono in piedi, prendendo le distanze da quel
fragile corpo di donna ch'era comparso sotto le loro mani. Uno di
loro s'azzardò a parlare, puntando un dito tremante contro
Loki in
verso accusatorio.
«Tu...
che storia è questa? Credi forse di salvarti dalla morte
raccontando
simili menzogne?»
«E
credi forse d'incantarci con quel grazioso aspetto? Infido
serpente!»
Il
ragazzo ricevette un calcio ben assestato sull'addome, e
urlò
d'istinto, circondando con le braccia la parte dolorante.
Pregò che
quel debole cuore che batteva nel caldo del suo ventre non si
spegnesse.
«Ebbene
sia, racconteremo al figlio di Odino quest'interessante storiella, e
provvederà egli stesso ad allungarti i giorni di tortura per
le tue
sporche bugie!»
Loki
alzò appena il capo per scorgere i suoi aguzzini che
lasciavano la
cella, irati, intimoriti e confusi.
Una
volta che la porta fu chiusa, il ragazzo raggiunse a carponi il
recipiente d'acqua e vi lavò il viso sporco di lacrime.
Alcune
ciocche si bagnarono, galleggiando come fili di seta sulla superficie
dell'acqua assieme ai granelli di polvere e ad alcuni insetti.
Cercando di non farci caso, raccolse i lunghi nastri castani dietro
il capo; era disabituato a gestire capelli così lunghi.
Si
toccò timoroso la pancia, cercando inutilmente dei segni di
vita.
Non aveva modo di capire se il bambino stesse bene o meno, ma
qualcosa gli diceva che, se fosse morto, l'avrebbe saputo.
Se
invece esisteva ancora una speranza di salvarlo dalla
crudeltà di
Asgard, allora avrebbe dovuto pensare ad un nome appropriato.
*
Le
pareti della stanza di Thor brillavano alla luce del sole mattutino,
così come l'intera rocca di Asgard. I drappi rossi e bianchi
ondeggiavano come murene, sospinti dal vento leggero; il profumo dei
fiori e delle piante grasse si insinuava nella camera, fondendosi con
l'odore delle candele spente; un
allegro rumore d'acqua si alternava al canto degli uccelli e al
fastidioso squillo delle trombe in lontananza.
Gli
ambienti sfarzosi del palazzo di Odino meritavano a pieno il nome di
dimora degli dèi.
Lady
Sif giaceva addormentata, con la testa adagiata sul forte petto di
Thor. Le coperte aggrovigliate, i vestiti sparsi, piccole tracce di
sangue sulle lenzuola, molti particolari in quella camera erano
testimoni della notte passionale consumatasi da poche ore.
Forse
per la stanchezza, forse per la serenità in cui era immersa,
la
guerriera asgardiana era ben lontana dal risvegliarsi. Anzi, il suo
inconscio era impegnato a rievocare momenti passati, sepolti ormai da
molto tempo. Forse erano stati i rumori, i profumi a richiamare nel
presente quel ritaglio dimenticato.
Il
mondo onirico prendeva forma, rielaborava immagini reali e sbiadite,
raccontava i tormenti della psiche come solo un libro aperto poteva fare.
Erano
sedute su un ponte lucente, un'arcata che sovrastava uno stagno zeppo
di pesci e ranocchie.
Lady
Sygin rimirava l'acqua verde e di tanto in tanto gonfiava le guance,
osservando indispettita il proprio riflesso. Lady Sif pettinava i
suoi lunghi capelli biondi, di cui andava tanto fiera, ma allo stesso
tempo puliva le armi sotto una gorgogliante cascatella. Al contrario
dell'altra, ella aveva un'indomabile spirito guerriero,
perciò non
si limitava certo alle indegne mansioni di una comune fanciulla.
Quale, a dire di Sif, era Sygin.
«Io
vi ammiro Lady Sif, per il vostro coraggio intendo. Nessuna donna di
Asgard è valente come voi».
Sif
sorrise, sinceramente grata alla ragazza.
«Grazie».
Inavvertitamente, urtò col ginocchio una daga, che cadde
nell'acqua.
Senza commentare, si alzò la veste fino alle cosce e
entrò nello
stagno per recuperare l'arma. L'imprevisto diede a Sygin l'occasione
di cambiare argomento.
«Ma
anche voi desidererete qualche attimo di riposo, talvolta».
Sif
guardò turbata l'altra fanciulla, issandosi nuovamente sul
ponte.
«Che intendi dire? Oh, guarda...»
Non
molto distante, tra le siepi fiorite e i vialetti di ghiaia,
passeggiava Loki, inconfondibile per il portamento regale e
distaccato e soprattutto per la chioma scura, rara tra gli
asgardiani. Era diretto alla grande serra di vetro, probabilmente in
cerca di ingredienti mistici.
Lady
Sygin percepì distintamente il cuore accelerare e le guance
acquistare un poco di colore in più.
«Mi
mette i brividi. Nessun asgardiano sarebbe capace degli intrighi e
delle bugie di cui è capace lui, inoltre quando combattiamo
in
gruppo egli è l'unico a non eccellere nell'arte della
guerra, non
capisco perché Thor si ostini a volerlo portare con
sé. È falso,
ha l'animo nero di un traditore».
Le
parole di Sif erano colme di astio e disprezzo, così com'era
colmo
di disprezzo e sufficienza il suo sguardo. Sygin sentì come
poche
volte un'immensa rabbia montarle nel petto, un desiderio di difendere
la dignità e l'onore di Loki, anche se egli non aveva certo
bisogno
di difensori, tutt'al più deboli come lei.
«...inoltre
non ha rispetto, né per i suoi compagni né
tantomeno per suo
fratello. È un codardo, preferirebbe scappare piuttosto che
affrontare una battaglia dalle sorti incerte. Come può
sperate di
poter scavalcare Thor nella linea di successione? È un folle
anche
solo a pensarlo».
Sygin
non fu più in grado di tenere a freno la lingua, e
fissò gli irati
occhi azzurri in quelli scuri dell'altra ragazza, cercando di
comunicarle in un solo sguardo tutta la sua disapprovazione.
«Sei
tu quella che manca di rispetto! Come ti permetti di parlare
così
del tuo principe? Egli è degno del trono tanto quanto
Thor!»
Sif
impallidì, confusa e stupefatta dinnanzi all'inaspettata
reazione di
Lady Sygin.
Trascorsero
alcuni attimi d'imbarazzante silenzio, in cui si udirono solo il
cinguettare dei pennuti e il gorgogliare dell'acqua, fin quando Sif
ritrovò la voce per controbattere.
«Ma
che dici? Chiunque preferirebbe Thor». In segno di scusa per
la sua
impudenza, la guerriera afferrò una mano esile e pallida
dell'altra
giovane, cercando di farla ragionare, ma ella rifiutò quel
contatto
e si fece pensosa. Si alzò in piedi e fece pochi passi sul
ponte,
dando le spalle a Sif. Si scostò i capelli biondi dal viso e
diede
un fugace sguardo al vicino Arcobaleno Bifrost.
L'aria
mattutina era fresca e piacevole sulla pelle, s'insinuava giocosa tra
le ciocche, le accarezzava il viso, la confortava e la rattristava
contemporaneamente.
«Evidentemente
conosciamo due persone diverse. Loki con me è sincero,
gentile,
dolce. E mi ha sempre portato rispetto».
Sif
fu evidentemente sorpresa a quelle parole, non pensava certo che
Sygin conoscesse intimamente il principe, ecco il perché di
quella
reazione, insolita da parte sua. Amareggiata, si morse la lingua,
pentita di aver espresso in tutta libertà ciò che
pensava.
«Io,
ecco, non pensavo che Loki...»
«Sygin!»
Le
due giovani si voltarono entrambe, e videro in piedi davanti a loro
il ragazzo di cui avevano parlato fino a quel momento. Sul volto di
Sygin si allargò un sorriso colmo di gioia, era come se una
luce
calda e rassicurante l'avesse investita. Ecco come le appariva Loki,
luminoso e confortante, esattamente il contrario di come egli
appariva di fronte agli altri asgardiani.
La
fanciulla non si vergognò di palesare il tipo di relazione
che la
legava al dio degli inganni, e noncurante si lasciò
circondare dalle
sue braccia. Stettero interminabili secondi semplicemente stretti,
abbracciati l'uno all'altra, comunicandosi in un sol gesto ogni
sentimento o paura si potesse dire a parole.
«Loki...»
Mormorò Sygin a fior di labbra, chiudendo gli occhi e
appoggiando la
testa contro il suo torace.
La
vista di Sif s'infranse, gli occhi le si annebbiarono.
Razionalmente
non comprendeva il motivo della sua tristezza, ma l'istinto le
suggeriva una sola cosa: l'invidia.
Nonostante
tutto, Loki amava Sygin, mentre lei, Sif, non avrebbe mai ottenuto il
cuore di Thor.
Rassegnata,
li guardò mentre se ne andavano legati e furtivi.
Due
sagome nere controluce.
*
«Sif...»
Una voce ruvida e calda la ridestò dai propri sogni. Una
mano le
toccò i capelli, dolcemente, andando poi ad accarezzarle la
guancia.
Sif
aprì gli occhi ancora pesanti di sonno, e
incontrò quelli azzurri
di Thor, colmi di un'amore simulato. Colmi di falsità.
O
forse erano solo le innumerevoli preoccupazioni che lo affliggevano
ad annebbiare il suo sguardo?
«Mia
amata Sif, buongiorno».
Ma
la giovane si sottrasse dal suo abbraccio e si alzò in
piedi,
incurante di mostrarsi in tutta la sua avvenente nudità.
Thor seguì
i suoi movimenti con uno sguardo perplesso e interrogativo, che Sif
si fosse ricreduta? Impossibile, anche nel caso assurdo che non
l'amasse, non poteva rinunciare al richiamo del trono.
Ma
i suoi dubbi vennero smentiti all'istante dal sorriso che si
aprì
sul volto della ragazza, che si piegò fino a raggiungere le
labbra
dell'altro per baciarle.
«Ho
bisogno soltanto di riflettere Thor, pazienta un momento e asseconda
i tempi di una donna innamorata».
Egli
le sorrise di rimando, simulando un'espressione serena e felice
finché la giovane non uscì nel giardino
retrostante alla loro
stanza.
Solo
allora poté sfogare tutta la sua rabbia e il suo rancore
represso
sferrando due pugni al cuscino.
Solo
uno stolto come lui poteva continuare in modo così palese a
fare la
cosa sbagliata, pur sapendo che fosse sbagliata.
La
bella guerriera si lasciò andare nella contemplazione del
paesaggio, anche se la limpidezza del cielo era minacciata da una
coltre di foschia. Le ritornarono alla mente i momenti della notte
scorsa, come epifanie sbiadite: gli abbracci carnali ed estenuanti, il
corpo forte di Thor, il suo calore. Tuttavia, l'ombra del senso di
colpa minava i suoi rosei pensieri.
Loki
era rinchiuso in una cella, e tra poco sarebbe stato condannato a
morte. Sygin era morta da molto tempo ormai, mentre Sif giaceva
indegnamente tra le grazie di
Thor.
Ma
infine era lei a vincere, lei che sarebbe diventata regina, a fianco
di un vero asgardiano. A fianco di Thor Odinson.
La
forte luce solare di mezzogiorno le diede sicurezza, e le venne
naturale sorridere trionfante, e scacciare tutti i fantasmi che le
oscuravano la mente.
.¤.
Note di Silvar: commento su questo capitolo? Lo so, è terribile, lo odio. Mi piace zero, e non lo dico per dire (ad esempio, ammetto che il 4 e il 5 mi piacevano, ma ultimamente non so più scrivere!). La mia speranza è sempre la stessa, che non vi disgusti troppo.
Giusto un piccolo appunto, poi corro a scrivere la mia prima oneshot su
Star trek (quando l'ispirazione colpisce bisogna
assecondarla).
Il Loki di questa
bellissima fan art segnalatami da Destroya è piuttosto
fedele al Loki che mi sono immaginata per questa fanfiction, ancora
meno "maschile" di com'è in Avengers (d'altronde il fatto
che Loki sia effeminato - caratteristica tra le altre cose che adoro -
è presente sia nel mito che nel fumetto, suppongo).
Effettivamente, un mio errore di coerenza in questa storia è
stato averla ambientata in un contesto post-Avengers, ma con un Loki
che ha tutte la caratteristiche pre-Avengers. In ogni modo, mi
impegnerò ancora per migliorare la caratterizzazione dei
personaggi, ancora Loki non mi convince...
E grazie Shania, per il tuo disegno! ♥ Loki
può andare fiero dei suoi figlioletti leggendari, anche se
ora ha da pensare ad altri due nuovi marmocchi.
E no, non mi sono dimenticata di Liar, non temete.
Grazie di cuore a tutti coloro che mi seguono, Ny Början è ancora ben lontana dall'essere terminata.