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Autore: Ninnii    03/07/2012    2 recensioni
Questa non è una storia d'amore.E' la storia di un amore puro e oltre ogni limite. E' la storia di un amore incondizionato, difficile se non impossibile da trovare. E' la storia di un amore che continua e continuerà all'infinito,oltre la morte. E' la storia di un amore non privo di ostacoli. E' la storia di un amore nascosto, segreto,intimo, privato. E'la storia di un amore REALE. E se volete scoprire la verità non vi resta altro da fare che leggere Heaven...
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1
C'era una volta... Once upon a Time


Tutti sappiamo quanto i ragazzi con la sindrome di down tante volte siano possessivi e ossessivi.
Ecco, Angela, mia sorella minore, era così. Soprattutto quando le toccavi il suo cantante preferito.
Aveva la camera tappezzata di poster e fotografie, un armadietto pieno di musicassette, videocassette e vinile, un cassetto pieno di magliette  e chi più ne ha più ne metta.
Si era persino fatta regalare uno stereo con giradischi incorporato che utilizzava solo ed esclusivamente lei. Guai a chi si azzardava a toccarlo.
Io e papà conoscevamo bene questa sua passione e non perdevamo l’occasione di acquistarle qualsiasi cosa ci capitasse di trovare in giro che riguardava il cantante in questione. Vivendo in provincia di Milano, la cosa non era mai semplice e immediata come lo è di questi tempi. Prima era tutto completamente differente. Dovevi farti letteralmente il “culo” (lasciatemi passare il termine, perché rende)per  riuscire ad avere qualcosa di diverso rispetto alla consuetudine. Ed era anche gustoso da un certo punto di vista perché riuscivi ad assaporare la sensazione di vittoria e realizzazione una volta raggiunto il tuo obiettivo. Non come oggi che se non trovi qualcosa fuori casa, basta accendere il pc, pigiare due tasti su internet e “taaac”, ecco il sito di e-bay con tutto quello che ti serve!
A quei tempi non sapevo neppure cosa fosse un computer…
In ogni caso, cercavamo di accontentare Angioletta (la chiamavamo sempre così) in tutto, tanto che il solo sentire una canzone alla radio o il solo vedere quel l’uomo che lei tanto ammirava in tv, bastavano a farmi venire il mal di testa e tante volte anche una leggera sensazione di nausea. Provate voi a sorbirvi per anni e anni la stessa musica, quasi 24/24h e poi vedete!
Forse succedeva perché consideravo quelle canzoni orecchiabili, senza averle mai ascoltate veramente. Per me si trattava di un artista come tanti altri. Ecco tutto.
Angela, invece, pur non sapendo una parola in inglese, sembrava aver colto fin da bambina l’essenza di quella musica che tanto le piaceva. Forse da quando papà riuscì a farla addormentare facendole ascoltare  “ABC” dei Jackson 5 che stavano trasmettendo su non so più quale radio che mandava esclusivamente musica  anni ’60- ’70.
Io ero più un tipo da Umberto Tozzi e da Pooh,  e mi capitava spesso di preferire una “Gloria” o una“Ti amo” ad una “Thriller”. Preferivo cantare a squarciagola un  “NON RESTARE CHIUSO QUI! PENSIEROOO!”, piuttosto che ascoltare una “Wanna be starting something”. Che scema.
Cantanti stranieri? Dunque…i Beatles mi piacevano da piccolina. Ascoltavo anche qualche canzone degli Europe e di Alice Cooper. Poche, però. Preferivo gli italiani anche perché non ero una cima in inglese avendo fatto le magistrali.
Mia sorella esordiva con un “Che schifo” ogni volta che tentavo di farle ascoltare qualcosa di diverso. Papà una volta ha provato persino con Massimo Ranieri… Niente da fare. Anzi, vi lascio immaginare la sua reazione.
Mike… Michael Jackson. Era lui e solo lui il suo idolo.
Mi vengono ancora i brividi, e non sapete quanto sia difficile per me riuscire solo a pensare di pronunciare il suo nome per intero. Faccio fatica a trattenere le lacrime. So che lui non vorrebbe vedermi piangere, ma tante volte è davvero difficile. Sento un grande peso sul petto e un gigante groppo in gola che non riesco a mandare giù. Prima o poi ci rimango secca…
Tutto è cominciato quel fatidico giorno, il 22 dicembre del 1987. Avevo 17 anni ed era l’ultimo giorno di scuola prima delle vacanze di Natale.
Ricordo che io e Sandra, la mia migliore amica, non vedevamo l’ora che la lezione terminasse. Purtroppo, però,  il tempo sembrava non passare ed eravamo costrette, insieme ad altre diciassette persone, ad ascoltare la Rossetti, la nostra prof di italiano e latino, intenta a spiegare Manzoni.
Sapevamo che i compiti riservati alle vacanze di Natale di quell’anno sarebbero stati molti e non sarebbe stata colpa solo della severità eccessiva della Rossetti. A giugno avremmo avuto la maturità.
“Conoscendola ci darà da leggere tutto i Promessi Sposi… Che palle!” Mi sussurrò Sandra, cercando di non togliere gli occhi dal libro per non farsi vedere distratta. Non le piaceva molto italiano. Ha sempre preferito la matematica, fin da piccola.
“Anche secondo me… Pensa anche alle versioni che ci darà da fare. Ho l’impressione che quest’anno sarà dura!” Mormorai anche io, cercando di seguire il suo stesso stratagemma.
“Allora sai cosa ti dico?!? Manzoni … Tiè!”
“Fusati! Cosa stai facendo?”
Avete presente  cosa vuol dire  “Volere sprofondare”?  Ecco, era quello che stava succedendo a me in quel momento. Sentii un caldo allucinante sul viso, improvvisamente. Non riuscivo a credere al fatto che la prof avesse beccato la mia amica nel bel mezzo del gesto dell’ombrello al povero Manzoni.
Sandra è sempre stata molto spontanea ma credo che quella figura di m. non ce la dimenticheremo mai.  È stata una delle migliori. Non oso immaginare come si sia sentita lei in quell’istante, quando la voce grave e squillante della professoressa ha interrotto il suo momento di gloria. In più tutti i nostri compagni si sono girati verso l’ultima fila, proprio dove eravamo noi…
“Non tollero questi gesti nella mia classe! Stiamo scherzando?!?”
La Rossetti sembrava davvero infuriata. Gli occhi quasi le uscivano dalle orbite mentre quasi tutti la osservavano ridacchiando sotto i baffi. Sandra stava zitta, a testa bassa. Più per trattenere le risate che per paura…
“Durante le vacanze di Natale leggerai tutto il libro dei Promessi Sposi. Tutto! Così non avrai nemmeno il tempo di farli certi gesti…”
“Manzoni di merda…”
La sentii sussurrare, e non riuscii a trattenere una risatina.
“E tu Robustelli? Che c’è di così tanto divertente?!?”
Ricordo di essermi bloccata improvvisamente. Non mi aspettavo di essere messa in mezzo alla discussione. Sgranai gli occhi e riuscii a malapena ad aprire la bocca.
“Ni.. Niente.” Riuscii a balbettare.
“La stessa cosa vale anche per te! Non credo che la Fusati sia così stupida da parlare da sola!”.
Beh, veramente sì. Anzi, no. In quell’occasione è stata così stupida da parlare con un morto. Piuttosto che niente…
“E a gennaio racconterete tutto per filo e per segno ai vostri compagni che leggeranno solo i primi dieci capitoli. Sono stata chiara?!? E non voglio sentire storie…”
Veramente con la Rossetti nessuno ha mai avuto il coraggio di fare storie in quattro anni di scuola superiore. Forse, sotto sotto, avevamo tutti un po’ paura di lei, ma per lo meno si faceva rispettare. Sono sicura che anche lei avesse un lato umano. Una volta l’ho vista offrire del denaro ad un ragazzino che chiedeva l’elemosina, davanti al cimitero. Gli ha pure parlato e accarezzato la testa…
In ogni caso, come avete potuto capire, io e Sandra, quell’anno, ci siamo beccate davvero una marea di compiti e questa cosa mi preoccupava un sacco perché avevo paura che non sarei riuscita a lavorare durante l’inverno.
Mio padre portava avanti la baracca da solo e mi pagava gli studi quindi, finchè riuscivo e potevo, cercavo di trovare qualche lavoretto per contribuire, anche solo minimamente, alle spese . Per quattro anni ho lavorato in un bar gestito da una coppia di amici di papà. Mi chiamavano quando avevano bisogno. Intorno a settembre, però, si erano trasferiti a Roma ed io dovevo assolutamente cercare un nuovo posto di lavoro. Oltretutto loro, conoscendo la nostra situazione familiare, mi permettevano di portare con me Angela perché non potevo lasciarla da zia tutto il tempo.  Non sapevo davvero che pesci pigliare.
Papà mi ha sempre detto che il mio vero lavoro era la scuola e che sarebbe stato molto più contento se mi fossi dedicata a quello per tutto l’anno. E da come si stavano evolvendo le cose ero davvero convinta che sarei stata costretta a prendermi un anno di pausa dal lavoro. Mi sarei dedicata anche di più ad Angioletta.
 Forse era destino. Anzi, sicuramente. E adesso, a distanza di anni ne sono assolutamente convinta.
Dicono che la fortuna bussi sempre solo una volta nella vita. Basta saperla cogliere al volo. E io penso di averlo fatto.
Ho salutato tutti i miei compagni di classe molto velocemente quel giorno. Dovevo correre a prendere il treno. Ci sarebbe stato lo sciopero  dalle 14 e se non volevo rimanere bloccata a Milano per un giorno intero, dovevo assolutamente prendere l’ultimo delle 13 e 47. Disagi su disagi. Questo non è cambiato nel tempo!
“Denise, Denise!”
La voce di Roberto, uno dei pochi “uomini” della classe, proveniente dalle mie spalle, mi costrinse a fermarmi e voltarmi. Gli sorrisi aspettando che mi raggiungesse.
“So che stai cercando un lavoro!”
Perché gli annunci interessanti arrivano sempre quando sei super di fretta?!?
“Non è una cosa immediata… Mia madre lavora nello staff della sicurezza dei concerti. C’è bisogno nei prossimi mesi di personale a Torino perché ci sarà il concerto di Michael Jackson a maggio… Hai presente?”
Non so se mi fece più ridere quel “hai presente?” o  il fatto che mi sarei dovuta sorbire anche quel giorno quella musica che conoscevo a memoria grazie a mia sorella, fatto sta che la cosa mi sembrò in quel momento un po’ insolita. Quasi ridicola azzarderei.
“Sì, sì ho presente… Non sai quanto”. Risposi ironica.
Lui continuò. Faceva freddo quel giorno, gli tremavano i denti.
“Ci sarà un sacco di gente, e mi chiedevo se potresti essere interessata…”.
Ero titubante. Avevo un treno da prendere, per cui cercai di liquidarlo in fretta. Non per qualcosa ma proprio perché avevo bisogno di pensarci.
“Posso chiamarti settimana prossima? Ci penso e poi ti dò la risposta definitiva. Ok?” Proposi.
Vidi il suo sguardo accigliato, i suoi occhiali appannati continuavano a muoversi sul naso che continuava ad arricciare.
“Ehm. Veramente dovresti darmi una risposta entro oggi…”.
Pure la fretta ci mancava. Ho sempre odiato il fatto di sentirmi sotto pressione. Avrei solo voluto parlarne in casa. Anche il fatto che fosse a Torino non mi rassicurava affatto.
Se solo fossero già esistiti i cellulari per poter chiamare papà per chiedere un piccolo parere… Ma forse è stato meglio così. A volte l’impulso è fondamentale e aiuta a crescere. Ma non sempre, non fraintendetemi! Cielo, se mi sentisse Paris…
E, placata dalla fretta e da un treno che stava per partire, cosa avrei potuto rispondere secondo voi?!?

  
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