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Autore: elizabethraccah    03/07/2012    2 recensioni
Alexandra e Jared sono due ragazzi con poteri straordinari; non come quelli dei film o dei libri, ma poteri veri, difficili da usare e che possono fargli perdere il controllo di se stessi da un momento all'altro. Ora sono alla ricerca di uno scrigno, ma prima devono trovare i loro simili. Riusciranno a farlo? Oppure saranno già tutti dalla parte di Adron, l'uomo della stirpe che da millenni è in guerra con quella di Alex e Jay e che ora ha il dominio sul mondo intero?
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Alexandra non riusciva a capire. Non riusciva a colmare il vuoto, non capiva cosa fosse successo in quelle ore del giorno prima. Era certa di non essersi addormentata, non avrebbe mai potuto farlo, non in circostanze del genere. All’inizio aveva pensato di essere svenuta, ma poi riflettendoci capì che era una cosa del tutto impossibile. Forse le avevano fatto un incantesimo di memoria, ma erano pochissime le persone che lo sapevano fare, nel mondo, perciò considerava l’ipotesi alquanto improbabile. Allora, pensò, forse l’avevano colpita in testa e aveva parzialmente perso la memoria, e quindi doveva anche essere svenuta, ma allora perché chi l’aveva colpita non l’aveva anche uccisa?
Per dare una spiegazione razionale, si convinse che doveva essere scivolata sul terreno bagnato (ultimamente pioveva abbastanza) e caduta, aveva battuto la testa su una pietra o qualcosa del genere ed era rimasta lì, svenuta. Era una fortuna che non l’avessero scoperta.
Ora stava gironzolando per il bosco, senza meta, aspettando che Jared si svegliasse. Si teneva vicina alla sorta di capanna che lei e Katie, unendo le forze, avevano creato la sera prima. Era costata uno sforzo immane ad entrambe: Katie era crollata per terra, supina, ansimante e completamente bagnata di sudore, Alexandra era caduta in ginocchio con i capelli appiccicati alla fronte e il cuore a mille. La loro costruzione non era uscita nemmeno tanto bene, ma almeno avrebbe protetto Jared se avesse piovuto. Suo fratello aveva la febbre, doveva stare riparato. Più di così non potevano fare: nessuna delle due era mai stata una grande guaritrice, e avevano paura di usare l’erba sbagliata nell’intento di curarlo ed invece farlo ammalare ancora di più.
Alexandra se l’era squagliata quando lei e la ragazzina avevano finito di costruire la capanna, perché si sentiva decisamente poco a suo agio vicino a lei. Primo, perché Katie aveva gli occhi gonfi di pianto ed era isterica e arrabbiatissima con Jared, secondo perché era certa di non andarle molto a genio e sapeva che lo stesso valesse per la ragazzina.
Ad un tratto udì le strilla di Katie e capì che Jared doveva essersi svegliato. Aspettò un po’ per permettere loro di parlare e a Jared di scusarsi, poi si avviò verso la radura dove c’era la capanna. Ciò che vide la lasciò di stucco. Jared abbracciava la ragazzina e le accarezzava la testa come fosse sua sorella minore, lei se lo stringeva come fosse un fratello. Alexandra era gelosa. Senza spiegazioni, però lo era. Forse perché lui non l’aveva mai trattata così, soprattutto perché lei non l’aveva mai voluto. Da quel momento, odiò la ragazzina.
La ragazza ci rimase davvero male, ma invece di scappare, come avrebbe fatto una volta, decise di affrontare il tutto a testa alta.
«Se avete finito, vorrei parlare con mio fratello» disse gelida. Mise molta enfasi sull’ultima parola. Jared alzò lo sguardo, come se si fosse accorto solo ora di dove era ed in che situazione si trovava. Sembrava davvero spaesato, e per un secondo Alexandra si preoccupò. Katie sembrava molto imbarazzata: era arrossita fino alla punta dei capelli. Si guardarono un secondo, poi Katie sparì, inghiottita dagli alberi.
Jared guardò Alexandra, interrogativo.
«E così, siete amici. Chi l’avrebbe mai detto?» fece acida Alexandra, senza preoccuparsi di star tirando fuori la sua umanità.
Jared la fissò senza capire. «Che ti prende?» riuscì a sussurrare. Gli si leggeva la confusione negli occhi.
«Tu sei andato prima da lei che da me.» Alexandra stava per scoppiare dalla rabbia. Tirava fuori discorsi incoerenti e questo non era da lei... o perlomeno non era dalla sua parte umana.
«Alexandra, l’ho abbandonata nel cuore della notte» si giustificò Jared. Alexandra non sapeva come ribattere, perché dopotutto anche lei aveva pensato che Jared avrebbe dovuto prima scusarsi con Katie e poi incontrare lei, era confusa. Odiava quei sentimenti umani, però la aiutavano a capire e quindi non voleva scacciarli del tutto.
«Tu non capisci!» urlò, sopraffatta dalla gelosia. «Non capisci niente!» Jared non capiva, non avrebbe mai potuto capirla. Alexandra si arrabbiò ancora di più.
«Ehi» fece Jay prima che sua sorella potesse dire qualsiasi altra cosa. «Mi dispiace, okay?» Alexandra non comprendeva perché si fosse scusato. Lei al suo posto non l’avrebbe fatto. Forse Jay si era accorto che Alexandra era totalmente fuori di testa e voleva farla calmare, forse stava solo ammettendo di aver sbagliato.
«Oddio, Jay! Ma perché sei così... così...» E gli gettò le braccia al collo.
Jared si irrigidì un po’, non era abituato a quel tipo di contatti con Alexandra, lei era sempre così poco umana, emanava così poco i propri sentimenti. «Va tutto bene» balbettò imbarazzato.
«Scusa, è che... non la sopporto» sussurrò lei. Jared annuì, e le diede un’affettuosa pacca sulla spalla.
Poco dopo Alexandra aveva raccontato a Jared che il giorno prima doveva essere semplicemente svenuta perché aveva battuto la testa, che poi quando era rinvenuta era ormai buio e che ci aveva messo tanto a tornare perché si era spinta troppo ad ovest. Tutto qui.
«Avevo paura che...» cominciò Jared, ma Alexandra lo interruppe.
«So cavarmela da sola» disse sorridendo.
Poi, di colpo, avvertì una sensazione strana, come se in lei si stesse sciogliendo del ghiaccio, una sensazione negativa. Spalancò gli occhi castani e fissò Jared, la fronte che già s’imperlava di sudore. «Lo senti anche tu?» chiese allarmata. Jared la fissò ed annuì piano.
«Credi che sia Katie?» fece Jared.
«No, non ha quel tipo di poteri. E poi questi credo siano telepatici.» Alexandra non sapeva come aveva fatto a capire che quelli erano poteri telepatici, era come se glielo avesse detto il cuore. O, più probabile, il Ghiaccio. «Quindi la ragazzina è in pericolo» disse, celando il sadismo nella voce.
«Sa cavarsela. E non è una ragazzina» sottolineò Jared con uno sguardo penetrante.
Alexandra alzò gli occhi al cielo. «Come ti pare.» Sguainò la spada, Jared tirò fuori il suo pugnale. Erano entrambi all’erta.
«Tranquilli, vengo in pace» annunciò una voce gelida, una voce che penetrava fin dentro le ossa come la pioggia gelata. I fratelli non abbassarono la guardia, e nello stesso momento, con un movimento unanime, si voltarono di scatto verso il punto in cui avevano sentito la voce. Videro un ragazzo muscoloso, armato di arco e faretra. Alexandra si sentì inspiegabilmente a disagio. Quello lì già non le piaceva.
«Chi sei?» esclamò Jared mostrando del coraggio che non aveva, il petto in fuori e lo sguardo deciso. Non doveva farsi vedere debole o impaurito dall’avversario, era la prima regola. Ma, sebbene ora sembrasse una figura spavalda, uno che non ha paura di niente, quando l’altro ragazzo aveva parlato gli si era gelato il sangue nelle vene.
Alexandra invece si era fatta piccola piccola. Lei e suo fratello si erano praticamente scambiati i ruoli. La ragazza fece un passo indietro quasi contro la sua volontà. Ma che diavolo stava succedendo?
«Un amico» si limitò a dire il ragazzo con l’arco.
«Che vuoi da noi?» continuò Jared mostrando coraggio, ma sapendo che mancava poco che se la facesse sotto. Si sentiva stranissimo, agiva contro la sua volontà. Non aveva il controllo di se stesso, ma sapeva che non era stato lo Spirito. Allora chi...?
Jared sbarrò gli occhi, colto da un’improvvisa consapevolezza. «Cosa stai facendo?» urlò, un guizzo di terrore negli occhi.
Il ragazzo sorrise, Jared vide che aveva gli occhi del colore del ghiaccio. «Mi sto solo divertendo un po’...» fece con un sorriso gelido. «Be’, volevo solo fare un esperimento, in realtà. Ma non preoccupatevi, ora la smetto.» Non appena pronunciò l’ultima parola, Jared si sentì libero, le catene invisibili che prima lo avvolgevano ora erano svanite. Tirò un sospiro di sollievo.
Alexandra, ripreso il controllo di se stessa, non aspettò nemmeno un secondo per urlare: «Non lo fare mai più! Sarebbe questa la prova che sei un amico e non un nemico?» Sbuffò sarcastica.
Il ragazzo dagli occhi di ghiaccio fece come se non l’avesse sentita. «So che cercate lo Scrigno» disse. «Io posso aiutarvi.»
Jared e Alexandra erano sospettosi, spaventati, disorientati. Alexandra decise di indossare la sua consueta maschera d’indifferenza, per sicurezza. Raccolse il coraggio a due mani e, cercando di non balbettare, disse: «Perché? Qual è il trucco?»
«Nessun trucco» rispose. «Sono come voi.»
«La tua aura dice altro» disse ragionevolmente Alexandra. Infatti, l’aura del ragazzo era rosea, ma con sfumature nere. Ed il nero era il simbolo dell’aura di Adron, come l’arancione, il marrone, il beige e il rosso. La ragazza lo fissò con ostilità.
Il ragazzo dagli occhi di ghiaccio alzò le spalle. «Un piccolo difetto di famiglia. Niente in confronto alla tua, di aura» aggiunse con un ghigno.
Alexandra volle con tutto il cuore cercare di nascondere la propria aura. Si sentiva nuda, smascherata. Riusciva a percepire che Jared, dietro di lei, si stava scaldando.
Poi scoppiò. «Non ti azzardare.» Disse solo questo. Il ragazzo con l’arco lo guardò intensamente ma senza fare niente. «Con me i tuoi giochetti non funzioneranno più.» Alexandra non capiva ciò che stava succedendo. Non capiva niente, andava con gli occhi da Jared al ragazzo nel tentativo di leggere nei loro occhi cosa stava succedendo. Ma non ci riuscì, e ci rinunciò.
«Ti accettiamo» disse ad un tratto Jared, sicuro di sé come Alexandra non l’aveva mai visto se non sotto il potere del ragazzo dagli occhi di ghiaccio che adesso li fissava quasi divertito.
«Fantastico» fece lui. «Il mio nome è Peter. I vostri, ovviamente, già li so.» E fece un sorriso enigmatico. Li guardò con gli occhi socchiusi, furbi. Alexandra pensò che quel ragazzo era un nemico, e si ripromise di stare attenta ed essere sempre all’erta. Il ragazzo dagli occhi di ghiaccio, Peter, non la convinceva per niente. Gli lanciò uno sguardo di disprezzo, girò i tacchi e se ne andò con la testa alta, nella direzione opposta a quella di Peter, la spada che tintinnava al suo fianco. Jared rimase lì, invece, a fissare negli occhi di Peter. Ciò che il ragazzo dagli occhi di ghiaccio gli aveva detto telepaticamente lo aveva fatto rabbrividire.
 
Alexandra cercò di fare una cosa che non le era mai passato per l’anticamera del cervello di fare. Voleva proprio far veder a quell’idiota dai poteri telepatici perché aveva l’aura così, e si sarebbe stato zitto.
Chiuse il Ghiaccio dietro una barriera d’acciaio, dentro la sua testa. E cercò di evocare il Fuoco.
Sapeva che le prime volte sarebbe stato davvero difficile, infatti quando era piccola aveva provato per anni ad evocare il Ghiaccio, senza risultati, solo a sei anni aveva ottenuto il primo. Ma ora era diverso. Ora non poteva permettersi di perdere così tanto tempo, doveva sbrigarsi: i tempi stavano cambiando. Chiuse gli occhi, si concentrò con tutta se stessa. Già sudava.
Fuoco, chiamò. Io ti invoco. Era certa che le sue parole non fossero arrivate al destinatario. Il Fuoco era troppo in fondo, seppellito in un punto imprecisato della sua mente, e lei doveva batterla palmo a palmo per trovare il punto in cui era sotterrato lo Spirito del Fuoco. Decise che doveva concentrarsi di più, decise che ci sarebbe riuscita il giorno stesso.
E invece non fu così. Non ci riuscì né il giorno dopo, né quello dopo ancora. Passati cinque giorni, aveva quasi perso le speranze. Peter faceva allusioni sarcastiche all’aura di Alexandra con il suo solito mezzo sorriso, lei si arrabbiava ma non lo dava a vedere. Jared cercava di consolarla, ma lei non voleva. Era tornata una macchina per uccidere, non si era concessa nemmeno un momento di umanità da quando era arrivato Peter, nemmeno con Jared. Jared era di una calma glaciale, quei giorni, ma Alexandra non gli diede molto peso, perché sapeva che dopotutto Jared la maggior parte delle volte sapeva perfettamente quello che faceva. La maggior parte delle volte perché quella notte che adesso sembrava lontana un milione di anni, aveva fatto una sciocchezza a lasciare da sola Katie. Katie aveva digerito la notizia del nuovo arrivato in silenzio, aveva annuito e si era presentata. Ma si vedeva che non si fidava nemmeno lei, stava sempre lontana dalla base, andava in giro per i boschi cercando nuovi posti dove accamparsi. Quei giorni viaggiavano a piedi, senza tirare fuori i loro poteri e rischiare di farsi scoprire. Peter non la considerava nemmeno, a Katie. Lui era perfettamente a suo agio, sempre con quel mezzo sorriso sulle labbra, pronto a collaborare, anche se tutti sospettavano di lui. Si comportava così, ma nessuno si lasciava ingannare dai suoi atteggiamenti: percepivano un’aura con sfumature oscure e, anche se Peter fosse veramente stato completamente dalla loro parte, sentivano di dover stare attenti; glielo diceva il loro Spirito.
Il quinto giorno di allenamento inutile Alexandra, in un bagno di sudore, sentì un movimento tra i cespugli dietro di lei. Scattò in piedi e si mise all’erta, pronta a colpire anche se era stanchissima. Ma era solo Peter, il solito stupido mezzo sorriso sulle labbra.
«E tu che vuoi, adesso?» chiese Alexandra con aria annoiata, alzando gli occhi al cielo e sospirando. Scaricò il peso su una gamba, a disagio. Voleva che se ne andasse, prima di tutto perché doveva continuare ad allenarsi, secondo perché si sentiva strana quando c’era lui, era come se potesse aggredirla da un momento all’altro, e poi un’altra sensazione strana, indefinita. Sapeva solo che non doveva e non poteva fidarsi di lui. Mai.
Il ragazzo dagli occhi di gelo fece spallucce, con aria innocente. Ma il suo tono di voce tagliente tradiva ogni apparenza. «Ho visto che ti stai allenando.» Il sorriso era sparito dal suo volto, ora sembrava interessato.
«Lo faccio da sempre» mentì Alexandra.
Alexander fece schioccare la lingua sul palato due volte, scuotendo la testa. «A me le balle non le devi dire. Sai, i poteri telepatici» aggiunse quando Alexandra lo guardò senza capire. La guardò socchiudendo gli occhi, la testa inclinata da un lato e l’immancabile mezzo sorriso. «Posso dimostrarti quanto sono potenti, se vuoi.»
Alexandra provò una sensazione orribile. Sentiva il suo spirito e la sua volontà incatenati. Catene toppo solide per essere spezzate. Qualcosa di freddo s’insinuò dentro di lei, si sentì come se avesse del ghiaccio nello stomaco. Provò a muovere la testa per guardarsi la pancia, ma non ci riusciva, era comandata a bacchetta. Vedeva solo quel maledetto che sorrideva, non gli sembrava costare alcuno sforzo usare i suoi poteri. Cercò di guardarlo con odio, ma lei era completamente sotto il controllo di Peter. Alzò una gamba, cercò di opporsi ma fece comunque un passo, contro la sua volontà.
No, no, no!  Non mi umilierà così! No!
Alexandra lottava dentro di sé con tutte le sue forze, ma non riuscì comunque ad impedirsi di fare un altro passo. Poi un altro ancora. Si avvicinava lentamente a Peter, che sorrideva con uno scintillio di non sapeva cosa negli occhi. Alexandra nel profondo sapeva che non sarebbe riuscita a bloccare i poteri di Peter, ma continuò ad opporsi, certa che lui stava sentendo gli sforzi che lei, già stremata, stava facendo. Avanzò ancora, verso Peter.
«Sì, vieni qui» sussurrò malizioso mentre guidava la ragazza, che si opponeva con tutte le sue forze, verso di lui.
No, no!
Ormai si trovava a nemmeno un metro dal ragazzo dagli occhi di ghiaccio. Un ultimo passo e si ritrovò a sfiorargli il petto. Si sentiva stranissima, le girava la testa, il cuore le batteva troppo veloce. Non aveva mai sperimentato una sensazione del genere, erano quegli stramaledetti poteri telepatici. Si era sforzata troppo nell’opporsi e adesso si stava sentendo male, anche se era certa che non sarebbe né svenuta né avrebbe avuto la febbre o cose del genere. Era una cosa che faceva male alla mente, non al fisico. Sentiva che stava per crollare, e allora Peter avrebbe avuto completamente il controllo su di lei. Non che non ce l’avesse già, ovvio, ma Alexandra credeva che se opponeva resistenza era più difficile controllarla.
Era più bassa di lui di uno o due centimetri, e altrettanti la dividevano dal viso del ragazzo, che ora la guardava divertito, piantando i suoi occhi grigio ghiaccio in quelli castani di Alexandra. Di sicuro, pensò Alexandra, Peter percepiva tutto l’astio che lei provava verso di lui.
Lasciami andare! urlava nella sua testa, ma senza alcun risultato. Sapeva che Peter poteva sentirla, ma a quanto pareva non l’ascoltava. Alexandra alzò un po’ la testa, le sue braccia di alzarono ed andarono a cingergli il collo. Era disgustata da ciò che le stava facendo fare.
«Wow» le sussurrò Peter ad un nulla dal suo volto. «E adesso vuoi che anche io ti abbracci, vero?» mormorò. La ragazza avrebbe voluto scuotere la testa violentemente, con tutta la forza che aveva, urlare «NO!» a squarciagola, ma era bloccata. Fu costretta ad annuire, nauseata dentro sé. Peter le cinse i fianchi ed avvicinò ulteriormente il viso a quello di Alexandra, poi sfiorò con le labbra un suo orecchio. «Così impari a non dirmi bugie» bisbigliò malizioso. «La prossima volta però sarà peggio.»
Le catene che imprigionavano Alexandra si dissolsero e lei fu libera di sciogliersi dalla stretta delle braccia di Peter, di mettergli le mani sul petto e spingerlo così forte da farlo cadere per terra, di sputargli addosso e urlargli che era un maledetto schifoso. Peter non era per niente sorpreso della reazione di Alexandra, e rise fragorosamente.
«Sì, ridi» gridò infuriata Alexandra. «Ridi adesso perché, se provi a rifarlo, domani sarai un ghiacciolo, e ti giuro che mi divertirò a tenerti in quello stato per il tempo che basta perché il tuo cuore smetta di battere.» Gli diede un potente calcio su una gamba e andò via camminando veloce, a testa alta, mentre sentiva la risata rumorosa di Peter, ancora steso a terra, che si affievoliva mentre si allontanava da quel maledetto.

  
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