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Autore: marguerite_murcielago    04/07/2012    2 recensioni
Quando Roxanne Mellinger, poco più che una ragazzina inglese, incontra Anthony Hoyt, scostante e volubile, spesso un vero bambino, non c'è dubbio: è un colpo di fulmine. Purtroppo, tutto ciò che faranno dovrà piegare le ginocchia sul fondo di una scialuppa.
«Ti amo» gli disse, pianissimo, come se avesse appena confessato un orribile segreto.
«Ti ho amato anche io» replicò lui, stirando il volto in un sorriso forzato.
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'We must be two to tango'
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The tango will go out     
{His eyes upon your face
His hand upon your hand
His lips caress your skin
}

 

Roxanne si dimenò nelle lenzuola, facendo cadere a terra il libro ancora aperto sulle proprie ginocchia. Sbadigliò e si strofinò gli occhi, prima di piegarsi a raccoglierlo da terra: la posizione in cui si era addormentata le aveva lasciato la schiena ed il collo indolenziti.
Annebbiata dal sonno e prosciugata dalle ultime forze dopo quell’inaspettata dormita, prese a sfogliare le pagine alla ricerca del punto in cui aveva interrotto la lettura ed aveva cominciato a confondere le parole scritte con i sogni.
Pagina quarantadue, giusto, si disse con un lieve tentennamento del capo, sforzando gli occhi cisposi a distinguere le lettere nere dalla pagina grigia, incurante della penombra in cui era immersa la cabina. Sentì una morsa allo stomaco, quando riprese la lettura.

«Tende dal colore indefinibile chiudevano in parte la cuccetta superiore. La luminosa foschia di giugno spargeva una luce fioca su quella scena deprimente. Ah! Come odio quella cabina!...
Strofinò le gambe una contro l’altra, per riscaldarle.
Sotto i suoi occhi stanchi scorrevano le pagine, una dopo l’altra.
«L’oblò era di nuovo spalancato e agganciato alla paratia!...
Portò le ginocchia al petto, con leggero disagio.
«Qualcuno c’era. ricordo bene che, appena vi infilai le mani, ebbi la sensazione d’averle immerse nell’aria di una cantina umida, e da oltre le cortine provenne un soffio di vento che portava con sé l’odore disgustoso di stagnante acqua salmastra…
Pur senza volerlo, Roxanne alzò la testa e perlustrò la cabina silenziosa con gli occhi ben aperti e le orecchie tese, ma l’unico suono che udiva proveniva dalle persone che chiacchieravano nel corridoio; era al sicuro, si disse, ed era sciocco farsi suggestionare da un racconto!
«Il letto era stato usato, e l’odore salmastro era forte; ma le coltri erano asciutte…
Freddi ragni di panico le corsero lungo la schiena.
«Era un qualcosa spettrale, orrendo ogni oltre dire, e si agitava nella mia stretta.

… occhi bianchi spenti sembravano fissarmi dall’oscurità; le aleggiava intorno un fetore putrido d’acqua salmastra, i capelli ricadevano in sudici riccioli lucidi e bagnati sulla faccia spettrale…
Il passaggio appena letto le ricordò un sogno, l’attimo di un lungo incubo: come tutti gli incubi era articolato e non privo di una certa logica onirica, ma non ne ricordava che una minima parte, che anche da sveglia la colmava di spavento; ricordava, per esempio, un mostriciattolo che saltellava lungo la strada del suo paese e che lei afferrava con forza, senza rabbrividire al contatto della sua testa tonda e calva e delle ossa sporgenti sotto la pelle sottile, e che lo spezzava e lo frantumava tra le mani, rompeva quegli ossicini.
Schifata dalle briciole polverose, le lasciava cadere ed esse si ricomponevano a creare quell’essere piccolo e orrendo oltre ogni dire.
Rinunciò a leggere il racconto di Crawford fino alla fine, dovendo respirare pesantemente per mantenere la calma, almeno mentre si vestiva in tutta fretta, in attesa di sentire lo scalpiccio di piccoli passi alle sue spalle.
Uscì dalla cabina quasi di corsa, chiudendo la porta con uno schiocco sonoro, e scoprì proprio Anthony, tra tutte le anime che imbarcava quella nave, appostato dietro l’angolo.
«Oh.»
«Buongiorno.» commentò lui, inarcando un sopracciglio.
«Oh. Scusate.» migliorava, poco a poco.
Si dondolò sui talloni. Un velo di rossore affiorò sulle guance pallide di Anthony, che abbassò gli occhi con disappunto e cercò la sua mano. Gliela strinse delicatamente, si chinò e, nella solitudine in cui sembravano immersi, lontani dal mondo, le offrì un secondo baciamano.
«Stasera vorrei avervi a cena con me, se non vi è di troppo disturbo.» proferì, garbato.
Sentì il proprio cuore aumentare la frequenza dei battiti: «Se non disturba voi.» disse a fior di labbra, guardandolo dritto negli occhi chiari.
Lui s’illuminò di un bel sorriso infantile.
«Perché stavate fuggendo dalla vostra cabina, quando vi ho incontrato?»
«Perché stavate aspettando che uscissi dalla mia cabina, quando vi ho incontrato?» lo scimmiottò, senza perdere il sorriso. Anthony accusò il colpo e chinò il capo per dargliene atto.
«Intanto, se vi sentite offesa, potreste anche allontanarvi da me.» osservò, innocente, mentre Roxanne arrossiva vistosamente e lasciava andare la giacca dell’uomo, gli occhi bassi.
«Non mi sentivo bene.» ammise, ricordando la sensazione opprimente che l’aveva colta in cabina e gli incubi di quel pomeriggio. Mise un altro passo di distanza tra lei ed Anthony.
«Io continuo ad essere del parere che la causa del tuo malessere è il viaggio per mare.»
Fece per replicare, ma le parole preferirono sgretolarsi sulla lingua e svanire nel nulla, non appena realizzò di sentirsi nuovamente male, peggio di quanto non le fosse mai accaduto: barcollò e solo la preda di Anthony le impedì di cadere ai suoi piedi; si portò una mano alla bocca, sentendosi prossima a vomitare, e un rombo copriva le parole allarmate dell’altro.
«Ti prego di non preoccuparti.» respirò a fondo, affondando le dita nella carne dell’uomo, dopo aver emesso quel cinguettio vergognosamente sincero, crogiolandosi per metà nel piacere derivante dalla stretta di Anthony, e fremendo per l’altra metà dal desiderio di scappare da lì, poiché sentiva di aver bisogno di cercare, trovare, capire cosa la angustiasse, perché la risposta doveva essere sotto gli occhi di entrambi.
«Stasera, stasera mi farò trovare al ristorante.» promise, risoluta, e si allontanò in fretta, aggiustandosi in fretta e furia le ciocche di capelli sfuggite allo chignon.

 

Alla fine si ritrovò sul ponte, senza sapere che fare.
Raddrizzò le spalle, come se un peso tremendo fosse evaporato, non appena uscì alla luce del sole; rimase affascinata dalla struttura immensa della nave, ancora una volta: era come se non avesse visto i quattro fumaioli al momento di salire a bordo, a Southampton.
Era felice.
Si sentiva niente di meno che una privilegiata, per il semplice fatto di essere salita sul Titanic; ricordò una bambina, stretta alla gonna di sua madre, che aveva incrociato il suo sguardo a bocca aperta, incapace di celare l’invidia che la rodeva, prima di abbassare la testa.
Adesso, ritta sul ponte come un soldato, era dispiaciuta per quella bambina, che non avrebbe mai avuto la possibilità di salire sulla nave più bella che avesse mai solcato l’Oceano.
Mai, mai, mai sarebbe entrata in una cabina, pensò ancora.
Mai, mai, mai avrebbe gustato le pietanze raffinate servite in prima classe, né la morbidezza dei divanetti nella sala di lettura. Mai, mai, mai avrebbe dormito tra le coltri morbide, dove lei aveva dormito quella stessa notte.
Ebbe un sorriso triste, a quel pensiero.
La bambina le parve una bambina fortunata, nonostante tutta la miseria e la vergogna in cui poteva vivere, una volta cresciuta. Era una bambina fortunata, certamente.
«Una giornata bellissima, non trovate?» una voce maschile interruppe il suo rimuginare.
«La migliore che abbia mai visto.» rispose all’istante, in nome delle buone maniere, e si voltò verso l’uomo che per primo le aveva rivolto la parola.
«Il mio nome è L. Dichter, per servirla.» si presentò, accennando una riverenza.
«Solo L.?» replicò Roxanne, con una risatina ansiosa, volta a nascondere l’inquietudine provocatele da quel bizzarro dejà-vu.
Dichter abbozzò un gesto di scusa, torcendo le labbra: «Veramente è Lyrik; mia madre era una letterata; ma preferisco non farlo sapere agli estranei, come potete ben capire.»
«Oh, sì, certamente. Voglio dire, è un nome… particolare.» balbettò la ragazza, arrossendo.
«Avete un’aria molto nervosa, signorina…?»
«Roxanne Mellinger.»
«Signorina Mellinger.» completò Dichter e la fece sorridere, con il suo inglese troppo duro.
Roxanne continuò a fissarlo, in barba a tutte le regole della buona educazione, quasi non potesse colmarsi della carnagione immacolata di Dichter, del suo sorriso ambiguo…
Lentamente, quasi a malincuore, allungò il braccio e lasciò andare il parapetto, muovendo qualche timido passo verso il tedesco: l’unico modo per superarlo era passargli accanto.
Lo fece, mentre Dichter sollevava una mano dalle dita lunghissime e le sfiorava la spalla, poi girò la testa e vide Anthony che li osservava dal ponte superiore, corrugando la fronte come se si fosse trovato a dover risolvere un difficile problema matematico; e s’applicava, certo, ma con una sorta di pesante stanchezza che gli scuriva gli occhi azzurri e gli ingobbiva le spalle.
«Anthony…» mormorò, alzando la mano verso di lui, che sostenne il suo sguardo senza significativi mutamenti d’espressione ma poi se ne andò. Se non fosse stata certa di sentire i suoi occhi sulla faccia, avrebbe creduto di non essere stata notata. Per la prima volta, Roxanne si pose una domanda sui veri sentimenti di Anthony.

 

Un’allegra musica riecheggiava nel corridoio.
Roxanne deglutì un paio di volte, sentendosi pronta a scoppiare in lacrime di nervosismo ed imbarazzo; stava ancora decidendo cosa fare, quando la porta a due battenti si aprì con una certa violenza ed Anthony, molto elegante e molto sparuto nel suo completo nero, le rivolse un sorriso abbacinante ed un’occhiata ancora più piacevole, molto simile ad una lunga frase di apprezzamento: quella sera indossava un vestito rosso sangue, stretto in vita da una cintura di seta argentata, con maniche di tulle leggero.
Sorridendo a sua volta, ma con aria di scusa, gli porse una mano inguantata di grigio.
«Quel gioiello vi dona molto.» ammise Anthony, piattamente, indicando la fascia argentata che le ornava la gola bianca. Roxanne piegò la testa di lato e ridacchiò, felice.
«Semplice seta. Anche tu sembri molto a tuo agio, stasera.»
Lui accettò il complimento con un minuscolo cenno del capo, che fece barcollare le intenzioni della ragazza; le studiò le mani, dopodichè chiese, spiccio: «Chi era?»
«Un altro passeggero. Solo un altro passeggero. Stai tranquillo.» replicò Roxanne nello stesso tono, ma aumentò un poco la stretta sulle dita dell’uomo. Alla fine Anthony sospirò, il capo chino, e le schioccò un gran bacio sulle labbra pitturate di rosso.
«Andiamo a farli morire d’invidia!» esclamò, con un accenno di riso sulle labbra.
Guardando quelle labbra ridere, Roxanne sentì l’aria rarefarsi e il mondo ballare sotto i suoi piedi; si lasciò stringere e condurre tra gli altri ballerini e ballò, ballò, ballò.
Rideva per chissà quale battuta di Anthony, quando udì un battere di mano vicinissimo a loro due e salutò cortesemente Dichter, prima che il suo compagno di danze se ne avesse a male.
«Sta’ qua, per favore. Vado a prendere… una cosa.»
Elusivo, Anthony sparì tra la folla.

   
 
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