The tango
will go out
{His eyes upon your face
His hand upon your hand
His lips caress your skin}
Roxanne
si dimenò nelle lenzuola, facendo cadere a terra il libro
ancora aperto sulle
proprie ginocchia. Sbadigliò e si strofinò gli
occhi, prima di piegarsi a
raccoglierlo da terra: la posizione in cui si era addormentata le aveva
lasciato la schiena ed il collo indolenziti.
Annebbiata
dal sonno e prosciugata dalle ultime forze dopo
quell’inaspettata dormita,
prese a sfogliare le pagine alla ricerca del punto in cui aveva
interrotto la
lettura ed aveva cominciato a confondere le parole scritte con i sogni.
Pagina
quarantadue, giusto, si disse con un lieve tentennamento del capo,
sforzando
gli occhi cisposi a distinguere le lettere nere dalla pagina grigia,
incurante
della penombra in cui era immersa la cabina. Sentì una morsa
allo stomaco,
quando riprese la lettura.
«Tende
dal colore indefinibile
chiudevano in parte la cuccetta superiore. La luminosa foschia di
giugno
spargeva una luce fioca su quella scena deprimente. Ah! Come odio
quella
cabina!...
Strofinò
le gambe una contro l’altra, per riscaldarle.
Sotto i
suoi occhi stanchi scorrevano le pagine, una dopo l’altra.
«L’oblò era di
nuovo spalancato e agganciato
alla paratia!...
Portò le
ginocchia al petto, con leggero disagio.
«Qualcuno c’era. ricordo
bene che, appena vi
infilai le mani, ebbi la sensazione d’averle immerse
nell’aria di una cantina
umida, e da oltre le cortine provenne un soffio di vento che portava
con sé
l’odore disgustoso di stagnante acqua salmastra…
Pur senza
volerlo, Roxanne alzò la testa e perlustrò la
cabina silenziosa con gli occhi
ben aperti e le orecchie tese, ma l’unico suono che udiva
proveniva dalle
persone che chiacchieravano nel corridoio; era al sicuro, si disse, ed
era
sciocco farsi suggestionare da un racconto!
«Il letto era stato usato, e
l’odore
salmastro era forte; ma le coltri erano asciutte…
Freddi
ragni di panico le corsero lungo la schiena.
«Era un qualcosa spettrale, orrendo
ogni
oltre dire, e si agitava nella mia stretta.
…
occhi bianchi spenti sembravano
fissarmi dall’oscurità; le aleggiava intorno un
fetore putrido d’acqua
salmastra, i capelli ricadevano in sudici riccioli lucidi e bagnati
sulla
faccia spettrale…
Il
passaggio appena letto le ricordò un sogno,
l’attimo di un lungo incubo: come
tutti gli incubi era articolato e non privo di una certa logica
onirica, ma non
ne ricordava che una minima parte, che anche da sveglia la colmava di
spavento;
ricordava, per esempio, un mostriciattolo che saltellava lungo la
strada del
suo paese e che lei afferrava con forza, senza rabbrividire al contatto
della
sua testa tonda e calva e delle ossa sporgenti sotto la pelle sottile,
e che lo
spezzava e lo frantumava tra le mani, rompeva quegli ossicini.
Schifata
dalle briciole polverose, le lasciava cadere ed esse si ricomponevano a
creare
quell’essere piccolo e orrendo
oltre ogni
dire.
Rinunciò
a leggere il racconto di Crawford fino alla fine, dovendo respirare
pesantemente per mantenere la calma, almeno mentre si vestiva in tutta
fretta,
in attesa di sentire lo scalpiccio di piccoli passi alle sue spalle.
Uscì
dalla cabina quasi di corsa, chiudendo la porta con uno schiocco
sonoro, e
scoprì proprio Anthony, tra tutte le anime che imbarcava
quella nave, appostato
dietro l’angolo.
«Oh.»
«Buongiorno.»
commentò lui, inarcando un sopracciglio.
«Oh.
Scusate.» migliorava, poco a poco.
Si
dondolò sui talloni. Un velo di rossore affiorò
sulle guance pallide di
Anthony, che abbassò gli occhi con disappunto e
cercò la sua mano. Gliela
strinse delicatamente, si chinò e, nella solitudine in cui
sembravano immersi,
lontani dal mondo, le offrì un secondo baciamano.
«Stasera
vorrei avervi a cena con me, se non vi è di troppo
disturbo.» proferì, garbato.
Sentì il
proprio cuore aumentare la frequenza dei battiti: «Se non
disturba voi.» disse a
fior di labbra,
guardandolo dritto negli occhi chiari.
Lui
s’illuminò di un bel sorriso infantile.
«Perché
stavate fuggendo dalla vostra cabina, quando vi ho
incontrato?»
«Perché
stavate aspettando che uscissi dalla mia cabina, quando vi ho
incontrato?» lo
scimmiottò, senza perdere il sorriso. Anthony
accusò il colpo e chinò il capo
per dargliene atto.
«Intanto,
se vi sentite offesa, potreste anche allontanarvi da me.»
osservò, innocente,
mentre Roxanne arrossiva vistosamente e lasciava andare la giacca
dell’uomo,
gli occhi bassi.
«Non mi
sentivo bene.» ammise, ricordando la sensazione opprimente
che l’aveva colta in
cabina e gli incubi di quel pomeriggio. Mise un altro passo di distanza
tra lei
ed Anthony.
«Io
continuo ad essere del parere che la causa del tuo malessere
è il viaggio per
mare.»
Fece per
replicare, ma le parole preferirono sgretolarsi sulla lingua e svanire
nel
nulla, non appena realizzò di sentirsi nuovamente male,
peggio di quanto non le
fosse mai accaduto: barcollò e solo la preda di Anthony le
impedì di cadere ai
suoi piedi; si portò una mano alla bocca, sentendosi
prossima a vomitare, e un
rombo copriva le parole allarmate dell’altro.
«Ti prego
di non preoccuparti.» respirò a fondo, affondando
le dita nella carne
dell’uomo, dopo aver emesso quel cinguettio vergognosamente
sincero,
crogiolandosi per metà nel piacere derivante dalla stretta
di Anthony, e
fremendo per l’altra metà dal desiderio di
scappare da lì, poiché sentiva di
aver bisogno di cercare, trovare, capire cosa la angustiasse,
perché la
risposta doveva essere sotto gli occhi di entrambi.
«Stasera,
stasera mi farò trovare al ristorante.» promise,
risoluta, e si allontanò in
fretta, aggiustandosi in fretta e furia le ciocche di capelli sfuggite
allo
chignon.
Alla fine
si ritrovò sul ponte, senza sapere che fare.
Raddrizzò
le spalle, come se un peso tremendo fosse evaporato, non appena
uscì alla luce
del sole; rimase affascinata dalla struttura immensa della nave, ancora
una
volta: era come se non avesse visto i quattro fumaioli al momento di
salire a
bordo, a Southampton.
Era
felice.
Si
sentiva niente di meno che una privilegiata, per il semplice fatto di
essere
salita sul Titanic; ricordò una bambina, stretta alla gonna
di sua madre, che
aveva incrociato il suo sguardo a bocca aperta, incapace di celare
l’invidia
che la rodeva, prima di abbassare la testa.
Adesso,
ritta sul ponte come un soldato, era dispiaciuta per quella bambina,
che non
avrebbe mai avuto la
possibilità di
salire sulla nave più bella che avesse mai solcato
l’Oceano.
Mai, mai,
mai sarebbe entrata in una cabina, pensò ancora.
Mai, mai,
mai avrebbe gustato le pietanze raffinate servite in prima classe,
né la
morbidezza dei divanetti nella sala di lettura. Mai, mai, mai avrebbe
dormito
tra le coltri morbide, dove lei
aveva
dormito quella stessa notte.
Ebbe un
sorriso triste, a quel pensiero.
La
bambina le parve una bambina fortunata, nonostante tutta la miseria e
la
vergogna in cui poteva vivere, una volta cresciuta. Era una bambina
fortunata,
certamente.
«Una
giornata bellissima, non trovate?» una voce maschile
interruppe il suo rimuginare.
«La
migliore che abbia mai visto.» rispose all’istante,
in nome delle buone
maniere, e si voltò verso l’uomo che per primo le
aveva rivolto la parola.
«Il mio
nome è L. Dichter, per servirla.» si
presentò, accennando una riverenza.
«Solo
L.?» replicò Roxanne, con una risatina ansiosa,
volta a nascondere
l’inquietudine provocatele da quel bizzarro dejà-vu.
Dichter
abbozzò un gesto di scusa, torcendo le labbra:
«Veramente è Lyrik; mia madre
era una letterata; ma preferisco non farlo sapere agli estranei, come
potete
ben capire.»
«Oh, sì,
certamente. Voglio dire, è un nome…
particolare.» balbettò la ragazza,
arrossendo.
«Avete
un’aria molto nervosa, signorina…?»
«Roxanne
Mellinger.»
«Signorina
Mellinger.» completò Dichter e la fece sorridere,
con il suo inglese troppo
duro.
Roxanne
continuò a fissarlo, in barba a tutte le regole della buona
educazione, quasi
non potesse colmarsi della carnagione immacolata di Dichter, del suo
sorriso
ambiguo…
Lentamente,
quasi a malincuore, allungò il braccio e lasciò
andare il parapetto, muovendo
qualche timido passo verso il tedesco: l’unico modo per
superarlo era passargli
accanto.
Lo fece,
mentre Dichter sollevava una mano dalle dita lunghissime e le sfiorava
la
spalla, poi girò la testa e vide Anthony che li osservava
dal ponte superiore,
corrugando la fronte come se si fosse trovato a dover risolvere un
difficile
problema matematico; e s’applicava, certo, ma con una sorta
di pesante
stanchezza che gli scuriva gli occhi azzurri e gli ingobbiva le spalle.
«Anthony…»
mormorò, alzando la mano verso di lui, che sostenne il suo
sguardo senza
significativi mutamenti d’espressione ma poi se ne
andò.
Un’allegra
musica riecheggiava nel corridoio.
Roxanne
deglutì un paio di volte, sentendosi pronta a scoppiare in
lacrime di
nervosismo ed imbarazzo; stava ancora decidendo cosa fare, quando la
porta a
due battenti si aprì con una certa violenza ed Anthony,
molto elegante e molto
sparuto nel suo completo nero, le rivolse un sorriso abbacinante ed
un’occhiata
ancora più piacevole, molto simile ad una lunga frase di
apprezzamento: quella
sera indossava un vestito rosso sangue, stretto in vita da una cintura
di seta
argentata, con maniche di tulle leggero.
Sorridendo
a sua volta, ma con aria di scusa, gli porse una mano inguantata di
grigio.
«Quel
gioiello vi dona molto.» ammise Anthony, piattamente,
indicando la fascia
argentata che le ornava la gola bianca. Roxanne piegò la
testa di lato e
ridacchiò, felice.
«Semplice
seta. Anche tu sembri molto a tuo
agio, stasera.»
Lui
accettò il complimento con un minuscolo cenno del capo, che
fece barcollare le
intenzioni della ragazza; le studiò le mani,
dopodichè chiese, spiccio: «Chi
era?»
«Un altro
passeggero. Solo un altro passeggero. Stai tranquillo.»
replicò Roxanne nello
stesso tono, ma aumentò un poco la stretta sulle dita
dell’uomo. Alla fine
Anthony sospirò, il capo chino, e le schioccò un
gran bacio sulle labbra
pitturate di rosso.
«Andiamo
a farli morire d’invidia!» esclamò, con
un accenno di riso sulle labbra.
Guardando
quelle labbra ridere, Roxanne sentì l’aria
rarefarsi e il mondo ballare sotto i
suoi piedi; si lasciò stringere e condurre tra gli altri
ballerini e ballò,
ballò, ballò.
Rideva
per chissà quale battuta di Anthony, quando udì
un battere di mano vicinissimo
a loro due e salutò cortesemente Dichter, prima che il suo
compagno di danze se
ne avesse a male.
«Sta’
qua, per favore. Vado a prendere… una cosa.»
Elusivo,
Anthony sparì tra la folla.