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Autore: moriartea    04/07/2012    13 recensioni
“Tu cosa ci vedi? Nelle nuvole, intendo.”
“Un microfono. Tu invece, cosa ci vedi?”
“Nulla.”
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Niall Horan, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Brooke:


Niall:

 

Nuvole.
La ragazza uscì di casa con gli occhi arrossati e si diresse, come ogni giorno, in quello che le piaceva chiamare il suo posto. Le piaceva l'idea che un angolo del mondo fosse solo suo, l'idea che una volta andata lì sarebbe stata in pace, lontana da tutto e da tutti. L'idea che in quel posto nessuno potesse insultarla o criticarla, era solo lei e nessun altro. Si stese sull'erba e mise le mani dietro la testa, infilandosi una sola cuffia nell'orecchio e facendo partire la musica, sua unica amica. Metteva sempre una sola cuffia, lei. Temeva che se le avesse messe entrambe i suoi pensieri, privi di una via d'uscita, le sarebbero esplosi in testa. In questo modo invece potevano uscire, e chissà, magari qualcuno li avrebbe sentiti. Ma lei, a dirla tutta, faceva ogni cosa con una mano sola. Salutava con una mano sola, scriveva con una mano sola, teneva gli oggetti con una mano sola e ti abbracciava con una mano sola. Non se la sentiva di usarle entrambe, non lo meritava. Pensava che l'altra mano fosse lì solo per essere presa da qualcun altro. E se fosse riuscita a trovare questo qualcuno, quella metà che le mancava, allora forse avrebbe iniziato a fare le cose con due mani.
Sentì dei passi avvicinarsi ma non ci fece caso, ogni tanto passava qualcuno che, così pensava lei, le dava della pazza perché se ne stava lì coricata a terra a fissare il nulla. Quel nulla che tanto la spaventava, ma che tanto le apparteneva. Vide una figura sedersi a fianco a lei ma non si mosse, non le interessava. “Lo sai, è un po' che passo di qui e ti vedo sempre qui sdraiata.” era un ragazzo. Non rispose, non c'era niente da dire. Quel posto era come una casa per lei, ed è normale che uno si sdrai a casa sua. Lui, non ricevendo risposta, azzardò una domanda, un po' insicuro. “Cosa fai qui tutti i giorni?” la ragazza sospirò, cosa faceva lì? “Guardo le nuvole.” il ragazzo la guardò un po' confuso, ma alla fine decise cosa fare. Si sdraiò esattamente accanto a lei e prese la cuffia che lei non usava, notando con piacere che stava ascoltando una delle sue canzoni preferite. Rimasero così per un tempo indefinito, quando la ragazza, sorprendendo persino sé stessa di quello che stava per fare, parlò. “Tu cosa ci vedi? Nelle nuvole, intendo.” “Perché ti interessa?” “Dalle nuvole si capiscono molte cose.” il ragazzo si concentrò per un attimo su uno di quei cumuli di zucchero filato di cui il cielo era tanto goloso, e rispose. “Un microfono.” la ragazza si voltò a guardarlo. I capelli biondi riflettevano la luce del sole e si meravigliò del fatto che non ce ne fossero anche nei suoi occhi, di nuvole. “Quindi vuoi diventare famoso, giusto?” il ragazzo rimase sorpreso del fatto che fosse riuscita a capirlo subito ma non disse nulla e annuì. “Tu invece, cosa ci vedi?” “Nulla.” rispose semplicemente. Lei non aveva desideri, ambizioni, sogni. Sapeva che sarebbero rimasti tali e non si illudeva, non voleva. Pensava di avere già troppi problemi e i sogni non avrebbero fatto altro che crearne di nuovi. Il ragazzo la guardò perplesso, gli sembrava impossibile che non ci vedesse nulla. È vero le nuvole avevano forme strane, ma erano pur sempre forme. Tornò a sedersi e le porse una mano, una sola, guardandola negli occhi. “Io sono Niall.” lo osservò a lungo, indecisa su cosa fare. Lui se ne stava lì, ad aspettarla, fermo, come se sapesse che prima o poi avrebbe ceduto. “Brooke.” odiava il suo nome. Quel nome che sapeva tanto di 'rotto'*, con quel suono così freddo e duro. Gli strinse la mano e volse di nuovo il suo sguardo alle nuvole, indifferente. Lei non ci aveva mai visto nulla. Da bambina le guardava con la madre ma non riusciva a vederci alcuna forma, per lei erano soltanto nuvole. Portatrici di pioggia, di tristezza, di solitudine e malinconia, senza forma. Lei non sapeva cosa fossero la speranza, l'ambizione, la felicità e la spensieratezza, e forse era proprio questo che le impediva di osservare le nuvole. Lei le guardava e basta. Le vedeva, ma non le importava. “Sai, credo che dovresti mettere delle canzoni più allegre su questo lettore.” esordì il ragazzo. Incurvò le labbra in un sorriso forzato, aveva dimenticato come si sorrideva. “Lo farò.” l'allegria era una di quelle cose che non le appartenevano, aveva bisogno di qualcuno che le insegnasse cosa fosse. Le sarebbe piaciuto poter stare lì per sempre, non voleva tornare a casa. Quelle quattro mura non erano nemmeno una casa. Erano un covo di matti per lei. Non se la sentiva di dover sopportare per l'ennesima volta le liti dei genitori e le violenze del fratello, non pensava di meritarsi questo. Non era sicura che un giorno sarebbe stata felice, ma era sicura che non avrebbe fatto quella vita per sempre.
Improvvisamente, senza un motivo preciso, sentì gli occhi inumidirsi e una lacrima, una sola, le rigò la guancia, silenziosa. Racchiusa in un silenzio che sembrava urlare, ma forse le menti degli altri erano troppo occupate a sperare per poterla sentire. Il ragazzo se ne accorse ma non disse nulla. Le si avvicinò e la strinse in un abbraccio. La avvolse con entrambe le braccia e la strinse il più forte che poteva. Le accarezzava lentamente i capelli mentre lei, zitta, inspirava il suo profumo. Sentì il cuore, o quello che ne rimaneva, perdere un battito quando il ragazzo le diede un dolce bacio fra i capelli. Nessuno l'aveva mai fatto prima. Nessuno l'aveva mai abbracciata con entrambe le braccia, nessuno l'aveva mai stretta fra entrambe le sue mani e a nessuno era mai importato di lei. Altre lacrime iniziarono a scendere timide bagnandole la pelle delicata, ma lei non osava muoversi o parlare. Era una bambola, e quel ragazzo avrebbe potuto fare di lei ciò che voleva. “Grazie.” fu l'unica cosa che riuscì a fare. Ringraziarlo. Le aveva insegnato come ci si sentiva ad essere pieni, aveva riempito quella metà del suo corpo che non usava da molti anni. Istintivamente, ricambiò l'abbraccio stringendo il corpo del ragazzo tra entrambe le braccia e affondando la testa nell'incavo del suo collo. “Perché ci hai messo così tanto?” gli chiese, insicura, con la voce tremante. “A fare cosa?” la guardò negli occhi, non capendo a che si riferisse. “A trovarmi.” guardava gli occhi del ragazzo. Aveva trovato un nuovo cielo da guardare. Senza dire nulla, il ragazzo le posò un dolce bacio a fior di labbra ed entrambi tornarono a sdraiarsi a terra. La ragazza poggiò la testa sulla sua spalla e guardò un'ultima volta le nuvole. Ce n'era una al centro, che le ricordava tanto un piccolo cuore.




*mi riferisco al fatto che il nome 'Brooke' assomiglia al paradigma 'break - broke - broken', rompere in inglese.

   
 
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