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Autore: Stukas are Coming    05/07/2012    0 recensioni
Una storia completamente diversa dalle altre, inserita nel genere Storico per motivi che presto scoprirete. Amo i boschi e e le foreste, è per questo che ho deciso di ambientarla in questi luoghi meravigliosi. Sono appassionata di storia e il periodo del nazismo è da sempre un mio grande interesse, ovviamente solo in senso storico. Spero vi possa piacere!
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Guerre mondiali
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Com' è bello il sole quando sorge ! Preferisco i tramonti, però è un gran spettacolo anche l' aurora.

Controllo le provviste e con soddisfazione vedo che ne ho tante da sfamare un continente intero. Bene, niente gite in paese per ora.

Esco fuori, controllo subito la violetta appena nata e constato che sta crescendo. Un funghetto è spuntato là vicino, è bianco con un anello attorno al gambo che pare una gonnellina, e ha delle specie di fiocchi candidi sul cappello. Lo riconosco come fungo velenoso mortale e lo lascio stare. La vecchia mi aveva detto che si chiama Amanita Virosa, lei lo soprannominava “angelo distruttore” perchè è bianco e ti stronca in poco tempo.

Sbadiglio, mangio del pane e pulisco il ceppo da pezzetti di corteccia caduti nottetempo dalle cime degli altri alberi.

Dopo mi farò una passeggiata e andrò al torrente per vedere di riuscire a catturare qualche pescetto; non è tanto lontano, anzi è comodamente vicino. E' un torrentello agitato e vispo, fa un gran rumore di ciottoli sbatacchiati.

Dopo aver fatto colazione col pane e una manciata di more raccolte fresche vado nella stanza dove c' è il letto e mi vesto con gli abiti “da camminata”: stivali, pantaloni da uomo rubati, e un cappotto. Bisogna coprirsi la mattina presto, ti becchi facilmente una malattia altrimenti. Ho 17 anni e ho imparato molte più cose di qualsiasi altra mia coetanea: chi di loro saprebbe cavarsela per così tanto tempo in una foresta ?

Con un vecchio pettine mi pettino i capelli, che ho lunghi e corvini, e osservo il mio viso. Ho gli occhi verdissimi e la pelle quasi trasparente, le occhiaie (ma le ho così da sempre, ci sono nata) e i tratti affilati.

Chissà se un ragazzo potrebbe trovarmi attraente... Certo vestita così mi riderebbe in faccia, ma sinceramente non mi importa. Non mi interessano i maschi, neanche le donne a dirla tutta. Non mi interessa l' umanità.

Avendo fame mi risiedo al tavolo e mangio ancora qualcosa, infine prendo la pistola, mi caccio la retina in tasca ed esco. Il bosco è un trionfo di uccellini cinguettanti, tutto è umido per la rugiada notturna ed ogni colore è sublimato al massimo.

Il sentierino che conduce al torrente è stato modellato dai miei piedi, e a forza di inciamparci ho segnato le pietre sporgenti, dunque ora riesco ad evitarle quelle piccole bastarde. Una popolazione di ciclamini è appostata tra le foglie, fanno capolino come tanti nanetti rosa.

Arrivo al torrente e mi siedo sulla riva pietrosa mentre un tripudio di farfalline svolazza qua e là. Riesco a scorgere un castoro per un istante ma poi si immerge, pronto a costruire qualche diga.

Faccio un sospiro profondo e assaporo l' aria pura di cristallo. Poi, come al solito, colgo un po' di fili d' erba e inizio a creare una treccia.

Improvvisamente sento un rumore non tanto lontano e le mie orecchie, da lungo abituate a percepire e analizzare ogni tipo di suono, subito mi danno il responso: non è un animale, è un passo un po' distratto, casuale. Un uomo.

La bocca per istinto mi si storce in una smorfia di disgusto, paura e rabbia. Cosa ci fa uno schifoso umano qua ?

In silenzio prendo la pistola e mi rannicchio dietro un masso per spiare i movimenti del nuovo arrivato. Per un paio di minuti non vedo nulla, infine lo scorgo e il mio cuore fa una capriola di paura. E' giorno, non notte, e non sono protetta dal buio. Lui è un maschio e io una ragazza... E quando mi vedrà cosa mi farà ? Oh, se si immagina di passarla liscia si sbaglia di grosso. Gli faccio un buco grosso come una noce in fronte.

Mi alzo e in quel momento il mio sguardo incontra il suo, vedendolo finalmente bene.

Un soldato, un maledetto soldato. Elmetto nero con un simbolo sul lato, uniforme verde-nera, cintura in vita e stivali al ginocchio neri. Per un attimo strabuzza gli occhi e lo imito, poi con un balzo schizzo via e inizio a correre.

<< Ferma ! Fermati ! Fermati subito ! >>

Lo sento urlare e dalla cadenza del suo passo capisco che si è messo a correre pure lui.

Gli alberi si succedono veloci e qualche ramo mi graffia le guance ma non importa, devo scappare.

<< Fermati o sparo ! >>

Mi sfugge un gemito disperato e mi maledico al pensiero di non averlo riempito di pallottole prima che mi vedesse.

Un' esplosione improvvisa mi fa strillare e il colpo finisce sul tronco di un albero, facendo schizzare pezzi di corteccia ovunque.

Altri tre secchi spari mi sfiorano e urlo di nuovo. Mi volto per vedere dov' è e sento una lurida, perfida pietra tirarmi via il piede destro. Quanto le odio. Come al rallentatore mi sento volare e crollo su un tappeto di foglie. La mia pistola mi sfugge di mano, tento di rimettermi in piedi ma lui è già davanti, fucile puntato e col fiatone.

Il simbolo sul suo elmetto, ripetuto sul colletto della divisa, sono due specie di fulmini. A sinistra, sopra la tasca, ha un' aquila che stringe tra gli artigli un cerchio con un simbolo che mi pare avessi già visto qualche volta.

Alzo le mani verso la sua direzione e lo osservo, abituata come sono a guardare ogni minimo elemento del bosco. Ha le iridi azzurre come il cielo di oggi, capelli quasi bianchi da quanto sono biondi e la pelle è pallida quanto la mia. Gli si vede una vena sul lato del collo.

<< Perchè scappavi ? Sei ebrea ? Fammi vedere i documenti. >>

Dice, muovendo il fucile verso di me. Documenti ?

Ripete la richiesta e vedo che è molto giovane, ciò che dice non mi sembra suo.

<< Non li ho. Perchè dovrei farteli vedere ? >>

Mi da un' occhiata allibita.

<< Perchè eri qua ? >>

Domanda.

<< Semmai dovrei chiedertelo io >>

<< Tu non mi parli così, schifosa ebrea ! >>

Esclama colpendomi la spalla con la punta del fucile. Mi fa male e glielo dico. A questo punto il suo stupore cresce ancora e mi osserva come se fossi ritardata.

<< E poi perchè mai dovrei essere ebrea ? Gli ebrei non erano quelli di Gesù ? >>

Continuo, senza capire tutto questo suo interesse verso le mie origini. A questo punto il suo stupore cresce ancora e mi osserva come se fossi ritardata.

<< Dovrei ammazzarti ora. Fammi vedere i documenti >>

<< Ma cosa, cosa sono ! Non li ho, non ho idea di che carte dovrei avere ! Smettila di importunarmi ! >>

Mi da uno schiaffo abbastanza forte, sento il profumo della pelle nera dei suoi guanti.

<< Lo sai che per aver risposto così ad un soldato delle SS meriteresti la fucilazione immediata ? >>

<< Davvero ? Ho detto ciò che è vero. Se mi dai un altro schiaffo ti sparo. E poi, cosa sono le SS ? >>

Apre la bocca e scuote la testa senza parole.

<< Tu... Tu... Se non sai cosa sono le SS devi sicuramente essere una sporca ebrea. >>

Termina, e alza di nuovo il fucile mettendo l' indice sul grilletto. Strillo e gli lancio un sasso che lo colpisce sulla coscia. Abbassa l' arma e mi fissa strabiliato.

<< Dimmi il tuo nome >>

Dice, dopo un po'.

<< Lia. Tu come ti chiami ? >>

Le mie parole devono essere in un' altra lingua, non so, perchè gli sguardi che mi da sono assurdi.

<< Io... Io sono un soldato, cristo ! >>

<< Non è il tuo nome, questo. >>

Si passa una mano sul viso in un gesto esasperato.

<< Dovresti aver paura di me ! >>

<< Sei un ragazzo come tutti gli altri, non mi metti paura. Ho più timore delle vespe, ti pungono e a volte ti fanno venire delle reazioni allergiche pericolose >>

Si lascia cadere sedendosi su un grosso sasso e mi osserva.

<< Vieni con me, ti porto in caserma >>

<< Neanche per l' anima, io sto bene qua. Vacci te se ci tieni >>

Il silenzio cala su di noi. Riprende a parlare poco dopo.

<< Sei ritardata ? >>

<< Che ?! No, affatto ! >>

Esclamo indignata e ragiono se tirargli un' altra pietra o no.

<< Lo sai che i malati mentali finiscono nelle docce a gas ? >>

<< E beh ? >>

<< Muoiono. >>

<< Per una doccia ? >>

Questo ragazzo dice della assurdità pazzesche. Ormai lo vedo rassegnato.

<< Il nostro Führer sai chi è, vero ? >>

<< Adolf Hitler ? Ne conosco solo il nome. E' simpatico ? >>

Lui fa un ghigno.

<< Ogni volta che tu senti il suo nome devi alzarti in piedi, tendere il braccio destro e urlare “Heil Hitler!”. >>

<< Non basta un normale ciao ? >>

<< Andresti proprio ammazzata >>

Borbotta, fissandomi allibito.

<< Fai così. Ogni volta che devi salutare qualcuno devi fare così. Forza, prova >>

Con aria diffidente mi alzo ed eseguo il suo ordine.

<< La voce dev' essere più forte e decisa >>

<< Certo che questo Hitler è proprio uno schizzinoso. >>

<< Devi portare rispetto ! >>

Urla. Decisamente un ragazzo strano. Stiamo in silenzio ancora qualche minuto, poi non sapendo cosa fare gli propongo una chicca.

<< Vuoi vedere la mia violetta ? >>

Domando, orgogliosa.

<< Eh ? >>

<< E' molto bella >>

<< La tua... >>

E strabuzza di nuovo gli occhi, con un sorrisetto.

<< Ti vuoi spogliare ? >>

<< Cosa ?! Con quest' umidità ? E' il modo migliore per prendersi un raffreddore, lo sai ? No, la mia violetta appena nata >>

Siccome continua a non capire -e ha pure equivocato il mio invito- gli dico di seguirmi che facciamo prima. Inizialmente dice che deve ritornare ma presto accetta, anche perchè la casetta è sulla strada del ritorno.

Quando arriviamo lo porto davanti ai fiori e gli indico la violetta piccola, fiera come una madre col suo bambino.

<< Beh ? >>

Commenta, le mani sui fianchi.

<< E' nata da poco, non è bellissima ? >>

<< E' un fiore come tanti >>

La sua risposta mi offende parecchio.

<< Come puoi dire una cosa simile ? E' forse la più bella del gruppetto. >>

E divento torva quanto un cielo di tempesta primaverile.

<< Ne trovi a migliaia in giro, ne ho viste a bizzeffe e sono tutte simili a lei >>

<< Ma quelle sono addomesticate, non capisci ? Sono brutte violette umanizzate. Loro invece sono selvatiche ma mille volte più meravigliose delle altre, e sono le mie. Se ti fai tanti problemi a dire a voce alta o bassa il nome del tuo Führer, allora anch' io esigo che tu parli bene delle mie violette. >>

<< Hitler non è uno stupido fiore ! >>

Esclama lui e gli mollo uno schiaffo sulla guancia, del tutto identico a quello che mi è stato dato prima.

<< I fiori colorano il mondo, gli uomini lo rovinano ! La foresta è meravigliosa, non la tua orrenda città e i tuoi Hitler ! >>

Detto ciò incrocio le braccia e gli volto le spalle. Sento provenire un silenzio senza parole e capisco che non sa come ribattere. Ben gli sta.

Tacciamo entrambi, infine rompe il silenzio dicendo che deve andare. Forse sono stata troppo dura, ma quando uno non capisce le violette ha bisogno di una ramanzina.

Mi giro e gli lancio uno sguardo di sbieco giusto per rimarcare ciò che ho detto.

<< Non tornerai ? >>

Aggiungo subito dopo, senza riuscire a frenare le parole.

<< Non lo so, non credo. >>

Nei suoi occhi scorgo una sorta di pietà.

<< Ehi non sono una ritardata, se è quel che stai pensando. Oh povera ragazzina che a malapena sa leggere e scrivere e blatera di fiori, solo un problema mentale può condurre a simili discorsi. Ma voi uomini non capite la bellezza che ci sta dietro. Io sono sempre vissuta da sola, le violette sono le mie amiche e nessuno può parlarne male. >>

<< Non vivi con nessuno ? >>

Chiede, stupito.

<< No. >>

<< Vuoi davvero dirmi che sei sei una ragazza grande e te ne stai qua ? Cristo, capisco se poi ti metti a parlare con gli alberi. Non ci sarei mai riuscito. >>

<< E' che non ci hai provato. Comunque ho 17 anni, non sono grande. >>

<< Sul serio non sai cosa siano le SS e tutto il resto ? >>

<< No e non mi interessa. Gli esseri umani mi fanno schifo >>

<< Credo tua stia dimenticando di far parte dell' umanità, hai due braccia e due gambe proprio come gli altri. >>

<< Vorrei non averle >>

<< Sei proprio matta >>

Replica, ma quella fastidiosa pietà è scomparsa dal suo viso. E' stata però orribilmente rimpiazzata in me dal desiderio di ritardare la sua partenza... La prima persona con cui parlo da anni e anni.

Una voce lontana mi fa fare un salto al cuore e lui si gira, guardandosi indietro. Osservo la sua nuca e i capelli biondo-bianchi. Tante violette candide.

<< Erwin ! >>

Sento urlare, e risponde “arrivo”.

<< Senti, devo andare ora, mi stanno cercando. >>

<< Non farli venire qua ! >>

Esclamo spaventata.

<< Perchè ? >>

<< Non voglio... Non voglio che mi vedano. Voglio rimanere dimenticata da tutti. >>

<< Ok. Bene, allora ciao >>

<< Avresti dovuto dire Heil Hitler, mi hai insegnato che si deve salutare così. >>

Fa un sorriso e scuote la testa.

<< Ora non è adatto. >>

Resta ancora un istante fermo, poi si gira e inizia a correre verso la voce senza corpo.

Rimango in piedi vicino ai fiori, guardandolo allontanarsi e scomparire dietro gli arbusti più bassi del sottobosco finchè anche il suono svanisce.

<< Heil Hitler >>

Mi dico da sola una volta che il silenzio è tornato, alzando poco convinta il braccio destro e mi sembra una cosa stupida.

Io trovo molto più carino un ciao.

Guardo i fiori e il funghetto, ripeto il saluto e loro se ne stanno tranquilli nella loro pacifica esistenza vegetale. Sopra di noi solo uccelli canterini e insetti, non più voci umane.

Se le violette potessero parlare, non farebbero che narrare della mia solitudine.

   
 
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