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Autore: CookieKay    05/07/2012    4 recensioni
Ci sono due cose a cui Hayley Doherty non rinuncerebbe mai: il caffè di Starbucks e New York. E allora perchè si è trasferita a Londra e beve caffè in una qualsiasi caffetteria piena zeppa di turisti?
Dal primo capitolo: “Adesso fumi pure?” mi chiese il mio odioso fratellastro, divertito. “E’ illegale per caso?” sputai velenosa. Lui rise “Fa un po’ come ti pare” sentenziò. Abbassai il finestrino e mi accesi una sigaretta. Non ero una fumatrice accanita, ma in quella situazione ne avevo abbastanza bisogno. “C’è uno Starbucks vicino casa?” chiesi aspirando del fumo. “Sì” rispose semplicemente. Questo voleva dire che me lo sarei dovuto trovare da sola. “Senti per la mia salute mentale, possiamo cercare di andare d’accordo?” ero disperata. Volevo almeno un alleato dalla mia parte. “Scordati di immischiarmi nei tuoi problemi con il tuo vecchio.” Era più perspicace di quello che mi ricordavo. “Per favore. Ho bisogno di un amico” buttai lì, tentando di risultare il più disperata possibile. “La smetti di rompermi i coglioni?” esclamò gelido, come al solito, piombando in un silenzio innaturale.
Genere: Commedia, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 7: La finestra sul cortile

 

Che palle.

Erano passati solo dieci giorni dall’incidente e me ne mancavano ancora venticinque per togliermi di dosso quello stramaledetto gesso schifoso. Sbuffai per la millesima volta, dopo aver girato canale con il telecomando che ormai era diventato parte integrante della mia mano. “Adam!!” gridai annoiata. Lo vidi correre giù per le scale e con fiato corto mi chiese “Stai bene? E’ successo qualcosa?” Ma notò subito che non c’era niente di cui preoccuparsi. “Mi annoio!” sbottai sbuffando come una dodicenne. “Ma vaffanculo, Lee. Pensavo fossi rotolata per terra e stessi per morire” disse sbuffando con me. “Andiamo a farci un giro? A piedi, ovviamente” cercai di convincerlo. Di tutta risposta mi rise in faccia. “Ma se ti stanchi a saltellare qua per casa! E poi io non porto in giro una menomata: ho una reputazione da difendere” “Che palle! Ma io mi annoio a stare qua seduta tutto il giorno!” dissi imbronciata, incrociando le braccia come una bambina. “Prepara dei biscotti” Fui io stavolta a ridergli in faccia. “Già, pessima idea. Bhè, disegna! Ricordo di averti sentita dire che ami disegnare” disse con quel suo solito ghigno maledetto. Gli diedi una gomitata su un fianco. “Piantala di fare l’idiota!” “E tu piantala di lamentarti!” “Portami di sopra e facciamo del sesso selvaggio” dissi ormai senza più idee, buttandomi su di lui con fare teatrale. “Cosa mi tocca sentire!” “Sono disperata, cosa pretendi!” “Senti vado a prenderti un caffè da Starbucks, ok? Magari la pianti di rompere i coglioni” disse alzandosi dal divano e dirigendosi verso la porta d’ingresso. Allungai il braccio verso di lui e sempre con fare melodrammatico ululai “Non mi abbandonare qui da sola! Potrei morire di solitudine!” “Per cinque minuti che mancherò, penso che sopravvivrai!” “E’ così che è morto Mavis!” “Chi cazzo è Mavis?” “Il cane di Trisha, una mia compagna di corso. L’ha lasciato solo in casa e lui è morto di solitudine!” “Oh, Gesù..” lo vidi alzare gli occhi al cielo, prima che aprisse la porta e la richiudesse poco dopo alle sue spalle. “Adam! Non mi lasciare, ti prego! Potrei impazzire!” urlai con le lacrime agli occhi alla porta ormai chiusa. Sbuffai sonoramente, prima di dedicarmi ancora una volta ai programmi in tv. Dopo uno psicotico zapping alla ricerca di qualcosa di interessante, trovai un film che stava iniziando. Probabilmente non era nemmeno di questo secolo. “Alfred Hitchcock” sussurrai leggendo i titoli di testa. Appunto.  Sbuffai e tentai di cambiare canale per l’ennesima volta. Ma il telecomando non rispondeva. Batterie scariche, a quanto pare. Il destino era contro di me. Sarei morta dalla noia da sola, triste e con sottofondo la colonna sonora de “La finestra sul cortile”. Avevo bisogno di caffè e Adam ci stava mettendo troppo tempo per i miei gusti. Il film iniziò. Spalancai gli occhi nel momento in cui venne inquadrato il protagonista su una sedia a rotelle a causa di una gamba rotta. “Come me!” sussultai, sentendomi così chiamata in causa. Anche lui annoiato, iniziò ad osservare ciò che accadeva all’interno del suo cortile. Il film mi affascinò, mi coinvolse a tal punto che nemmeno mi accorsi che Adam era rientrato trionfante dalla sua passeggiata. “Non ti ho chiesto come lo volevi, perciò sono andato a fantasia” disse sedendosi di fianco a me. “Taci! Silenzio! Sto guardando un film!” dissi, muovendo la mano come se lui fosse un insetto fastidioso. “Prego, comunque!” sbottò irritato, scattando in piedi e tornando in camera sua. Che ci facesse poi in camera sua tutto il giorno da solo, rimaneva un mistero per me. “L’ha uccisa! L’ha uccisa!” gridai al protagonista come se potesse sentirmi. Lui coinvolse nelle indagini la sua fidanzata, che riconobbi subito: Grace Kelly più splendida che mai. E ad aiutarli c’era anche la vecchia infermiera di lui. Suspance, suspance, suspance. Alla fine il protagonista riuscì a smascherare l’assassino. E a rompersi anche l’altra gamba. Film interessante. Soprattutto perché mi aveva ispirata. “Adam!!” gridai raggiante. Lui scese di controvoglia, stavolta. “Che vuoi?” chiese strafottente. “Portami di sopra e procurami un binocolo!” “A cosa dovrebbe servirti un binocolo?” chiese stupito, senza capire le mie reali intenzioni. “Sorveglierò i vicini e smaschererò l’assassino!” Alzai un pugno trionfante, aspettandomi che lui si unisse a me. Ma la sua unica reazione fu alzare un sopracciglio e guardarmi come se venissi da un altro pianeta. “Oh, che cavolo! Portami di sopra e trovami un maledetto binocolo!” Brontolai, notando la sua totale indifferenza al mio nuovo hobby. Mi prese in braccio e sbuffando mi accompagnò al piano di sopra. “Se vuoi, puoi essere la mia Grace Kelly” dissi speranzosa, guardandolo negli occhi. Lui si fermò e prese a fissarmi. “Ma si può sapere che cazzo ti passa per quella testa?” mi chiese tra il divertito e il preoccupato. “Li spierò tutti per ammazzare la noia.” Dissi con voce psicotica. Mi portò in camera mia e mi sdraiò sul letto. “Non qui! Devi procurarmi una sedia, di quelle con le ruote sotto, in modo da farmi muovere liberamente per la stanza e poter guardare fuori dalla finestra!” “Lee, ma per chi cazzo mi hai preso? Per il tuo schiavo?” disse lui, stanco. Mi alzai dal letto e mi aggrappai alla sua maglia, con fare supplichevole. “Ti prego, Grace” “E piantala di chiamarmi Grace! Datti un contegno! Sembri una povera pazza!” mi sbottò contro, facendomi cadere sul letto. “Adam, dai. Sto giocando! Perché te la prendi?” dissi, tornando seria. “Perché fai l’idiota! E mi sarebbe piaciuto se al posto di guardare quello stupido film, avessi passato del tempo con me!” Era proprio incavolato. La vena sulla sua tempia pulsava come un martello pneumatico. Digrignava i denti come un cane rabbioso ed era rosso in viso. “E non potevi semplicemente dirmelo?” gli chiesi calma. “Pensavo fossi abbastanza intelligente da capirlo da sola! Ma a quanto pare sei solo un’ottusa!” “Un’ottusa?” gridai anch’io, sulla difensiva. “Non sei molto sveglia” “Sarà per la botta alla testa che ho preso quando abbiamo fatto l’incidente?!” sbraitai rialzandomi a fatica in piedi. “Quella botta deve averti fatto perdere parecchi neuroni, allora!” “Probabile! Ma te che ne puoi sapere? Non ti sei fatto nemmeno un graffio!” gli avevo sputato addosso tutta la mia invidia, senza pensare minimamente che avrei potuto ferirlo. Infatti: colpito e affondato. “Mi dispiace” mi scusai immediatamente, dopo aver elaborato ciò che avevo appena detto. Lui sorrise amaramente. “Pensi che non avrei preferito che tu non ti facessi nulla? Pensi che la notte io dorma sereno sentendo i tuoi lamenti a pochi metri da me? Davvero mi credi così stronzo?” Le sue parole mi ferirono quasi quanto le schegge di vetro che mi avevano sfigurato temporaneamente il viso a causa dello scoppio del finestrino durante l’incidente. “Davvero, mi dispiace. Non pensavo a quello che ho detto” dissi, prendendogli la mano. Ma lui me la allontanò bruscamente. “Senti, lascia perdere!” sbraitò, prima di girarsi e uscire quasi di corsa dalla mia stanza. “Adam!” lo chiamai. “Oh, vaffanculo questo gesso del cavolo!” sibilai, tentando di camminare. Con due gambe ero imbranata. Con una sola gamba ero una catastrofe. Volevo raggiungerlo in fretta. Ma sapevo anche che la gamba mi avrebbe fatto un male atroce. Rincorrilo, ma con calma. Provai con questa strategia. Ma c’era la foga del momento che combatteva con la coscienza di dover stare attenta. Infatti rotolai, per terra, prima di raggiungere la porta. “Cazzo!” sbottai tra le lacrime. Se Adam era uscito, non l’avrei mai raggiunto strisciando. “Perché sono circondata da un’ alone di sfiga?” borbottai piangendo seduta sul pavimento della mia stanza. La gamba rinchiusa nel bianco gesso pulsava così insistentemente che mi venne voglia di strapparmela via dal corpo. Gattonai alla meglio, tenendo sempre stesa dietro di me la gamba ‘clinicamente’ morta. La porta della stanza di Adam era socchiusa. Con un colpo di mano la spalancai, ma non lo trovai. Allagai la sua camera con le mie lacrime salate, che ormai avevano sede fissa sul mio viso. Trovai uno zaino, abbandonato vicino al suo comodino. Quando eravamo piccoli e nevicava, scendevamo dalle cunette di neve con gli slittini che ci aveva comprato mio padre. Non sarà poi così diverso. Mi preparai in cima alle scale. Misi lo zaino sotto al sedere. Ha ragione Adam, sei completamente impazzita. La porta del bagno si aprì nell’esatto momento in cui mi lanciai in quell’impresa suicida. Addio mondo crudele. Girai appena la testa per vedere  mio fratello a bocca e occhi spalancati, mentre con lo zaino scivolavo giù dagli scalini a velocità folle. Non feci nemmeno in tempo ad urlare che quel mio atto assolutamente insensato mi portò dritta di faccia ad assaporare il gusto legnoso del parquet. “Lee, ti sei fatta male?” Adam corse giù per le scale e mi alzò da terra. “Ti giuro, non volevo!” singhiozzai “Non ti volevo rispondere così” dissi asciugandomi la faccia dal mio infinito oceano di lacrime. “Ma si può sapere che cavolo ti è preso? Perché cazzo ti sei lanciata giù dalle scale con uno zaino sotto al culo?” chiese, non sapendo se ridere o arrabbiarsi per la mia sconsideratezza. “Pensavo fossi da basso e volevo raggiungerti!”  piagnucolai isterica. “Ma quanto sei deficiente” “Piantala di insultarmi! Io sto piangendo!” urlai, quasi strozzandomi con la mia saliva. “Hai ragione, scusa. Dai, non piangere più. Lo sai che non mi piace vederti piangere” disse asciugandomi il viso. Tirai su con il naso. “Pace fatta?” chiesi innocente, sbattendo i miei occhioni verdi. “Pace fatta” rispose prima di darmi un bacio a fior di labbra. Mi sembrò di ritornare piccoli. Prima di odiarci, ogni volta che bisticciavamo ero sempre io quella che faceva il primo passo. Gli chiedevo sempre “Pace fatta?” e lui rispondeva alla medesima maniera, per poi posarmi un bacio innocente sulla guancia. Sembrava che insieme a noi fossero cresciuti anche i baci che ci scambiavamo. “Che dici se ti porto in camera?” chiese, dopo un lungo minuto di silenzio. Sbuffai. Mi prese in braccio. Fece un paio di scalini, poi si fermò. “Anzi no, forse è meglio uscire” disse prima di imboccare verso la porta d’ingresso. Aprì la porta e ci trovammo davanti ai nostri genitori e a Savannah che ci guardavano senza capire che stesse succedendo. “Le fa male stare in casa” si giustificò mio fratello, passando tra di loro che si scambiarono solo sguardi divertiti. “Dove vuole andare, signorina?” mi chiese Adam pimpante. “Al parco!” esclamai felice. Lui si bloccò “Ti sei accorta che siamo a Londra e che ci saranno una decina di parchi?” mi domandò saccente. “Alla statua di Peter Pan!” mi corressi senza abbandonare l’entusiasmo. Essere scarrozzata per Londra da mio fratello mi piaceva come idea. Ma farlo tra le sue braccia era una cosa che riempiva di arcobaleni le mie ultime giornate nere.

Mi adagiò cauto sulla panchina davanti a noi, poco distante dalla statua di Peter Pan. “Sei contenta?” mi chiese sorridendo Adam. Annuii estasiata. Il vento sul viso era qualcosa di indescrivibile. Chiusi gli occhi, unendomi tutt’uno con la natura che mi circondava. La mia gamba malandata era sopra le ginocchia di Adam. “Vuoi che la sposto?” gli chiesi, pensando gli potesse dare fastidio. “No, tranquilla” rispose semplicemente. Era nervoso. Si capiva benissimo. “C’è qualcosa che non va?” gli chiesi curiosa. Si mordeva insistentemente il labbro inferiore. Mi guardò un attimo, poi spostò il suo sguardo sulle mie labbra. “Pensi che possa funzionare?” mi chiese “Dico, tra me e te” finì in un sussurro. Rimasi senza parole. Chi era quel ragazzo dolce davanti a me e che ne aveva fatto del mio cinico e gelido fratellastro? “Non lo so” risposi sincera. Sembrò deluso. “Quindi è un no” “Non è un no. E’ un non lo so. Un vorrei ma non posso” “Prova a non pensare al fatto che siamo fratellastri. Anche in quel caso sarebbe un non lo so?” “In quel caso penso che non ci sarebbero problemi” risposi di getto. Da quando ero diventata così schietta? Mi morsi il labbro inferiore, mentre un imbarazzato rossore compariva sulle mie guance. “Baciami” disse, puntando i suoi occhi nei miei. Mi avvicinai al suo viso lentamente. “Baciami come se non fossimo fratelli” continuò a due centimetri dalle mie labbra. Fu la prima volta in cui il pensiero che Adam fosse mio fratello non mi sfiorò minimamente: era la prima volta che Adam era solo Adam. Gli presi il viso tra le mani e lo tirai verso di me. Le nostre lingue danzavano in perfetta armonia. Nessuno dei due guidava l’altro. Facevamo tutto insieme, in perfetto sincrono. Poi all’improvviso si staccò da me. “Che cosa mi hai fatto?” mi chiese ad occhi chiusi, sorridendo. Gli sfiorai il naso con il mio. Infondo, se qualcuno che non ci conosceva ci avesse visti, avrebbe detto che eravamo una coppia. Non di certo che eravamo fratelli. Mi avvicinai ancora alle sue labbra. Gliele morsicai teneramente. Sentii le sue mani percorrermi i fianchi e il mio respiro iniziò ad accelerare. “Vuoi tornare a casa?” mi chiese, notando la mia non-indifferenza al suo tocco. “No” risposi. Gli presi un braccio e lo passai sulle mie spalle, poi mi accoccolai sul suo torace, mentre lui appoggiava il suo mento sulla mia testa. No, nessuno vedendoci a quel modo avrebbe detto che io e lui eravamo fratelli. Quindi, perché avrei dovuto pensarlo io? Con Adam stavo bene, mi piaceva. E non potevo farci niente. Mi sentivo come un’eroina tragica di un libro, divisa tra la famiglia e l’ amore. Peccato che la mia famiglia e il mio amore coincidevano. Strinsi Adam in un abbraccio soffocante che lo fece ridere. “Anche i tuoi abbracci sono violenti” disse ridendo. “E’ la mia personale dimostrazione d’affetto nei tuoi confronti” risposi, poco convincente. “Comunque devi spiegarmi a che diavolo stavi pensando quando ti sei improvvisata kamikaze sulle scale di casa” disse serio, guardandomi. “Volevo raggiungerti, te l’ho detto” risposi, intrecciandomi una ciocca di capelli tra le dita. “Sei in assoluto la ragazza più strana di cui io mi sia mai innamorato”. Se ne rese conto troppo tardi, di quello che aveva  detto. Lo vidi sbiancare di colpo. Con lo sguardo guardava altrove. Mugugnava versi senza nessun tipo di significato. Si era irrigidito e continuava a mordersi il labbro inferiore. E per una volta decisi di infierire, ritrovandomi stranamente il coltello dalla parte del manico. “E da quanto saresti innamorato di me?” chiesi, alzando un sopracciglio e con faccia indifferente. In realtà il cuore mi batteva all’impazzata. Se non avessi avuto una gamba rotta mi sarei messa a correre e a gridare dalla felicità. “E’ che, ehm, io non.. Insomma, volevo solo.. Ho.. Ma..” sbiascicava parole senza senso. Mi fece sorridere. “Non pensavo di essere così letale da farti rimanere senza parole!” dissi, imbarazzandolo ulteriormente. Adam era in difficoltà. E la cosa lo rendeva particolarmente tenero. Lui era innamorato di me. E tu? Lo baciai, provando a farlo rilassare. “Sei davvero innamorato di me?” gli chiesi, cercando delle conferme. Maledetta la mia insicurezza. “A quanto pare” rispose sussurrando. “E tu? Cioè, voglio dire..” Adam che arrossiva era un evento da immortalare. “Mi sono lanciata giù da una rampa di scale con uno zaino sotto il sedere solo per vedere se eri arrabbiato con me: mi sembra chiaro, a questo punto” dissi, rossa quanto lui. Sorrise soddisfatto. Poi iniziò a ridere. “Dovevi vedere la tua faccia mentre scivolavi giù!” Rise così forte che mi contagiò. “E tu dovevi vedere la tua!” “Non ti facevo così spericolata” mi prese in giro. “Ah, perché non sai di quando ho attraversato l’oceano in groppa a un delfino? Quante cose non sai di me, Adam!” dissi sarcastica. Prese a fissarmi. “Ripetilo” disse solamente. “Cosa?” chiesi senza capire a cosa si riferisse. “Il mio nome. Ripeti il mio nome” disse serio, puntando il suo sguardo sulle mie labbra. “ Sono innamorata di te, Adam Wilde” dissi, risultando più sdolcinata di quanto volessi apparire. Lo vidi sorridere. Quello era un nuovo sorriso: il sorriso innamorato di Adam. Ed ero io la causa di quel sorriso. Ero io ad averlo fatto innamorare. “Merda..” sussurrai, sentendo la gamba ingessata formicolarsi. “Che c’è?” chiese Adam, senza capire. “La gamba inizia a farmi male” dissi, togliendo la gamba dalle sue ginocchia. Si alzò in piedi. “Andiamo, ti porto a casa” dissi, avvicinando il suo viso al mio. L’ultimo bacio prima di ritornare alla realtà in cui io e lui eravamo solo fratelli. Sbuffai, mentre mi prendeva in braccio pronto a riportarmi a casa. “Perché hai così tanta voglia di tornare a casa?” chiesi acida. “Pensavo..” “No, tu non pensavi un bel niente. Se solo tu avessi pensato, staremmo ancora abbracciati su quella cazzo di panchina” sbottai, interrompendolo. “E ora si può sapere che ti prende?” “Un bel cazzo di niente!” gridai a pochi centimetri dalla sua faccia. “Più provo a capirti e meno ci riesco. Sei proprio strana” disse, sapendo che mi avrebbe fatta ancora di più arrabbiare. “Dimmi ancora che sono strana e ti strappo il naso a morsi” “Anche le tue minacce sono strane” disse ridendo. Rimasi in silenzio fino a casa. “Puoi almeno farmi un sorriso, prima di entrare?” mi chiese, trattandomi come una bambina imbronciata. “Puoi mettermi giù. Da qui in poi ce la faccio da sola” dissi, lugubre senza nemmeno guardarlo in faccia. “Smettila di fare così” mi rimproverò, iniziando a scaldarsi. “Non sto facendo proprio niente. Ora mettimi giù” “Basta, mi hai rotto i coglioni con questi atteggiamenti da pazza” sbraitò prima di abbandonarmi su uno scalino, in malo modo. Entrò in casa con passo feroce senza dire una parola a nessuno. Mi alzai dal gradino e saltellando come un canguro raggiunsi la porta. Avevo voglia di piangere, di urlare. La gamba mi faceva male. Dal nervoso avevo iniziato a mordermi il labbro, torturandolo malignamente sotto i denti. Entrai in casa con espressione maligna, e seguendo l’esempio di mio fratello non dissi niente a nessuno. “Ma si può sapere perché voi due prima sembrate inseparabili e un attimo dopo..” “Jodi, non è il caso” la interruppi in cagnesco. Lei sbuffò e alzò le mani in segno di resa. Anche lei rinunciava a capirci. Fare i gradini saltellando su un solo piede si dimostrò un’impresa ardua. Se avessi avuto una bandiera l’avrei piantata in cima alle scale, a dimostrazione del fatto che ero riuscita a raggiungere la vetta. Ringraziai Dio del fatto che la mia camera si trovasse al primo piano e non al secondo. In tal caso avrei dato forfet e mi sarei lasciata morire di stenti sulle scale. Saltellai in camera mia, chiudendo la porta alle mie spalle. Mi buttai sul letto, lasciando la gamba ingessata a penzoloni, segno che ero troppo stanca per alzare quel peso. La porta si spalancò all’improvviso. “Grandi notizie!” esclamò mia sorella entusiasta, buttandosi sul letto di fianco a me, senza badare alle condizioni pietose in cui mi trovavo. “Papà mi farà fare uno stage da lui e lavorerò con Trent! Ci pensi? Io e lui insieme tutti i giorni! Deve essere un sogno!” le brillavano gli occhi, come se fossero dei pezzi d’ambra colata. “Bene” dissi solo. Savannah era troppo eccitata e non fece nemmeno caso a ciò che avevo detto. “Se non avessi quello stupido gesso ti chiederei di accompagnarmi a fare shopping” cominciò. In quel preciso momento mi sentii fortunata ad essermi rotta una gamba: non mi sarei dovuta sorbire un’altra giornata di shopping estremo con mia sorella. Le sorrisi solamente, cercando di non dimostrare troppa felicità nell’aver scampato quel pericolo. “Posso farti una domanda?” mi chiese curiosa. Annuii indifferente. “Perché non sei più venuta a trovarci?” chiese schietta. Alzai lo sguardo e incontrai il suo. “Mi sentivo sempre fuori posto qui. Voi eravate tutto ciò che io non potevo avere. Ero gelosa del fatto che mio padre trattasse più voi come dei figli, che me. Parliamoci chiaro: a lui di me non è mai fregato un cazzo e l’ha dimostrato trasferendosi dall’altra parte dell’oceano. Non si è mai mosso da qui per venirmi a trovare, ma vi ha sempre portato in vacanza in qualsiasi posto. Alcuni anni non mi ha nemmeno chiamato per farmi gli auguri di compleanno. Allora ho deciso che se lui non muoveva un dito per stare con me, non lo avrei fatto nemmeno io.” Era la prima volta che confidavo quelle cose a qualcuno. Mi sentii libera di un peso che da anni mi affliggeva. “Mi dispiace” bisbigliò Savannah, senza guardarmi in faccia. “Ehi, non è colpa tua se mio padre è uno stronzo” le dissi sorridendo. “Sì, lo so. Ma non avevo mai pensato a quello a cui hai rinunciato tu” “Io non ho rinunciato a niente. A lui non piaccio e lui non piace a me. Stare senza di lui non è stato così tragico, d’accordo?” la rimbeccai, vedendo che una lacrima le era sfuggita dagli occhi. “D’accordo” disse calmandosi. “Hai già pensato a come vestirti il tuo primo giorno di stage?” cambiai discorso, distendendo l’aria pesante che si era creata nella mia stanza. “Pensavo a un vestito e una giacchetta” “Tacchi?” “Ovviamente.” Già, ovviamente. “Secondo te ce la farò?” mi chiese. La guardai non capendo a cosa si riferisse. “Con Trent. Dici che sono impazzita?” “Non sei impazzita. Se lui ti piace, buttati. Non pensare a quello che gli altri potrebbero dire di voi” mi bloccai all’istante. “Scusami un attimo” le dissi, prima di alzarmi dal letto. Saltellai fino alla camera di Adam. Aprii la porta, ma non lo trovai. Avevo bisogno di lui. Avevo bisogno delle sue labbra, delle sue mani sopra la mia pelle, dei suoi respiri e della sua voce. Tornai in camera mia. Savannah non si era mossa dal mio letto. “Hai visto tuo fratello?” le chiesi. “E’ uscito con Lauren” rispose sistemandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Mi irrigidii all’istante. “C-con Lauren?” chiesi trattenendo la calma. “Sì, penso che sono andati al pub con i loro amici” continuò Savannah. “Scusami, ma vorrei dormire” dissi, forse troppo scorbutica. Mia sorella si alzò, mi baciò sulla fronte e uscì dalla mia stanza. Adam era con Lauren. E io ero nella mia camera, da sola, a piangere sul mio letto.

Erano le quattro di notte quando sentii i passi di Adam sulle scale. Non volevo vederlo. Era come se mi sentissi tradita. Ma lui entrò in camera mia e si buttò sul mio letto. Puzzava di birra da far schifo. Iniziò a baciarmi sul collo, sbavando come un cane. Lo allontanai bruscamente. “E ora che c’è?” si lamentò alzandosi dal letto. “Sei ubriaco” gli dissi disgustata. “L’hai notato?” mi chiese ridendo. Si avvicinò a me e provò a baciarmi. “Finiscila” gli dissi respingendolo. “Lee, te l’ho già detto: mi stai rompendo i coglioni con i tuoi atteggiamenti” “No, tu mi hai rotto i coglioni” lo spinsi un po’, allontanandolo da me ancora una volta. “Si può sapere che cazzo vuoi da me?!” sbraitò senza freni. “Niente, Adam. Vai a dormire. Ne riparliamo domani quando sarai meno ubriaco” dissi stanca. Mi strinse il braccio con forza “No, ne parliamo adesso, brutta stronza psicopatica! Io non ti capisco, non ci riesco proprio. Hai sempre qualcosa per cui essere incazzata e mi fai impazzire!” “Io non mi incazzerei se tu stessi con me al posto che con Lauren!” urlai in lacrime. Lui si bloccò. “Per favore, vattene a dormire” gli dissi, sperando che mi lasciasse in pace. Ma non lo fece. Mi prese il viso tra le sue mani e bisbigliando mi disse “Ti giuro che non ho fatto niente con lei” ma non riuscivo a crederci. “Lee..” “Te l’ho già detto: vai a dormire. Ne riparliamo domani” Ne avevo abbastanza e lui lo capii. Sbuffò, trattenendo la calma. Provò a baciarmi ma scostai il viso. Mi guardò un’ultima volta prima di uscire dalla mia stanza. Pregai tutta la notte affinché un meteorite grande quanto l’Asia si schiantasse contro la Terra, incenerendoci tutti e evitandomi di parlare con Adam il giorno dopo. Ma niente: le mie preghiere risultarono completamente vane. Fui svegliata da Savannah, o meglio dal profumo di Savannah. “Gesù, ma ti sei immersa in un barile di profumo?” mugugnai, ancora mezza addormentata. “Dici che ho esagerato?” mi chiese in preda all’ansia. “Sei riuscita a svegliarmi, quindi direi di sì” dissi, stropicciandomi il naso. “Porca vacca, lo sapevo che dovevo esagerare e che dovevo mandare tutto a puttane!” esclamò camminando da una parte all’altra della mia stanza. “Bhè, almeno sarai sicura che Trent cadrà ai tuoi piedi svenuto” ironizzai. “E ora che faccio?” “Hai tempo per farti una doccia?” “No, cazzo” “Vuoi stare ferma? Non è niente. Lavati la faccia e prega che il profumo sparisca” “Merda” sbottò prima di uscire dalla mia camera. “Sei bellissima!” le gridai, cercando di infonderle un po’ di coraggio. Tornò poco dopo. “Come sto?” “Te l’ho detto: sei bellissima! E il profumo è quasi del tutto sparito” mentii. “Prega per me” “Penserò a te tutto il giorno. Vedrai che sarà la giornata più indimenticabile della tua vita” “Speriamo” e detto questo se ne andò. Mi stiracchiai nervosamente sul letto. Sentii la porta d’ingresso chiudersi, chiaro segno che in casa rimanevamo io e quel povero deficiente di mio fratello. Ma per tutta la mattina non si fece vedere. Mi alzai dal letto, stanca di poltrire e scesi in cucina a cercare qualcosa da mettere sotto i denti. “Mi dispiace” la voce di Adam mi raggiunse alle spalle. “Per che cosa?” gli chiesi, fingendo indifferenza. “Non lo so” “Chiedi scusa e non sai nemmeno il perché?” “Già. Con te bisogna fare così” “Così come?” “Chiedere scusa anche se non si è fatto niente” “Mi hai lasciata da sola e sei uscito con Lauren. Io questo non lo chiamo niente” stavo iniziando a perdere la pazienza, esattamente come lui. “Io sono uscito con i miei amici e Lauren era lì con noi” “D’accordo” dissi saltellando fuori dalla cucina. Ma poi tornai indietro. “Ieri ho parlato con Savannah riguardo a un ragazzo che le piace e mi sono trovata a consigliarle cose che in realtà stavo consigliando a me stessa. Le ho detto di buttarsi, di non pensare a cosa pensa la gente. Solo che non avevo messo in conto il fatto che tu sei un pezzo di idiota insensibile” “Lee, porca puttana! Ti sto dicendo che non ho fatto niente! Quante volte te lo dovrò ripetere?” era proprio incazzato. Non risposi. Lo guardavo e basta. Guardavi  i suoi capelli castani spettinati, i suoi occhi azzurri stanchi, il suo petto muoversi vistosamente a causa del suo respiro pesante dovuto all’incazzatura. “Perché dobbiamo sempre litigare? Me lo spieghi? Io voglio stare tranquillo ma tu trovi sempre il modo per rompermi i coglioni!” Rimase a guardarmi piangere. “E ora perché cazzo piangi?” sbottò perdendo le staffe. “Io non voglio litigare con te” mi lagnai asciugandomi la faccia dalle lacrime. “Ma tu mi fai sempre piangere” gridai fuori di me. “Basta ci rinuncio!” urlò lui, lasciandomi da sola in cucina e uscendo di casa. Mi abbandonai su una sedia in cucina e continuai a piangere disperata. L’aria londinese mi aveva trasformata in una frignona. Non ero mai stata così: anzi, di solito lasciavo correre. Strappai un pezzo di scottex e mi soffiai il naso. Perché doveva essere tutto così dannatamente complicato? Iniziavo a stancarmi dei continui e inutili litigi tra me e Adam. Ma solo a pensare che lui avesse passato la serata con Lauren, mi faceva impazzire. Iniziai ad immaginarli mentre si baciavano. E ciò mi provocò un conato di vomito, che riuscii a trattenere. Ecco a cosa Adam mi stava riducendo: a una ragazzina gelosa che non riusciva a smettere di piangere e fantasticare. Lui aveva detto che non era successo niente, ma non riuscivo a crederci. Intuito femminile o sindrome psicotica? Era solo la mia maledetta insicurezza di cui non riuscivo a liberarmi mai. Non volevo rovinare niente, non un’altra volta. Non volevo che a causa delle mie turbe psicologiche, Adam mi avrebbe lasciata in balìa di me stessa ad affrontare, ancora una volta, da sola le conseguenze per le mie azioni. Non ero pronta a rivivere ciò da cui mi ero appena ripresa. A lungo andare, vi farete del male entrambi. Sospirai sconsolata asciugandomi il viso dalle lacrime. Raggiunsi il divano e mi ci buttai sopra a peso morto. Chiusi gli occhi, cercando di calmarmi. La porta di casa si aprì. Spalancai gli occhi e mi sedetti, impaziente di vedere Adam. “Ciao, cara. Stai bene?” la signora Travis mi guardava preoccupata. Evidentemente dovevo avere proprio un aspetto mostruoso. “Sì, tranquilla” le dissi abbozzando un sorriso. “Hai bisogno di qualcosa? Hai già mangiato?” “No, grazie. Non ho fame” “E tuo fratello?” “E’ uscito” le risposi lugubre, sperando di non scoppiare ancora una volta in lacrime. La porta si aprì di nuovo. “Quando si parla del diavolo..” iniziò la domestica sorridendo ad Adam. “Ti porto do sopra” non era una domanda. Non avevo altra alternativa. Annuii senza nemmeno guardarlo in faccia. Mi prese in braccio e come se fosse un’azione automatica, abbandonai la testa sul suo torace. Sapevo che una volta arrivati nella sua stanza, sarebbe esplosa una guerra all’ultimo insulto. Ma non mi importava. Perché tra le sue braccia in quel momento c’ero io, e nessun’altra.

 

 

 

 

 

 

 

Siete tutti pronti a un’ennesima litigata? Io no. Sono una tipa pacifica e continuare a descrivere litigate sta diventando un’impresa XD

Innanzitutto consiglio a tutti di vedere (per chi non l’avesse ancora visto) “La finestra sul cortile”. Non mi sono soffermata molto sui dettagli perché mi sarei dilungata troppo, e sinceramente sono qui per scrivere una storia e non per recensire un film XD

Questo capitolo non mi ha molto entusiasmata e rileggendolo mi sono quasi vergognata a pubblicarlo XD Allora premetto che fra due capitoli ci sarà un balzo nel tempo (tipo tre mesi dopo da questi avvenimenti) e ci sarà una “bella” sorpresa. Continuate a leggere e a recensire. I vostri pareri sono ben graditi :D Un grazie particolare a Ryo13 e Athernil per aver recensito l’ultimo capitolo e un altro grazie và a chi giornalmente aggiunge la mia storia tra i preferiti e le seguite!

A proposito, magari non ci avete fatto caso ma ho cambiato nick XD Quindi da ora in avanti mi firmerò Cookie u.u (giusto a titolo informativo). Eh già, dimenticavo: BUONA ESTATE A TUTTI!

 

Baci,

Cookie :D

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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