The tango will go out
{Me dejaste, me dejaste
El alma se me fue, se me fue corazón,
Ya no tengo ganas de vivir,
porque no te puedo convencer }
«Ho fatto
qualcosa di male?» proruppe Dichter, aggrottando le
sopracciglia.
Roxanne
sospirò, abbassando le palpebre con aria scontenta.
«Forse. È possibile.»
Lui
sembrò interdetto, per qualche secondo, dopodichè
batté le palpebre con aria
innocente ed esibì un sorriso stupefacente e privo di
rimorso, mentre le
circondava la vita con un braccio.
«D’altronde,
è nel mio sangue far crollare ai miei piedi tutte le
fanciulle che mi
piacciono.»
Quindi
lei gli piaceva? Sentì
una tale vampa
salirle al volto che temette di sentire il trucco leggero sciogliersi
da un
momento all’altro. Se solo…
Che
sciocchezze!
Stava per
scostarsi, quando un nuovo ballo iniziò e Dichter la
attirò a sé, senza darle
nemmeno la possibilità di replicare. Non che ne avesse
l’intenzione, dopotutto
non stavano facendo niente di male. Avrebbero solo ballato.
«Roxanne!»
Dichter le stava sussurrando qualcosa all’orecchio, ma
ciò non le impedì di
udire la voce di Anthony – e non poteva essere solo una sua
impressione, il
fatto che sembrasse così… affranta, non avrebbe
saputo in che altro modo
descriverla.
Smise di
ballare, all’improvviso.
Qualcuno
la urtò e la rimproverò sottovoce, eppure rimase
lì dov’era, inchiodata a terra
dallo sguardo dell’uomo. Aprì la bocca, senza dire
nulla. I ballerini giravano
loro intorno, eppure c’erano solo loro due che si fissavano
nella sala.
Dichter
la sospinse delicatamente verso di lui.
«Anthony,
scusami. Non puoi essere geloso di Dichter, è molto
stupido.»
«Ma… sei
molto sciocca se lo chiami per nome con questa
familiarità» replicò Anthony,
stizzito. Roxanne assottigliò lo sguardo e lo prese per un
braccio,
conducendolo a forza in un angolo.
«Insultami
in privato, per favore.»
Anthony
la fissò con aria apertamente scortese e irritante e non si
degnò di
risponderle.
All’improvviso
la ragazza sentì il sangue ribollirle e montarle nel sangue,
mentre stringeva
le dita per impedirsi di scrollare quello stupido e di schiaffeggiarlo;
anche
se entrambi erano lo stereotipo del sangue anglosassone, con occhi
chiari e
pelle pallida, le parve logico pensare di discendere da una stirpe di
caldo
sangue spagnolo, tanto la sua furia era bollente e scura!
«Non
rispondi nulla?! Allora posso tornare da Dichter, che saprà
di sicuro
apprezzare la mia compagnia più di quanto tu non
faccia» sibilò, rilassando i
muscoli del volto, ma Anthony le afferrò un polso e le
sfiorò la guancia con le
dita dell’altra mano.
«Non è
necessario» replicò, con voce ferma. «Ma
tu… ma tu… fai male.»
Roxanne
sentì una fitta, come se Anthony fosse davvero stato un
bambino da proteggere;
e allo stesso tempo le fu chiaro che le sarebbe stato impossibile, nel
momento
del bisogno, stringerlo tra le braccia, proprio come un infante,
l’avrebbe
perso. Si sentì male.
Davanti agli
occhi le vorticò una nebbia scura, opprimente, poi rinvenne
tra le braccia di
Anthony, che la scrutava con un’espressione a dir poco
preoccupata. Era
magrissimo, sotto la camicia. Fece del suo meglio per sorridere, per
quanto si
stesse rivelando difficile.
«Bevi
questo» ordinò perentorio e Roxanne
ubbidì, sorseggiando il vino leggero.
Mandò giù
un ultimo sorso e coprì la mano destra di Anthony con la
sua: «Devo ancora un
ballo a Dichter» proruppe, decisa «Non
c’è bisogno che tu sia così geloso,
Anthony. Credimi.»
Lo baciò
sulla guancia, prima di lasciarlo solo.
Dopo mezzo
minuto si fece avanti,
anche se le gambe pesavano come piombo.
Eccola, Roxanne: così
disperatamente rossa
e sanguigna, dalla sfumatura dei capelli
rosso scuro al rossetto di sangue lucido, al vestito che le fasciava i
fianchi…
“Che vita sottile, Dio”
Fuoco, fuoco,
fuoco!
Allentò il nodo del cravattino, socchiuse
gli occhi.
Lei aveva ragione, non doveva
infastidirsi per così poco; eppure… prese la
rincorsa per concludere il
pensiero… eppure sembrava così felice quando quel
tedesco la osservava con gli
occhi neri, il suo sorriso era tanto largo che le sue labbra sembravano
stillare
sangue.
Sangue, sangue, sangue!
Poggiò con troppa forza il
bicchiere su un tavolino, attirando su di sé gli sguardi
degli altri
frequentatori. Che andasse al Diavolo – rosso, rosso, rosso!
– quel tedesco,
non sarebbe rimasto a guardare la donna che stava corteggiando mentre
ballava,
senza neppure considerarlo, con un altro!
Irato, uscì dalla sala e prese la
prima rampa di scale per andare giù, nel ventre della nave.
Abbattuto, si
ritrovò davanti ad
una porta di metallo, verniciata di rosso.
Un cartello bianco, lettere nere: Vietato
l’accesso ai non addetti.
Sorrise,
sprezzante, e abbassò la
maniglia.
Doveva essere il locale caldaie:
assomigliava molto all’Inferno, e quegli uomini in canottiera
che lo fissavano,
straniti, con gli occhi bianchi sulla pelle annerita dalla fuliggine!
Il calore
era tremendo. Una mano lercia gli afferrò la spalla.
«Che cosa ci fate qui?» gridò
l’uomo,
per sovrastare il fragore dei macchinari.
Rosso,
Roxanne! Fece per scostarsi, gli occhi
fissi sui fuochisti – perché non riusciva a
smettere di fissarli? Perché? Aprì la
bocca, ma prima che potesse dire qualcosa…
Uno sparo. O
uno strappo.
Cosa diavolo era stato?
Alzando gli occhi, vide un
bagliore – innaturalmente bianco e freddo
nell’Inferno delle caldaie – e il
metallo si ripiegò all’interno come un paio di
labbra e un’onda nera piovve
loro addosso.
Delle gocce d’acqua gli arrivarono
sul viso, facendolo riscuotere dal torpore in cui stava cadendo; si
liberò
della presa del fuochista, indietreggiando.
Un passo, due passi.
Il rombo dell’acqua vomitata
dentro sempre, costante come la corrente di un fiume, coprì
le urla e le
indicazioni: imboccò la scala instabile da cui era arrivato
solo pochi minuti
prima, fradicio, con un solo grido angosciato:
«Roxanne!»
Scale, scale,
scale, pianerottoli
a cui si affacciavano facce assonnate e perplesse, che corrugavano la
fronte e
inarcavano le sopracciglia, domandandosi se fosse caduto qualcosa al
piano
superiore. Urtò una donna robusta che lo maledì
in italiano, il tutto senza
smettere di chiamare, ora più piano, la ragazza.
Aveva così poco tempo!
Rallentò solo al ponte di prima
classe, respirando pesantemente.
Chi si attardava a rientrare in
cabina lo notò con stupore: fradicio, rosso in volto.
Contrariamente a quanto lui stesso
si aspettava non imboccò il corridoio che conduceva alla
sala da ballo, ma salì
le scale, diretto alla cabina di Roxanne. Barcollava, a causa della
morbida
moquette che rivestiva il pavimento, poi vide il numero di cabina: 104.
Si gettò sulla maniglia,
abbassandola con foga.
Da dentro, la voce di Roxanne.
«È aperto, sciocco.»
Anthony
rimase
sulla soglia, come inebetito; e come dargli torto? Roxanne sorrise,
abbassando
gli occhi sul proprio corpo e sulla camicia da notte, gettata davanti a
lei
come uno straccio.
«Cos’era
quello che ho sentito?» chiese a bassa voce, nervosa.
«Sembrava… uno strappo.»
Lui si accasciò
contro lo stipite: «Acqua. Annegheremo, se non ti sbrighi a
rivestirti!»
«Anthony…»
lo chiamò: chissà se fu il suo tono di voce, o la
disperazione che lesse nel
suo sguardo, fatto sta che la porta della cabina si richiuse alle sue
spalle e,
prima ancora che potesse rendersene veramente conto, premeva la schiena
nuda
contro la parete.
«Anthony…»
affondò i denti nel suo labbro inferiore, con forza,
finché una goccia di
sangue non le colò sul mento. Lui gettò indietro
la testa e la baciò sulla
bocca, gemente. Il labbro ferito era già gonfio. Roxanne
stava per dirgli
qualcosa, quando udirono entrambi qualcosa che rotolava, ed un
cofanetto cadde
a terra.
Solo allora
vide che tutto pendeva verso sinistra, compresa la cravatta sciolta di
Anthony.
«Muoviti,
muoviti» le ordinò lui, ansioso, e si
rivestì in tutta fretta, dopo essersi
brevemente asciugato l’inguine con l’asciugamano
del bagno adiacente.
Afferrò un
vestito autunnale, grigio e informe come la paura che la attanagliava,
e si
gettò addosso uno scialle: Anthony le afferrò la
mano – le sue dita erano
sempre gelide – e la trascinò di malagrazia,
faticando per l’inclinazione della
nave, fino alla scialuppa 14, a cui l’aveva condotto
l’inconfondibile suono di
un colpo di pistola.
«C’è un’altra
donna da far salire a bordo!» gridò
all’ufficiale, che porse le mani a Roxanne
per aiutarla a salire; lei, però, si aggrappò con
entrambe le mani alla giacca
di Anthony.
«E tu?»
balbettò, improvvisamente livida.
Lui la
scrutò in volto per alcuni secondi, impassibile, poi si
voltò da un’altra
parte: stretta in un abito liso e troppo leggero per quelle
temperature, una
donna lo fissava con aria implorante, stringendosi al petto un bambino
piangente.
Anche Roxanne
la vide, ma spostò subito gli occhi su di lui, quando lo
sentì sospirare.
«Devo
lasciare il posto a lei» mormorò, le palpebre
socchiuse, e fece per
allontanarsi; i piedi di Roxanne colpirono il bordo della scialuppa.
«Ti prego,
Anthony…»
Lui sospirò
ancora, più forte, e le forzò le mani.
La donna
con il bambino salì a bordo, in lacrime.
«Anthony!»
lo richiamò, bianca come un cencio.
«Posso
parlarle un attimo?» chiese all’ufficiale, ancora
intento ad accogliere bambini
e donne a bordo. Quello annuì, senza neppure guardarlo.
Abbastanza lontano da
renderle impossibile toccarlo, le disse: «Mi
dispiace.»
«Anthony,
c’è posto… siamo in prima
classe… ce lo meritiamo…»
«Credi
che sia così vigliacco?! Mi dispiace, Roxanne, ti amo» ripeté,
implacabile.
Il sangue
le rimbalzava nelle tempie, mentre la scialuppa cominciava a scendere,
inesorabile; rimase senza fiato, vedendo il viso pallido di Anthony
allontanarsi sempre più, farsi sempre più piccolo
nella notte. Prima che
fossero tutti fuori vista, lo vide allontanarsi dal parapetto.
Solo allora
si premette una mano sulla bocca, mentre le lacrime le inondavano le
guance.
Mi
dispiace… solo allora
pensò che non l’avrebbe
rivisto mai più.