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Autore: Jadis_89    06/07/2012    1 recensioni
L'amara scoperta di Richard quando capì che ci sono altri segni più indelebili di un lembo di tessuto cicatrizzato, altre ferite scavate più nel profondo che possono far più male di un trapianto di cuore. La storia d'amore, di morte e di follia, di un uomo che cercherà di salvare la sua donna da un vortice di furia e delirio
Genere: Drammatico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Reina era addormentata, con la testa appoggiata al torso nudo di Richard, le dita sfioravano la lunga cicatrice sul petto di lui. Richard continuava a spostare lo sguardo dal viso di lei alla sua ferita. Cercando di non svegliarla le spostò le dita affusolate per accarezzarsi quella striscia di pelle ruvida e in rilievo pensando amaramente che se non fosse stato per quella cicatrice, per quell'operazione, non avrebbe avuto tutti questi problemi.

 

 

La mattina del ricovero Richard James Truman era di pessimo umore, come al solito. Il giorno precedente un'infermiera dalla voce squillante l'aveva svegliato dal sonno agitato che stava conducendo. Gli aveva riferito che avevano finalmente trovato un donatore compatibile e che la sua operazione poteva finalmente avvenire. Richard, con la voce ancora impastata dal sonno, le aveva domandato se questa volta ne fossero davvero sicuri perchè non avrebbe sopportato un altro errore come la volta prima. L'infermiera del S. Francisco Hospital aveva riso senza rispondere alla sua domanda dopodichè gli ricordò di portare con sè le analisi, le pillole che prendeva regolarmente e di non fare colazione, infine riagganciò.
Richard spense la sveglia e, con lo sguardo fisso al soffitto, cercò di pensare a qualcosa di bello ma niente riuscì a distrarlo dall'idea poco entusiasmante di andare in ospedale.
Raggiunse il bagno e guardando la sua immagine nello specchio notò con orrore quanto si fosse lasciato andare negli ultimi tempi, dov'era finito quel bell'uomo; alto, moro con gli occhi di un azzurro brillante che facevano cadere ai suoi piedi ogni donna che desiderasse? Ora vedeva quel ometto pallido che sembrava esserse rimpicciolito, anche il petto e le spalle sembravano meno larghe di come le ricordava, gli occhi spenti cerchiati di rosso. I capelli troppo lunghi attirarono la sua attenzione... "Come diavolo avranno fatto a crescere così tanto? " pensò.
Aprì lo sportello dei medicinali e mise in ordine sul lavandino le quattro pillole colorate che ogni mattina doveva assumere, riempì il bicchiere d'acqua e sorrise amaramente a quell'uomo sconosciuto che stava imitando tutti i suoi movimenti < Salute Ricky >.


Il viaggio in taxi fu frustrante, si sentiva agitato e ansioso ma non voleva ammetterlo. Avrebbe voluto avere un'atteggiamento più distaccato e freddo come se la cosa non lo toccasse minimamente, invece era preoccupato e anche spaventato, poteva ingannare il tassista e forse anche il personale dell'ospedale ma non avrebbe mai potuto ingannare se stesso.
Una volta davanti a quelle porte di vetro si rese finalmente conto che una volta entrato sarebbe potuto non uscirne più.
< Ha bisogno? > la guardia nel gabbiotto di sicurezza sembrava annoiato, stava leggendo un giornale sportivo e parlava senza staccare lo sguardo dal giornale.
< Sì > rispose secco Richard, la guardia lo guardò incuriosito
< Mi dica > con gesti lenti ripiegò il giornale.
< Dovrei essere ricoverato, mi hanno chiamato ieri mattina >
Fece passare nella piccola fessura nel plexiglass un foglietto stropicciato. L'uomo iniziò a leggere con estrema lentezza mentre Richard a disagio iniziò a giocherellare distribuendo il peso da una gamba all'altra ordinandosi di smettere quasi subito, non voleva risultare impaziente. Dopo un tempo che gli sembrò interminabile la guardia gli restituì il foglio < Terzo piano >.
Senza salutare Richard s'incamminò verso l'ascensore.

 

Richard era affetto da una forte insufficienza cardiaca che gli aveva già messo a repentaglio la vita una volta con un infarto. Per fortuna riuscirono ad intervenire in tempo e dalle analisi scoprirono la sua malattia, dopo vari tentativi con le cure il suo medico aveva suggerito che sarebbe stato meglio intervenire chirurgicamente dato che il cuore non dava cenni di miglioramenti.
Ora era lì davanti alle porte del reparto dei trapianti, con le palme delle mani sudate e il cuore che gli martellava nel petto, ci appoggiò il pugno chiuso e si strinse la camicia tra le dita.
< Vecchio mio, non fare scherzi > dopo un bel respiro suonò il campanello.

Camminando a fianco dell'infermiera che lo stava accompagnando nella sua camera Richard si rese conto per la prima volta in tutta la sua vita che era malato. Non era un idiota, sapeva che il suo fedele corpo aveva qualcosa che non andava ma non se ne era mai reso conto. Invece adesso camminando in mezzo ai pazienti in pigiama che strisciavano i piedi inciabattati sul pavimento accompagnati dall'asta portaflebo, con le facce pallide e sciupate si rese conto che non era diverso da loro.
Una volta rimasto solo nella sua camera si guardò attorno; i muri bianchi completamente spogli a parte i piccoli crocifisso appesi sopra i due letti, uno in disordine con le lenzuola stropicciate e l'altro ancora intatto, le grandi finestre spalancate per combattere il caldo torrido di luglio. Svogliato e triste iniziò a disfare la sua valigia, sistemò gli abiti nell'armadio e sul comodino accanto al letto il notebook, il cellulare, i prodotti del bagno e il suo i-pod. Com'era abituato a casa sua infilò sotto al cuscino il libro che aveva iniziato a leggere la sera prima e il suo portafortuna, un vecchio disco da Hockey d'epoca regalatagli da suo nonno per il suo dodicesimo compleanno, che subito gli riportò alla memoria la sua famiglia.
Il padre di Richard aveva abbandonato la famiglia quando lui aveva appena tre anni, non lo ricordava per niente e nemmeno le foto potevano aiutare dato che Caroline, sua madre, le aveva ritagliate e gettate via in preda ad un raptus di rabbia. Da quando si era ammalato Richard aveva allontanato tutti; sua madre, sua sorella e persino sua moglie che, non essendo a conoscenza del motivo per cui lui l'avesse lasciata, aveva chiesto il divorzio. Si sentiva un debole, un peso e non aveva nessuna intenzione di farsi compatire dagli altri, lui era sempre stato un duro, uno che affrontava le situazioni di petto senza perdere mai il controllo ora invece... Non si sentiva più quell' uomo che conosceva da ormai trentadue anni, no, Richard era morto quel giorno in ospedale quando gli avevano annunciato della malattia.
Ebbe appena il tempo di tirarsi su i pantaloni della tuta che gli facevano da pigiama che un'esuberante infermiera grande come un armadio entrò nella stanza.
< Buongiorno Signor Truman > gli sorrise chiudendosi la porta alle spalle.
< Buongiorno... > rispose lui con meno entusiasmo, si sedette sul bordo del letto e si lasciò prelevare il sangue per gli esami. Conosceva la routine del ricovero e si era ripromesso di non fare un solo gemito quando l'ago gli avesse penetrato la carne ma, la sua fobia degli aghi ebbe la meglio.
< Ahia! > poi, come se niente fosse, ritornò a fissare le chiome degli alberi fuori dalla finestra.
< Suvvia, un omone come lei non dovrebbe lamentarsi per una puntura > esclamò l'infermiera.
Richard scelse di non rispondere, anche se avrebbe voluto insultarla, la lasciò fare mentre gli attaccava le ventose al petto per l'elettrocardiogramma.
Dalla porta entrò un'altra infermiera che non appena lo vide gli sorrise gentilmente. Spingeva una sedia a rotelle con sopra un uomo di circa 60 anni, Richard la osservò mentre aiutava l'uomo a sdraiarsi sul letto. Era magra ed esile ma era riuscita senza troppi sforzi ad alzare l'uomo che a malapena si reggeva in piedi, dopo avergli infilato la mascherina per l'ossigeno gli versò un bicchiere d'acqua e gli accese la televisione, dopodiché lasciò la stanza.
< Dunque, ora si riposi tra poco verranno per gli altri esami. Se ha appetito chiami l'infermiera che le porterà qualcosa, benvenuto al S. Francisco Hospital > gli rivolse un sorriso forzato e dopo avergli attaccato un braccialetto di plastica con su scritto il suo nome, se ne andò lasciandolo solo con quell'uomo che non smetteva un attimo di tossire.
< Lei fuma? > chiese una voce rauca e ovattata.
Richard aveva appena chiuso gli occhi, con la testa sprofondata nel cuscino e il lenzuolo tirato fino alla vita. Riaprì gli occhi e guardò frustrato il suo interlocutore.
< Le ho chiesto se fuma > il suo compagno di stanza spostò la mascherina dell'ossigeno per ripetergli la domanda.
< No > rispose secco
< Meglio così... Si può alzare? >
< Cosa? > Richard iniziava a stufarsi di tutte quelle parole, voleva semplicemente stare lì sdraiato con gli occhi chiusi, non gli sembrava di chiedere poi così tanto.
< Ma lei per caso ha problemi di udito? > quella risposta non sembrò piacergli un granché
< Non capisco un accidenti con quella mascherina davanti alla bocca > l'uomo sembrò non ascoltare nemmeno la sua risposta.
< Mi chiamo Gregory Matther, lei? > Rick sbuffò
< Richard. Richard Truman > Gregory si alzò a sedere abbassandosi la mascherina che non gli permetteva di parlare.
< Come mai è qui? > sembrava esser passato molto tempo dall'ultima volta che aveva chiacchierato con qualcuno, peccato che Rick non aveva assolutamente voglia di fare conversazione.
< Sono malato di cuore > dirlo gli provocò un brivido, forse era la prima volta che lo diceva ad alta voce.
< Diavolo! Un ragazzone come lei non dovrebbe avere questi problemi... > venne interrotto da un'altra crisi di tosse, Rick ne approfittò per scappare dall'interrogatorio. Si alzò dal letto e camminò fino ad una stanzetta da dove proveniva il suono di una televisione accesa a basso volume, trovandola deserta si accomodò su una delle tante poltrone di pelle e iniziò a fare zapping tra i canali.
Dopo circa un'ora l'esile infermiera che aveva aiutato il Signor Matther a rimettersi a letto fece capolino dalla porta.
< Signor Truman? L'ho cercata dappertutto... > Rick si stava quasi assopendo. Era normale per lui, a casa passava tutto il giorno in poltrona davanti alla televisione, non andava quasi mai a letto, di solito si addormentava in poltrona guardando vecchi film in bianco e nero e si risvegliava il mattino con le telepromozioni di un nuovo aspirapolvere o l'offerta di un tappeto persiano.
< Ehm... cercava me? > ancora disorientato si alzò in piedi
< Sì, dovrei farle qualche altro esame e poi scenderemo al piano di sotto per fare dei raggi al torace. Mi vuole seguire in camera? > il passo della giovane era svelto come chi è abituato a non stare un attimo fermo, Richard faticava a starle dietro ma riuscì a raggiungerla con due ampie falcate grazie alla differenza d'altezza tra i due. Lui misurava circa 180 centimetri lei le arrivava sì e no alla spalla.

Richard la osservò mentre lei le bucava la punta del dito per misurargli la glicemia, era decisamente attraente, capelli castani e occhi verdi con i lineamenti tipici dei latino americani ma più delicati e dolci, proprio il tipo di ragazze che piacevano a lui. Quando lei si allontanò per segnare la temperatura su un grosso raccoglitore anche questi pensieri si allontanarono dalla sua mente, no, non doveva neanche averli questi pensieri.
< Apposto? > chiese con la sua tipica voce impostata, che usava quando intendeva intimorire e tenere a distanza le persone, su di lei però sembrava non aver funzionato.
< Veramente no, dovrebbe riempirmi questa > rispose sorridendo e porgendogli una provetta per le urine.
Finiti gli esami Richard decise di tornare nella saletta a vedere la televisione ma, durante la sua assenza era stata occupata da due ragazzini che seguivano un programma di musica. Amareggiato tornò in camera e finse di dormire per evitare le domande del suo compagno di stanza.
Dormì per quasi tutto il giorno e la sera venne svegliato da un'infermiera che gli portava la cena, era da così tanto tempo che non mangiava qualcosa di diverso da snack in busta o prodotti surgelati che quel pasto gli sembrò delizioso. Dopo cena, per sua grande fortuna, il suo compagno di stanza si addormentò quasi subito e lui poté godersi i suoi programmi televisivi in santa pace Da circa un anno la televisione era diventata la sua migliore amica. L'unica che gli tenesse compagnia, che non lo guardasse con pena o gli chiedesse notizie sul suo stato di salute, lei parlava soltanto senza chiedere mai. I vecchi amici avevano provato tantissime volte a farlo uscire di casa, magari a vedere una partita di baseball o semplicemente a bere un drink, ma lui si sentiva a disagio. Da solo in casa sua, sulla sua poltrona si sentiva bene, non doveva fingere- A volte rideva con le trasmissioni dei comici e non pensava al suo futuro altre invece sembrava che guardasse un muro, non distingueva le immagini o i suoni. Quelle sere si abbracciava le ginocchia e piangeva, solo nella sua disperazione e nessuno lo giudicava un debole, solo lui stesso il giorno successivo si rammaricava di quanto era stato smidollato.
Quando l'infermiera del turno di notte lo avvertì che era giunta l'ora di dormire spense la televisione e si coprì con il lenzuolo, oppresso dal caldo che neanche la finestra spalancata riusciva a diminuire si addormentò.
< Controllo > una voce gentile e la sensazione di freddo nell'orecchio lo fece trasalire.
< Che succede? > afferrò il polso della persona accanto a lui
< Niente stia tranquillo signor Truman, devo solo controllarle la temperatura > l'infermiera inserì il termometro nell'orecchio di Rick, un bip e lei si allontanò.
< Mi scusi se l'ho svegliata > la voce gentile si fece più lontana, le ombre si sfocarono e Rick venne traghettato di nuovo nel mondo dei sogni.
Sognò una lunga tavolata di un ristorante, si guardò attorno ma non riusciva a riconoscere nessun viso eppure doveva essere una festa ed essendo stato invitato doveva pur conoscere qualcuno. La gente parlava ad alta voce, rideva e scherzava Rick invece non parlava con nessuno. Aveva provato a far parte del discorso dell'uomo che aveva alla sua destra ma niente, aveva finto di non sentirlo. Poi si voltò alla sua sinistra e vide una donna che come lui non parlava con nessuno, era intenta a sminuzzare con forchetta e coltello la braciola che aveva nel piatto. Richard si sentì sollevato nel vedere che non era l'unico a sembrare un pesce fuor d'acqua, decise quindi di provare ad instaurare un discorso con la giovane sconosciuta, e poi chissà magari avrebbero potuto svignarsela da quel ristorante ed andare a bere qualcosa in un posto carino, era da così tanto tempo che non...
< Buongiorno a tutti > Richard battè un paio di volte le palpebre per riuscire a mettere a fuoco la figura vestita di bianco in mezzo alla camera, si stropicciò gli occhi con il dorso della mano e si alzò a sedere, il suo compagno di stanza era sveglio e stava facendo un cruciverba.
< Buongiorno dottore > lo salutò Matther sfilandosi gli occhiali.
Il dottore si concentrò su di lui per qualche minuto per visitarlo. Richard lanciò un'occhiata veloce alla donna sulla porta, era di nuovo l'infermiera gentile, ma all'improvviso qualcosa lo sconvolse... Era lei la donna del sogno, quella che come lui non parlava.
< Qui cosa abbiamo invece? > domandò sedendosi sul bordo del letto di Rick. L'infermiera lo raggiunse tenendo la sua cartelle clinica in mano aperta.
< Richard Truman, affetto da una grave forma di insufficienza cardiaca scoperta un anno e mezzo fa dopo un attacco di cuore, il paziente non risponde alle cure e si è scelto di intervenire chirurgicamente mediante un trapianto >
Richard la guardò offeso sentendosi trattare come una cavia da laboratorio più che da una persona, era questa la parte più denigrante di tutta la malattia.
< Benissimo, allora facciamo ancora un paio di analisi dopodiché saremo pronti. Il donatore è arrivato ieri mattina > Rick si limitò ad annuire, non voleva sapere niente di quell'uomo anzi non voleva nemmeno pensare che era un uomo, proprio come lui, deceduto la mattina scorsa e che lui il giorno dopo avrebbe preso il suo cuore.
< Non sembra molto soddisfatto... > commentò il medico guardando Rick dritto negli occhi, lui si sentiva così nervoso e stressato che non riuscì a sopportare il peso di quello sguardo.
< Mi scusi tanto se non faccio i salti di gioia pensando che un uomo ieri è morto e io domani gli ruberò un pezzo del suo corpo > sbottò alzando la voce più del dovuto.
< Non è questo il modo di pensare Richard, vedila come l'opportunità di rinascere e... > Richard non gli diede il tempo di finire la frase.
< Stronzate > si voltò nel letto e si coprì fin sopra la testa con il lenzuolo.
< Dobbiamo finire il giro delle visite, dottore > le ricordò l'infermiera, il medico sospirò rumorosamente e si alzò dal letto.
Era stato stupido comportarsi così però, come potevano aspettarsi che lui fosse felice? Magari il donatore era una brava persona, che amava la vita e la sua famiglia... La sua famiglia... Scosse la testa come se quel gesto potesse cancellare quel pensiero.
Richard si sentiva un mostro, sapeva che da quando si era ammalato aveva iniziato a spegnersi, e aveva praticamente buttato via la sua vita. Si era licenziato dal prestigioso studio pubblicitario dove lavorava, aveva lasciato sua moglie e da circa sei mesi ad oggi aveva messo il naso fuori dalla porta al massimo tre volte. Prima era pieno di vita, amava andare a sciare ed allenava la squadra di football dei bambini del suo quartiere, in quel periodo si sentiva bene. Sentiva che meritava la chance di vivere ed era davvero innamorato della vita. Poi tutto era cambiato ed ora, solo in quel letto, valutava l'idea di firmare per uscire dall'ospedale e permettere a qualcuno più meritevole di ricevere quel prezioso organo in grado di salvargli la vita.
Mentre rifletteva su questa possibilità sentì dei movimenti alle sue spalle, non ebbe il coraggio di voltarsi per non dover parlare con il suo logorroico compagno di stanza, ma dai rumori non era difficile capire che stava raccogliendo i suoi effetti personali per andarsene.
< Buona fortuna, ragazzone > sentì la sua voce farsi lontana e finalmente si alzò a sedere.


Note:  Ciao a tutti, ho deciso di riprovare a proporvi qualcosa di mio. Questa storia l'ho sentita tanto e sta praticamente venedo fuori da sola, spero davvero che qualcuno mi dedichi qualche minuto del suo tempo per leggerla e magari spendere qualche parola nelle recensioni. Sono davvero interessata alle vostre opinioni, come sempre grazie a tutti quelli che la leggeranno, spero vi piacerà.

  
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