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Autore: Circe    06/07/2012    3 recensioni
La battaglia non va per il verso giusto, gli Horcrux sono stati distrutti e la bacchetta di Sambuco non funziona a dovere. Il Signore Oscuro improvvisa quindi una ritirata tattica per non venire definitivamente sconfitto. Insieme a lui solo Bellatrix, la persecuzione dell'amore, un problema da affrontare e il potere da riconquistare.
E la storia ... si ripeterà.
Seguito di “Sgáth, che significa oscurità”
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Andromeda Black, Bellatrix Lestrange, Voldemort | Coppie: Bellatrix/Voldemort
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da VII libro alternativo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Eclissi di luna: l'oscurità totale'
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Inutile, malsano, debole amore: Lord Voldemort

Avevo finalmente terminato il mio lavoro di ricerca della piuma per la bacchetta, potevo dunque fermarmi ad osservare ciò che accadeva attorno a me, studiare bene le prossime mosse.

La costruzione della bacchetta era stata già demandata a Bella in precedenza.

Era molto abile e metteva un grande impegno per farmi felice e rendermi potente, sapevo che per certi incantesimi magici oscuri era particolarmente portata, non avevo bisogno di controllarla, ma mi piaceva osservare.

Operava in particolari ore della notte quando la luce lunare era perfetta, creava il suo cerchio magico di fuoco e lì, lentamente, forgiava il mio nuovo strumento di vittoria.

Non lavorava tutte le notti, a volte si limitava a uscire per cercare il legno, a scegliere le rune da intagliare sulla bacchetta, a leggere ad alta voce a Sgath le magie dell‘alchimia, quelle più utili per adattare il nucleo al legno, ad attendere le lunazioni. La costruzione vera e propria avveniva nelle notti di luna piena e le notti di luna nuova.

Era interessante restare a guardare la mia strega purosangue che con una grazia e una capacità straordinarie, devo ammetterlo, maneggiava il legno di tasso, e la piuma di fenice nera.

Quelle mani magre che si muovevano sapientemente, le unghie rosso cupo che spiccavano nella notte, mi ricordano ogni volta di più i graffi lasciati sulla carne nei momenti di passione e sofferenza.

La guardavo sempre attentamente, nel buio delle notti di luna nuova, il fuoco la illuminava tutta, dandole quell’aria forte e appassionata che caratterizzava il suo animo.

Tingeva di rosso i suoi abiti neri, i suoi lunghi capelli oscuri, il suo sguardo, talvolta, si alzava e trapassava quelle fiamme, e arrivava dritto al mio. Quegli occhi erano perennemente pieni di passione e devozione.

Nelle notti di luna piena, la stanza era invece completamente priva di luce, se non quella che proveniva da fuori, dalla luna stessa. Allora la piuma di fenice risplendeva nel suo nero brillante e rifletteva i raggi con intensità funesta.

La luce chiara contrastava con la figura di Bella, coi suoi movimenti per i riti oscuri e coi drappi nerissimi del vestito. Tutta la sua figura era in contrasto col bianco candore della luna, ma questa si posava su di lei come una carezza fredda e spettrale, dandole un’immagine di mistero e attrazione inequivocabilmente magica.

Tutto questo era estremamente affascinante perché mi ricordava la magia in tutta la sua bellezza.

Seduto immobile e silenzioso sulla mia poltrona, immerso nella più completa oscurità, non potevo staccarle gli occhi di dosso.

E ciò, da un lato, mi rendeva inquieto molto irritato.

Bella era tutta bella, tutta.

Eppure c’era qualcosa che spiccava alla mia vista più di tutto il resto, qualcosa che mi dava il tormento ogni singola notte in cui la osservavo così, senza sosta e senza parole…

Erano le labbra.

Quelle labbra talvolta rosso cupo, talvolta quasi nere, oppure viola. Quelle labbra erano sempre fastidiosamente attraenti, anche quando erano lasciate naturali, più pallide e trascurate del solito, facevano lo stesso effetto.

Non volevo baciarle, non potevo cedere.

Eppure i miei occhi tornavano ossessivamente lì, la mia immaginazione sfuggiva, seppur raramente, al mio spietato controllo e con una violenza che quasi non aveva eguali.

No, cedere, mai.

Non a lei, non a quel sentimento che chiamava adorazione, ma che altri non era che amore.

Inutile, malsano, debole amore.

Un bacio: l’amore.

Avrebbe capito i miei pensieri, forse, se mi avesse osservato con maggiore attenzione, se non fosse stata impegnata per me nei suoi incanti, se non fossi stato perennemente avvolto nell’oscurità.

Ero sicuro di esserle ancora infinitamente superiore, soddisfatto di riflettere e osservare in segreto, fra i miei insondabili pensieri nascosti.

Inizialmente, nella mia infinita potenza e oscurità, non avevo notato un indiscreto sguardo silenzioso, quei due occhi rosso cupissimo che tanto assomigliavano ai miei e che sembravano comprendere molto. Troppo, a dire il vero, per uno stupido e inutile mago di quell’età.

Sgath giocava col fuoco del cerchio magico non lontano da sua madre, guardava rune e simboli magici fluttuare intorno a sé, giocava coi legni di scarto della bacchetta da intagliare. Restava buono e lontano da me, non lo volevo fra i piedi.

Poi me ne accorsi.

All’improvviso, l’erede mi lanciò uno sguardo, i nostri occhi si intrecciato velocissimi e per un istante lui fissò i suoi nei miei. Quel rosso cupo mi fece capire che sapeva tutto di me, di Bella, di ciò che gli stava succedendo intorno. E più sapeva più diventava potente.

Fu una folgorazione improvvisa, ma potente, del tutto inspiegabile… se non fosse che è mio… che l’ho generato io.

Avevo vagamente percepito che si era creato un legame molto forte fra lui ed Uroboro, il suo serpente.

A volte captavo fra loro pensieri, immagini, sensazioni scambiate nella lingua dei serpenti, nel modo dei serpenti, con l’anima selvaggia di un serpente.

Forse era tramite il suo animale magico che l’erede sviluppava un istinto tanto spiccato e così selvatico. E una volontà tanto forte.

Non solo.

Non vi era attimo in cui non venisse a contatto con la magia: i giochi solitari e i giochi insieme a Bella che lo lasciava libero di esprimersi con tutto; le atmosfere misteriose e oscure che lo circondavano in quel luogo così mistico e sconosciuto; le storie sulla luna e le stelle che Bella non si stancava mai di raccontargli quando erano soli senza di me; e soprattutto quel suo saper istintivamente sempre generare cambiamenti nell’intensità de fuoco a seconda del suo umore, del suo volere e dei suoi capricci.

Era istintivamente un mago oscuro che assoggettava la natura come più gli piaceva.

Oggettivamente era mago molto potente.

Non poteva essere altrimenti: l’avevo generato io.

All’improvviso mi venne un’idea.

Non volevo creare un legame fra noi, questo mai. Non pensavo nemmeno che avrei perso il duello con Potter, non avevo paura tanto da dover cambiare i miei piani.

Non lasciavo nessuno spazio a sentimentalismi, mai e poi mai.

Se mi si era palesata quell’idea in testa, era solo per utilità, semplice e fondamentale utilità.

Mi alzai di scatto dalla sedia in cui mi trovavo e avanzai lungo tutta la stanza, andando verso la mia strega.

“Bella…” le dissi a costo di distrarla dalla creazione della bacchetta.

“Sì, mio Signore?” fece lei alzando lo sguardo verso di me, colpendomi la vista con quelle labbra di un nero tanto luccicante quanto desiderabile.

“Dobbiamo creare una pietra di sangue.” dissi lentamente senza distogliere gli occhi dalla sua bocca.

Se ne accorse sicuramente. Avrei voluto ucciderla per quell’intelligenza che non sbaglia quasi mai.

Posò delicatamente la bacchetta sul pavimento all’interno del cerchio di fuoco, e lasciò scivolare nelle mani di Sgath una gran quantità di rune antiche, poi si avvicinò lentamente a me, attraversando come nulla fosse tutte quelle fiamme basse e crepitanti.

Sorrideva appena, ma chiaramente.

Il fuoco la rendeva sempre più bella ogni volta che lo dominava.

Le cicatrici che ancora portava da Azkaban erano accese e molto visibili in tutto quel calore, i lividi che le lasciavo dopo le nostre unioni più violente prendevano un colore viola acceso che invitava solo a ricoprirla del mio male ancora una volta, e sempre.

La magrezza scheletrica era ormai scomparsa e aveva lasciato il posto ad una figura più in carne, seppur magra.

Questo mi permetteva ancora di prenderla con un solo braccio e stringerle forte i fianchi legandoli a me, lasciandole poco respiro e nessuna libertà di movimento.

“Perché sorridi?” chiesi avvicinandola, così stretta e dominata, al mio viso.

Restò zitta qualche istante, guardandomi e abbandonandosi ai miei occhi e alla mia forza.

Adoravo quando faceva così, ma non sopportavo di adorare qualcosa… quella cosa.

Strinsi più forte, strattonandola ancora:

“Rispondimi.” le intimai per farmi passare la rabbia. Per distrarmi da lei.

“Perché, mio Signore, è la prima volta che mi dite che dobbiamo fare qualcosa, voi ed io, insieme.”

Ora la scansai subito e malamente.

Non poteva essere che non avessi mai usato quel modo di dire, si stava sbagliando. E comunque, era appunto solo un modo di dire.

Mai e poi mai avrei davvero intenso, nel profondo, di fare qualcosa con qualcun altro, meno che mai con Bellatrix.

Io sono sempre solo, e faccio tutto da solo.

 

……………………………....

Note:

Non ho molto di particolare da dire nelle note, spiegherò meglio cos’è una pietra di sangue nei capitoli successivi, mentre tutti gli altri riferimenti credo siano più chiari.

Per quanto riguarda i personaggi, direi che ormai è chiaro che il Signore Oscuro pensi intensamente ai baci e inizi ad adorare qualcosa di Bella, anche se lungi da lui ammetterlo.

Per quanto riguarda Sgath, non è più un neonato e si sta abituando alle dinamiche dei suoi amabili genitori, anche se ovviamente lo fa d’istinto.

Grazie a tutte coloro che ancora mi seguono e mi scrivono nonostante i ritardi di aggiornamenti e risposte!

A presto, ragazze!

Circe

   
 
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