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Autore: wari    07/07/2012    13 recensioni
Il Tizio Stronzo, tutto perso nelle sue elucubrazioni, impiegò un secondo intero per girarsi, quando Naruto gli aveva ormai voltato le spalle del tutto, diretto all'incrocio.
«Ma sei completamente imbecille, allora» brontolò, con una vena d'esasperazione. Naruto, piccato, frenò di scatto davanti ad un tombino.
«Ehi, senti un po', te» ringhiò, stizzito, e sollevò le braccia per aiutarsi ad esprimere il concetto; «non so che problema hai, ma...»
«Che problema hai tu, usuratonkachi» ribatté Tizio, ancora impalato alla stessa distanza, le sopracciglia contratte e l'espressione – oh, sì! Anche lui pareva essere dotato di mimica facciale: un vero sollievo – combattuta, quasi di nascosto disagio. Imbarazzo? «Mi fissi come fossi un dannato cono gelato per due ore, mi pedini al cesso e poi “te ne torni a casa”? Sei imbecille» snocciolò, logico e seccato.
Naruto esibì nuovamente la sua collaudata espressione da totano svenuto, stordito.
[Attenzione: demenza a catinelle e totale assenza di contenuti erotici nonostante la presenza di contenuti erotici. Chiaro, no? *sviene* Buon compleanno ad annamariz e a scar!]
Genere: Commedia, Demenziale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altri, Sai | Coppie: Naruto/Sasuke
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
Capitoli:
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Ultima parte in altre quindici (s)comode pagine, oggidì dedicate a scarlett666. Buoncompleanno, psychologa!
Ciò detto, attenzione! Qui Naruto fa almeno dieci cose-che-nessuno-dovrebbe-mai-fare (non a caso, il narusasunarudndfnquellaroba lì si trasforma in stalking): non imitatelo XD
Oh, comunque è una totale cretinata.





Tu lo conosci Sasuke?
- parte seconda -



Sotto il sole delle dieci, Naruto sapeva d'essere un uomo finito.
Lui, il grande Naruto Uzumaki, quello che voleva scalare l'Everest, sentiva chiaramente che la sua vita era finita, conclusa, persa, caput!
Okay, anche no. Ridimensioniamoci, prima di scadere davvero nel patetismo spicciolo.
Il problema era che da Naruto Uzumaki, ventiquattrenne, biondo, arancione, omosessuale con un Sasuke a dormirgli addosso sul divano, nuovo fattorino a tempo indeterminato dell'Ichiraku Ramen, il nostro eroe, insomma, fosse divenuto repentinamente Naruto Uzumaki, ventiquattrenne, biondo, arancione, omosessuale che meritava di restare solo per sempre perché troppo stupido, stupido, stupido! per riuscire a guadagnarsi una sana relazione, nuovo fattorino a tempo indeterminato dell'Ichiraku Ramen, cosa, questa, che lo rendeva alquanto depresso. Il motivo della depressione, invero, non era tanto il fatto che Sasuke se ne fosse andato, quanto piuttosto che Sasuke fosse quello, un Sasuke. Un tizio di nome Sasuke. Solo Sasuke. Sasuke-e-basta.
«Il cognome, Naruto! Il cognome, le basi!»
Naruto riuscì solo a scuotere la testa, sinceramente dispiaciuto e con un grumo di pizza sullo stomaco da ore, a pesargli dentro come avesse vita propria. Sakura, implacabile, approfittò del cedimento per rincarare la dose; sbraitava davanti al bar della facoltà, un tomo di diagnostica a sventolarle minaccioso tra le dita.
«Il cognome! Il numero di telefono! Che cavolo, Naruto sei-» e Naruto lasciò che lei gli ficcasse lo spigolo del volume in fronte, convinto di meritarsi sia il segno rosso che gli improperi. «Non è possibile che tu non gli abbia chiesto il numero di telefono! Che tu non gli abbia dato il tuo, anche a costo di farglielo ingoiare, tu- tu!»
«Hai sempre avuto ragione, sono davvero il più grande idiota del pianeta» annuì, sconsolato.
E Sakura, che ormai era partita a razzo e l'avrebbe rimproverato per qualunque cosa, si prese anche la briga di urlargli: «dell'universo, Naruto, dell'universo!» rischiando di decapitare Ino con il libro. Lei, appena sopraggiunta non si sa se in cerca di caffè o per le urla belluine della carissima amica, le sfilò il volume dalle mani con l'aria di qualcuno avvezzo a scatti d'ira di colleghe isteriche; poi agguantò una sedia dal tavolo accanto. Se la guadagnò senza praticamente dover chiedere, solo grazie ad un unico, disarmante sorriso e un frullare casualmente studiato di ciglia lunghe sull'azzurro, e si sedette con tutta l'atletica pesantezza di qualcuno che, begli occhi o meno, è sveglio dalle sei.
«Che diamine succede?» chiese, poggiando il libro di diagnostica sul tavolino, lontano dalle grinfie nevrotiche di Sakura.
«Succede che è un deficiente!» ribatté la bocca altrettanto nevrotica di Sakura, mentre le mani additavano Naruto. Lui chinò il capo e cacciò un sospiro.
«È che eravamo lì e poi abbiamo... Non ho avuto il tempo di...»
«Capisci? Capisci cosa deve subire il genere umano per colpa di questo imbecille patentato?» sbottò Sakura, sotto lo sguardo di una perplessa Ino. «Non si sa come faccia, voglio dire, a parte che è biondo, arancione e tutte quelle cose lì... Non si sa! Lo sai come fa, li attira! Ha una specie di potere messianico o che so io! Lui sta lì, parla a vanvera, non sa da che parte è girato eppure toh! mezzo mondo gli dà retta! Converte le masse, adesca i giovani!»
«Ma quel caffè era corretto?» la interruppe Ino, strabuzzando gli occhi davanti all'amica prima di voltarsi verso Naruto, in cerca d'aiuto.
Sakura non parve gradire quell'allusione alla sua sconclusionatezza e afferrò Ino direttamente per i vestiti, portandosela quasi contro il naso.
«Sto dicendo che questo... questo coso improponibile» e Naruto si disse che alla fine come epiteto non era tra i peggiori che Sakura gli avesse mai affibbiato; «non si sa come fa, ma riesce a portarsi a casa Tizi random – guarda caso quelli che piacciono a me, che guarda caso sono gay!, e adesso dimmi se non ti sembra la dannata trama di un dannato episodio di Dawson's creek! - e a farceli rimanere! Capisci?» proseguì, senza attendere alcun segno da parte di Ino che facesse intuire un'effettiva comprensione di quel delirio psicotico. «Lui non si limita ad andarci a letto, no, perché lui è Naruto Uzumaki! Lui costruisce legami, stringe rapporti! E quindi mi fa stare in ansia per ore perché ha la segreteria inserita per un giorno intero e non risponde al cellulare-»
«Era scarico, ho dimenticato di-» cercò di difendersi lui, invano - come cercare di spegnere un incendio gettandoci sopra un granello di sabbia alla volta.
«Ma certo!» divampò infatti nuovamente Sakura, quantomeno liberando Ino dalla stretta mortale per rivolgersi di nuovo a lui. «Non è questo il punto, Naruto! Tu ti porti la gente a casa, ci fai sesso per un giorno intero, mangiate, ordinate pizze, dormite, guardate SlitherSlither! Si può chiacchierare guardando Slither! Non è mica Schlinder's list, per gli dei! - e non riesci a sapere niente di più del suo nome proprio?!»
Nel silenzio seguente – esteso anche agli altri tavoli ormai in ammirato ascolto della ragguardevole estensione vocale di Sakura Haruno –, Naruto boccheggiò per qualche lungo secondo, incapace di articolare.
Avrebbe tanto desiderato giustificarsi: lui di Sasuke sapeva principalmente che si chiamava Sasuke, d'accordo, ma sapeva anche un mucchio d'altre cose. Che era uno stronzo, che russava ma non voleva ammetterlo – e se punzecchiato in merito diveniva violento -, che l'arancione sembrava infastidirlo di primo acchito, ma poi ci si spaparanzava tranquillamente sopra senza troppo pensarci; sapeva che gli piacevano i pomodori e che, se affamato, dimenticava senza ritegno qualsiasi tipo di educazione – della cui mancanza si preoccupava di rimproverare piuttosto lui -; sapeva che odiava il chiacchiericcio, sapeva che era dotato di scarso senso dell'umorismo, facilmente irritabile, inconsapevolmente privo di pudore – lui al fattorino delle pizze stava andando ad aprire in mutande –, sgarbato e nel complesso un'emerita testa di cazzo non troppo vagamente psicolabile. E, pur avendo afferrato tutto questo con una certa consapevolezza, conscio del fatto che una descrizione simile avrebbe fatto scappare a gambe levate qualsiasi individuo sano di mente o quantomeno ringraziare tutti gli dei che il tale in questione si fosse defilato senza lasciare tracce, Naruto avvertiva con altrettanta smania l'impressione istintiva, pressante – anche inquietante, a dire il vero – del va bene lo stesso. Quella sensazione a metà tra il masochismo e la catarsi, che ti fa stringere nelle spalle, sospirare tutt'al più, quando la tua migliore amica dai capelli rosa si approccia a te più spesso coi pugni che a parole: perché a te va bene lo stesso.
Naruto ci metteva poco a capire le persone, era il suo dono. Senza sperare di conoscerlo – per quello è ovvio che ci voglia il tempo che ci vuole -, quello che aveva capito in ventiquattro ore era che a lui Sasuke andava bene lo stesso. E se c'era il va bene lo stesso, a che serviva uno stupido cognome?
«Beh, se lo vedessi lo riconoscerei» tentò titubante, ritornando alla triste realtà dei fatti, quella in cui il pianeta Terra è abitato da sette miliardi di persone che per contattarsi necessitano di recapiti, dati anagrafici ed altre impoetiche, fastidiose corbellerie così basse e pratiche da apparire desolanti.
Giusto a sottolineare che il mondo era un posto irrimediabilmente crudele e lui solo uno sciocco sognatore, accanto a lui Ino emise un basso verso di profondo biasimo.
«Fammi capire» intervenne spiccia, tamburellando nervosa con le dita. «Tu ti sei portato a casa il Tizio dell'altra sera e lui il giorno dopo ti ha mollato senza lasciarti alcun recapito?»
«Non mi ha mollato! Continuava a dire di doversi vedere con un tale stamattina, sarà dovuto correre via in fretta...» e non servirono le occhiate mestamente complici scambiate tra Sakura ed Ino a fargli capire, chiaro e forte, quanto quelle parole sarebbero risultate patetiche per chiunque, anche per il protagonista di una telenovela doppiata male.
«Naruto» cominciò Sakura, dopo avergli poggiato con cautela il palmo sul pugno che lui teneva chiuso sul tavolo. «Credo che se avesse voluto rivederti ti avrebbe almeno scritto un biglietto, no?»
Naruto tentò infruttuosamente di aprire la mascella, poi aggrottò le sopracciglia e fece per ribattere, subito interrotto da un sospiro di Ino.
«Sei stato scaricato, bello mio» gli rese noto lei con grazia, assestandogli un colpetto lieve sulla spalla. «Mi spiace».
Gli occhi di Naruto si sgranarono andando dall'una all'altra; abbozzò una risata.
«No, ma ehi! Guardate che era vero-» si sforzò, tutto teso a cercare di recuperare brandelli di conversazione. «Doveva vedere un tale Orochisuke... Orochiyama...»
E invece di consigliargli di berci su, distrarsi e archiviare la faccenda, Sakura e Ino aggrottarono le sopracciglia e si voltarono l'una verso l'altra esclamando: «Orochimaru?»
Scombussolato, Naruto annuì.
«Ecco, sì! Orochimaru. Vedi che me lo ricordavo?» disse, parlando al tavolo.
«Orochimaru insegna qui, Naruto. Cioè, non qui qui... Qui nell'ateneo» ragionò Ino. Gli acchiappò il viso tra le mani tanto velocemente che si udì un crack di vertebre e uno studente del tavolino alle loro spalle avvertì che, ehi, se c'era bisogno d'aiuto lui si stava specializzando in ortopedia.
«Eh?» le fece Naruto, le guance ancora strette tra i palmi dell'amica, che però si era voltata verso Sakura.
«Orochimaru, Orochimaru!» esclamò lei, quasi scocciata dal dover spiegare cose ovvie. «È una specie di personalità scientifica mondiale. Una roba tipo... tipo Margherita Hack, ma con più serpenti» spiegò, senza approfondire. «Si dice sia un po' fuori di testa e che durante i suoi corsi sia più normale sentirlo blaterare di concetti pseudofilosofici che di cose pratiche. Comunque è un genio».
«E dov'è?» domandò Naruto, mostrando ancora una volta le sue grandi doti di uomo d'azione.
«Beh, sarà in qualche aula a tenere lezione, suppongo... Non interromperai una lezione, Naruto!» scattò subito Sakura, senza dargli neppure il tempo di alzarsi in piedi del tutto – cosa che lui avrebbe fatto lasciandosi cadere la sedia alle spalle e cominciando a correre lungo i corridoi di una facoltà a caso per aprire rumorosamente le porte di aule, uffici, bagni e sgabuzzini e gridarci dentro Sas'ke! Sas'ke! Sas'ke! come una scimmia urlatrice. Una scimmia urlatrice vedova e afflitta in cerca dei suoi cuccioli.
Naruto, le ginocchia mezze tese e il sedere già separato dalla sedia da diversi centimetri cubi d'aria, emise un breve gemito frustrato.
«E allora che faccio?»
«Uomini, e poi siamo noi che facciamo i drammi» sbuffò Ino, impegnata a rilassarsi contro lo schienale all'unico scopo di sporgersi per sbirciare Sai, il collega carino della facoltà di psicologia, che se ne stava seduto su una panchina con un album tra le mani.
Naruto tornò su Sakura.
«E quando lo posso vedere, questo Orochimaru?»
«Orario di ricevimento? Ma pure che lo dovessi trovare che faresti? “Salve, mi sono portato a letto un suo studente, potrebbe aiutarmi a rintracciarlo?”» cantilenò, scoraggiata per empatia con l'espressione sempre più tetra di Naruto. «Oltretutto con ogni probabilità non avrà la più pallida idea di cosa dovrebbe essere un Sasuke, visto e considerato che in questo luogo incivile e disumano gli studenti sono numeri e basta. È già tanto quando un insegnante riesce ad associare un cognome storpiato ad un viso confuso tra altri centinai di visi ogni santo giorno, figurati cosa potresti cavare andando lì a domandare “senta, ma lei lo conosce Sasuke?”: ti riderà in faccia».
«Dannazione» sospirò il nostro biondo, eroico eroe tragico – comunque molto arancione, cosa che ne smorzava catastroficamente la tragicità. «Vuol dire che seguirò tutti i corsi di biomedicinistica ingegnosa per tutta la settimana finché non lo beccherò. Dove sarà la facoltà di biomedicinistica?» e cominciò a voltarsi da un lato all'altro come fosse convinto di vedersi spuntare davanti un cartello delucidante o magari proprio un edificio intero.
«Naruto» intervenne Ino perentoria, dopo averlo afferrato per le spalle. «Ti-ha-scaricato. Fattene una ragione, non puoi diventare uno stalker» cercò nuovamente di spiegargli con poca diplomazia, per evitare fraintendimenti con la ben nota testa dura dell'amico.
«Oltretutto non puoi infiltrarti a caso a biomedi... sarà ingegneria biomedica, no scemo?» rincarò Sakura, sbuffando. Si tirò una ciocca rosa dietro l'orecchio e poi guardò l'orologio. «Noi dobbiamo andare, Naruto. Vattene a casa e vedi di non far tardi a lavoro, stasera» aggiunse, severa.
«Oi, ma sei sicuro che non ti sia sognato tutto?» rise Ino, evidentemente non molto ansiosa di recarsi a lezione. «Sarebbe una storia deludente da film deludente!»
Naruto sgranò gli occhi e per un momento, davvero, si chiese se non se lo fosse sognato, un Sasuke: insomma, le ultime ventiquattro ore si reggevano sull'esile trama di un sogno da sbronza o di un raccontino rosa di bassa lega scritto da un'adolescente cresciuta ad Harmony e telefilm per teenager. Ma c'erano una casa disordinata, due cartoni di pizza, due confezioni di ramen vuote e una bruttissima sensazione di mancanza a comprovare l'effettiva realtà dei fatti, a meno di non essere diventato sonnambulo - un sonnambulo vivace e con molto appetito.
Si ritrovò il pugno di Sakura calato in testa dall'alto: era leggero, ma Naruto sobbalzò comunque. Lei, in piedi, lo sbirciò dall'alto premendogli le nocche tra i capelli arruffati.
«Vai a casa, Naruto, dammi retta. E non ti deprimere, ti chiamo più tardi».
E lui, il nostro povero, irragionevolmente depresso eroe arancione, annuì, lasciando che Sakura lo salutasse con un sorriso un po' triste e Ino sventolasse la mano comunque pimpante, prima di raccogliere la borsa da terra e augurargli buona giornata.
Naruto osservò la sua coda ondeggiante seguire il caschetto rosa di Sakura, finché le due non furono sparite nell'edificio della facoltà, dietro le porte a vetri.
Sospirò pesantemente, frustrato.
«Sono una stupida teenager» mugolò, la fronte spalmata contro il piano del tavolo. E si sentì terribilmente solo al mondo.


Era una stupida teenager, assodato, ma c'era da ammettere che il mondo in questo senso non lo aiutava; non si spiegava altrimenti il fatto di star intrattenendo una conversazione del genere con Sai.
«Non conosco bene la facoltà di Ingegneria, Naruto kun, ma sono certo che recarci in segreteria potrebbe essere un intelligente primo passo per le ricerche».
Ora, Naruto, si diceva, era un boccalone abituato a fidarsi della gente a pelle – questo per riassumere in soldoni concetti già espressi ampiamente nel paragrafo precedente – e non si era posto il minimo problema quando, del tutto spontaneamente, Sai gli si era avvicinato con la mandritta tesa e un sorriso plastico e vagamente inquietante spalmato in viso, in una buona imitazione di qualcuno con dei problemi – una paresi facciale, ad esempio.
Quello che aveva messo il nostro eroe un po' sulla difensiva era più che altro il fatto che poi il ragazzo, con trasporto degno del personaggio ausiliario di un film Disney, spiegatogli di non aver potuto fare a meno di ascoltare la sua triste storia, si era offerto di aiutarlo nella difficile impresa di ritrovare Sas'kekun – pronunciando il nome con lo stesso tono che si adotterebbe, nel caso, per le parole “portafogli” o “borsetta”.
Per spiegare tutto quell'interesse era infine partito con una dissertazione - in tono piano e cadenzato da accademico novantenne - su come gli esseri umani si dovrebbero aiutare vicendevolmente al fine di perseguire un'ideale di vita collettiva che consenta a tutti di raggiungere un paritario stato di benessere. Naruto di socialismo utopistico ne capiva assai poco, così come effettivamente Sai stesso, e si era perso piuttosto a fissarlo stralunato riuscendo solo a constatare - in uno slancio paranoide che a mente fresca l'aveva poi seriamente impensierito - quanto quel Sai, con i suoi capelli neri e il viso pallido, somigliasse irrimediabilmente a Sasuke.
«Ma Sasuke è più attraente» concluse a voce alta, proprio mentre Sai lo rendeva edotto in maniera confusionaria sul pensiero di tale Charles Fourier, incurante del fatto che il nostro distratto eroe non avesse espresso alcun desiderio in tal senso.
Sai, gliene sia reso merito, non si scompose: semplicemente sorrise di nuovo e domandò «davvero?», senza apparire minimamente scalfito da quello che poteva tranquillamente essere considerato un insulto – anche se magari aveva capito che l'oggetto della conversazione fosse ancora Fourier.
Naruto, stordito, trasse un respiro profondo e prese la situazione in mano.
«Quello che intendo è-»
«Dobbiamo trovare Sasuke kun, certamente» conciliò l'altro, pronto, per poi cominciare di testa sua a precederlo a passi sicuri lungo il viale, la borsa in spalla e il suo album sotto il braccio. Naruto, che non conosceva per nulla il posto, fatte salve alcune sporadiche visite a Sakura, gli si accodò con qualche esitazione, approfittando per spiarsi in giro in cerca di una nuca coperta da irsuti capelli neri – sarebbe stato un bel colpo di culo.
«Prima di tutto, Naruto kun, hai idea dell'età precisa di Sasuke kun? Se così fosse, sebbene con un ampio margine di errore, potremmo provare ad isolare un elenco di insegnamenti che potrebbe stare frequentando in questo momento, con particolare attenzione per quelli tenuti da Orochimaru sama».
Naruto, perso a guardare tutta quella mandria di gente che, attorno a lui, pareva invece avere una precisa idea di dove recarsi – la cosa lo fece sentire un po' sperduto -, gli rivolse un'occhiata totalmente vacua.
«Oh, ahn. Beh, non so... la mia età?»
«E tu quanti anni hai, Naruto kun?»
«Ventiquattro... ma beh, poteva averne tranquillamente anche di meno, o di più o... Diciamo tra, boh, tra i venti e i venticinque?»
Sai sorrise di un sorriso accondiscendente.
«Se il tuo pene è piccolo come il tuo cervello, Naruto kun, non vedo perché Sasuke kun dovrebbe desiderare di farsi trovare da te».
Naruto dilatò gli occhi all'inverosimile; stava già per tirargli un cazzotto, senza dimenticare di sbraitare «io ti ammazzo!» a tonsille spiegate, ma Sai, un passo indietro e l'espressione perfettamente sorridente e composta, gli bloccò il pugno con un indice.
«D'accordo, cambiamo approccio metodologico» proferì, calmissimo.
«Ma quale approccio e approccio, io ti approccio a pugni!»
«Non sarebbe vantaggioso picchiare qualcuno che sta cercando di aiutarti, Naruto kun, anche questo non farebbe che avvalorare la tesi della tua scarsa intelligen-»
Naruto gli assestò una capocciata e lo spedì direttamente a terra.
Ma era troppo buono, Jiraiya glielo diceva sempre: una persona normale Sai l'avrebbe lasciato agonizzare sulla strada e magari gli avrebbe anche tirato qualche insulto pesante. Non l'avrebbe certo trascinato su una panchina per farlo rinvenire.
«Potremmo tentare con un identikit» aveva proposto l'insopportabile, una volta ripresosi. Sulla fronte spiccava un bel bernoccolo gonfio – modestamente Naruto sapeva di possedere una testa particolarmente dura. Non a caso sulla sua, di fronte, era rimasto solo un vago alone arrossato.
Accomodato al suo fianco con un cipiglio ancora offeso, il nostro eroe dal cranio infrangibile osservò Sai che, metodico, sfogliava il suo album – zeppo di schizzi a china e confuse composizioni di pastelli – in cerca di un foglio pulito, la penna già in mano.
«Coraggio» concluse, una volta posizionato il blocco sulle sue gambe accavallate, la punta della biro pronta e il sorriso plastico perfettamente ripristinato. «Prova a descrivermi Sasuke kun. Sarà più facile che qualcuno lo riconosca, in questo modo».
«Oh, ma è un'idea stramitica!» si ritrovò ad esclamare Naruto, una volta realizzate le conseguenze del piano: con un ritratto, sarebbe stato molto più semplice. Esaltato e gonfio di nuove speranze, già si vedeva tappezzare l'università di volantini – per poi arrivare ai cartoni del latte come il più bieco fan dei Blur.
La faccenda si rivelò meno semplice del previsto: la prima versione di Sasuke somigliava più ad un pokèmon – colpa dell'incapacità di Naruto nel descrivere capelli come quelli -; la seconda era troppo simile a Sai stesso e troppo sorridente – terribile, completamente out of charachter – e solo con la terza erano infine giunti ad una soddisfacente versione di Sasuke, ma dopo una montagna di cartocci ai loro piedi, una biro caduta nell'impresa e terra bruciata di qualsiasi passante che, dinanzi alla foga descrittiva di Naruto - con annessi gesticolii tanto ampi e teatrali quanto scarsamente esplicativi –, si era defilato in un brusio seriamente indispettito.
Naruto guardò il risultato della fatica quasi commosso, ed era così somigliante che a Sai fu naturalmente perdonato il suo essere un individuo tanto decentrato quanto indelicato.
«Adesso non resta che trovare Orochimaru sama e sperare che ricordi la sua faccia, Naruto kun».
Lui annuì, senza distogliere le pupille da quelle si Sasuke, che lo squadravano dal foglio.
«Io, davvero-»
«Non cercare di ringraziarmi, Naruto kun, è un dovere morale venire in soccorso dei meno fortunati» lo interruppe Sai, compreso.
«Meno fortunati?»
«Sì, tutte le minoranze, siano esse in base etnica, religiosa o sessuale, meritano l'impegno di ciascuno affinché possano godere di pari diritti e possibilità di esprimere a pieno le loro potenzialità di cittadini» spiegò, sempre col sorriso di qualcuno che stesse ripetendo qualcosa con una certa convinzione ma senza averne compreso a pieno i significati pratici. «Oltretutto, è ancora più naturale porsi in aiuto dei disagiati, persone che per minorazioni fisiche o, come nel tuo caso, mentali non siano in grado di-»
«Non concludere la frase se non vuoi farti dare un pugno, prima stavi andando quasi bene» gli ringhiò Naruto, aspro. Sai parve cogliere l'antifona, perché tacque, senza però privare il mondo del suo irritante sorriso. Il nostro eroe rimase a guardarlo per qualche momento, stralunato – i matti tutti a lui, eh -, ma infine giunse alla conclusione che, per quanto strano, Sai lo stava davvero aiutando in maniera del tutto disinteressata e gli doveva gratitudine.
«Allora, beh» riprese, la mano a grattare la nuca. «Dove possiamo trovare questo Orochimaru?»
Sai annuì tutto da solo, prima di alzarsi in piedi con ammirevole decisione.
«Potremmo provare nel suo ufficio» spiegò, indicando poi un edificio di cui si intravedeva a stento il tetto basso; un baraccone piuttosto brutto e spigoloso, dall'aria imponente. Naruto corrugò le sopracciglia, interrogativo, in attesa che l'altro riprendesse a spiegare.
«Quella è la facoltà di ingegneria, Naruto kun» disse infatti lui, quando Naruto si fu alzato in piedi a sua volta. «Orochimaru sama è una personalità, sono sicuro che basterà domandare in giro. Inoltre, potremmo farci dare i suoi orari di ricevimento o, in alternativa, scoprire se sta tenendo qualche lezione in questo momento o quale lezione abbia tenuto al mattino».
Naruto studiò il tetto del casermone come avesse intenzione di scalarlo a mani nude.
«D'accordo» concluse, deciso. «Questo Orochimaru avrà pane per i suoi denti!»
Sai, alle sue spalle, si limitò a sorridere beato.


La facoltà di Ingegneria era l'enorme, perverso parto d'una mente votata al complesso. Non si spiegava altrimenti la presenza di un simile calvario di corridoi avviluppati come spire, ampi ma bassi, opprimenti; le porte si susseguivano una uguale all'altra a distanze cadenzate, in un ansiogeno deja vù di legno-muro-legno-muro per metri e metri. Probabilmente là sotto qualcuno c'era morto, perduto per sempre negli inesplorati meandri della struttura – e probabilmente si trattava, se non dello stesso architetto, almeno del geometra.
«Naruto kun, credi che Sasuke kun ti stia aspettando nudo alla fine di questo corridoio?»
La suola consunta della scarpa di Naruto slittò sul pavimento sdrucciolevole con uno stridore d'oca scannata e il nostro arancione, frettoloso eroe andò magistralmente a schiantarsi faccia a terra in scivolata.
«Sai!» berciò, il fiato mozzo e le mani sul pavimento freddo. Dietro di lui: una scia nera di gomma, il busto di un insegnante affacciatosi dall'aula – probabilmente per assicurarsi che nessuno avesse cominciato a sgozzare animali da cortile in corridoio - e Sai, ritto come un fuso e sorridente ad intollerabili livelli di insopportabilità.
«Scusa Naruto kun, è che mi pareva l'unica motivazione atta a giustificare la tua fretta di percorrere corridoi che non conosci minimamente».
Naruto, senza forze, appoggiò la fronte contro il pavimento e si abbandonò ad un sospiro affranto: davvero, non era sicuro che Sai lo stesse aiutando. Tutti gli indizi dicevano che era così, ma quella voglia irrefrenabile di sbattergli la faccia contro un letto per fachiri gli suggeriva il contrario in modo sempre più veemente a partire da quando gli aveva rivolto parola per la prima volta, e si trattava solo d'una mezz'ora prima.
«Coraggio Naruto kun, non è bene stare stesi nel mezzo di un corridoio» si avvicinò Sai, e da quell'angolazione – l'angolazione del nostro eroe, quella d'una rana spiaccicata al suolo dalle ruote di un tir, sguardo vivace compreso – il suo sorrisetto del cazzo sembrava quasi addolcito dalla gentilezza. Naruto sospirò e si lasciò aiutare a riacquistare la posizione eretta, peccato che poi Sai decise di trascinarlo arbitrariamente seduto lì accanto al muro, sotto una bacheca di sughero ingombra di annunci e circolari.
«Si può sapere perché sei così gentile, Sai?» gli domandò infine Naruto, dopo che lui fu arrivato ad offrirgli dell'acqua, dopo averne cacciata dalla sua borsa gonfia di libri. «È anche un po' inquietante, a pensarci».
Lui parve vagamente sorpreso – evidentemente non si ritrovava nella definizione di “inquietante -, ma ci passò sopra con notevole diplomazia.
«Trovo affascinanti le relazioni sociali, Naruto kun» spiegò, con la lentezza di chi fosse impegnato a ricercare le parole giuste. «Non avevo mai analizzato da vicino le caratteristiche di un rapporto omosessuale, la cosa mi incuriosisce. Anche dopo essermi documentato riguardo le dinamiche anatomiche, le implicazioni psicologiche all'interno di una coppia mi restano alquanto oscure, anche se sempre più studi...»
«Tu sei tutto scemo» sbottò Naruto ridacchiando, la nuca contro il muro. «Insomma, è lo stesso no?» tentò: se quello che voleva era una spiegazione in cambio del suo aiuto, beh, lui non ci perdeva niente. «Si fanno le cose che fanno le persone che stanno insieme: parlare, mangiare, far sesso, uscire... Poi tipo se ci si fa le smancerie o cose del genere dipende dalle persone, come in tutte le coppie, no?» si ingarbugliò un po', perché in effetti non è che fosse particolarmente ferrato sull'argomento coppie, lui.
Sai parve ponderare attentamente quella risposta raffazzonata, neanche fosse tentato di prendere appunti.
«Smancerie. Le smancerie sono variabili in relazione all'individualità, d'accordo» memorizzò, compreso.
«Senti, non è che devi prendere quello che dico come verità rivelate, eh...»
«Non preoccuparti, Naruto kun, so che sei stupido: mi occuperò più tardi di verificare opportunamente quanto dici mediante la comparazione con studi accreditati o-»
Strangolare Sai sbraitando minacce di morte in un corridoio universitario si sarebbe potuta rivelare una mossa alquanto azzardata ma, fortunatamente, proprio in quel momento una porta si aprì riversando in corridoio un folto gruppetto di studenti che coprì il chiasso con chiacchiericcio e rumore di passi. Sai, le mani di Naruto ancora saldamente ancorate al suo collo in una riuscita emulazione dei metodi educativi di Homer Simpson, emise dei versi strozzati, gli occhi puntati dietro la nuca del suo aggressore. Quello, l'aggressore, si voltò senza curarsi di staccare le falangi dalla sua trachea, lo sguardo interrogativo a passare in rassegna la nutrita schiera di futuri ingegneri che sciamava via dall'aula.
«Quello è Kabuto san, Naruto kun» soffiò la voce di Sai, affaticata sotto la sua stretta ferrea.
Naruto seguì l'indice puntato, perplesso, e si pentì quasi subito d'aver messo di strangolare l'idiota, dato che quello non perse occasione di fargli presente che: «quando il saggio indica la luna, lo stolto guarda il dito».
«Che cavolo sarebbe un Kabuto san?» domandò, incurante della tosse asfittica dell'altro, impegnato com'era a stirare il collo per sbirciare dentro l'aula: un giovanotto con gli occhiali tondi stava pulendo la lavagna con un cancellino polveroso, solingo.
«Quello è un Kabuto san» si riprese Sai, la voce solo un po' roca. «È l'assistente di Orochimaru sama, sicuramente lui saprà dov'è».
Naruto sgranò gli occhi, estasiato: Kabuto san! Sempre viva Kabuto san, e viva Sai, soprattutto!
«Tu come diavolo...»
«Ho studiato l'organigramma di tutte le facoltà dell'ateneo, per comprendere le dinamiche che...» ed estrasse un libriccino zeppo di schemi e – ben più inquietante – fotografie con relative didascalie di quello che doveva essere l'intero corpo docenti. Ma a Naruto non ebbe il tempo di preoccuparsene: era già schizzato in piedi come una raganella schizofrenica, le energie di colpo ripristinate, neanche fosse stato sottoposto ad un qualche genere di power up da video game. Sgomitò tra gli ultimi studenti che si erano attardati davanti alla porta e si fiondò in aula sbraitando «Kabuto saaaan!» come un indemoniato.
La prima conseguenza del suo insano gesto fu quella di richiamare l'attenzione del suddetto Kabuto san, e questo fu certamente positivo. Peccato che, subito dopo, Naruto inciampò sulla borsa di questi, una valigetta assai professionale parcheggiata in terra, tra cattedra e lavagna: il risultato fu un discutibile tuffo carpiato del nostro atletico eroe. In ogni caso, simile prodezza ginnica non avrebbe avuto alcuna altra conseguenza di uno sbilenco atterraggio qualche metro più in là, se non che, proprio qualche metro più in là, c'era Kabuto: l'impatto si portò via una sedia e il cancellino ebbe l'accortezza di cadere proprio in testa a Sai, accorso sul posto con rapidità.
Il ragazzo seguì con distacco il rimbalzo dell'oggetto, che impattava al suolo con un tonfo fumoso di gesso, e non mutò espressione, perfettamente composto. Scorse lo sguardo sulla schiena di Naruto, spalmato addosso ad un Kabuto privo di sensi e notevolmente ammaccato e attese che lui si voltasse di qualche grado, sconcertato dal suo stesso irruente gesto.
«Non credo ci fosse bisogno di placcarlo, Naruto kun» sentenziò, saputo.
E se non fosse stato nel serio pericolo di ricevere già una denuncia per aggressione, Naruto gli avrebbe volentieri rotto una sedia in testa.


Naruto Uzumaki non era una persona violenta, tutt'altro. Poteva essere un tantinello irruente, spesso non sapeva dosare la forza e se provocato era facile a venire alle mani... D'accordo, Naruto Uzumaki era una persona violenta, ma non cattiva, ecco. Se non provocato, era praticamente impossibile che il suo cervello venisse attraversato da pensieri di natura distruttiva – di solito era attraversato da placidi pensieri mangerecci e altri impulsi cerebrali assolutamente innocui. In quel momento però, quello stesso pacifico cervello era impostato sul pericoloso comando “Sas'ke! Sas'ke! Sas'ke!”, che a quanto pare aveva il terrificante potere di interrompere tutti i collegamenti sinaptici adibiti al controllo delle pulsioni e risvegliare invece la secrezione intensiva di sostanze quantomeno nocive: non si spiegava altrimenti il motivo per cui, nonostante Kabuto fosse chiaramente se non del tutto incosciente, almeno in stato confusionale, il nostro normalmente benevolo eroe l'avesse afferrato per il colletto gridando che aveva assoluta, impellente necessità di incontrare Orochimaru, perché – aveva aggiunto nella foga – doveva decidere se spaccare la faccia a Sasuke, magari strangolarlo con un filo del telefono – sembrava un contrappasso azzeccato – o sbatterlo su un letto e farci l'amore per i due mesi seguenti mentre guardavano film stupidi e intingevano pomodori nel brodo del ramen.
Comprensibilmente, questo elenco di propositi deliranti berciati da un ventiquattrenne fanciullo non esattamente esile a cavalcioni sul corpo esanime d'un poveraccio atterrato da lui stesso, aveva attratto un bel po' di studenti e persino qualche docente delle aule accanto.
Il risultato era stata un'attesa fuori da un'infermeria e la seria minaccia di una denuncia, sedata momentaneamente solo grazie a Sai, che testimoniò a favore di Naruto e contro la borsa che l'aveva fatto inciampare – per la parte delle urla belluine, aveva scrollato le spalle e manifestato l'intenzione di appellarsi all'insanità mentale in sede di giudizio.
Quando finalmente la concitazione si era ridotta, Naruto aveva già avuto il tempo di chiedere scusa ventidue volte ad un Kabuto supino, prima incosciente, poi seriamente dolorante, infine chiaramente incazzato.
«Le ho già chiesto scusa molte volte» ribadì il nostro mortificato eroe un quarto d'ora dopo, tenace. Nonostante le ottime credenziali – occhi blu e la faccia d'un ragazzone che, invece di ucciderle, le mosche le accompagna fuori dalla porta -, ciò che Naruto ottenne da Kabuto furono solo occhiatacce e improperi, non tanto per le chiappe e la nuca e la schiena lese, quanto per via degli occhiali: si erano tragicamente sfracellati nella caduta. Il fatto che Sai avesse aggiunto, in un sorriso: «fortunatamente a sfracellarsi non è stata la sua testa», non aveva aiutato la disposizione d'animo dell'assistente.
«Per favore, voglio solo sapere dov'è Orochimaru! Poi prometto che se vi va mi faccio arrestare!» proseguì però Naruto, inarrestabile ai limiti della stoltezza, e che l'affermazione fosse stupidamente illogica non aveva importanza; Sai del resto era troppo impegnato a prendere appunti – sotto il titolo di “gesti eclatanti compiuti per rinsaldare legami perduti”, qualunque cosa volesse dire nel suo cervello bruciato – per preoccuparsi di far uscire il suo degno compare d'avventure dalla modalità stalking compulsivo.
In un ultimo afflato di speranza e senza curarsi del fatto che la mano di Kabuto fosse ormai scivolata vicino ad un bisturi con chiari intenti omicidi, Naruto riuscì anche a cacciare fuori il ritratto di Sasuke e spalmarglielo praticamente sul naso: peccato che, con le loro sette diottrie in meno, le pupille di Kabuto fossero totalmente inette. In compenso, essere nuovamente molestato dal biondo aggressore causò nel giovane ingegnere la definitiva crisi isterica che si concluse con Sai che tirava via Naruto dalla traiettoria di un bisturi, un'infermiera urlante e l'assoluta opposizione di Kabuto a rivelare qualunque informazione su Orochimaru, fosse anche semplicemente il suo numero di scarpe, perché non avrebbe mai messo il suo maestro nelle mani di due schizzati chiaramente usciti da un ospedale psichiatrico con chissà quali terribili intenti – magari vivisezionare Orochimaru e mettere il suo geniale cervello in formaldeide, per i posteri.
Infine, sotto la minaccia di avvisare il vicino comando di polizia se in futuro si fossero azzardati a rimettere piede in facoltà, i nostri eroi si erano decisi a levare le tende.
Naruto aveva ubbidito a malincuore, con Sai a trascinarlo via per le spalle, il sorriso cortesissimo da gelare il sangue usato come deterrente per chiunque volesse avvicinarsi; infine si era rassegnato a farsi condurre fuori dall'edificio, sotto il sole di mezzogiorno.
«Sono molto dispiaciuto per la tua perdita, Naruto kun» tentò di consolarlo da voce di Sai dopo un po', quando ormai si erano lasciati alle spalle quella trappola architettonica della facoltà di Ingegneria, che comunque incombeva imponente come una Morte Nera con la sua ombra netta.
Naruto storse il naso, distogliendo lo sguardo per portarlo sulla strada, verso gli altri edifici – la facoltà di medicina salutava alta e chiara contro il cielo fin troppo terso per il suo umore cupo.
«Mica è morto, Sasuke» borbottò imbronciato, le mani nelle tasche e i piedi a strusciare in terra mogi.
«Oh, non ha importanza. Se non lo vedrai mai più è come se fosse morto, no?»
«Davvero Sai, secondo me hai scelto la facoltà sbagliata: non sei proprio portato».
«Perché dici così?»
Alla fine, Sai insistette per offrirgli il pranzo e lasciargli persino il numero di telefono, intontendolo di ciarle su come fosse produttivo cercare di costruire una rete di rapporti sociali da mantenere viva mediante momenti d'aggregazione – il pranzo, appunto – e l'utilizzo della tecnologia delle comunicazioni, strumento che aveva modificato il mondo della sociologia in modi che Naruto preferì ascoltare solo distrattamente, molto preso dal masticare il suo panino – solenne nostalgia quando i suoi denti incontrarono un cetriolino.
Tornò a casa senza fermarsi a cercare Sakura – ne aveva abbastanza di infruttuose ricerche in edifici astrusi – e una volta lì, non si sentì minimamente in vena di pulizie. Degnò i cartoni vuoti della pizza di un'occhiata afflitta e tirò dritto in camera; ai due tonfi mollicci delle scarpe lanciate alla rinfusa, seguì il cigolio delle molle vecchie sotto il suo peso stanco e, con la faccia affondata nel materasso, il nostro mogio eroe si sentì di nuovo la teenager più stupida dell'universo tutto.


Oggettivamente, non ne era uscito bene. Non gli era mai capitato di prendersela tanto: insomma, aveva incontrato un tizio, ci aveva fatto del sesso notevole e poi quello se n'era andato, tutto qui: mica da costruirci chissà quale film.
E però Naruto Uzumaki, ventiquattrenne, biondo, arancione, omosessuale mollato random da uno stronzo random, nuovo fattorino a tempo indeterminato dell'Ichiraku Ramen, non riusciva a ripigliarsi. Non aveva buttato il ritratto di Sasuke, tanto per dirne una: non l'aveva incorniciato e, anzi, in un impeto di rabbia l'aveva anche accartocciato, ma ecco, era comunque rimasto lì, lanciato a rimbalzare secco contro il muro e stanziatosi in un angolo, silenzioso e triste.
Persino l'entusiasmo per la prima sera di lavoro non era riuscito a tirarlo del tutto su, neanche quando gli amici gli avevano fatto una sorpresa facendosi recapitare l'ordine più abbondante direttamente a casa di Kiba – aveva preferito non far loro sapere che aver dovuto consegnare sei porzioni di ramen bollente dall'altra parte della città gli sarebbe costato più in benzina che altro, ma erano così entusiasti e amavano tanto la sua maglietta giallo evidenziatore col logo del locale, che Naruto non aveva avuto cuore di farglielo sapere.
Di ritorno a casa, sul tardi, fare quei sette, consueti piani di scale gli era parso lunghissimo e infinitamente noioso e, come se non bastasse, era riuscito anche ad incontrare la vecchia Chiyo che, annunciata dallo strusciare minaccioso delle solite ciabatte – ma che diavolo ci faceva in giro a mezzanotte passata, poi? - gli aveva brontolato «questa sera il vicinato potrà dormire o hai nuovamente intenzione di darti alla sodomia fino a notte fonda? Ai miei tempi...»
E lì, Naruto, contrariamente alle proprie abitudini - in fondo la vecchina era pedante e un po' rompicoglioni, ma non particolarmente dannosa, inoltre aveva una certa ragione dalla sua riguardo gli schiamazzi e lui cercava d'essere comunque sempre cordiale – era stato sul punto di risponderle seriamente piccato. Solo che lei l'aveva preceduto: squadratolo da capo a piedi, aveva sbuffato con aria saggia e «Ti ha mollato, eh? Il mondo è pieno di idioti, ragazzo, presto ne troverai un altro» aveva sentenziato, lasciandolo così di stucco che, quando poi si era ritirata oltre il battente della porta – senza però smettere di borbottare riguardo quanto i giovani fossero chiaramente lenti di comprendonio, oltre che dei patetici pivelli che non sapevano niente della vita – Naruto era ancora immobile sul pianerottolo, le chiavi in mano e la bocca a fare da rifugio per i moscerini.
Seriamente, si era poi detto con decisione, dopo essersi chiuso la porta alle spalle: non esisteva di stare così giù da doversi far consolare dalla vecchia Chiyo. Si stava veramente scadendo nel patetico, e tutto per un Sasuke. Un solo misero, stupido, maledetto stronzo di un Sasuke qualunque.
Ne trovava a frotte, di stronzi! La mamma degli stronzi è sempre incinta, non a caso. Aveva ragione la vecchia: se proprio voleva uno stronzo, se ne sarebbe cercato un altro, tutto qui. Mica da perderci il buon umore.
«Io sono Naruto Uzumaki, e scalerò l'Everest! Fanculo ai Sasuke!»
Lo specchio del bagno gli rimandò il riflesso spettinato di un fattorino di ramen istantaneo che era stato mollato poco più di dodici ore prima. Non esattamente un'immagine idillica da pubblicità dei cereali per la prima colazione.
Ciabattò scocciato in cucina, dove ancora giaceva la sua sporcizia – colture batteriche prosperavano tra televisione e divano. Lo stesso su cui si buttò a peso morto, riuscendo anche a spostarlo di qualche centimetro in un fracasso che, al solito, attivò il cane al piano di sotto. Quell'animale necessitava seriamente di un tranquillante per rinoceronti o di una lunga, lunga vacanza.
Infine il nostro mogio eroe si rassegnò a se stesso: sapeva d'essere stupido, così come sapeva che a prendere a cuore una cosa simile avrebbe finito solo per farsi male, ma niente. O seguiva la sua indole o doveva mettersi a litigare anche coi suoi organi interni, oltre che con tutto il condominio, e lui non era portato per i dissidi interiori da poeta maledetto, quella roba cervellotica da persone profonde era meglio lasciarla a ragazze come Sakura. Lui era uno stupido: glielo ripetevano dalla più tenera età, faceva parte di lui e se essere stupidi significava seguire fino in fondo la via che in quel momento gli pareva giusta allora va bene, probabilmente lo era. Il più grande stupido del mondo. Il più grande stupido del mondo che teneva tra le mani un ritratto scartocciato, rugoso e sbaffato, uno stupido con il cervello saturo alla disperata ricerca di un piano d'azione che gli consentisse di frugare l'elenco degli iscritti alla facoltà di ingegnomedicologia – quella roba lì.
Stava quasi per chiamare Sai – non si sa se per masochismo o che altro -, convinto comunque che lo psicopatico l'avrebbe aiutato anche se gli avesse proposto qualcosa di illegale, tutto in nome dei suoi complicati studi sociologici, ma quando già aveva scorso la rubrica fino alla C di Coglione – appena sotto Cagnaccio, che corrispondeva al cellulare di Kiba – si bloccò col pollice sul tasto verde, preda d'un improvviso sgomento.
Poteva essere una panzana, realizzò, come una scossa elettrica. Qualcosa di molliccio si coagulò sul fondo del suo stomaco, a pesare di rabbia e frustrazione contro la sua schiena, incassata nel divano cedevole.
Poteva essere una palla, che ne sapeva? Magari Sasuke neanche si chiamava Sasuke, magari era uno spostato sessuomane che si divertiva a cambiare amante ogni sera e raccontava ad ognuno una storia diversa – quell'Orochibutomaru era una personalità ben nota, no? Gliel'aveva detto anche Sakura: lo Stronzo doveva essersi inventato una palla pseudocredibile così, per farlo fesso. Effettivamente aveva pensato che la facoltà di Ingegnerobiomedicamentosità fosse una roba troppo assurda per esistere... Ah, no, okay, quella esisteva. Ma restava comunque troppo assurda e...
«Che palle!» rantolò, sprofondando ancora di più nell'imbottitura. Il cellulare scivolò dalla sua mano e si sfracellò a terra, con estremo disappunto del cagnetto idrofobo residente al sesto piano.


Un mese dopo l'incresciosa avventura, il nostro eroe da Naruto Uzumaki, ventiquattrenne biondo, arancione, omosessuale alla ricerca dell'anima gemella, allegro e disoccupato, si era stanziato morbidamente nella definizione di Naruto Uzumaki ventiquattrenne biondo, arancione, omosessuale un po' sfiduciato nell'amore, nonostante tutto allegro e ormai collaudato fattorino a tempo indeterminato dell'Ichiraku ramen. Non era per nulla una brutta vita, faceva duemila cose come al solito, sempre rumoreggiando molto, e lo scorso fine settimana era anche riuscito a convincere il buon vecchio Jiraiya, il suo pimpante padrino cinquantenne, a svagarsi con lui in montagna. Nella fattispecie “svagarsi” nel vocabolario narutesco significava “salire a picco su metri e metri di parete verticale”, ma l'uomo, avvezzo al rischioso hobby del figlioccio, l'aveva presa con filosofia.
Stare con Jiraiya aveva quasi definitivamente rinfrancato l'arancioso spirito del nostro eroe, che era quindi ritornato in città più vitale e attivo - come il bifidus, sì -, pronto a rituffarsi negli intrighi da telenovela tessuti attorno a Ino dall'abile mente votata al romanticismo che risiedeva nella scatola cranica di Sakura Haruno. I nuovi sviluppi della vicenda comprendevano la comparsa di Sai, che aveva preso a frequentare la congrega per via dei suoi studi sociologici – così diceva lui. I risultati di questo nuovo sodalizio erano stati: farsi odiare enormemente da Sakura, venire giornalmente alle mani con Naruto e finire tra le grinfie amorevoli di Ino, che gli ronzava attorno apparentemente indecisa lei stessa su come muoversi con un tipo tanto assurdo.
Quel dì Sakura aveva appena finito di esporre nuovamente il problema – il problema si chiamava quel pigro cialtrone di Shikamaru finirà per farsela sfuggire! -, per poi perdersi a parlare del futuro con voce mogia. Naruto ascoltò paziente e anche vagamente divertito tutta la consueta trafila di propositi futuri: la sua migliore amica aveva un piano dettagliato che comprendeva lei e l'eterno amore – era fiduciosa che prima o poi le sarebbe piovuto in testa - e una brillante carriera di cardiologa, Naruto possibilmente accasato con un brav'uomo di sani principi morali, Ino felicemente sposata con Shikamaru, Chouji ammogliato con una ragazza bravissima, buonissima, purissima e levissima e quindi probabilmente inesistente – non era Chouji ad essere esigente, erano gli amici ad esigere che fosse ripagato della sua santità con altrettanta santità - e Kiba e Hinata circondati da un branco di cuccioli, sia umani che canidi, a completare il quadro. E quindi ecco, spiegò seccata e diretta nella cornetta del cellulare – facile immaginarla mentre tamburellava col dorso della penna sulla copertina di un manuale -, Sai stava scombussolando il suo schema – eh, che ansia!
Prima di sentirla esplodere come un coreografico fuoco d'artificio rosa, Naruto si affrettò a tranquillizzarla: secondo lui l'unica donna che Sai avesse mai conosciuto intimamente doveva essere sua mamma il momento della nascita, per il resto del tempo probabilmente era vissuto in una boccia di pesci rossi o in una capsula criogenica - e questo spiegava anche il suo colorito praticamente cianotico.
«Basta solo aspettare che Shikamaru si dia una mossa» concluse Naruto, mentre cercava di rimettere in moto il catorcio che gli si era appena spento su una salita appena più ripida; «Shikamaru si dà sempre una mossa prima o poi. Abbi fede». Ed era vero, eh: Ino per ora sembrava troppo persa tra gli studi e una comprensibile voglia di divertirsi per accorgersi che l'uomo della sua vita stava dietro di lei come una saggia, intelligentissima ombra paziente da quando i due erano ancora in grembo a due madri in travaglio nella stessa corsia d'ospedale, ma Shikamaru era un paziente stratega, e prima o poi le cose si sarebbero assestate da sole.
Ecco: ciarlare con Sakura aveva sempre la sua bellezza, peccato che dover contemporaneamente evitare un incidente stradale, salvare tre porzioni di ramen bollente dal suicidio sull'asfalto e risparmiarsi possibilmente una multa succhiastipendio – anche perché non è che il suo stipendio fosse questo gran capitale – rendesse l'attività meno distensiva del consueto.
«Adesso devo proprio andare, eh» salutò nella cornetta ammaccata, lanciandole un in bocca al lupo per l'esame mentre imboccava una curva a gomito. Parcheggiò in derapata – in realtà semplicemente sbandò, urlando come una donnicciola quando per poco non si schiantò contro un idrante – e Sakura a quel punto dovette ritenere che era giunto il momento di attaccare, piuttosto che quello di mettersi a rantolare di disperazione per l'esame imminente. Salutò raccomandandosi di guidare piano e Naruto non le rispose male solo perché stava cercando di sopravvivere e perché, beh, era Sakura. Fosse stato Kiba avrebbe rimesso in moto il trabiccolo e sarebbe andato direttamente a casa sua a fargli ingoiare l'olio del motore per mezzo d'un imbuto.
Comunque, alla fine il nostro eroe arancione raggiunse illeso il marciapiede, il ramen ben impacchettato nella destra e sotto il naso il foglietto dell'ordinazione, da recapitare a tale Hozuki Suigetsu al civico ventitré.
Sul citofono c'erano un bel po' di nomi, ma nessun Hozuki, così Naruto si rassegnò a schiacciare l'unico pulsante privo di targhetta leggibile, molto seccato con i soliti clienti approssimativi che tendevano a fargli perdere inutilmente tempo. La sua stizza salì notevolmente quando la risposta, solo dopo la terza scampanellata, arrivò piuttosto seccata da una voce rude e piana. Il nostro normalmente cordialissimo eroe fu degnato solo di un monosillabico «sì» senza inflessione interrogativa e ci volle tutta la sua buona volontà per non rispondere in maniera scortese. Dopotutto, il cliente ha sempre ragione e perdere il lavoro per così poco era fuori discussione, così il fattorino ingoiò un grumo di irritazione e rispose: «il ramen che hai ordinato», arrogandosi come risarcimento solo il diritto di un informale tu.
Fu ripagato da una sorta di sibilo scocciato e dai toni soavi di una voce femminile che gridava – probabilmente da un'altra stanza – una cosa sullo stampo del «lurida pozza, se è per te va' a rispondere tu, non mandarci gli altri!» col tono d'una educatrice per l'infanzia particolarmente piccata: al successivo rumore secco che gli fece strizzare gli occhi, Naruto comprese che “gli altri” - alias il mister simpatia addetto al citofono – gli aveva appena sbattuto la cornetta in faccia. Stava per riscampanellare - il dito già contro i pulsante, deciso ad attaccar briga e salire anche solo per rovesciare quel ramen in testa a Suigetsu Hozuki, chiunque egli fosse -, quando l'apparecchio gracchiò di nuovo, quasi con timidezza.
«Siamo al terzo piano, la prego di scusarci».
Il nostro eroe, che era una persona di buon cuore – un cuore arancione amante di tutte le creature – si addolcì di colpo: quel vocione pacato, appena distorto dal citofono, raccontava una storia di pazienza infinita – facile crederlo, considerate le voci degli altri inquilini. Così, ristabilita un poco di fiducia nella cortesia del genere umano, Naruto si avviò oltre il poltrone, in un tramestio di ciotole e scatolame.
Il palazzo era vecchio e piuttosto inquietante, nella penombra di una luce fioca. Le scale si inerpicavano ripide e strette, tutte tese verso l'alto - cosa piuttosto sensata per una scala, ma in quel caso pareva che per salire i gradini servisse un serio studio sul piano inclinato e Naruto di piani inclinati non ne aveva mai voluto sapere niente. Fortunatamente c'era l'ascensore o come minimo sarebbe stato necessario tornare a casa a prendere l'attrezzatura per arrampicare.
«Oh, non bloccarti, per piacere» lo supplicò Naruto, quando a metà del secondo piano le luci ebbero un fremito, ad accompagnare un sinistro grattare di lamiere.
Non appena le porte si aprirono, trasse un sospiro asmatico da fanciulla in difficoltà, compensando poi con più virile scatto da maratoneta nel momento stesso in cui poté fiondarsi fuori, del tutto incurante del brodo sballottato – e in discesa avrebbe preso le infide scale, altroché.
«Visto? Sei salvo!» ragliò rivoltò alla confezione di ramen da asporto, dentro cui stavano le ciotole impilate ordinatamente da Teuchi in persona.
«Ma che fai, parli da solo col ramen? Bell'animale strano che sei».
Le sopracciglia di Naruto si aggrottarono del tutto spontaneamente quando il suo collo ancora non s'era voltato; lo fece un attimo dopo, portandosi dietro l'opportuna espressione un po' perplessa un po' incazzosa, che però si sciolse all'istante non appena gli occhi incontrarono la figura incorniciata dalla porta aperta. Lì sotto, un po' in ombra per via della luce proveniente dall'interno della casa, alle sue spalle, stava Suigetsu Hozuki. Suigetsu Hozuki che era un tizio assurdo coi capelli azzurri, col sorriso da squalo e lo sguardo da pazzo; un tizio assurdo che Naruto aveva già visto.
«Saaasuke, tu mangi?» si intromise la voce acuta della ragazza, portandosi dietro la ragazza stessa, occhiali dalla montatura spessa e capelli rossi compresi nel pacchetto. Si affacciò quasi buttando a terra il coinquilino, l'amico, il tizio, chiunque fosse per lei Suigetsu Hozuki, sempre che quello fosse Suigetsu Hozuki. E lo era, perché poi spuntò anche la testa altissima di un tizio altissimo - lo stesso tizio altissimo che- sì, insomma, quello. Quello del succo di frutta – e fu appellato con un lagnoso «Juugo, ce l'hai da cambiare?» da Suigetsu Hozuki in persona. E il nostro perspicace eroe spalancò la bocca, illuminandosi dall'interno ancor prima che quello, Juugo, rispondesse in modo alquanto incoerente con «Sasuke ha detto di dirvi “morite”. Credo significhi che non cenerà con noi».
Al che, al diavolo Suigetsu Hozuki che cercava di mettergli una banconota in mano e di ritirare il suo sacrosanto ramen, quello era tutto ciò che Naruto aveva bisogno di sentire per far scattare il suo personalissimo blitz.


Fare irruzione in un appartamento privato è illegale. Fare irruzione in un appartamento privato urlando «bastardooooo!» e buttando all'aria Suigetsu Hozuki con una spinta è criminale, specie se poi, non contento, utilizzi uno scatolone pieno di ramen bollente a mo' di ariete per sfondare la difesa di Juugo e catapultarti in un corridoio non tuo di una casa non tua mentre una Karin strepita che «Devi solo provare ad avvicinarti, sono cintura nera di karate!» – affermazione poco credibile urlata brandendo un portaombrelli a mo' di clava.
Il nostro eroe non era un criminale, ma pareva che, da quando Sasuke gli era capitato tra i piedi, fosse stato propenso a darsi al terrorismo e alle aggressioni con una facilità che sarebbe risultata come minimo preoccupante se analizzata da Sai, per esempio, e che invece era scivolata felice nello scomparto “cose che vanno fatte perché il tuo corpo lo decide da solo” - un ampio loft nel cervello, proprio accanto allo sgabuzzino in cui era rimasto intrappolato il buonsenso, un dì che il nostro eroe non sapeva ancora parlare e già si produceva in immani cazzate: quella che si dice la predisposizione genetica.
In ogni caso, anche quando Karin aveva già tirato fuori il cellulare per contattare la polizia, i carabinieri e l'esercito – come stava sbraitando alquanto infervorata – Naruto non si era fermato: seguendo il suo istinto animale, o forse solo perché non è che il posto fosse così grande, aveva sfondato una porta con un calcio diretto dato con tutta la sua forza, proprio come nei telefilm con l'FBI che butta giù usci randomici senza neanche mezzo mandato di perquisizione o simili. Ovviamente, si trattava di una di quelle cose che, appunto, succedono solo nei film: l'unico motivo per cui la porta effettivamente cedette contro il piede di Naruto, sbilanciando lui direttamente dentro la stanza, fu che l'occupante avesse scelto quel momento esatto per aprirla, tra l'altro ringhiando «volete stare zitti?» col tono d'uno che fosse stato interrotto mentre era ad un passo dallo scoprire il vaccino contro il cancro.
Sasuke non aveva scoperto un bel niente, a dirla tutta: aveva solo aperto la porta ed era rimasto lì, con una faccia da vampiro appena emerso da una cripta, ed effettivamente quella stanza ombrosa, lunga e stretta, somigliava un po' ad una bara. Sasuke invece, agli occhi di Naruto, somigliava a qualcuno che a breve ne avrebbe avuto bisogno, di una bara. E di un catafalco e di un officiante al rito funebre o, nel migliore dei casi – suo buon cuore permettendo –, almeno di un bravo ortopedico. Il pensiero omicida fu fugace, comunque, perché il nostro eroe era troppo preso dalla catartica sensazione delle sue nocche che impattavano contro la faccia di Sasuke, tutte le energie concentrate nel pugno e nelle corde vocali che gridavano «tuuuu!», in un'ammonizione ancestrale di rivalsa per tutti gli amanti abbandonati di tutto l'universo di tutti i tempi, o qualcosa di epico su questa linea.
Naruto ricominciò a respirare solo una volta constatato di non aver effettivamente ucciso Sasuke: gli era semplicemente caduto sopra per accompagnare lo slancio del pugno nel tentativo di fargli il più male possibile e adesso quello, lo stronzo contuso, se ne stava sotto il suo peso a guardarlo stralunato e – ma presumibilmente su questa considerazione influiva il giudizio dell'amante abbandonato – irrimediabilmente facciadicazzomunito.
La situazione statica durò ben tre lunghi, silenziosi secondi – fatta salva Karin che litigava con il centotredici perché, sosteneva lei, «stanno ammazzando il mio coinquilino e voi mi lasciate minuti interi ad ascoltare Rihanna?! Cos'è, oltre al danno la beffa?» –, finché Naruto non fu ripagato d'un cazzotto altrettanto significativo: il colpo lo ribaltò sul pavimento come un'omelette, cosa che parve tranquillizzare l'ombra imponente di Juugo, giunto in silenzio a fare le veci del tutore dell'ordine.
Naruto, stordito, era comunque troppo preso da Sasuke – Sasuke, Sasuke! Dattebayo! - per preoccuparsi di cosa un omaccione uno e novanta avrebbe potuto fargli se avesse insistito nel tentare di ammazzare a pugni il suo coinquilino; incurante delle conseguenze – la più probabile delle quali contemplava la sua ospedalizzazione con lo stampo delle nocche di Juugo impresse sul suo naso a memoria imperitura dell'inviolabilità dell'altrui domicilio -, aprì la bocca fumando dalle orecchie, la cartuccia di insulti già pronta sulla punta della lingua e l'indice puntato. Sasuke però fu svelto e, piuttosto che perdersi in chiacchiere, trovò più produttivo assestargli un altro cazzotto e spedirlo dritto contro una pila di libri. Mezzo skyline della scrivania ingombra crollò insieme a Naruto sul pavimento e, solo quando la granitica zucca del nostro eroe andò a collidere con lo spigolo di una tesi di laurea rilegata, Sasuke parve ritenersi relativamente propenso ad evitare di infliggere altro dolore al giovane Uzumaki.
«Ganzo, una rissa! Io scommetto su Sasuke, senza offesa» commentò la testa di Suigetsu, che sporgeva curiosa dal corridoio, incurante della tensione palpabile.
«Fuori» sillabò solo Sasuke, secernendo veleno a fiumi, senza neppure voltare il capo.
La mano di Juugo, silenziosa e discreta, spuntò fuori dal nulla e chiuse piano la porta, ancor prima che Karin avesse il tempo d'affacciarsi curiosa; Naruto ne seguì il guizzo di capelli rossi con la vista appannata, sconvolto, finché Sasuke non riprese parola, pronto a frustare l'aria ad ogni sillaba, le palpebre strette e le braccia conserte.
«Che diavolo ci fai qua».
Naruto si guardò attorno per un momento, stralunato, il sedere sul pavimento freddo e un crollo di grattacieli librari che, integerrimi, continuavano a franargli accanto. Fece quasi per cercare di raccogliere il disordinato disastro; realizzò l'assurdità del gesto che già aveva messo mano ad un librone di analisi matematica. Lo guardò fissò per un momento, prima di lasciarselo cadere dietro, alla rinfusa.
«Tu- io. Tu!» in un colpo si ricordò che doveva essere lui a picchiare Sasuke, non il contrario, e il pensiero gli diede abbastanza energie da permettere alle sue gambe di riportarlo in piedi. «Tu sei sparito!»
Sasuke guardò l'indice puntato contro la sua fronte come fosse pronto a staccarlo con un morso.
«Come sarebbe “sei sparito”, razza di imbecille patentato» sfrigolò, rovente. «Io non sono sparito, tu sei sparito».
Lì per lì, col cervello inceppato, il nostro eroe tentò di valutare quelle parole con razionalità, sebbene il vociare di Suigetsu e Karin che, dietro la porta, bofonchiavano «cantagliele, Sasuke!» senza evidentemente aver capito un fico secco ma divertendosi un mondo, non lo aiutasse nell'ingrato compito. Alla fine optò per schiudere la bocca e rantolare un verso interrogativo di molto simile al cigolio di cardini mal oliati che, comunque, parve sortire l'effetto sperato: Sasuke, da che teneva le palpebre assottigliate in assoluto spregio e ira, contrasse le sopracciglia, per rivolgergli una lunga occhiata indagatrice.
«Tu non sei analfabeta, vero?» domandò sospettoso, e pareva talmente serio che nello stomaco di Naruto si risvegliò nuovamente un istinto omicida – non esattamente sopito – dalle fattezze di demoniache zanne in un ribollire rosso di rabbia decisamente mal trattenuta. In procinto di ruggire fuori serie minacce alla salute dell'altro, il nostro furibondo eroe avanzò di due passi e fece per acchiappare Sasuke per le spalle e quantomeno strapazzarlo – magari scuotendolo si scopriva definitivamente che nella sua testa non c'era nient'altro che tanta stronzaggine raccolta in una densa sfera nera: se ne sarebbe sentito il suono di rimbalzo sulle pareti del cranio. Gliele aveva già acchiappate, le spalle, la faccia a due millimetri dal suo naso indisponente, quando di colpo, arrivò l'epifania.
«Perché pensi che sia analfabeta?» boccheggiò, e Sasuke ebbe persino l'ardire di storcere il naso per via del suo alito. Si astenne almeno dal prodursi in qualche poco pertinente lamentela ed emise un basso grugnito seccato.
«Non l'hai letto» concluse, chiudendo gli occhi per un breve momento – parve ad un passo dallo spalmarsi una mano in fronte e ruggire di noia. «Ti ho lasciato un biglietto, mentecatto. Dovevo lasciare il gas aperto e ucciderti, piuttosto. Avrei fatto un favore al mondo».
Ma Naruto non lo sentì, registrare la minaccia di morte era assolutamente superfluo. Un biglietto. Un biglietto. Un. Biglietto. Un biglietto come le persone normali!
«E dove cavolo sarebbe questo biglietto?!» sbottò poi, sballottando Sasuke come un sacco di patate, tanto da meritarsi un pestone. Si disinteressò anche a quello – che probabilmente si sarebbe rivelata essere una frattura composta dell'alluce - e fece quasi per mettersi a frugare in quella stanza in cerca del biglietto in questione; fortunatamente si astenne, così da consentire a Sasuke di assestargli un pizzico per indurlo a staccarsi, brontolare qualche altro insulto a suo carico – tutti riguardanti le dimensioni microscopiche del suo cervello - e spiegargli, adottando il tono seccatissimo da impiegato delle poste a due minuti dalla fine del suo turno, che non ne aveva la più pallida idea, che se la sua casa era un maledetto porcile la cosa non lo riguardava minimamente e che comunque anche se lo avesse trovato, quel dannato biglietto, sarebbe stato troppo stupido per riuscire a leggere la sua grafia, quindi tanto meglio così. Peccato che al nostro impavido eroe non fregasse nulla di nulla di quel blaterio rissoso da gatto arrabbiato, preso com'era a vagliare le alternative: biglietto? Che biglietto? Dove stava quel biglietto, perché non aveva visto il biglietto?
«Sasuke, porca miseria, dove l'avevi scritto?!» sbraitò, tornando a sbatterlo come un tappeto – e stavolta partì il gancio sotto il mento: la lingua del nostro eroe ne uscì male. Qualcuno dietro la porta sobbalzò tanto da dare una botta al battente e gridò «che vi dicevo? ho vinto!»: era la voce di Suigetsu.
«Su uno di quei tuoi merdosi volantini gialli, dannato fattorino del cazzo!» replicò Sasuke, le staffe ormai perse a passeggiare nello spazio aperto assieme alla pazienza e al controllo di sé.
Su uno di quegli merdosi volantini gialli, tipo il volantino giallo che si era ritrovato addosso al mattino, quello che aveva lasciato cadere nella foga di ritrovare il Sasuke perduto, quello che aveva spinto col piede sotto il divano; lo stesso divano sotto il quale lui non puliva mai perché tanto nessuno lo avrebbe spostato e allora che importava?
Naruto si sventolò la lingua dolorante, senza fiato.
«E... Eh 'he 'ehra 'hitto?»
«Cosa ha detto?» domandò la voce di Karin, turbata. Sasuke la ignorò.
«Che vuoi che ci fosse scritto, decerebrato? Dovevo andare all'università».
«All'università, a bioingegnoseria medicale da Orochibuto!» si rispose da solo il nostro eroe, sorvolando eroicamente – non per nulla era, appunto, un eroe – sulle papille perdute e sul dolore; e al diavolo l'aver mescolato due o tre cose insieme. Sasuke annuì in uno sbuffo, prima di specificare con saccenza: «Orochimaru, il relatore della mia tesi. Mi dovevo laureare, imbecille, ero in ritardo. Ti avevo scritto il numero».
E al diavolo anche gli insulti: Naruto era leggero come un sufflè, mentre ancora sbatacchiava Sasuke come un salvadanaio, incurante del fatto che lui stesse cercando di divincolarsi a pugni – non che il nostro ormai esaltato protagonista se ne fosse accorto, impegnato com'era a latrare: «questa cosa non ha senso! Il giorno prima della tua laurea stavi in giro a fare sesso?!» praticamente sulla sua faccia. Neanche i sibili oltraggiati di Sasuke riuscirono a smorzare l'entusiasmo: non era stato mollato! Sasuke era chiaramente un sessuomane, ma non l'aveva mollato! E gli aveva anche-
«Il numero! Il numero!»
«Sì, sai, quella sequenza che si digita su un apparecchio telefonico per-»
«Mi hai lasciato il numero!»
«Mi sto domandando perché l'ho fatto».
Che stronzo, pensò Naruto, spintonandolo. Che stronzo! E, in coerenza con le trenta pagine precedenti, la costatazione lo portò solo a zittire lo stronzo con un bacio, che fu tra l'altro radiocronacato da un urletto di Karin, occhio alla serratura; Sasuke borbottò qualcosa di indistinto sulle coinquiline yaoifangirl e i coinquilini idioti che ordinano ramen in posti pieni di usuratonkachi.
«Sei veramente uno stronzo laureato» conclusero le labbra di Naruto, dopo aver deciso che era più saggio zittirlo rubandogli altro ossigeno per un congruo numero di secondi.
Sasuke si strinse nelle spalle.
«Beh, effettivamente adesso sono laureato».
Ci sarebbe stato da aggiungere qualcosa sulla parte dello stronzo, ma l'unico altro pensiero sensato che il cervello di Naruto riuscì a formulare, solo un momento prima di spintonare Sasuke sul letto, guadando il pavimento disseminato di libri e pestando quella maledetta tesi di laurea, fu che – per gli dei – finito lì, come minimo Naruto Uzumaki, ventiquattrenne arancione, biondo, felicemente sasukesessuale a tempo indeterminato, fattorino a tempo altrettanto indeterminato dell'Ichiraku Ramen, quel numero di telefono se lo sarebbe fatto tatuare sulla fronte.


Sei un imbecille e io dovrei soffocarti nel sonno, non scriverti un biglietto.
Le tre e trentasette cosa, mentecatto? La tua sveglia è ferma, rotta. Un catorcio, come la tua stupida testa abitata da quell'ammasso di cellule che ti ostini a chiamare cervello: non sono le tre e trentasette, sono le otto passate e per colpa tua io sarò la prima persona al mondo ad arrivare tardi alla sua stessa seduta di laurea (sei un imbecille, ti odio. Ah, e russi: giusto perché tu lo sappia e non mi venga a dire che quello che russa sono io). Non ho tempo di soffocarti nel sonno, forse lascerò il gas aperto: se leggerai questo biglietto vorrà dire che ti avrò risparmiato la vita per un mio capriccio. Sii consapevole e ringraziami come si deve, magari usando il telefono (i misteriosi numeri scritti lì in alto, se digitati in sequenza sulla tastiera di un cellulare, ti permetteranno di parlarmi a distanza: te lo spiego nel caso non lo sapessi, data la tua natura di inutile cercopiteco ignorante).
E guarda che merde di biglietti chilometrici mi fai scrivere, idiota. Su uno stupido volantino giallo, poi.
Quasi quasi lo accendo davvero, il gas.
Muori, usuratonkachi.
Ti odio.

Sasuke (Uchiha, babbeo. Il piacere è tutto tuo)





Nda
Ahn... no, okay, meglio se resto in un dignitoso silenzio. Solo, grazie ai sopravvissuti che hanno speso tempo prezioso a leggere questa cavolata.
Comunque sì: Scontata Idiozia è il mio nome di battesimo e Suigetsu deus ex machina è una cosa che se non la scrivi non ci credi, ma io l'avevo detto che era una cretinata *piagnucolii*

Parlando d'altro, auguri a ssscarkun *sibilo*: la nostra luminescente, sommergibile, ignifuga pissicologa iperimpegnata! Considerato il poco tempo che hai e la tua predilezione per cose decisamente più impegnate e profonde, appiopparti 'sta stupidata è stata UN'IDEA CRETINA, ma non è che abbia mai dato a intendere d'essere intelligente, io (altrimenti suppongo non scriverei cose simili). Comunque dentro c'è tanto amore ùù'
'Kay, mh. Leggi solo gli auguri: auguri! **


  
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