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Autore: fiammah_grace    07/07/2012    2 recensioni
Sebbene tutto fosse finito, quell’insopportabile aria pesante circolava ancora negli appartamenti e nell’intero edificio, inglobato tuttora nel mondo creato dall’assassino Walter Sullivan.
Henry era preparato per una nuova vita lontana South Ashfield. Le valige erano pronte già da un pezzo, in verità, poggiate sul ciglio della porta da giorni. Non che avesse granché da portare con sé, in realtà.
Eppure qualcosa ancora lo legava a quell’appartamento oramai inglobato completamente in quel macabro incubo al quale non sapeva dare nemmeno un nome.
Guardandosi in giro, aveva la pessima sensazione che non fosse in grado si lasciare l’appartamento 302...
...o peggio...
....che oramai non potesse essere più capace di farlo.
Come se, a quel punto, anche lui fosse rimasto incatenato nell’incubo che continuava ad apparire ai suoi occhi, divenendo così egli stesso parte di esso...
Genere: Dark, Horror, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Henry Townshend, Un po' tutti, Walter Sullivan
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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CAPITOLO 03 
  
  
    
“Sebbene il mio corpo sia stato distrutto, non vi lascerò passare di qui. In preparazione di Colui che riceve Saggezza... 

Ho tagliato il mio corpo in 5 pezzi e il ho nascosti nelle tenebre.
 

Quando il mio corpo sarà nuovamente intero, si aprirà la strada verso il basso. Se sei Colui che riceve Saggezza, capirai le mie parole.”




(Messaggio tra le rovine della Wish House) 
  
  
  
    
[APPARTAMENTO 302. Camera da letto di Henry Townshend.] 
  
Fu davvero un incubo bizzarro, quello che fece Henry quella notte. Eppure era stato, nella sua stranezza, così realistico che più volte si chiese se fosse accaduto per davvero. 
Era sempre nell’appartamento 302. Era buio e si trovava sul pianerottolo della palazzina. Tuttavia l’atmosfera aveva un che di tetro e curiosi rumori metallici rimbombavano nel silenzio. 
Sebbene fosse stato solo un sogno, Henry aveva avvertito perfettamente l’angoscia di essere lì. Le tenebre impedivano una visuale ottimale. Si rese conto solo dopo che aveva un campo visivo troppo completo della palazzina per essere una situazione realistica. 
Riusciva infatti a distinguere perfettamente tutti e tre i piani, come se stesse galleggiando proprio sopra di essi. 
Oscillava in quell’area profonda provando un curioso senso di vertigini. 
Poi…all’improvviso, si accorse che non stava affatto galleggiando, ma era…letteralmente appeso sul soffitto. 
  
Subito cominciò a dimenansi e ad urlare, sudando e impallidendo sempre di più. In più notò non solo di essere legato, ma che un tessuto, a metà tra un normale lenzuolo e un qualcosa di organico, lo avvolgeva lungo tutto il corpo. 
Quel senso di sopraffazione cominciò a opprimerlo, tanto da sentirsi soffocare finché, dal terrore, non si svegliò. 
  
Spalancò gli occhi di colpo e le tenebre si dissiparono così repentinamente da lasciarlo sgomentato lì, nella stanza da letto del suo monolocale a South Ashfield. 
Avvertiva il sudore solcare la fronte e il calore sulla pelle che andava a opprimerlo incessantemente. 
  
“Ah…cosa mi…sta succedendo…?” disse, ansimando, con voce strozzata. 
  
Lanciò via le lenzuola e con un gesto fulmineo scese dal letto e si diresse nel bagno. Era disorientato e stanco… 
Aveva assolutamente bisogno di riposo, ma restare lì, a South Ashfield, non gli avrebbe mai permesso di lasciare spazio alla tranquillità. 
Perché se chiudeva gli occhi, nei suoi sogni sorgevano quegli incessanti incubi. 
Spalancò la porta del bagno, già cigolante e pericolante di suo, e poggiò le mani sull’orlo del lavandino. 
  
Aveva caldo. 
La pelle, il respiro… 
Bruciava tutto. 
  
Inarcò il busto e lasciò scivolare via la maglia lungo la schiena. Avvertì dei profondi brividi attraversare il suo corpo, mentre tremava, ansimava, incapace di capire. 
  
Sapeva benissimo che avrebbe risolto tutto con un semplice gesto. Semplicemente fuggendo da South Ashfield. 
Le valige erano pronte. Erano poste all’ingresso da tempo. Il suo lavoro era così precario che avrebbe potuto chiudere la baracca in qualsiasi momento. Inoltre in quel momento era abbastanza autosufficiente, economicamente parlando, da potersi permettere una piccola casetta in periferia. E poi…aveva…Eileen. 
  
Quale oscuro motivo, dunque, gli impediva di abbandonare l’appartamento 302? 
La cosa più bizzarra di tutte, era proprio questa. Henry non era in grado di abbandonare quel mondo. Semplicemente non riusciva a farlo. 
  
Odiava quell’appartamento. Lo odiava e lo soffocava, ma non era in grado di fare quel passo. Come fosse incatenato all’interno di esso. 
  
Aprì il rubinetto e gettò l’acqua sul viso ripetutamente, sperando di cancellare quell’oppressione. 
  
Presto si rese conto che sarebbe valso a poco quell’atteggiamento compulsivo. Non poteva impazzire proprio adesso, dopo aver fatto l’impossibile per sopravvivere. 
  
Alzò gli occhi verso lo specchio appeso proprio di fronte il lavandino. Doveva essere forte e doveva essere assolutamente in grado di risolvere tutto…! 
  
“!!” 
  
Il viso gocciolava ancora mentre scostava le mani e faceva per afferrare un asciugamano, ma gli bastò una fugace occhiata al suo riflesso per trasformare la sua mente in un oblio profondo. 
  
Il suo volto… 
Un attimo…era proprio lui?? 
  
L’immagine dell’uomo riflessa allo specchio gli rassomigliava parecchio. 
Henry lo guardò per meno di un secondo, ma quegli sfregi su gran parte del corpo e della faccia non riuscì a dimenticarli. 
I capelli scuri ben tagliati coprivano gran parte del volto, tuttavia non nascondevano il rosso organico di cui era macchiato. 
Quel sangue, in alcune parti così vivo da farlo rabbrividire, in altre più secco, grondava dalla fronte e dal naso. La sua pelle, spaccata, sembrava quella di qualcuno che era stato atrocemente deturpato. 
Sul collo aveva delle incisioni, erano… 
  
21…21… 
  
Strofinò il viso velocemente e sgranò gli occhi, completamente nel panico. 
  
“Non…è possibile!” urlò, spaventato. Riaprì velocemente gli occhi, ma a sua grande sorpresa, di fronte a sé, ritrovò il solito e semplice riflesso della sua immagine. 
  
“Ma cosa diavolo..?” 
  
La sua voce era smarrita e si sentiva quasi di venir meno. Cosa…cosa era stato? Cosa era successo? Lo aveva…davvero immaginato? 
  
Portò una mano sulla fronte coprendo gran parte del viso. Era affranto, sconvolto. Non sapeva cosa stesse accadendo e perché. 
S’incurvò nuovamente verso il rubinetto e rimase lì immobile, assorto. 
  
 “Eileen…semmai te ne parlassi, come potrei perdonarmelo, poi?” sussurrò. 
  
Eileen, dal suo canto, rappresentava un altro bel problema. Lui non faceva che rimandare la loro partenza, ma non le aveva mai detto il perché. 
  
Aveva pensato di parlargliene? Ovvio, ma doveva assolutamente risolvere tutto senza coinvolgere nessuno. 
Come avrebbe potuto chiedere aiuto alla sua vicina e poi sopportare il peso di vederla solcare nuovamente quella porta infernale? 
Lei che rappresentava per Sullivan la ‘madre’, come poteva farle questo? 
Eileen sarebbe rimasta coinvolta. Oramai la conosceva. Aveva avuto già modo di comprendere la sua profonda sensibilità, quando ascoltava il cuore di quello spietato assassino provando una grande pietà per lui e per il suo destino. 
  
No…non poteva. 
  
Toc – toc 
  
“Uh?” 
  
Il rumore della porta lo attirò all’improvviso. Erano dei rintocchi piuttosto ossessivi, che si ripetevano con una frequenza anomala e mentecatta. 
  
Toc – toc 
  
“C-chi può mai essere a quest’ora?” 
  
Toc – toc 
  
Qualcuno continuava a bussare incessantemente fuori la porta e il ragazzo si affrettò ad aprire. Peccato che non guardò al di fuori dello spioncino, perché se si fosse accorto di chi fosse, non avrebbe mai pensato di aprire. 
Un uomo dai capelli castani, con una lunga frangia e il viso sfregiato, batteva i pugni incessantemente. 
Era vestito con abiti sgualciti. Una camicia bianca malmessa e dei jeans scoloriti. 
Batteva, ancora e ancora. 
Ancora e ancora. 
La sua bocca si muoveva velocemente. Sussurrava parole incomprensibili. Una dietro l’altra, con ossessione. 
  
Henry Townshend girò il pomello e solo allora sentì quei mormorii che gli fecero pentire di essere stato tanto impulsivo.
Ma oramai aveva già aperto. Così prima che potesse intendere il pericolo che vi si celava dietro, la porta era già spalancata e si ritrovò sul pianerottolo.
 
  
Alzò gli occhi, ma di fronte a sé c’era il vuoto totale. 
Vi era solo una finestra, lasciata semiaperta, dalla quale usciva il lieve sibilo del vento. 
  
Non…c’era nessuno? 
Chi aveva bussato? 
  
Aveva gli occhi sgranati e il braccio ancora poggiato vicino la porta. 
  
“Henry..?” 
  
Il bruno si girò non appena udì quella voce femminile. 
Eileen Galvin era sulla soglia della porta accanto e lo guardava con un volto sorpreso e preoccupato. 
  
“C-co..? Eileen!” disse lui, solo dopo una manciata di secondi. 
  
Rimase letteralmente a bocca aperta, non aspettandosi minimamente di vederla, in quel momento. Eileen, al contrario, non faceva che girare e rigirare gli occhi, con imbarazzo. Era visibilmente a disagio per il fatto che Henry indossasse solo un paio di jeans nel bel mezzo del pianerottolo, e il ragazzo ci impiegò poco a capirlo. 
  
“Oh, ehm…scusa.” disse frettolosamente, e fece per rientrare a casa. 
  
La ragazza, al contrario, sembrò preoccuparsi di quell’atteggiamento e immediatamente gli corse dietro bloccandolo sulla soglia della porta. 
Si parò di fronte a lui, incastrandosi fulminea dentro l’appartamento. 
Henry rimane sorpreso di quell’atteggiamento e la guardò senza sapere che dire. 
A quel punto Eileen si spostò dal ciglio della porta e avanzò nel corridoio voltandosi poi verso Henry, che era ancora sulla soglia della porta. 

  
“Eileen, tutto bene..?” fece per parlare, ma lo sguardo determinato di Eileen gli fece scendere le parole giù in gola velocemente. 
  
“Mi prendi per stupida, forse? Ovvio che non va tutto bene, ma tocca a te parlare! Diavolo, che ti prende?” 
  
Osservò il volto di Henry. Era tutto sommato quello di sempre, ma quel brutto colorito sotto gli occhi denotava stanchezza e apprensione per qualcosa che le teneva nascosto. 
Dal suo canto, lui era felice di vedere quanto quella ragazza fosse in ansia per lui. Egoisticamente, provò un insolito senso di benessere. Lui che aveva sempre vissuto solo per sopravvivenza. Avvertire quel calore scaturito dall’affetto che nutriva nei riguardi della ragazza, fu un qualcosa di nuovo e di…bello. 
  
Era proprio per questo la voleva lontana da quello che gli sarebbe potuto accadere. Lui…voleva proteggerla. 
Qualunque significato avessero quegli incubi, qualunque cosa gli fosse accaduta, non le avrebbe mai  permesso di affrontare quel destino assieme a lui, di nuovo. 
  
Eileen, intanto, aveva continuato a parlare. Qualcosa riguardo l’amicizia, o sull’affrontare i problemi assieme… 
Comunque non riuscì proprio a prestare attenzione, incapace di pensare ad altro se non alla gratitudine di quelle parole. 
  
Anzi, l’unica cosa che continuava ad allontanarlo da quella conversazione era il suo stesso appartamento. Era ancora soffocante e dal colore rugginoso...e… 
Eileen non se ne era accorta? 
Possibile che ai suoi occhi il 302 apparisse come un normale appartamento? 
Cercò comunque di non tradirsi da solo e guardò l’appartamento con fare meno furtivo.

 
Inaspettatamente, da dietro la spalla di Eileen, che ancora lo guardava nervosa e parlava in continuazione, Henry intravide un ragazzino con i capelli biondo cenere e un maglioncino blu a righe. Strinse gli occhi, non capacitandosi subito di quella visione improvvisa.
  
“Che cos’è?” disse il biondino mentre sbirciava tutte le cianfrusaglie e riviste presenti sul tavolino in vetro del salottino di fronte l’ingresso. 
  
Henry sgranò gli occhi, in preda dallo shock. 
Da dove era saltato fuori?! Quando era apparso!?
  
“A…ah..!” balbettò. 
  
Il ragazzino continuava a frugare, a sfogliare le riviste d’auto spiegazzandole in malo modo, a toccare il televisore sperando di farlo partire, e a frugare nella cassapanca. 
Il tutto in maniera per nulla discreta e con un visetto curioso, ma delusissimo di non trovare nulla di suo interesse. 
  
“A…ah..!” balbettò nuovamente. 
  
Perché più lo guardava, più si rendeva conto che non si stava affatto sbagliando. 
Quel bambino non era frutto della sua immaginazione… 
Oh, no… 
  
…Quello era proprio Walter Sullivan! 
  
Perché? Era lì, in casa e…gironzolava per il salotto con una nonchalance assurda! Si avvicinava alle poltroncine, sbirciava fuori dalla finestra, cercava di raggiungere la radio… 
Tutti atteggiamenti tipici di una vera peste e verso i quali Henry non sapeva proprio come reagire. 
  
Una goccia di sudore solcò la sua fronte. Si trovava in una situazione completamente inopportuna. 
  
Eileen era lì. 
Non doveva assolutamente permetterle di accorgersi della presenza del piccolo Walter. Avrebbe capito tutto sennò. 
  
Osservò Eileen con occhi tremanti e abbozzò un sorriso. Per nulla convincente, comunque. 
  
“Eileen…ehm, hai…” 
  
Tentennò, cercando una qualsiasi scusa. Poi…s’illuminò. 
Eileen rimase lì a guardarlo sconcertata, arricciando le labbra e aggrottando le sopracciglia, mentre il ragazzo fece per metterle le mani sulle spalle. 
  
“Certo, l’università! Tu…starai sicuramente facendo tardi. Non preoccuparti per me, io sto benissimo. Sarà forse l’affitto a preoccuparmi. E’ da tempo che…che non guadagno soldi!” improvvisò. 
  
Eileen posò gli occhi sulla borsa che aveva a tracolla e la strinse a sé. 
  
“Forse è l’affitto…? È o…non è? Che razza di risposta mi dai!?” disse infastidita. 
  
Henry, tuttavia, la interruppe. Al momento, già era abbastanza geniale l’idiozia che si era inventato. 
In effetti non era nemmeno un’idiozia, visto che era vero che non entravano da un po’ i soldi nelle sue tasche, ma avrebbe affrontato un problema alla volta. 
  
Il bruno buttò nuovamente un occhio verso Walter e deglutì quando si accorse che aveva preso ad osservarli posizionandosi proprio dietro ad Eileen. 
  
“Ma che dia…!!” si lasciò scappare ed Eileen notò quello sguardo. 
  
“Ma perché? Cosa c’è?” 
  
Lei fece per voltarsi e Henry, fulmineo come era raramente, corse dietro di lei e la spinse via stringendola per le spalle. 
  
“Quell’esame di storia, ti ricordi? Ehm…sarà meglio che vai a recuperare le dispense o non le troverai, forza!” disse frettolosamente. 
  
“Oh? Sì, okay…però tu non mi hai ancora…!” disse, cominciando ad avvertire una forza inaspettata nelle braccia di Henry. 
  
La cosa la turbò appena. Aveva avuto modo di costatare che Henry era uno che non valorizzasse affatto il suo fisico, e invece era più forte di quanto apparisse.
In realtà…non era nemmeno niente male, aveva appena scoperto. 
Ma al momento, quel che la turbava ancora di più era la forza che ci stava mettendo nel cacciarla via il prima possibile. 
  
“Ma che fai, Henry!?” 
  
Henry, anche se con ‘eleganza’, l’aveva letteralmente scaraventata via da casa e lasciata sul ciglio della porta. 
  
“Ciao Eileen! Poi fammi sapere, a stasera!” 
  
Le fece un sorriso di convenienza e assunse uno sguardo rassicurante, mentre si affacciava dalla porta, lasciando la ragazza con occhi sempre più sgomentati. 
Eileen non riuscì a contare nemmeno quante volte Henry fu capace di tagliare corto e salutarla, e presto si ritrovò la porta sbattuta in faccia violentemente. 
  
“Ma quest’energia da dove esce..?” constatò, sbigottita. 
  
Rimase una manciata di secondi lì di fronte, completamente allibita. 
Henry le aveva sorriso in quel modo? 
Lui che era tanto apatico, era capace di avere uno sguardo simile che lo sconvolgesse completamente? Aveva anche il busto lungo e le spalle larghe con tanto di cenno di muscolatura..? 
  
E poi…che ne sapeva dei suoi studi e delle dispense? 
  
Poi…rifletté. 
  
“Ma…io non devo prendere nessuna dispensa!!” urlò, battendo i piedi per terra, in preda dall’ira. 
  
Subito girò i tacchi e andò via, nervosissima di essere stata buttata via di casa con una scusa simile e in quel modo. 
Poi dicevano che erano le donne quelle strane e lunatiche! 
  
Intanto Henry sospirò, poggiato dietro la porta, felice di essere riuscito ad allontanare Eileen in qualche modo. 
Certo, non in maniera magistrale, ma tanto Henry sembrava già strano agli occhi della gente, quindi non se ne curò più di tanto. 
Durante la giornata, una scusa migliore che giustificasse il suo atteggiamento l’avrebbe trovata certamente. 
Alzò gli occhi in direzione del salotto e guardò con rimprovero il piccolo Walter. 
  
“Tu guarda per colpa tua che figure devo fare…” disse con un filo di voce. 
  
Henry osservò il biondino rimanendo in guardia, senza proferir parola. Sembrava quasi che il piccolo Walter si rendesse perfettamente conto di essere scrutato ma, nonostante ciò, continuasse a mettere sottosopra l’appartamento. 
Cosa ci faceva lì? Perché questa sua apparsa improvvisa? 
Non era un bambino reale, lo sapeva fin troppo bene. Era…una presenza, un fantasma, un… 
Comunque, qualunque cosa fosse, era frutto di quel dannato appartamento ancora pieno delle presenze create da Sullivan. 
Per questo rimase allerta. Non voleva assolutamente dimenticare che di fronte a sé non aveva un ragazzino, ma il residuo di quell’assassino. Quel Walter Sullivan, che aveva ucciso diciannove persone con una violenza inaudita, e per poco non aveva ucciso anche lui e Eileen. 
  
Di colpo vide il bambino sfrecciare in camera da letto ed Henry solo allora sbottò. 
  
“Ehi, dove credi di andare!” 
  
Si lanciò all’inseguimento e percorse in pochi attimi il corridoio, affacciandosi verso la sua stanza. Lo vide guardare sotto il letto con fare nervoso. 
Walter, con il viso corrucciato, prese poi posto sul letto, sbuffando infantilmente. 
  
“Non c’è…!” disse, dondolando i pieni con fare irrequieto. 
  
Henry si avvicinò al letto, prese una camicia bianca e la fece scivolare lungo la schiena. 
Mentre faceva per allacciare qualche bottone, si avvicinò e si mise di fronte a lui. 
  
“Cosa…cerchi?” gli chiese, serio. 
  
Si sforzò di assumere un tono più dolce. Walter continuava a girare lo sguardo da una parte all’altra, incapace di accettare che non fosse riuscito a trovare quel che cercava. 
  
“Uhg…dov’è?! Io la voglio! Mi serve!” urlò. “Non la trovo! Non la trovo!” 
  
Il bambino si alzò sul letto e prese a saltare, agitato. Henry lo guardò sbigottito. Non era abituato a gestire i ragazzini, ancor meno un piccolo futuro assassino.
  
“Ehi, ragazzo, calmati!” gli intimò, con voce appena tremolante. Lo afferrò per un braccio e lo fece scendere dal letto. “Cosa cerchi, poi, nel mio appartamento?” aggiunse. 
  
“La chiave! Non posso trovare Bob se non ho la chiave!” disse. 
  
“Quale chiave?” 
  
Henry lasciò la presa e il bambino, finalmente, la smise di correre in lungo e in largo. Sembrava essersi quasi tranquillizzato. Henry aveva avuto un simile potere su di lui? 
Lo vide rivolgergli quei grandi occhi languidi, di un verde chiaro meraviglioso. 
Il bambino strinse le labbra fra loro, mentre lo guardava così incessantemente che Henry avvertì un forte imbarazzo. 
Si rese conto, tuttavia, di aver parlato troppo presto, perché subito il biondino corrucciò le sopracciglia e si mise a protestare con le lacrime agli occhi. 
  
“Me l’hai persa! Sigh…LA MIA CHIAVE! DOV’E’?!” 
  
Henry trasalì, non aspettandosi minimamente capricci simili. 
  
“Walter!” urlò e il bambino si azzittì. 
  
Henry emise alcuni colpi di tosse, cercando di avere un atteggiamento autorevole col piccolo. Si inginocchiò e lo guardò in viso. 
  
“Bob è un tuo amico?” 
  
Il ragazzino annuì e finalmente Henry riuscì ad ottenere un po’ di quiete da lui. 
Accidenti…com’era dura per uno come Henry avere a che fare con un bambino! 
  
Ripensandoci… 
Non sapeva nemmeno cosa fosse per davvero. 
  
Era una rappresentazione del lato infantile di Sullivan? 
Un inganno creato da lui stesso per attirarlo? 
Chi diavolo era quel piccolo biondino, realmente? 
  
Vedeva il piccolo Walter immobile, come se non sapesse come comportarsi anche lui. Lo vide persino tremare appena come se si aspettasse tutt’altro atteggiamento da parte di un adulto. 
Henry non voleva farsi strane idee…ma nel momento nel quale si era chinato verso di lui, aveva avuto l’impressione che si fosse ritratto per la paura di essere picchiato. Ma era stata solo una vaga impressione alla quale non voleva dare peso. 
  
Quel bambino…era pur sempre Walter Sullivan. Punto. Non avrebbe mai smesso di ripeterselo. 
  
Il piccolo, dopo un po’, riacquistò fiducia in se stesso e si decise a spiegare a Henry la situazione. 
Henry continuava a essere sospettoso, ma cercò di mostrarsi interessato agli occhi del bambino, in modo che si sentisse libero di parlare. 
Si sedettero entrambi sul divano in salotto e il moro ascoltò pazientemente le sue parole, cercando nel frattempo di indagare sul suo conto. 
  
“Se scoprono che ho perso la chiave, si arrabbieranno. Devo tornare in orfanotrofio in tempo e vedere se Bob è lì.” 
  
Henry continuava a osservarlo. Poggiò il mento sulle nocche delle dita e prese parola. 
  
“La ‘Wish House’ dici? Questo Bob è lì?” 
  
Walter annuì. 
  
“Forse però la chiave non è qui. Forse l’ho persa nella foresta…” aggiunse. Poi assunse un’espressione affranta. “Dovrò controllare dappertutto, ma non ce la farò mai…” 
  
Effettivamente Henry rifletté sul fatto che la chiave della Wish House non l’aveva con sé da tempo. Forse era per questo che Walter era lì in quel momento. Sperava di trovarla custodita nell’appartamento. 
Il suo volto si fece pensieroso e approfittò del silenzio di quel ragazzino per ragionare con calma. 
Forse aveva finalmente l’occasione di capire qualcosa attraverso l’inconscio profondo di Walter. 
Valeva dunque la pena giocarsi quella carta? 
Valeva la pena addentrarsi nuovamente nel buco? 
Il giorno prima aveva udito la voce di Sunderland dal varco, come se fosse stato un segnale mandato da quel mondo. 
La presenza del piccolo Walter simboleggiava più o meno la stessa cosa? 
Era un invito da parte di quel mondo a fare una seconda visita nei ricordi di Sullivan? 
Poteva anche essere. Infondo…aveva senso. Sentì che doveva almeno provarci. 
  
“Uhm…Walter? Se ti aiutassi a cercare questa chiave?” disse. 
  
Gli occhi di Walter sembrarono illuminarsi. Il suo volto non sorrise, ma s’intravide comunque una nota di sorpresa nell’aver trovato un alleato. 
Tuttavia, al contrario di come Henry si aspettasse, il piccolo si ritrasse. 
  
“Perché? Cosa vuoi farmi? Che vuoi in cambio?” disse e si alzò dal divano guardandolo con diffidenza. 
  
Henry scosse la testa. 
  
“Nessuna fregatura, se è questo che intendi.” 
  
“Nessuna?” 
  
“Nessuna.” confermò Henry rassicurante e gli tese la mano. 
  
Si guardarono per diversi attimi e il ragazzino sembrava turbato da quel gesto. Come un cagnolino randagio, non sapeva se fidarsi o meno. Se avvicinarsi o scappare via. 
Ricercò lo sguardo di Henry cercando di capire.

Non era qualcosa di familiare per lui, il concetto di fidarsi di qualcuno. Se qualcuno gli aveva mai dato qualcosa, aveva sempre dovuto “pagare adeguatamente”.
Il fatto che quindi Henry si fosse offerto in modo così spontaneo lo aveva sorpreso non poco.
Alla fine quindi, sebbene con titubanza, allungò la piccola mano e l’avvicinò a quella robusta di Henry. 
Il ragazzo dai capelli castani la strinse appena sotto gli occhi curiosi del bambino. Quel gesto gli fece uno strano effetto. Sotto un certo punto di vista gli fece tenerezza quel piccolo così impaurito da lui, ma anche curioso. Una parte di lui provò l’istinto di sorridergli, ma subito si bloccò. 


Henry avvertì delle emozioni di disagio, ma fece di tutto per serrare nel suo cuore quella compassione che provava in corpo.
Non riusciva a dimenticare chi era quel ragazzo davvero…
 
“Andiamo, facciamo in fretta.”
 
Si alzò dal divano fulmineo e allontanò la mano da quella del ragazzino. 

Dal suo canto, il piccolo Walter sembrò quasi a disagio, come se avesse avvertito quel malessere.

Non appena vide Henry alzarsi, comunque, lo seguì fino al ripostiglio.
Henry fece cenno a Walter di seguirlo, al che si addentrò con lui. Lo prese in braccio timidamente e lo avvicinò al varco. 
Alleandosi con lui, sperava di capire finalmente qualcosa ma…d’altro canto, poteva anche accadere il contrario. Tuttavia forse era tardi per pentirsi di quel che stava facendo. 


    
*** 
 
   
[LA FORESTA DI SILENT HILL. Nei pressi del cimitero.] 
  
La testa girava e, ancora una volta, si ritrovò completamente confuso e disorientato. Era come risvegliarsi dopo una brutta sbornia e la cosa non era per niente piacevole. 
Henry Townshend era sdraiato a terra. La polvere del terriccio consumato soffiava appena sul suo volto per via del vento. 
Alzò il busto e cercò sostegno sui gomiti, dopodiché cominciò a esaminare il posto. Quella larga distesa, il sentiero consumato e dal colore indistinguibile, a metà tra il grigio e il color terra, la nebbia bassa che circondava la zona, e quella lunga serie di monumenti in giro… 
Un momento…quelle erano tombe? 
  
“Sono nel cimitero…della Wish House?” 
  
Si alzò e si guardò attorno disorientato. Poi si ricordò del ragazzino. Girò la testa a destra e a sinistra, ma del giovane Walter Sullivan non c’era nemmeno l’ombra! 
Eppure avevano solcato il buco assieme. Si aspettava di trovarlo ancora con sé. 
  
“Walter!?” urlò più volte. 
  
“Il ficcanaso, dici?” 
  
Una voce inaspettata lo rispose. 
  
“P-prego?” 
  
Dalla porta a doppie ante, posta infondo al cimitero, uscì un giovane. Era apparso così improvvisamente che Henry ebbe un tonfo al cuore nell’udire la voce di qualcuno. In un posto come il cimitero di Silent Hill, poi, come dargli torto? 
Il giovane, molto magro e appena più basso di Henry, gli si avvicinò e…gli fece una foto. 
Henry rimase attonito mentre fissava quel bizzarro individuo, con gli occhi sbarrati e le pupille strette ancora abbagliate dalla luce. 
  
Il ragazzo posò la macchina fotografica e guardò attorno a sé soddisfatto. 
  
“Ti chiedo scusa, sconosciuto, ma è mio dovere documentare tutto!” asserì con una certa fierezza. 
  
Henry più lo scrutava, più si rendeva conto che il tipo non fosse una minaccia. Anzi, doveva essere solo un ragazzo curioso. Aveva un’apparenza decisamente giovane. A occhio e croce, non dimostrava più di diciassette o diciotto anni. 
Solo non riusciva a spiegarsi, semplicemente, la presenta di qualcuno lì. E anche la scomparsa di Walter. Si guardò attorno, ma a parte lui e quell’adolescente, non vi era nessuno. 
  
“Chi sei?” gli chiese Henry, con diffidenza. 
  
Il ragazzo sembrò sorprendersi di quella domanda, tuttavia prontamente gli sorrise e gli porse la mano leggermente tremolante. 
Henry lo guardò perplesso. Dall’espressione del suo viso, così entusiasta, intuì che il tremolio fosse dovuto non alla timidezza, ma all’eccitazione. Ma l’eccitazione di cosa? 
Il tipo si presentò immediatamente, come se lui stesso fosse sorpreso di non averlo ancora fatto. 
  
“I-io sono Sein. Sein Martin, piacere! Sono di Silent Hill e frequento il liceo vicino al campus di Pleasent River..” 
  
Henry annuì e rispose al saluto con un lievissimo cenno. Comunque, a stento percepibile, vista la natura solitaria del ragazzo. 
  
“Uno studente..?” domandò con un filo di voce. 
  
“Esatto! Sono qui con alcuni colleghi per degli studi e questa potrebbe essere la volta buona! Sei anche tu qui per questo, no? Per il segno della ‘Santa Madre’?” sembrò rifletterci su, poi aggiunse. “Ehi, non sarai stato anche tu contattato dal nostro stesso informatore? Doveva essere una cosa concessa solo a coloro degni della rivelazione!” 
  
Sein fu capace di parlare così velocemente che Henry riuscì a stento a seguirlo. Ma d’altro canto, non aveva alcun interesse verso ciò che gli stava dicendo. Al contrario, ebbe subito il buon senso di stargli alla larga. 
Difatti si allontanò da lui e fece per andare via. Sein allungò un braccio verso di lui e fece per bloccarlo. 
  
“F-fermo! Non ti permetterò di vedere il segno prima di me!” gli urlò, sperando di intimarlo. 
  
Henry era oramai già vicino all’uscita del cimitero e faceva per aprire le doppie porte. Si voltò seccato verso Sein, ma distolse velocemente lo sguardo non sapendo proprio cosa rispondergli. Era completamente pazzo. Cosa intendeva? Di che segno parlava? Aveva coscienza di parole simili? Comunque, stando ai fatti, non era nulla di suo interesse, dunque non ci badò. 
  
Con la coda dell’occhio, mentre si voltava nuovamente verso l’uscita, scorse una piccola figura dietro una lapide più grande rispetto alle altre. 
Pur non essendone certo, si avvicinò ugualmente alla lapide, sotto gli occhi di Sein che continuava a blaterale su qualcosa di incomprensibile e di completamente delirante. 
Si affacciò sul monumento e scorse un’ombra. Più si avvicinava, più si delineava, ed effettivamente qualcuno era nascosto lì dietro. 
Cominciò a percepire dei rumori, simili a dei singhiozzi. Henry si sorprese di udirli solo in quel momento. Eppure la figura lì rannicchiata era immobile, ferma, e non sembrava essersi accorta della sua vicinanza. Il ragazzo inarcò la schiena e si girò verso quella figura e vide che era un bambino biondo. 
Il suo volto era scavato e affranto. Sembrava essere sul punto di strillare, ma i suoi occhi erano terribilmente spenti. Le sue iridi, di un verde chiaro molto inteso, brillavano nel buio dandogli un aspetto spettrale e un’aria inflessibile che mai un bambino dovrebbe avere. 
  
“Walter?” 
  
Non poteva negare l’evidenza. Era proprio lui. Ma quando era apparso? Un attimo. Era…sempre stato lì dietro? 
Henry sgranò gli occhi quando notò che aveva diversi sfregi sul viso. 
  
“C-co..?” disse, sorprendendosi di vederlo in quello stato. Prima…stava bene, gli sembrava di ricordare. 
In quel momento provò una profonda pietà e senso d’inquietudine. Fece per allungare una mano verso di lui, ma la voce di Sein lo fece trasalire. 
  
“Che osservi, sconosciuto?!” e si avvicinò a lui. 
  
Henry cercò di farlo desistere, ma Sein corse velocemente e in pochi attimi scrutò assieme a lui quel tumulo. 
  
“Cos’è? Sei amico del ficcanaso? Dov’è?” disse, e cominciò a girarsi attorno e guardare dietro la lapide. 
  
Il cuore di Henry cominciò a battere e indicò con gli occhi la posizione di Walter. A sua grande sorpresa, però, il bambino era sparito. 
Sein si affacciò nella stessa direzione dove era rivolto Henry e lo guardò perplesso. 
  
“Uhm…il cervello ti sta giocando brutti scherzi, sconosciuto? Qui non c’è nessuno.” 
  
Dove era finito? Perché Walter era lì? 
  



15 Ottobre.
Bob è sparito.
Nessuno vuole dirmi niente.
Scommetto che… 
  
  
Lesse quelle parole di getto. Erano scritte lì, sulla lapide, proprio sul lato dove prima era il bambino. Henry lesse quasi a stento le prime righe. Le scritte erano così sbiadite che era stato difficilissimo per lui decifrare di più. 
  
“Bob?” sussurrò. 
  
La sua mente ricollegò immediatamente quel nome a quello della persona che il piccolo Walter stava cercando. 
  
“Bob? Chi è, un altro ficcanaso? Che leggi? Quei segni rossi?” aggiunse Sein. Si allungò verso Henry con fare superficiale e quell’atteggiamento irrispettoso lo irritò terribilmente. 
  
“Ma sei capace di stare zitto?!” sbottò il moro e il fanatico si ammutolì di colpo. Resosi conto poi che Henry non gli interessasse minimamente, si alzò e andò via, scattando altre fotografie qua e la. 
  
“Dammi retta! Se incontri il Diavolo lascialo a me e alla mia squadra. Siamo attrezzati e preparati per poterlo affrontare!” detto questo, si dileguò. 
  
Henry rimase senza parole… 
Quel tipo era davvero inquietante. 
  
Si alzò e si poggiò con la schiena sul monumento. Di Sein non gli importava granché, purché non gli impedisse di scovare Walter. 
Non sapendo che fare, cercò di elaborare nella sua mente qualcosa che lo aiutasse a ragionare su come agire. 
Portò le dita sotto il mento e rifletté. 
  
“Walter cercava la chiave per la Wish House…” 
  
…Ma la chiave non l’aveva con sé da tempo. Come avrebbe mai potuto recuperarla? 
Inoltre… 
L’ultima volta, la Wish House era stata ridotta in un cumulo di macerie. 
Era divenuto l’ingresso per la ‘parte più profonda di Lui’. L’ingresso destinato a Colui che riceve la saggezza. L’ingresso per la ventunesima vittima, Henry Townshend. 
  
Valeva la pena, dunque, andare a controllare che fine avesse fatto quell’orfanotrofio? 
D’altro canto, non è che avesse molta scelta. 
  
*** 
  
[LA FORESTA DI SILENT HILL. La Wish House.] 
  
Henry aprì il cancello rugginoso, il quale emise un terribile rumore cigolante. Del resto, da quanti anni era lì senza alcuna manutenzione? 
Non appena si inoltrò, aprì la sua cartella di appunti. 
  

L'insegnamento della disperazione: "Wish House".
"Wish House" è un orfanotrofio nelle periferie di Silent Hill. Dietro una rispettabile facciata, un posto dove a bambini rapiti viene fatto il lavaggio del cervello.
Wish House è gestita dalla "Silent Hill Smile Support Society", un istituto di beneficenza talvolta chiamata 4S. La 4S è nota come un'organizzazione seria che "accoglie poveri bambini senza dimora e le alleva nella speranza". In realtà è un'organizzazione pagana che al posto dei tradizionali valori religiosi insegna il proprio dogma perverso.
Il Sig. Smith che vive vicino a Wish House ha affermato: "talvolta di notte sento le loro strane preghiere ed i lamenti. Una volta andai a reclamare, ma fui cacciato in malo modo. Da allora le cose sono rimaste le stesse".
Di fatti, al sottoscritto fu negato l'accesso quando tentai di scattare delle fotografie. Ma che avranno da nascondere a Wish House"?
Nel corso delle mie indagini, tuttavia, sono riuscito a scoprire una torre circolare di cemento molto sospetta che fa parte dei loro impianti. Sfortunatamente nessuno era disposto a dirci a che cosa servisse questa torre ma dubito che abbia a che vedere con la cura degli orfani. Forse è una prigione o un luogo di culto segreto. Il culto religioso che dirige Wish House è conosciuto dai residenti locali come "L'ordine". E' una religione che ha profondi legami con il passato di Silent Hill. Ma la convinzione dei suoi fanatici fedeli di far parte di un elite scelta ha anche un suo lato misterioso e pericoloso.
Intendo proseguire la mia indagine su Wish House e sul culto che essa nasconde. "Dire tutta la verità" e mostrare ai bambini la vera strada è il nostro compito più importante.
Joseph Schreiber
 

(Articolo trovato  nella stanza 301 di South Ashfield Heights) 
  
  
Chiuse quel ritaglio nella cartella e guardò l’edificio in legno. Quel luogo non era affatto cambiato. La nebbia era ancora bassa, ma erano perfettamente distinguibili sia la struttura, che ogni elemento presente in giardino. Dei disegni di bambini, giochi vari… 
Il tutto, comunque, impolverato e dall’aria trascurata. 
Non si sorprese, ad ogni modo, di vedere la Wish House lì, intatta. L’ultima volta era stata ridotta in un cumulo di macerie, tuttavia quello era il mondo di Walter. 
Lì vigevano le sue regole e dunque, dopo aver scongiurato i 21 sacramenti, era possibile che tutto fosse tornato come nei suoi ricordi. 
O forse non era così? 
Preferì non indagare oltre e si avvicinò alla porta. 
  
“Chiusa…” 
  
Spinse più volte cercando di girare il pomello, ma niente da fare. Com’era prevedibile, la porta era chiusa a chiave. Provò a cercare altre vie, ma le finestre erano sprangate e non trovò nulla con cui potesse forzare quelle travi. Ne afferrò dunque una tra le mani e con forza cercò di portarla via. 
Delle voci improvvise però interruppero il suo tentativo e istintivamente si accucciò in un angolo della ringhiera, osservando i due giovani che intanto si stavano avvicinando. 
  
Un ragazzo molto alto e robusto, di bella presenza e dalla pelle scura, stava leggendo un libro deteriorato e dall’aria piuttosto vecchiotta. 
Lo leggeva con grande enfasi, anche se in realtà sembrava più che recitasse una poesia, dando l’impressione di aver letto e riletto quelle pagine fino a memorizzarla alla perfezione. 
Più che lodevole, tuttavia, era un qualcosa che portava inquietudine. Già dal timbro eccitato, Henry poteva vedere la sua ossessione. 
  
Il Secondo Segno. E Dio disse, offri il sangue dei dieci peccatori e l'olio bianco. Liberati così dai vincoli della carne, per ottenere il potere dei cieli. Dalle tenebre e dal vuoto, genera l'oscurità, e circondati di disperazione per colui che riceve Saggezza.” 
  
Stava recitando i…ventuno sacramenti?! 
Ma chi diavolo era? 
  
Si sporse con cautela nella direzione dei due per poterli scorgere ancora meglio e si accorse che erano solo due ragazzini. Dovevano avere all’incirca la stessa età del tipo che aveva incontrato prima. Se erano folli la metà di come lo era quel Sein, allora erano solo dei stupidi fanatici dell’occulto da evitare. 
Ce n’erano molte di persone del genere ed erano facili da incontrare nei pressi di Silent Hill. 
Lo stesso Henry Townshend era stato un tempo follemente innamorato di quella tranquilla cittadina sulle rive del lago Toluca. 
Tuttavia, ora era storia passata. Il richiamo che aveva avuto per tanti anni per quella città, che lo affascinava da sempre, ora gli arrecava ansia, angoscia. Sentimenti capaci di gelargli il sangue anche solo osservando le fotografie che aveva scattato negli anni passati durante le sue numerose visite. 
  
“Il Diavolo, di cui ha sentito parlare Sein, non è qui. All’orfanotrofio non troveremo nessun indizio, stanne certo!” aggiunse improvvisamente l’altro giovane. 
  
A Henry prese quasi un colpo quando lo focalizzò meglio. Capelli rossicci rasati, smilzo, molto alto e con una maglietta raffigurante un Dio pagano. 
  
“…Jasper?” sussurrò, incredulo. Era visibilmente più giovane, ma uno con una faccia simile non poteva non riconoscersi. 
  
Non si sarebbe mai e poi mai avvicinato a quell’individuo. Meno che ai suoi colleghi. Ora comprendeva perché li aveva trovati tutti molto strani fin da subito. 
Jasper stesso gli aveva dato quell’impressione a quel tempo. 
  
Aveva collaborato con lui per necessità, poiché bloccato in quel mondo, ma un sesto senso lo aveva messo in guardia quando lui aveva preso a parlare in quel modo strano...spaventato eppure estasiato a livello ossessivo sul Diavolo e quella orrenda roccia che lui chiamava “Mother Stone”… o qualcosa di cosa simile. 
Era un tipo ambiguo, e non era certo di non doverlo considerare una minaccia.

Tuttavia, ripensandoci…non era morto? Cosa ci faceva lì? Più giovane per di più… 
Ci ragionò su, ma i fatti erano evidenti. Era successo anche con Frank nel suo precedente viaggio. 
Quella era un’ulteriore prova che Sullivan dominava ancora quel mondo. Seppur inconcepibile, era una realtà che si era già mostrata ai suoi occhi in modo tangibile. Nonostante dovesse spesso rievocarlo, era così che funzionava quell’assurdo incubo. Era tutto reale e irreale allo stesso tempo. 
Irreale in quanto quel che vedeva era umanamente impossibile. La Wish House era stata distrutta, Jasper era morto, e Sullivan non era né un bambino, né ancora in vita. 
Ma era anche reale… dato che chi moriva lì dentro… moriva anche nel mondo reale. 
Tornò ai due ragazzi. 
  
Ascoltò ancora le loro parole. Jasper sembrava parecchio dubbioso, inoltre non parlava con il solito balbettio che lo contraddistinse quando lo conobbe. 
  
“Andiamo, non essere codardo! Anzi, leggi questo passo…! Ma ti immagini se riuscissimo ad entrare qui? Chissà quanti libri sul culto potremmo arraffare..!”
  
L’ardore dell’amico di Jasper era inquietante. Era come se non si rendesse esattamente conto di ciò che stesse dicendo. Forse perché Henry aveva vissuto sulla sua pelle gli orrori di un rito tanto terribile… comunque, non poteva tollerare parole simili. 
Jasper, sorprendentemente, sembrava turbato quasi quanto Henry. Difatti cercava di far desistere l’amico. 
  
“Bobby, il ficcanaso ha detto che il Diavolo è a Pleasent River. Non perdiamo tempo, qui. Ho sentito dire che se ti beccano ti ammazzano!” 
  
Il ragazzone scuro di pelle fece spallucce e chiuse finalmente quel libro voluminoso. Guardò seccato Jasper e fece per aprire la porta del giardino e uscire. 
  
“Jasper, tu sei un vero coglione. Se non ci credi davvero, il Diavolo si impossesserà di te.” 
  
“I-io ci credo! E lo vedrò, stanne certo.” 
  
Chiusero la porta di legno dietro di loro e, ringraziando al cielo, Henry era riuscito ad ascoltarli senza che essi si accorgessero di lui. Si alzò e guardò in una direzione vaga. Cosa diamine stavano facendo quei tre ragazzi lì? 
Fece per andare via da lì. Proprio in quel momento, però, calpesto un affare metallico che per poco non gli fece perdere l’equilibrio e cadere. 
  
“Ma che diavolo..?” 
  
Riuscì ad afferrare la ringhiera e per un pelo non sbatté la faccia a terra. Guardò ai suoi piedi e vide una piccola pala di metallo. Era terribilmente arrugginita e sporca, ma si intravedeva appena un’incisione su un lato. Henry l’afferrò e la rigirò tra le mani. 
  
Sotto la mano che fuoriesce dal terreno…” lesse. Vi erano scritte altre parole inquietanti, ma Henry non diede loro alcun peso. 
  
Al contrario, si chiese se quella non fosse proprio la stessa paletta che utilizzò, tempo addietro, per trovare la chiave della Wish House. Prese con sé la paletta e decise di andare almeno a controllare. Se davvero avesse trovato lì la chiave, forse avrebbe trovato anche Sullivan. 
Si diresse a sud-est della foresta e corse velocemente fino a raggiungere l’albero con quella grande radice nodosa, così sinistra da sembrare la mano di qualcuno. 
Era passato del tempo, ma non poteva assolutamente dimenticare. Doveva essere da quelle parti, proprio vicino una lunga rete di ferro che delineava la foresta. 
Scrutò attentamente gli alberi e finalmente, su uno di questi, distinse una lunga scritta rossa incisa sul tronco. Non fu in grado di decifrarla, era notevolmente consumata, ma proprio nelle vicinanze del tronco, scrutando il terreno, sgranò gli occhi quando trovò qualcosa di pallido che sbucava tra l’erba incolta. 
  
“Ah!” urlò. 
  
Solo qualche secondo dopo, si rese conto che non c’era niente di cui temere. Quella era solo una radice. Sospirò. 
Possibile che gli facesse ancora lo stesso effetto..? 
Decise di non indugiare oltre e cominciò subito a scavare utilizzando la paletta rugginosa. Graffiò completamente le mani mentre scavava, quella paletta era maledettamente vecchia, ma dopo qualche minuto ecco che finalmente colpì qualcosa di metallo. Lasciò la paletta e prese a scostare il terriccio fino a che non distinse proprio una chiave. La prese tra le mani e si alzò con fare incerto. Come poteva essere finita di nuovo lì? 
Si chiese il perché, ma al momento non aveva molto su cui riflettere. Mise la chiave in tasca e tornò indietro. 
  
Mentre proseguiva, tuttavia, la nebbia sembrava in qualche modo ostacolarlo e nonostante ricordasse perfettamente il tragitto, non riusciva per nulla ad orientarsi. Com’era possibile? Il sentiero era abbastanza guidato...perdersi era impossibile. 
Continuò a camminare, ma il suo passo prese pian piano a rallentare sempre di più. Trovò davvero strana tutta quella nebbia che andava infittendosi e gli inibiva completamente i sensi. 
Si fermò definitivamente quando ebbe l’impressione che stesse camminando troppo a lungo, ma che a fatti, sembrava non essersi allontanato per nulla dalla zona della foresta dove aveva trovato la chiave. 
  
“Che diavolo succede?” disse, disorientato. 
  
“Chi trova la chiave, sarà macchiato dalla dannazione eterna. Dovrà vagare in eterno.” 
  
Una voce glaciale, eppure infantile, attirò la sua attenzione. Si voltò e dietro di lui vide il bambino. 
  
“Tu..?” disse. 
  
Walter indicò la mano di Henry dove stringeva la chiave. 
  
“E’ quella la chiave del Diavolo. Sarai destinato a conoscere la pazzia se la tieni con te.” 
  
“Perché?” 
  
“Perché se la usi…entrerai lì.” 
  
Henry corrucciò le sopracciglia. Il timbro della voce di Walter era inquietante e si addiceva poco a un bambino. 
  
“…nell’orfanotrofio di Silent Hill?” gli chiese. 
  
Il biondino solo allora si azzittì. Henry lo vide chinare il capo e fare dei leggeri passi indietro. Cominciò a indietreggiare sempre di più, allontanandosi da Henry, il quale lo vide, lentamente, sparire dalla sua visuale. Il bruno rimase attonito per una manciata di secondi, ma quando realizzò che Walter fosse fin troppo lontano, preso dal panico avanzò verso di lui con dei lunghi passi. Tese il braccio nella sua direzione, ma il ragazzino si diede alla fuga e corse via per il bosco a una velocità che sorprese Henry. 
  
“Ehi! Non scappare!” 
  
Si diede all’inseguimento di Walter correndo agitatamente, cercando di non perderlo di vista nonostante la nebbia e i molteplici alberi che gli impedivano una visuale completa. Urlò più volte il suo nome, ma sembrava che Walter non accennasse a smettere. Al contrario, correva sempre più veloce e mise una notevole distanza fra i due. 
Henry cominciò ad avvertire un forte fiatone e non fu più in grado di reggere quella velocità. Walter era distante e oramai lo riusciva a vedere a stento.
  
Mentre continuava a correre, ignorando la stanchezza, guardò attorno a sé ed ebbe l’amara impressione che, dalle rupi del bosco, delle bestie fameliche lo stessero osservando. Sebbene non ne vedesse da tempo, riconobbe perfettamente quei canidi terrificanti dalle lunghe lingue e dai denti affilati. Erano apparsi solo dopo che Walter si era dato alla fuga? 
Continuò a correre incessante e più osservava l’ambiente, più lo trovava inquietante. 
Non era in grado di capirne il senso, specie in quel momento, ma quando scorse, nascosti fra gli alberi, nel terreno e fra le siepi, dei fantocci simili a dei bambini, gli venne un tonfo al cuore. 
Perché erano lì? E perché non li aveva notati prima? 
Niente aveva senso in quel momento, in quel posto. Figure di bambini erano nascoste ovunque, sotterrati, appesi, ingabbiati… 

Proprio mentre quel bosco sembrava isolato da ogni cosa, ecco che si intravedeva stentatamente uno di quei piccoli corpi impagliati. Sebbene realizzati in modo essenziale, essi avevano qualcosa di vivo e sembravano osservare quell’ambiente che li aveva inglobati e imprigionati.  
  
Creavano nella mente del giovane Henry tanta oppressione che solo allora si chiese se quello fosse anche ciò che provasse il ragazzino. Quelle sensazioni rabbia, senso di ingiustizia verso l’uomo, di annientamento totale dell’io e di annichilimento che il culto vantava di scaturire nei bambini, al fine di renderli delle marionette vuote; da imbottire con le idee perverse del culto. Così facendo, i bambini venivano distrutti come individui e ciò avveniva proprio nella Wish House, che era il primo stadio da attraversare per poi essere plasmati come seguaci devoti e pronti ad essere giostrati dagli abili burattinai del culto. Schreiber stesso scrisse un articolo a tema e il simbolismo di quei fantocci combaciava alla perfezione.

 
Un ululato lo fece sussultare e voltandosi, gli parve di intravedere degli occhi rossi fissarlo, ma non fu in grado di stabilire fino a che punto fosse una sua suggestione. Girandosi attorno non vedeva nessuno, eppure si sentiva osservato, ed era una sensazione gelante. Questo, nonostante l’esser da solo. Nonostante non ci fosse nessuno lì ed era accompagnato solo dai fantocci dei bambini.
  
Di colpo si fermò, oramai allo stremo delle sue energie. Alzò appena gli occhi verso la coltre di nebbia, ma oramai il piccolo era fuori dalla sua gittata e non riusciva più a vederlo. 
  
“Dannazione…” disse. 
  
Non appena riprese fiato, cercò di scrutare meglio il luogo e nonostante la pessima visibilità, distinse la rete di metallo che aveva visto prima. Scrutò meglio gli alberi e riconobbe anche la scritta rossa e la radice. 
Era tornato indietro? 
Anche i cani erano spariti e, ancora una volta, sembrava che non si fosse mosso affatto dal punto di partenza. Stava per pronunciare un ennesimo ‘ma cosa diavolo?’, ma si fermò. 
Piuttosto decise di inoltrarsi oltre la rete e di raggiungere la zona successiva. Come ben ricordava, era proprio lì dove era posizionato un altro varco per l’appartamento 302. 
L’ultima volta era così che aveva evitato di ‘vagare per l’eternità’  e allora decise di rifare lo stesso. 
  
*** 
  
[LA FORESTA DI SILENT HILL. La Wish House] 
  
Si ritrovò nuovamente lì, una volta tornato nell’appartamento e posato la chiave a casa. Senza la chiave aveva perso la maledizione ed era potuto tornare indietro, dove si trovava l’orfanotrofio. 
Aveva osservato bene la zona e anche nei pressi della Wish House c’era il varco per l’appartamento. Dunque, aveva recuperato nuovamente la chiave, pronto a utilizzarla per accedere nel posto. 

Solo che… 
Non si aspettava affatto che al suo ritorno, della Wish House non fosse rimasto assolutamente niente. 
  
Cenere e fumo fuoriuscivano dalle macerie che erano al posto dell’orfanotrofio, e faceva un caldo infernale. 
  
“Ma cosa..?” disse. D’altro canto, non c’era più nulla da fare. 
  
Tutto era andato distrutto. La fonte dove il piccolo Sullivan aveva ricevuto la prima educazione e le sue conoscenze sui ventuno sacramenti, era stata ridotta in polvere. 
Si avvicinò cautamente ai pochi resti che rimanevano. Mentre esaminava, distinse anche l’insegna con su scritto il nome dell’orfanotrofio, e quella piccola rampa di scale che prima era l’ingresso. 
Alzò gli occhi e, tra la cenere, distinse persino quel vecchio fantoccio sulla sedia a rotelle. Era ancora più consumato dell’ultima volta, ma i pezzi, anche se rotti, c’erano ancora tutti. Si avvicinò a quella bambola e raccolse alcuni di quei pezzi oramai distrutti. 
Ricordava ancora perfettamente dove li aveva trovati, nella parte ‘profonda’ di lui. Sul fondo di dei pozzi bui e oscuri. Aveva dovuto utilizzare una particolare Fiamma Sacra per trovarli e solo allora ne comprese il senso. 
  
Quell’orfanotrofio… 
Era una delle parti della vita che più aveva segnato Sullivan. Era lì, dove si era convinto che la Santa Madre fosse proprio quella che avrebbe trovato nel suo appartamento. 
Ma la Santa Madre non era sua Madre. Le ventuno eresie in realtà erano solo un rituale malsano per resuscitare il demonio. 
Mentre riposizionava quei frammenti vicino alla bambola consumata, riprese i suoi appunti in mano e li sfogliò velocemente. 
  
C'era una volta un bambino collegato alla sua mamma attraverso un magico cordone. Ma un giorno il cordone fu reciso, e la madre cadde in un sonno profondo. Il bambino rimase tutto solo.
Ma il bambino fece molti amici nella Wish House e tutti erano molto gentili con lui. Il bambino era felice. I suoi amici gli dissero come svegliare la sua mamma. Così il bambino andò subito a cercare di svegliarla. Ma la mamma non si svegliava. Per quanto lui provasse, lei proprio non si svegliava. Questo perchè in realtà quello che lui stava cercando di svegliare era il Diavolo.
Il bambino pianse e pianse e pianse. Quando pensava alla sua mamma, ricordava la sensazione di essere collegato a lei attraverso il cordone magico.
Ma poi, da cielo scese un raggio di luce. La luce era calda e il bambino si sentì rincuorato. Quando il bambino si guardò la mano, vide che stringeva il cordone magico.
Con il cordone stretto nella sua mano, il bambino si addormentò felice.
 
  
(Documento nell’appartamento 302 infestato di Joseph Schreiber) 
  

Solo comprendere quella parte della vita dell’assassino Walter Sullivan, gli aveva permesso di sopravvivere e di raggiungere la salvezza, a quel tempo. Ma ancora in quel momento provava turbamento nel leggere quelle parole. 
Quasi come se Henry se lo aspettasse, alzò gli occhi in direzione del lato nord-est del giardino e vicino la porta rivide il piccolo Walter. 
Si guardarono per un istante, poi il bambino aprì la porta e andò via. Henry si alzò e mise via l’album di ritagli. Era confuso e anche…spaventato. 
  
“Perché mi stai facendo questo?” 
  
Anche se pieno di frustrazione, non poté non opporsi al volere di quell’assassino. Qualcosa lo voleva lì, a ripercorrere il suo passato, ed Henry sapeva di non avere scampo. 
Non era ancora riuscito a riprendersi, tuttavia realizzò che poteva solo seguirlo, sperando di capire…o meglio, di accettare cosa gli stesse accadendo. 
  
Henry odiava quell’uomo. Era un assassino, il che bastava per odiarlo. Nulla poteva giustificare i suoi crimini e le terribili azioni commesse a chi aveva avuto la sfortuna di incrociare il suo cammino. 
Nella sua mentre ricordava la disperazione di Joseph, le ferite della povera Eileen, di Cynthia che era morta in quel lago di sangue… 
  
Era…imperdonabile. Una macchina assassina inaudita. 
Eppure, era anche quel bambino dagli occhi tristi. 
Scosse la testa. 
Ancora una volta si stava lasciando ingannare. Quello non era un bambino. Era solo il frutto della mente deviata di Walter Sullivan, che ancora aveva lasciato una traccia in quel mondo irreale. 
Mentre camminava, assorto nei suoi pensieri, non si accorse che qualcuno stava correndo dalla direzione opposta e che presto entrò in collisione con lui. 
  
Oramai Henry si trovava nelle vicinanze del cantiere, vicino la zona panoramica del bosco, e non si aspettava per nulla quello scontro. 
  
“Ma che diavolo?!” urlò quando fu urlato violentemente da qualcuno. 
  
Alzando lo sguardo, vide un ragazzo smilzo dai capelli rasati, dolorante a terra. 
Un volto simile non poteva non riconoscerlo. Infatti sgranò gli occhi, sorpreso,mentre questi faceva per rialzarsi. 
  
“Jasper..?” disse, ma egli sembrò non curarlo affatto. 
  
“T-t-ti s-s-ono c-c-ad-uto addos-s-o, s-scusa!” 
  
Henry rimase sorpreso di vederlo parlare in quel modo. Era di nuovo così balbuziente..? 
  
“Cosa c’è lì infondo?” chiese. 
  
“I-io li av-e-e-evo avvisati. Quel ficcana-aso aveva r-r-r-agione. C’era dav-v-ero il D-diavolo a Pleasent R-rive-er. Ma i-io n-non l’ho vist-t-o p-p-erchè s-s-ono fuggito.” 
  
Andò via grattandosi il capo freneticamente, parlando senza curare minimamente Henry. Mentre andava via, non fece nemmeno caso che un ritaglio di giornale gli era caduto dalla tasca dei jeans. 
Henry lo raccolse e lesse. Erano due articoli di giornale ritagliati dalla sezione dei necrologi. Riguardavano la scoperta di due studenti trovati senza vita nel college di Pleasent River. 
  
“Nessun indiziato…morte per entrambi da strangolamento/soffocamento. Qualcuno aveva trafugato il cuore di entrambi…gli studenti Bobby Randolph e Sein Martin…” 
  
Guardò la data dell’articolo e risaliva a più di dieci anni prima. Si girò fulmineo verso Jasper e cercò di parlargli, ma egli era oramai già lontano. 
  
Bobby e Sein… 
  
I due ragazzi di prima? 
Mancava ad entrambi il cuore e la cosa lo incuriosì. Estrasse un nuovo ritaglio dal suo album. 
  
"La discesa della Santa Madre---i 21 sacramenti"
Il primo segno,
E Dio disse,
Quando sarà il momento, purifica il mondo con la mia ira.
Raccogli l'olio bianco, la coppa nera e il sangue dei dieci peccatori.
Preparati per il rito della Sacra Assunzione.
 
  
(Documento trovato nella Wish House) 
  
  
“Dieci cuori…Walter?” disse e cercò subito fra i suoi appunti un altro documento. 
  
  
“No.1...Dieci cuor...
No.2...Dieci...
No.3...Dieci cuori...
No.4...Dieci cuori Steve Garl...
No.5...Dieci...
No.6...Dieci cuor...
No.7...Dieci cuori Billy Locane
No.8...Dieci cuori Miriam Locane
No.9...Dieci cuori...
No.10...Dieci...
No.11...Assunzione Walter Sullivan
No.12...Vuoto
No.13...Tenebre
No.14...Oscurità
No.15...Disperazione Joseph Schreiber
No.16...Tentazione Cynthia Velasquez
No.17...Fonte Jasper Gein
No.18...Vigilanza Andrew DeSalvo
No.19...Caos Richard Braintree
No.20...Madre Eileen Galvin
No.21...Saggezza Henry Townshend
 



(Ritaglio rosso trovato nell’appartamento 302, di Joseph Schreiber) 
  
 
 
Quei due…facevano dunque parte del rituale?
 
Anche se Jasper era sparito, si voltò verso dove l’aveva visto andar via.
 
Lui…era in quel momento esatto che doveva aver perso il senno, e mai più sarebbe tornato come prima. La sua vita non sarebbe più stata semplicemente la sua.
 
 
 
Jasper, affascinato dall’occulto, dal Diavolo, come lo chiamavano lui e i suoi colleghi, sull’ultimo si era tirato indietro impaurito. In realtà i suoi timori lo avevano salvato dall’inganno di Walter Sullivan, che aveva attirato a sé i suoi colleghi per estirparne il cuore ai fini del Rituale. Avevano effettivamente incontrato il Diavolo.
 
Jasper…più per fatalità che per altro, si era salvato.
 
Tuttavia ricordava le parole che egli urlò prima di perdere i sensi e morire arso dalle fiamme, sotto il numero 17/21 inciso sul suo braccio.
 
 
 
“Finalmente l’ho incontrato…il Diavolo!!”
 
 
 
Henry chiuse gli occhi, percependo questa volta quel ricordo in modo completamente diverso. Provò una profonda empatia con Jasper per la prima volta.
 
L’infausto destino che aveva evitato dieci anni prima, lo aveva perseguitato fino al momento della sua morte. Egli, da quel giorno, doveva aver sempre desiderato morire per mano di quello stesso Diavolo.
 
 
 
Proseguì e percorse quello strano cantiere fino a raggiungere, finalmente, la zona panoramica della foresta, con la vista sullo splendido e agghiacciante lago di Toluca.
 
 
 
***
 
  
[LA FORESTA DI SILENT HILL. La zona panoramica.] 
  
Il piccolo Walter Sullivan era lì e osservava il lago di Toluca. 
Era splendido. Peccato fosse vittima di tante leggende macabre che sapevano destare tanta inquietudine nonostante quelle acque cristalline. La luna rifletteva la sua luce e donava all’ambiente un che di sacro.  Stranamente in quel preciso punto la nebbia si dissipava decisamente rispetto al resto del bosco, in cui invece era padrona, fitta ed intensa. 
Henry si avvicinò al ragazzino con uno sguardo serio. 
  
“Sullivan, fatti vivo.” disse. 
  
Non ne poteva più di vedere quel bambino. Diamine! Lui era Walter Sullivan, non quel moccioso triste che guardava solitario la luna. Era forse un codardo? 
Non riusciva a capacitarsi che non apparisse. Perché doveva vedersela con la sua versione bambino? 
  
Quell’assassino…era il bambino. 
  
Sgranò gli occhi, all’improvviso. 
Solo allora capì, finalmente. 
Capì che quel bambino non c’entrava affatto con niente. 
  
Perché… 
  
Quell’assassino…era stato quel bambino… 
Ma il bambino…non era, invece, quell’assassino. 
  
Il discorso…non era reversibile. 
  
In quel momento aveva semplicemente a che fare con un bambino senza nome, rinnegato e condannato a morte dalla nascita. 
Aveva conosciuto il suo aspetto più profondo, che lo aveva morbosamente attaccato alla persona più preziosa per lui, la madre. 
Quella stessa, tuttavia, che lo aveva rinnegato. 
Walter, da lì in poi…non aveva avuto altro a cui aggrapparsi. 
  
Henry deglutì e con fare incerto gli si rivolse. 
  
“Ehi, ragazzino. Hai trovato Bob?” gli chiese. 
  
Walter non si girò, ma continuò a guardare il panorama. 
  
“No. Bob non tornerà. Il maiale me l’ha fatto capire.” 
  
“Il…maiale?” 
  
“Stronzo. Vorrei che…morisse…” disse il ragazzino a denti stretti. “Lui…e quelli che hanno imprigionato la mamma.” 
  
Henry si avvicinò a lui e guardò anch’egli il panorama. Si poggiò con i gomiti sulla ringhiera e osservò il ragazzino. Il viso di Walter…non era quello che avrebbe dovuto avere un bambino. Era arrabbiato, colmo di odio. 
  
“Chi ti ha detto una cosa simile?” gli chiese. 
  
“La signora importante che è venuta a trovarci in orfanotrofio. Ha detto che se studio la potrò salvare…” 
  
Henry non disse nulla. Del resto…non aveva idea di come reagire davanti a ciò che stava vedendo. Non voleva provare pietà per Walter Sullivan. 
Eppure…provava pietà per quel bambino che sarebbe diventato lui. 
Perché quello stesso Walter Sullivan era stato il frutto dei tanti orrori che aveva vissuto in quella terribile e tormentata infanzia. 
Sebbene fossero la stessa persona. 
Era una strana consapevolezza. 
  
Dalla spalla, sbirciò appena verso il viso del piccolo e notò che aveva un grosso sfregio sulla guancia. 
Lo guardò sorpreso e solo allora Walter si girò con uno sguardo apatico, rendendosi conto di essere osservato. 
Henry provò imbarazzo ad incrociare gli occhi verdi di quel bambino e rimase immobile senza sapere che fare. 
  
“Cosa vuoi? Se mi hai aiutato a trovare la chiave, allora vuoi qualcosa in cambio.” 
  
Henry sospirò. 
  
“No…niente fregature. Te l’avevo detto, no?” 
  
Il bambino abbassò il capo e Henry, per la prima volta, abbandonò quell’espressione distaccata e gli rivolse degli occhi più compassionevoli. 
  
Quella tragedia…e lui era sopravvissuto. Eppure questo non aveva impedito a qualcuno di approfittare del suo trauma e di monopolizzarlo in onore del culto. 
Che persone disgustose… 
  
Se non fosse stato per il culto, probabilmente, quel piccolo Walter Sullivan non sarebbe diventato quell’assassino spietato pronto ad eseguire i ventuno sacramenti. 
I ventuno sacramenti che, in realtà, lo avevano ingannato. 
Perché probabilmente Walter non aveva mai creduto a quelle stupidaggini. Aveva sempre e solo avuto l’intrinseco desiderio di ricongiungersi alla donna che aveva sempre amato e che il culto gli aveva fatto credere essere prima l’appartamento 302, poi la Santa Madre. 
Il bambino era stato ingannato. Il bambino desiderava solo riaddormentarsi felice, cullato in attesa di una morte dolce. Una morte dolce con sua madre. 
  
Istintivamente, allungò dolcemente la mano verso il bambino. Il suo gesto era privo di ogni razionalità e non si accorse nemmeno di quel desiderio intrinseco di dargli un tocco di dolcezza che mai aveva ricevuto nella vita. 
Anche Henry non aveva un ricordo molto sentimentale della sua infanzia… 
Quindi…credeva di poter capire cosa significasse desiderare dell’affetto. E allo stesso tempo averne paura. 
  
Walter intanto era assorto nei suoi pensieri e quando si accorse della vicinanza di Henry, subito sobbalzò, proprio prima che la mano del ragazzo arrivasse a lui. 
Subito anche Henry si ritrasse e sentì il cuore battergli forte, come resosi conto del disagio di entrambi. 
  
Quel bambino era abituato a vedere le mani di un uomo non come una carezza, ma come un qualcosa pronto a sfregiarlo e punirlo. Per questo si era ritirato, non conoscendo nemmeno il significato della dolcezza di un simil gesto. 
  
Per Henry, infondo, era lo stesso. La vita gli aveva impedito di avere disinvoltura con gli affetti e la sua vita era sempre stata circondata di solitudine. 
Se ci pensava, nemmeno lui sapeva gestire quel tipo di sensazioni, e per tutta la vita aveva persino cercato di evitarle. 
Sospirò e si abbandonò lentamente fino a scivolare a terra. Rimase seduto lì, immobile. Affianco al piccolo Walter. 
  
“Alla fine non sono tanto diverso da te, lo sai?” gli disse. 
  
Abbozzò un sorriso nostalgico e il biondino sembrò farci caso. Infatti si incuriosì, ma rimase a osservarlo in silenzio, con le mani ancora serrate sulle sbarre della ringhiera. 
Non disse nulla e si chiuse in silenzio con Henry Townshend. Eppure…il clima che si generò non arrecò alcun imbarazzo a nessuno dei due. 
  
Henry chiuse gli occhi e per la prima volta dopo giorni e giorni, avverti quel senso di soffocamento e di stanchezza abbandonarlo. 
Gli occhi non bruciavano più e si sentì così rilassato come mai avrebbe pensato di sentirsi. Meno che nell’incubo. 
Ma andava bene così. Non cercò di spezzare quel momento in nessun modo. La sua mente si stava lentamente spegnendo e il sonno prese il sopravvento. 
  
…ma perché? 
Perché di colpo tutta quella tranquillità in corpo? 
  
Solo allora aprì appena gli occhi e rivolse il volto verso Walter che era ancora lì ad osservare il lago. 
Anche lui aveva un volto diverso. Era meno spento, meno apatico. 
Meno…triste. 
  
Per un attimo, avvertì come se anche l’assassino Walter Sullivan si fosse concesso un momento di pausa, lontano dai suoi incubi e i suoi tormenti. 
Quello stesso attimo, era come se fosse stato concesso anche ad Henry. 
Era irrazionale, strano… 
Eppure era questo ciò che stava avvertendo. 
  
Non seppe trovare risposta. 
Forse, né Walter né Henry volevano giustificare troppo quell’attimo. 
Henry chiuse nuovamente gli occhi. Sullivan fece lo stesso, mentre la sua figura andava lentamente sostituendosi a quella di un uomo alto, con un lungo cappotto scuro. 
  
Il moro sentì una quiete irrazionale, non accorgendosi nemmeno che Walter Sullivan adulto fosse lì. 
Al contrario, sentì una grande serenità che, ingenuamente, gli fece credere che tutto fosse tornato normale. Come se dalla sua mente, fossero finalmente spariti tutti quei tormenti. 
Entrambi assorti in quella pace solenne e piacevole, si abbandonarono alienandosi dal mondo che li circondava, cullati semplicemente dallo scroscio tenue delle acque del lago di Toluca, sotto quella luce fioca che filtrava appena nel buio tetro di quella notte. 
  
[…] 
  
  




NDA: Il mio intento era di mostrare Walter Sullivan sia come un assassino, come più volte sottolineato da Henry, che come frutto di un tremendo passato. 
Walter e il bambino biondo rimangono comunque la stessa persona, creando così pareri contrastanti sulla figura dell’antagonista di Silent Hill 4. A mio parere, Walter è e rimane un antagonista incredibile e spero di essere riuscita a farlo trasparire dalle mie parole. 
Inoltre, ritengo che Henry e Walter abbiano un legame particolare. Questa mia convinzione un po’ dovuta all’interpretazione personale che ho sul fatto che egli sia “Colui che riceve la Saggezza”, un po’ perché lui entra in stretto contatto con l’ inconscio dell’assassino… 
Durante tutta la storia, farò del mio meglio per approfondire quest’aspetto che li lega. 
Walter, in questo capitolo, ha voluto mostrare un aspetto di “fragile” di sé. Un aspetto che poi Henry riuscirà a comprendere tant’è che nel finale decideranno di darsi persino una tregua. 
Ci tenevo che la parte finale della fanfiction fosse suggestiva e desse una sensazione di pace ma anche di inquietudine. Perché, dal mio punto di vista, sarebbe strano e bello vedere Walter ed Henry non darsi la caccia, ma rimanere in silenzio sulle rive di un lago. 
Parlando degli altri personaggi che appaiono in questo capitolo, Sein e Bobby sono le vittime 02 e 03 di Sullivan e ho voluto rappresentarle più fedelmente possibile. Non esistono documentazioni approfondite di loro, ma spero comunque di averli resi dei personaggi interessanti. 
I file sulle vittime dei 21 sacramenti li ho reperiti su Silent Hill Apocalypse. 
Ci tenevo, inoltre, anche alla trattazione dell’eccentrico Jasper Gein. È un tipo strano ma, come ogni personaggio della saga che si rispetti, anche lui è stato segnato da profondi traumi che in lui si manifestano con il suo modo di parlare e il suo atteggiamento. Spero di essere riuscita a proporre degli spunti di riflessione anche su di lui. 
Dimenticavo di spendere due parole sulla scena iniziale con Eileen Galvin, Henry e il piccolo Walter. Mi sono divertita molto mentre scrivevo, spero che la piccola cutscene abbia fatto sorridere anche a voi. 
Comunque, tornando al discorso sull’infanzia di Walter Sullivan, questo è un argomento che verrà ripreso anche nel prossimo capitolo, dunque vi lascio, in attesa di leggere le vostre opinioni^^ 
Grazie dell’attenzione, 
Fiammah_Grace 
  
 
  
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