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Autore: SofiaAmundsen    08/07/2012    5 recensioni
Au!Auschwitz, John!deportato ebreo, Sherlock/generale tedesco.
[II] Stai raccogliendo le ultime scodelle quando sul tavolo atterra un pezzo di pane. 
Lo guardi, sbatti le ciglia un paio di volte e poi ti volti a guardare chi te l' ha lanciato, perché credi nei miracoli, ma non fino a questo punto. E li riconosci subito, quegl' occhi. Li hai visti una sola volta, ma si sono impressi nella tua mente così indelebili che li riconosceresti anche in mezzo al mondo intero.
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Il lavoro che ti fanno fare, John, è inutile, lo vedi da solo. Non è un lavoro di quelli per cui alla fine vedi il tuo sforzo prendere un forma e ne sei fiero, no, è un lavoro senza meta, senza scopo, come il tuo sopravvivere li dentro, è un lavoro che è solo sforzo, disumano, estremo, estenuante, non è più il lavoro che nobilita l' uomo, è il lavoro che lo punisce, per una colpa che non ha commesso. Spingi un carrello pieno di ferri vecchi e arrugginiti verso La Grande Fabbrica -è così che la chiamate, ma in realtá neanche lo sai quello che fanno li dentro- e intanto ti guardi intorno, anche se non vorresti farlo, non vuoi vedere, ma in mezzo a quella sofferenza scura e confusionaria cerchi qualcosa. Qualcuno.
In un angolo del campo, vicino alla rete e al filo spinato, una donna sta versando dell' acqua torbida sull' occhio del figlio: avrá appena cinque anni e il suo occhio è gonfio e sanguina; un soldato l' ha colpito con il braccio del fucile, prima, l' hai visto anche tu, l' ha fatto perchè il piccolo è caduto e ha iniziato a piangere, abbandonando il carico pesante sulla sua schiena. Adesso la mamma sta cercando di calmarlo, lo stinge a se, gli accarezza il viso con la mano del braccio che lo avvolge e con l' altra gli asciuga l' occhio con la manica lurida e strappata della sua divisa a righe. Siuramente perderá l' occhio. Tu sei un medico, potresti salvarglielo, se solo avessi gli strumenti adatti, se potessi avvicinarti a lui senza rischiare di essere massacrato di botte da un soldato, se solo ne avessi la forza. Perderá l' occhio, e tu non puoi farci niente.
Piú in la uomini come te, piú magri forse, più deboli forse, spostano grossi macigni caricandoli sulle spalle. Probabilmente non servono a niente, quelle pietre, ma se smettessero di trasportarle non resterebbe che la morte per loro, così continuano, per inerzia, per paura. Sono molto più pesanti di loro, quei sassi, ne sei certo, perchè i loro corpi, così magri da sembrare non essere altro che pelle aderente a ossa sottili e fragili, si piegano come bambù e tremano, sotto il gravare di quell' inutile fatica, e le loro costole potrebbero essere contate, una ad una, anche da lontano, perchè sporgono sotto i petti scherni e lasciano uno spazio tra di loro, dove una volta scivolava il cibo, quando il cibo c' era; hanno sguardi assenti, lontani, che non puntano verso niente ma scrutano il vuoto, rivedendoci forse un passato più felice. Non c' è speranza, in quegl' occhi, mentre si trascinano per il campo in fila indiana, ma solo la consapevolezza di una morte che ti aspetta al prossimo passo, al prossimo giorno.
Una nuvola di terra più lontano da te ci sono due soldati, dritti nelle loro uniformi, che ti coprono la vista di un disperato inginocchiato per terra, riesci a scorgerne solo i piedi scalzi e neri. Uno di loro ha i capelli biondi, come sempre, l' altro invece lascia uscire dal berretto una composizione di ricci ribelli e corvini che gli coprono la nuca e il collo; ti sembra di non averlo mai visto, è piú alto degl' altri e i suoi capelli sono senza dubbio una particolaritá -sembrano così, morbidi, setosi, lunghi, a differenza dell' albinismo e del taglio militare di tutti gli altri- , ma non è che tu faccia tanta differenza, quando vedi una divisa: bastardo, è l' unico nome con cui ti interessa chiamarli. Sta urlando, il soldato biondo, ma non contro l' uomo ai suoi piedi, bensí contro il soldato accanto a lui, urla, ma si vede che ne è intimorito, come se l' altro fosse di una posizione superiore ma dovessse comunque essere lui a insegnargli il mestiere, se è questo il nome che si puó dare all' atrocitá, e il moro non si muove, rigido nella sua altezza, con il fucile in mano. Non lo capisci, il tedesco, John, non sei riuscito ad impararlo anche se in quel posto è l' unica lingua che si parla, ma riesci a distinguere i suoni di alcuni parole, quei suoni duri e graffiati che hanno sempre un significato tremendo.
«Schlugen ihn!» urla. Colpiscilo. Sai che significa questo perchè ogni volta che lo senti, quel suono, è subito seguito da una percossa, per te o per qualcun' altro. E infatti il soldato più alto si piega sulla disperazione sotto di se e tu abbassi subito gli occhi, prima che l' urlo di dolore che ti trafigge arrivi accompagnato dall' espressione trafitta di una persona ridotta a niente.
Continui a spingere il carrello e fai uno sforzo immane, perchè gli manca una rotella, a sinistra, proprio in corrispondenza della tua spalla slogata e ti fa male, ma non smetti di guardarti intorno, tra i volti segnati e le lacrime costrette, ma lei non c' è. Lei, Mary, l' unica che tu abbia mai amato, la tua prima cotta quando ancora aveva le trecce nei capelli, tua moglie, la principessa del tuo cuore e della tua casa. L' hanno portata via, insieme ad altre donne, e tu non sai dove ne perchè, sai solo che continui a pregare, ogni minuto, ogni secondo della tua vita, pregare di rivederla, pregare di riabbracciarla, pregare che stia bene, pregare che ti sbagli quando pensi che ogni volta che hanno portato via qualcuno, non l' hai più visto tornare, perchè lei è tutto il tuo mondo, è l' unico elemento che ti tiene ancora in vita, è un' unica cosa con te, senza di lei, non puoi esistere. Sorrideva, mentre la spintonavano in mezzo ad altre donne, nessuna bella come lei, e ti guardava dolce, come solo lei sa essere: andrá tutto bene, dicevano i suoi occhi, tornerò presto, ma tu lo sai che aveva più paura di te.

Ti asciughi il sudore con quello che resta della tua canotta a righe, sporca, strappata, messa e rimessa da tante persone di cui è stata l' ultimo indumento, e in quel momento senti un trillo, acuto e metallico, provenire dagli altoparlanti, un trillo che hai imparato a riconoscere come le trombe che annunciano il tuo angelo. Cibo, ecco cosa significa quel trillo, ti daranno del cibo, John, se ha ancora quel nome, marcio e vecchio com' é, ma tu lo mangerai lo stesso, perchè il tuo stomaco ti urla dentro così tanto da non lasciarti sentire i tuoi pensieri.
Ti siedi, su una panca traballante posta di fronte a un tavolo divorato da vermi e termiti, e guardi la scodella crepata davanti a te, il liquido scuro e acquoso della zuppa che contiene, la stessa di tutta la settimana probabilmente, che fa da umile stagno al tozzo di pane secco che ci galleggia dentro. Un' espressione di disgusto ti sfugge, ti volti per non guardare quello che sará il tuo unico pasto non sai per quanto ancora, e noti la mamma che hai visto prima, con il suo bambino, e l' occhio non sembra essere migliorato. Nonostante il grosso ematoma che gli copre buona parte della faccia riesci a vederne l' espressione delusa e sconfortata.
«Mamma non mi piace!»
«Lo so tesoro, neanche alla mamma piace, ma devi mangiarlo»
«Ma mi fa schifo, e ho tanta fame! Voglio le frittelle che cucini tu,mamma...»
L' uso che fa del presente ti provoca un colpo al cuore, ti fa capire come loro, troppo piccoli per capire, troppo grandi per non soffrire, siano gli unici a provare ancora speranza, gli unici che non abbiano lasciato la voglia di risorgere al di fuori di quel filo spinato.
Fa un sospiro, la sua mamma, e tu ti chiedi se ancora un volta l' amore sará più forte della disperazione.
«Va bene, amore, adesso chiudi gli occhi»
«Ma perchè?»
«Tu fallo e basta, fidati della tua mamma.»
Il bambino chiude gli occhi, emettendo un verso di dolore per via della ferita quando lo fa, e tu pensi che non hai mai desiderato curare qualcuno come in questo momento.
«Adesso immagina che questo tavolo sia pieno zeppo di frittelle, di ogni gusto, al cioccolato, al miele, ai mirtilli, e quelle che facev...faccio solo la domenica, con la buccia di arancio dentro l' impasto. Immagina che ci sia un' enorme caraffa di sciroppo da versarci sopra e anche la polvere di cocco da spruzzarci. Lo stai facendo, stai immaginando?»
«Si» dice il bambino sorridendo, sognante
«Bravo, sei bravissimo amore mio» lo coccola con la voce mentre lo imbocca di quell' intruglio indefinito che siete costretti a mangiare.
Sei incantato da quella scena, John, li guardi con un sorriso tenero così rapito che quasi non te ne accorgi quando una mano lesta e scheletrica ti sfila il piatto da sotto il viso. Quando ti giri l' uomo scuro e con gli occhi piccoli si è giá quasi finito il liquido e tiene stretto in una mano il tuo pezzo di pane secco.
«Che cazzo fai?» gli urli con una forza che non ti appartiene.
Non ti risponde, impegnato com' è a cercare di scalfire la compattezza del suo tesoro rubato in una posizione curva che lo fa sembrare un topo, ma ti guarda con degl' occhi che ti trafiggono, occhi che dicono ho fame, ho paura, non voglio morire e tu sospiri, arrendendoti alla sofferenza che porta gli uomini alla follia.
Le voci altisonanti dei soldati tornano presto, a ricordarvi chi siete, a ricordarvi che non avete neanche diritto di mangiare e il lavoro richiama se i suoi schiavi. Ironia di un destino sempre più sadico, il mento di un tedesco indica te per riportare le ciotole in cucina: sospiri, forse perchè l' aria è l' unica cosa che possiedi ancora, e cominci a raccogliere i piatti, chino sul tavolo malandato, mentre dietro di te percepisci lo strusciare e il battere tra loro di piedi comodi nelle loro calzature di pelle e subito dopo passi decisi allontanarsi: cambio del soldato che ti è di guardia, come se davvero avessi la possibilitá di scappare, come se davvero ne avessi la forza.
Stai raccogliendo le ultime scodelle quando sul tavolo atterra un pezzo di pane, ma non un pezzo di pane secco e ammuffito come quello che vi danno, un panino morbido e ben cotto, con la crosta dorata, la mollica bianca e un' intera salsiccia al suo interno. Lo guardi, sbatti le ciglia un paio di volte e poi ti volti a guardare chi te l' ha lanciato, perché credi nei miracoli, ma non fino a questo punto. E li riconosci subito, quegl' occhi. Li hai visti una sola volta, ma si sono impressi nella tua mente così indelebili che li riconosceresti anche in mezzo al mondo intero, ti hanno colpito così tanto che non sei riuscito a guardare tutto ció che li circonda, ma ora puoi farlo, puoi posare lo sguardo sul profilo marcato e aristocratico dei suoi zigomi, alti e fieri, scendere lungo la linea del suo naso allungato, soffermarti ad assaporare il disegno giottesco di due labbra rosse e curvilinee, sofisticate in quel perfetto arco di cupido che sembra formare un cuore con il labbro inferiore; potresti poi proseguire per la via lattea che è il suo collo fusiforme ed andare ad insinuare lo sguardo dentro la giacca che comprime un corpo magro e slanciato, ma ti ricordi che è un generale che stai guardando, a giudicare dalla divisa importante che indossa, cosí abbassi gli occhi, inghiotti la saliva e prendi fiato per parlare.
«Dank.» Grazie. Questo lo sai dire, è forse l' unica parola che vi hanno insegnato al campo, insieme a Master, padrone.
«Ho visto quello che è successo prima» ti risponde, in inglese, stupendoti, e tu pensi che quelle parole in un tono freddo siano il suo modo di dire prego.
Ti getti sul cibo che ti ha dato e inizi a divorarlo, affamato e animalesco: senti la fragranza del pane infrangersi contro i tuoi denti malsani, come onde sugli scogli, e la mollica soffice essere accolta nel tuo palato come se stessi mangiando una nuvola, mentre il sapore succulento e vagamente piccante della carne ti soddisfa un gusto che non pensavi neanche più di avere. Finisci di mangiare, in pochi attimi, sotto lo sguardo affilato dell' uomo, improvvisamente molto giovane ai tuoi occhi, appoggiato al legno corrotto.
Ora che il tuo bisogno impellente si è calmato, ne senti un altro spingere pressante dentro di te, ma di natura diversa: vorresti chiedere a quel soldato così intrigante come si chiama, quanti anni ha, come mai parla inglese così bene e si trova li, vorresti sapere tutto di lui, perchè dal primo secondo che li hai visti hai avuto l' impressione che ci fosse un mondo intero dietro quegl' occhi, dentro quell' azzurro, e lo pensi anche adesso che ti fissano, quasi curiosi, quasi attenti, ma non dici niente, perchè sai che saresti picchiato per una cosa del genere, anche se una parte di te ti sussur basandosi su chissà cosa, che lui non lo farebbe.
«Holmes.»
Sussulti al suono della sua voce, temendolo come temi ogni tedesco li dentro, ma forse non è paura il brivido lungo tutta la tua schiena: la sua voce è profonda, sensuale, penetrante, è un' aromonia che non passa per il mondo circostante, dalla sua gola vibra direttamente dentro di te, diffondendosi al ritmo del tuo cuore, è un suono che non sapresti paragonare, se non a qualcosa di estremamente inconcreto, come un' emozione o, appunto, un brivido. Holmes, che significa Holmes?
«È il mio cognome, non è abbastanza ovvio? Sherlock Holmes.»
Ti chiedi se ti sei posto la domanda ad alta voce ma no, non l' hai fatto, l' ha semplicemente capito. Inizi a pensare che davvero ci sia qualcosa di incredibilmente speciale in questo generale e nei suoi occhi cangianti.
«John, John Watson.»
Ti presenti, anche se non dovresti. Tu non hai più un nome, sei solo un numero, un numero tatuato in nero sul tuo avambraccio: 221.
Una sequenza di secondi di silenzo si isinua nella vostra lenta conversazione, poi, chissá dove trovi il coraggio -la sfacciatagine?- di parlare. Di parlargli.
«Potrebbero punirti, per quello che hai fatto. Dare del cibo a un ebreo, credo sia illegale qui dentro.»
Alza le spalle, noncurante, come se non gli importasse di se, come se non gli importasse di niente.
«Non credo lo faranno, ho gli agganci giusti, mettiamola così. Tu, piuttosto, saresti massacrato di botte, se non ammazzato, se ti vedessero parlare con un ufficiale invece di svolgere i tuoi compiti.»
Parla con un sorriso ironico appena accennato sulla bocca e tu pensi che sia qualcosa di terribilmente sadico, in un primo momento, ma poi lo osservi e ti sembra ci sia qualcosa di più in quell' espressione, come ogni volta che l' hai guardato da quando lo conosci. Decidi di ignorare quell' affermazione e porre la domanda che non riesci a spegnere.
«Come hai fatto a sapere che mi stavo chiedendo qual' era il tuo nome?»
Sorride, questa volta più di prima, ma sembra con le labbra chiuse, in una sottile espressione, e sposta per un attimo lo sguardo da te, per poi riportarlo quando parla.
«Io osservo» ti dice convinto «un po' come facevi tu, 221, quando eri un medico: osservavi i sintomi, li collegavi tra loro e formulavi una diagnosi.»
Ora sei spaventato. Chi è? Come fa a sapere che eri un medico? Cosa altro sa di te? É qui per spiarti?
Sembra leggere la paura in te.
«Sta tranquillo, 221, non sono una spia delle ss, e comunque non gli interessa affatto spiarti, per loro sei solo un morto che cammina.» La freddezza con cui parla ti gela il sangue, tanto che fai un passo indietro, quasi avessi paura di esserne glaciato.
«Hai paura di me? Come tutti del resto.»
La sua espressione è cambiata, te ne accorgi subito, sul suo sorriso ironico adesso sembra cucito un tono di tristezza e i suoi occhi di ghiaccio guardano lontano, come scrutassero una valle di ricordi dolorosi.
«Torna al tuo lavoro, schifoso ebreo!»
Ora anche la sua voce è diversa, sembra non essere la sua, sembra provenire da un altro corpo.
Sussulti quando il suo cambiamento ti investe, ma non torni al tuo lavoro, non scappi, o cerchi di proteggerti il viso da colpi che forse arriveranno, fai una cosa che non ti saresti mai aspettato di fare. Traballante e insicuro ti avvicini a lui, sotto il suo sguardo dubbioso come quello di un gatto indeciso se fidarsi o meno di te, fai un passo piccolo, di prova, per osservare attento la reazione del suo viso, assaggiare l' immagine di come non si accorge di aver dischiuso le labbra e aggrottato le sopracciglia, troppo preso com' è dal cercare di decifrare ogni tua mossa, ti avvicini ancora un po', finchè quasi non vi sfiorate involontariamente, e continui a guardarlo, insistente, esitante, benevolo, il tuo azzurro tenue e umido nel suo acceso e glaciale, non li distogli mai, i tuoi occhi dai suoi, li usi per parlare, per chiedergli se puoi, per dirgli di fidarsi di te, anche se non ti conosce, anche se sei uno schifoso ebreo, anche se sei solo un numero su un avambraccio, e allunghi la tua mano, muovendoti di una lentezza inverosimile, lasciando che passino minuti, mesi, anni, dal momento in cui questa lascia il tuo fianco a quello in cui si avvicinata alla sua così tanto da sfiorarla, da percepirne il leggero calore, da essere abbastanza sicuro che entrambe stiano tremando, poi la prendi con la tua, improvviamente sicuro, improvvisamente forte. Trasale quando le tue dita avvolgono il suo palmo, come fossi stato elettricitá, e cerca nel tuo sguardo le risposte alle sue domande.
«Io non ho paura di te» sussurri deciso, convinto fissandolo ancora nelle iridi di cristallo, aspettando che lui si calmi, che capisca il tuo gesto, le tue parole, i tuoi moventi.
E sembra capire, così che puoi smettere di guardarlo e posare lo sguardo sulle vostre mani giunte. Sembrano un controsenso, in quella stretta goffa e arrangiata, un' antitesi, il candore bianco e diafano della sua mano, così chiaro da dare l' impressione di non essere mai uscito dall' incantevole luogo in cui è apparso per la prima volta, sembra luminoso in contrasto con la tua carnagione scura, di ore di lavoro sotto il sole, di sporcizia sanguinata dai tuoi compiti incessanti, la sua pelle è così liscia che ti sembra di toccare l' acqua che scorre libera, la sabbia alle prime ore del giorno, i sassi levigati dal ruscello, così liscia che ti sembra la realtà piú bella che tu abbia mai sfiorato, come se ci fosse un nuovo senso, più intenso del tatto, più profondo del tatto, che tu scopri solo ora, così liscia che sembra quasi stia insultando la tua, ruvida e callosa, graffiata dalla fatica, segnata dal male che hai provato, le sue unghie, lunghe e sottili, sono curate sembra gli servano per qualcosa, come suonare, forse, mentre le tue, scheggiate e nere, non ti sono servite neanche per difenderti, neanche per aggrapparti, quando ti hanno strappato via dalla tua casa. Le tue sono le mani di un dottore, mani che curano, che salvano vite, mentre le sue sono quelle di un soldato, mani che straziano, mani che ammazzano, eppure tu le trovi stupende, bellissime nella loro particolaritá, così grandi ma sottili, affusolate e morbide. Posi ancora lo sguardo su quell' intreccio improbabile, come il giorno e la notte, la luna e il sole, cerchi di capirlo, di capire perchè l' hai creato, capire che ci sia dietro quella lieve follia, e poi lo alzi su di lui, che come te guardava le vostre mani giunte fino a un momento fa, sorpeso, indeciso, meravigliato, e che ora ti guarda con mille domande negl' occhi; sembra un bambino, questo pensi, sembra un bambino che cerca di comprendere il mondo, di comprendere te, scrutando tutto con lo scintillio delle sue iridi azzure, la bocca un po' aperta e la curiositá negl' occhi, ma non sembra spaventato, sembra semplicemente che ti stia chiedendo perchè, sembra quasi che nessuno l' abbia mai sfiorato come stai facendo tu.
Una frazione di secondo il suo sguardo cambia, dimentica il perchè e sembra quasi stia diventando un grazie, ma poi tutto assume la velocitá della luce: spalanca gli occhi, come se una zanzara maligna lo avesse punto, ritira la mano in uno scatto, afferra il suo fucile, ti colpise una sola volta, forte e deciso, tra il collo e la nuca, tu cadi a terra, per un attimo la vista appannata ti concede solo l' immagine confusa di lui che ti guarda gelido dalla sua altezza, il fucile ancora in mano, il viso che non lascia trasparire emozione, la sua voce che urla dreckiger Jude!, poi tutto diventa sempre piú buio e il mondo sembra spegnersi sotto il sapore amaro della delusione.


   
 
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