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Autore: Yuri_e_Momoka    08/07/2012    1 recensioni
Avevo iniziato a sedermi al suo posto, nella sua poltrona: vederla vuota mi riempiva di malinconia e, inoltre, speravo che qualche traccia della sua intelligenza fosse assorbibile attraverso quella fodera in pelle sintetica; speravo che il mio cervello potesse lavorare più in fretta.
Se fossi stato al suo posto, mi avrebbe trovato in poche ore, e questo soltanto perché la polizia avrebbe dovuto ultimare tutta la burocrazia e mettere in atto tutte le procedure prima di agire. Se fossi stato al suo posto, a quest’ora mi sarei già trovato a Baker Street a sorseggiare caffè caldo.
La verità era che ero spaventato a morte perché stare seduto su quella poltrona non faceva di me Sherlock Holmes.
Genere: Angst, Drammatico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: John Watson , Lestrade , Quasi tutti, Sherlock Holmes , Sig.ra Hudson
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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TSS - 2 Il mio rientro all’ambulatorio non fu dei più rilassanti: una forma di influenza tenace aveva portato un esodo di anziani e madri con i figli piccoli a farsi controllare. Durante il tempo che impiegai a dividere i veri malati da quelli suggestionati ebbi solo un paio di occasioni per spedire un messaggio a Sherlock e chiedergli come si sentiva, avendo notato che alcuni dei contagiati presentavano febbre alta. La sua risposta ad entrambi i messaggi fu ‘bene’, e nient’altro.
Ero talmente preso dal lavoro che dimenticai le indagini sull’orecchio mozzato e quando arrivai a casa, ben dopo l’ora di cena a causa del lavoro straordinario, me ne andai semplicemente a letto.
La mattina dopo non vidi Sherlock, ma fortunatamente non mi ritrovai a dover affrontare lo stesso assedio di malati del giorno prima, tanto che ebbi il tempo di spedire un messaggio a Lestrade e chiedergli come procedevano le indagini.
 
Confermato DNA di Lucas.
Appartamento svuotato.
 
Interpretai l’ultima frase come una precauzione, da parte della polizia, nel trasportare altrove tutto il materiale conservato nell’appartamento, ma poiché mi sembrava una trovata assurda chiesi ulteriori spiegazioni, che non tardarono ad arrivare.
 
Qualcuno si è introdotto
e l’ha svaligiato, compresi
i mobili.
Puoi chiedere a Sherlock
di rispondere al telefono?
Grazie.
 
Un po’ per l’eccitazione di quell’insolito risvolto, un po’ per andare incontro alle richieste di Lestrade, scrissi anche a Sherlock.
 
Novità sul caso, Lestrade
ti avrà aggiornato.
Controlla i messaggi!
Come stai?
 
Non ricevetti risposta, ma la fine del mio turno si avvicinava.
 
Scrollai la pioggia dall’ombrello prima di mettere piede nell’appartamento. In soggiorno aleggiava una luce tetra, ma fui colpito nell’udire il suono del televisore acceso: il notiziario delle 6 raccontava un raccapricciante fatto di cronaca.
Sherlock era affondato nella poltrona con le ginocchia raccolte contro il petto e avvolto in una brutta coperta patchwork che non avevo mai visto, tanto che potevo scorgerne solo la cima della testa.
«Non rispondi ai messaggi» constatai salutando.
«Il telefono è lontano» rispose con voce flebile e roca, senza distogliere lo sguardo dalle immagini macabre.
«Però sei venuto fin qui.»
«Se sono qui non posso prendere il telefono che è in camera.»
Abbandonai la giacca bagnata sullo schienale di una sedia e allungai la mano verso di lui. «Febbre?»
Si ritrasse nella coperta come un animale ferito. «No. Mi infastidisce. Ho subito un incremento del senso del tatto.»
Sospirai. «Ipersensibilità, è normale. Non hai mai avuto la febbre prima?»
«Può darsi. Non ricordo. Non è importante.»
«Immagino di no.» Assecondarlo era la via migliore per evitarmi discussioni fastidiose. «Lestrade mi ha detto che…»
«Non mi interessa.» Si alzò immediatamente trascinandosi dietro la coperta colorata.
«Ma è il tuo caso!»
«Oh. Dunque deve esistere un altro Sherlock Holmes che mi somiglia molto ed ha accettato questo caso, perché io sono sicuro di non averlo mai fatto.»
Si diresse a passi strascicanti verso la sua stanza.
«Ma le cose si stanno evolvendo, potresti avere qualcosa di interessante…»
«Prendilo tu, allora» disse fermandosi davanti alla porta.
Rimasi interdetto. L’ipotesi era talmente assurda che mi venne da sorridere. «Ma… io non posso farlo.»
«Ovviamente puoi. È la sua risoluzione che potrebbe rivelarsi molto lontana dal possibile.»
Senza distogliere lo sguardo da me, con un accenno di sfida negli occhi, aprì bruscamente la porta e si rintanò nuovamente nella sua camera buia.
 
«Spagna, Danimarca e Svezia sono i Paesi che finora ci hanno fornito notizie o che si sono lasciati contattare, ma sospetto che altri non vogliano fare rivelazioni.» Avvertii un tono di ansia e affaticamento nelle parole di Lestrade, che però non era dovuto alle forze spese per salire le scale della casa in Godolphin Street, la mattina dopo. Chiaramente la faccenda stava diventando complicata: alte cariche europee – come aveva già anticipato Mycroft – avevano ricevuto, via posta, parti di corpo umano. Un paio di loro avevano deciso subito di collaborare e spedire i risultati delle analisi nel Regno Unito, ma altri si dimostravano reticenti, altri ancora non collaboravano proprio per evitare scandali e fughe di notizie. Spesso gli alleati si rivelano più una fonte di problemi che di sostegno, avevo avuto modo di impararlo durante la mia esperienza militare. E anche quella domestica.
«E…» riprese Lestrade con una leggera ansia, «che mi dici di Sherlock?».
«A letto. Manda me a fare i vari sopralluoghi e io lo… aggiorno.» Pensando di non risultare abbastanza credibile accompagnai quella mezza bugia con un sorriso stirato. Lestrade annuì e non rispose. Sapevo che il caso aveva iniziato a preoccuparlo seriamente e che avrebbe di gran lunga preferito avere Sherlock accanto a lui.
Il detective entrò nell’appartamento, io lo seguii, notando i sigilli che erano stati applicati sulla porta, ora rotti. Come mi era stato detto, la casa era stata completamente svuotata: non c’era più niente, nemmeno un quadro, un manifesto, un tappeto. Persino tutti gli inutili souvenir erano stati trafugati come se avessero acquistato improvvisamente valore.
Erano rimaste solo le pareti, il pavimento e il soffitto. L’unica cosa che era stata lasciata era un graffito: la famosa A cerchiata era stata disegnata su una parete, apparentemente con una bomboletta di vernice nera. Sherlock aveva avuto ragione a considerare il gruppo anarchico. Ovviamente.
Cercai di riproporre i metodi utilizzati da Sherlock: volevo scoprire qualcosa di interessante che risvegliasse in lui l’interesse per il caso, ma per quanto m’impegnassi non vi era molto da perlustrare. Cercai di individuare orme particolari nella polvere, ma tutto ciò che vidi furono le tracce lasciate dai poliziotti; cercai segni sui muri, ma la carta da parati era già vecchia e consunta la prima volte che avevo visitato l’appartamento e, eccetto per il nuovo graffito, non riuscii a trovarvi nulla di particolare.
Mentre stavo per rinunciare, Lestrade aggiunse un nuovo particolare. Me lo riferì sottovoce, aveva l’aria di trattarsi di un risvolto significativo.
«Svezia, Danimarca e Spagna ci hanno inviato i risultati delle analisi e alcune fotografie: le parti del corpo ricevute appartengono tutte a Lucas, ma gli indirizzi sui pacchi sono stati scritti da mani diverse e anche i francobolli cambiano ogni volta.» Guardò il pavimento dondolandosi nervosamente. «Sembra proprio che abbiamo a che fare con un’organizzazione ampia e con serie intenzioni.» Tornò con lo sguardo su di me, un misto di gravità e supplica negli occhi. «Convinci Sherlock a occuparsene. Per favore.»
Rimasi colpito dalla sua preoccupazione. «Farò del mio meglio» assicurai, ma avevo poca fiducia nelle mie capacità di persuasione.
 
Pensai di affidarmi al suo orgoglio e al suo narcisismo: se avessi iniziato il discorso riferendogli che aveva avuto ragione a sospettare degli anarchici, questo lo avrebbe sicuramente fatto interessare di più al caso. Oppure no: il fatto che avesse sospettato gli anarchici fin dal primo momento avrebbe potuto convincerlo ancora di più della banalità della vicenda. Ero ormai in grado di interpretare i suoi silenzi, sapevo tradurre in frasi di senso compiuto i suoi mugugni e riuscivo sempre a leggergli nello sguardo la differenza tra disapprovazione, delusione, frustrazione o eccitazione per un omicidio intrigante. Tuttavia tutto ciò che portava ad un certo stato d’animo era spesso avvolto nella mia ignoranza più totale, almeno fin quando egli stesso non si scomodava a chiarire i miei dubbi.
Per farla breve, nel momento in cui mi chiusi alle spalle la vecchia porta verde che si affacciava su Baker Street, ancora non sapevo con quale particolare l’avrei convinto a riprendere ad occuparsi del caso. Caso che, comunque, presentava delle perplessità. Mentre salivo i gradini tentavo di figurarmi come mai un gruppo di anarchici avrebbe dovuto  svuotare l’appartamento del proprio ostaggio dopo che la polizia l’aveva già perlustrato. C’era un che di misterioso in quel comportamento, un che di anomalo e leggermente inquietante. Speravo davvero che questo particolare avrebbe titillato a sufficienza il mio coinquilino.
Bussai alla sua porta, ma non ci fu nessuna risposta. Prima di aprire chiamai la signora Hudson.
«No, sono un po’ preoccupata, John» rispose stropicciandosi le mani, dopo che l’ebbi chiesto se lo aveva visto durante il giorno. «In realtà sì, non l’ho visto però. Ho bussato e gli ho chiesto se aveva bisogno di qualcosa, perché sapevo che si era preso questa brutta influenza. Mi ha detto che non gli serviva niente e di andare via. Non mi sono impuntata, sai, quando è di cattivo umore il suo caratteraccio mi spaventa.» Annuii perché la capivo e perché cercava insistentemente la mia approvazione con lo sguardo.«E da allora non l’ho più visto.»
«Va bene, signora Hudson, sarà il caso che vada a vedere io. Se sta male non può rifiutare l’aiuto di un medico.» Il medico ero io, per questo mi sentivo leggermente in colpa: non mi ero particolarmente occupato di lui durante quegli ultimi giorni. Sicuramente la sua scontrosità non rendeva facile insistere su quell’argomento; il più delle volte preferivo lasciarlo ai suoi problemi piuttosto che subirmi le sue lamentele sprezzanti. Questa volta però avrei fatto qualcosa e se si fosse chiuso in camera avrei sfondato la porta. O forse avrei solo chiamato un fabbro. Anzi, probabilmente la signora Hudson aveva una copia di ogni chiave dell’appartamento.
Bussai di nuovo, più forte. «Sto entrando.» Attesi ancora qualche istante una risposta che non venne. Afferrai il pomello aspettandomi di sentirlo bloccato, invece la serratura scattò e la porta si aprì senza alcuna resistenza. Le luci erano spente ma la finestra era aperta. Le tende si gonfiavano ritmicamente: fuori si era alzato il vento, la stoffa chiara si sollevava in direzione del letto. Vuoto.
«Sherlock?» chiamai confuso, come se potesse saltare improvvisamente fuori dall’armadio. Con mio grande disappunto, non accadde niente del genere. Mi inginocchiai persino a guardare sotto il letto, ma la stanza era completamente vuota. Controllai di nuovo tutta la casa, sentivo uno spiacevole formicolio estendersi sulla nuca per ogni stanza che trovavo disabitata.
«È uscita di casa oggi?» domandai alla signora Hudson sulle scale, ponendo fermamente una mano di fronte a me, come a tentare di bloccarle i ricordi che potessero sfuggirle. Come avrebbe potuto dimenticarsi di una cosa del genere?
«Mh? Certo, sono uscita un’ora stamattina, sono andata dal parrucchiere!» Lo disse con un tono di voce incredulo: secondo lei la sua nuova piega doveva essere la prima cosa che avrei dovuto notare, una volta rientrato.
«Non c’è.»
Stavolta la padrona di casa fu ancora più stupita. «Non c’è? Non è in casa? Sul serio, John? Non è possibile.»
Ero agitato, molto agitato, ma capii che far preoccupare la signora Hudson non avrebbe semplificato le cose, quindi mi sforzai di sorridere. «Beh, sarà andato a prendere un po’ d’aria, non è il caso di preoccuparsi subito.»
‘Prendere un po’ d’aria’. Quella frase era assolutamente assurda se associata a Sherlock. Due note opposte e discordanti. ‘Sherlock Holmes è andato a prendere una boccata d’aria’. Era contraddittoria in sé.
«Prendere aria? È impossibile, a mala pena mi parlava dal letto!»
«Stia tranquilla, ora gli telefono. Anzi, forse mi ha scritto un messaggio e io non l’ho notato. Non c’è motivo di preoccuparsi. Vada a preparare una delle sue tisane alle erbe, eh? Ne prendo una tazza anch’io, se non le dispiace.»
Insistetti ancora un paio di volte e, incoraggiandola ulteriormente con un po’ di pressione sulle spalle, la convinsi a scendere nel suo appartamento e a lasciare a me il resto.
Ovviamente controllai il cellulare alla ricerca del fantomatico messaggio, sperando che il solo parlarne lo facesse comparire, ma non c’era niente, né un messaggio non letto, né una chiamata persa.
Composi il suo numero e rimasi ad ascoltare i segnali intermittenti e interminabili. Il telefono squillò a vuoto finché non venne attivata la segreteria. Sapevo che non l’avrebbe mai ascoltata quindi scrissi di fretta un messaggio: dove sei? Solo questo, così non avrebbe avuto il tempo di annoiarsi leggendolo.
Forse mi stavo preoccupando inutilmente, ma più cercavo di convincermene più l’ansia aumentava. Dovevo metterci un freno e pensare razionalmente e il primo nome che associai a ‘razionale’ fu quello di Mycroft Holmes.
«Sì?» rispose dopo diversi squilli. Dalla voce sembrava particolarmente tediato.
«Sono John.» Ovviamente lo sapeva già: doveva averlo letto sullo schermo e anche se non l’avesse fatto l’avrebbe saputo comunque.
«Sì, John?»
«Hai parlato con Sherlock, oggi? L’hai visto, forse?» Sentii un improvviso brusio di voci e mi venne da chiedere, con un po’ troppo slancio: «È con te?».
«No, attendi un attimo, per favore.» Sentii che appoggiava una mano sul ricevitore per attutire i suoni e che parlava con qualcuno. Un paio di persone, forse. Poi la voce tornò chiara. «Scusa, dicevi?» La noia con cui si stava rivolgendo a me, prendendo quella situazione completamente alla leggera, mi fece innervosire.
«Hai visto Sherlock? In casa non c’è, non è reperibile e quando l’ho lasciato non stava affatto bene.»
«Mh-mh» assentì. «Si tratta di una ‘giornata pericolosa’?»
Impiegai qualche istante a capire. «No. No! È malato, aveva la febbre»
«Oh, questa mi giunge nuova. No, mi spiace, non l’ho sentito da quando ci siamo incontrati alla stazione di polizia. E, a questo proposito, come procede il caso?»
«A rilento, visto che colui che doveva occuparsene non si trova!»
«Ah. Ha accettato, dunque?»
Mi chiedevo sempre perché mi ponesse delle domande di cui conosceva già la risposta. Sapeva perfettamente che Sherlock non trovava il caso dell’orecchio più interessante di un barattolo di cetriolini. La sua indifferenza mi irritava e avevo tentato di coinvolgerlo. Cosa mi era saltato in mente? Improvvisamente volli concludere quella conversazione al più presto.
«Il caso non è importante, adesso. Non è con te, dunque. Se hai notizie fammi sapere, per favore.»
«Certamen-» Riagganciai.
Per quanto pensare a Mycroft mi procurasse sempre, inevitabilmente fastidio, se fosse successo qualcosa a Sherlock lui l’avrebbe saputo. Lui sapeva sempre. Non c’era niente di cui preoccuparsi.
La signora Hudson entrò in salotto accompagnata dal leggero tintinnio delle tazze di ceramica sui piattini; rimase in piedi sulla soglia, cercando di leggermi il viso.
«Non c’è da preoccuparsi» ripetei, più a me stesso che a lei.
 
Ricordo bene quella notte: la trascorsi a letto, tentando di imitare la normalità, ma fissando la porta della mia camera e la sottile lama di luce che penetrava debolmente dal basso. Avevo lasciato la luce accesa in soggiorno, pensando che potesse essere d’aiuto nel caso Sherlock fosse rientrato quella notte. Ricordo di aver trattenuto il fiato a ogni rumore e di averlo esalato appena mi rendevo conto che la cadenza di quei passi era diversa, che il fruscio del soprabito era un altro.
Ricordo di aver chiuso gli occhi così spesso, nella speranza di dormire, di aver creduto di stare soltanto sbattendo le palpebre. Ricordo di essermi ripetuto centinaia di volte che la mia ansia era infondata, che era già successo prima. Ricordo di essermi reso conto che la mia ansia sarebbe stata infondata se lui non avesse avuto la febbre, se non fosse sgattaiolato via proprio quando la signora Hudson non era in casa, se mi avesse mandato un messaggio alle 3 di notte dicendomi di raggiungerlo in un posto sconosciuto alla ricerca di un cadavere senza piedi ma con le scarpe addosso.
Ricordo di aver atteso quel messaggio per un’eternità e di aver visto sorgere l’alba.
Ricordo di aver sentito un rumore alla porta, di essere balzato giù dal letto, teso ed esasperato, e ricordo la mia delusione nello scoprire che si trattava unicamente del postino che recapitava un pacchetto.
   
 
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