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Autore: SognoDiUnaNotteDiMezzaEstate    09/07/2012    7 recensioni
Era quello che volevo, no? L’occasione giusta per mandare tutto all’aria e concedermi del tempo per me.
Avevo immaginato di mandare al diavolo il mio lavoro e la mia coinquilina tante di quelle volte che nemmeno ricordavo quando la mia insofferenza nei loro confronti fosse iniziata. Quello che non avevo immaginato, però, era di non intraprendere quel viaggio da sola; e che ad accompagnarmi sarebbe stata una delle persone da cui cercavo disperatamente di fuggire in quel momento: Edward Cullen.
Genere: Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Bella/Edward
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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Route 66

Now my heartbeat is sinking, hope's shrinking,

When I try to speak no words, lip-syncing.

Hope this is not just wishful thinking.

Tell me that you care, and I'll be there in a heartbeat.

Someday I will find my way back

To where your name is written in the sand.

Simple Plan ft. Sean Paul - Summer Paradise

19. Midnight confessions

«Che cosa ci fai ancora qui? Non dovresti essere su un aereo?», furono le sue prime parole dopo lunghi minuti di silenzio. Non mi aveva ancora lasciato andare, anche se mi aveva rimesso a terra. Tenevo il viso affondato nel suo petto, ascoltando il suo respiro accelerato e in sottofondo i rumori del molo e del lunapark.

«Non voglio tornare a Chicago. Voglio restare con te», dissi semplicemente, arrossendo.

«E il colloquio? Cosa-»

Allontanai il capo dal suo petto, alzando il viso per incontrare i suoi occhi, e posai l’indice sulla sua bocca, zittendolo. «Domattina chiamerò la redazione per avvisarla. Ma per questa sera non voglio pensare al lavoro, d’accordo?»

Fece un piccolo sorriso, e lasciai cadere la mano. «Va bene», acconsentì.

Intrecciò le dita intorno alle mie. «Andiamo a fare un giro sulla spiaggia?»

 

La spiaggia di Santa Monica avvolta dai colori caldi del tramonto era uno spettacolo da mozzare il fiato. Le luci della ruota panoramica brillavano a festa, riflettendosi sull’acqua calma dell’oceano, che a ritmo rilassante si infrangeva sul bagnasciuga, dove la gente era seduta a terra ad osservare il sole che completava la sua discesa verso l’orizzonte. Alcune persone erano ancora in acqua, e molti surfisti facevano avanti e indietro accanto al molo alla ricerca dell’onda giusta da cavalcare.

Edward ed io compiemmo a ritroso il percorso del pier, scendendo in spiaggia insieme all’altra gente. Trascinare un trolley sulla sabbia non sembrava essere una cosa fuori dal comune in quel posto, ma le ruote continuavano a incepparsi nei granelli, così Edward dovette trasportarla a mano.

Il sole era sempre più basso. In quel momento desiderai con tutta me stessa avere la mia macchina fotografica a portata di mano per immortalare quel momento, ma Edward mi disse di averla lasciata nel furgoncino perché aveva pensato di fare un bagno, e non voleva lasciarla incustodita sulla spiaggia.

Ci sedemmo sulla sabbia, vicini, con i volti rivolti all’oceano e l’orizzonte. Il cielo si stava dipingendo di giallo, arancione e rosso, rispecchiando i colori nell’acqua blu.

Scostai i capelli su un lato, accaldata; non tirava un alito di vento, e l’afa era insostenibile; iniziavo ad invidiare quelle persone in acqua. Edward seguì il mio movimento con gli occhi, e sentii le sue dita scivolare sulla pelle del mio braccio, lasciato interamente scoperto dal vestito leggero.

«Facciamo il bagno?», propose d’un tratto.

Lo guardai accigliata. «Non ho il costume…»

«Beh, hai il vestito», ribatté, come se quello fosse un sostituto perfetto di un costume da bagno.

Inarcai un sopracciglio. «E tu come faresti il bagno? Con jeans e camicia?»

Lui rise. «I jeans sono più che sufficienti».

Alzai gli occhi al cielo e tornai a guardare l’oceano, pensando che il discorso sarebbe finito lì, dato che mi sembrava non fattibile la cosa. Ma Edward si alzò in piedi, e si sfilò la camicia, infilando subito dopo le mani sotto la maglietta per sfilare anche quella.

Lo guardai allarmata, e gli strinsi il polpaccio sperando di fermarlo attirando la sua attenzione. «Che stai facendo?»

«Jeans. Bagno. Ne abbiamo appena parlato, ricordi?», ghignò, sfilandosi anche la maglietta. La lasciò cadere insieme alla camicia sulla sabbia, dove era seduto poco prima.

Lo osservai dal basso, accigliata. «Vuoi davvero farti il bagno adesso? E senza costume?»

«Il momento del tramonto è il migliore. Guarda che calma c’è», disse, voltandosi a guardare l’oceano, che a differenza della spiaggia era poco affollato.

Aggrottai le sopracciglia. «Non posso lasciare la borsa e la valigia incustoditi, Edward», borbottai. «Però tu puoi andare, se vuoi», aggiunsi.

Si risedette al mio fianco, infilandosi solo la camicia e allacciandola lasciando i primi bottoni aperti. «Non ci sarebbe gusto a farsi il bagno da solo», disse solamente, piegandosi all’indietro sui gomiti.

«Dove andiamo a dormire stanotte?», gli chiesi, distogliendo lo sguardo dal tramonto.

Edward ci pensò per qualche secondo. «Uno di questi alberghi sulla spiaggia?», propose. «Anche se non mi dispiacerebbe passare la notte in tenda sulla spiaggia».

Feci una smorfia. «Potremmo ritrovarci un granchio nel sacco a pelo con la fortuna che abbiamo. E la tenda allagata per l’alta marea».

«Non mi accamperei proprio in riva all’oceano, Bella», rise Edward.

Il sole finalmente toccò la linea dell’orizzonte, dipingendo il cielo di rosso.

«Sei sicura di aver fatto la scelta giusta restando qui?», domandò dopo pochi secondi di silenzio.

«Inizio a pensare che non vedessi l’ora che me ne andassi», scherzai, anche se non ne ero più molto sicura.

Edward fece una smorfia. «Certo che no. È solo che non vorrei ti ritrovassi a rimpiangere di non aver colto l’occasione di questo colloquio una volta tornati a casa».

«Non avrò rimpianti. Ne sono sicura», dissi con assoluta certezza. Ed era la verità. Sapevo che mi sarei rimproverata per il resto dei giorni se avessi deciso di prendere quell’aereo e avessi abbandonato Edward e il nostro viaggio. Mi trovavo esattamente dove dovevo essere, ma soprattutto dove volevo.

Lui sorrise e passò un braccio sopra le mie spalle, attirandomi contro il suo fianco. Premette le labbra sulla mia tempia, e subito dopo appoggiai il capo sulla sua spalla, con gli occhi fissi sul tramonto.

 

Dopo che il sole fu tramontato e il cielo iniziò a tingersi di scuro, decidemmo di trovare un posto in cui passare la notte. Prendemmo il furgoncino, parcheggiato poco distante dal pier, e percorremmo Ocean Avenue, costeggiando la spiaggia e il parco verde punteggiato da palme altissime; ci fermammo davanti ad uno dei primi hotel che incrociammo, accettando di fermarci lì per almeno una notte e prendendo una camera con vista sull’oceano; lasciammo le nostre valigie accanto alla porta della camera e uscimmo subito dopo esserci cambiati, fermando al volo un taxi che passava davanti all’ingresso, rinunciando a prendere il furgoncino ormai posteggiato nel garage privato dell’hotel. Edward diede al tassista il nome del Fisherman’s Village, e osservai dal finestrino la spiaggia che scorreva accanto a noi. Attraversammo Venice e Marina del Rey, poi ci allontanammo dall’oceano per ritrovarci in quello che aveva l’aria di essere un porto enorme ricavato in una rientranza della costa.

Il taxi passò attraverso le sbarre che conducevano ad un parcheggio a pagamento, e poco dopo si fermò davanti ad una piccola via circondata da un lato da un complesso di edifici, e dall’altro da un piccolo ristorante italiano con alle spalle, affacciato sull’acqua, un piccolo faro bianco e blu; davanti a noi si presentò l’oceano, dipinto di una strana colorazione violacea, e sopra di esso il cielo, che partiva da un forte color rossiccia per tendere ad un viola intenso che affogava nel blu scuro - quasi nero - della notte; a segnare l’orizzonte c’era solo una sottile striscia di terra nera, punteggiata qua e là dalle luci giallastre delle case e dei locali, da cui spiccavano gli alberi delle barche ormeggiate sui moli dall’altra parte dell’insenatura. Prima che i colori cambiassero scattai una foto, contenta di aver ripreso possesso della mia macchina fotografica.

Passeggiammo lungo il porticciolo del villaggio dei pescatori, dove si trovavano negozi di souvenir e moltissimi ristoranti e tavole calde che servivano pasti unicamente a base di pesce fresco, pescato in giornata. Solo dopo aver raggiunto l’estremità settentrionale del villaggio ed essere tornati indietro decidemmo di fermarci a cenare in un locale con il patio sull’oceano, dove erano posizionati diversi tavolini accanto alle balaustre in legno. Nell’aria c’era odore di mare, pesce e frittura, e si sentivano le più diverse lingue. C’era tanta gente che girava per quel posto, soprattutto turisti come noi, e l’atmosfera era rilassata e vacanziera.

«Sarà strano tornare a casa dopo queste settimane di libertà», disse ad un certo punto Edward, dopo che avevamo parlato degli scorsi giorni, ricordando alcuni dei posti che avevamo visitato, chiedendoci anche cosa stesse facendo Jacob in quel momento e se la jeep di Emmett fosse ormai a posto e lui stesse solo aspettando che noi tornassimo indietro per restituirgli il furgoncino della Volkswagen.

«Già», dissi solamente, sperando che il discorso cadesse lì. Gli avevo detto che per quella sera non volevo parlare di lavoro, ma nemmeno tutto il resto che ci aspettava a Chicago quel giorno aveva una grande attrattiva per me. A quanto pareva non ero l’unica che non aveva molta voglia di tornare a casa.

«Hai più sentito Jessica da quando sei partita?», mi chiese poi.

Altro tasto dolente. «No. Spero solo che abbia fatto quello che le ho detto. Non ho nessuna voglia di trovare Mike in quella casa come prima cosa che rivedrò una volta tornata a Chicago», borbottai, con una smorfia.

Lui aprì la bocca per dire qualcosa, ma dopo un attimo di indecisione la richiuse. Inarcai un sopracciglio con fare interrogativo, e lui scosse il capo. «Niente», rispose. «Lo sai cosa penso di quel tizio».

Era vero. Lo considerava un essere viscido, approfittatore ed egoista; lui e Jessica avrebbero formato la coppia perfetta sotto questo punto di vista, se non fosse stato che sotto tutti gli altri aspetti facevano acqua da tutte le parti; lui era un donnaiolo - con poco successo, ma pur sempre un donnaiolo - e lei non si faceva mancare qualche flirt con qualche cliente del ristorante presso cui lavorava; si lasciavano e riprendevano quando gli faceva più comodo, ma Jessica era più che convinta che un giorno si sarebbero sposati. Per la mia sanità mentale, dato che dovevo sorbirmeli entrambi da due anni a quella parte - da quando la mia ex coinquilina Angela si era trasferita dal suo fidanzato -, speravo che ciò accedesse al più presto, così che se ne andassero a vivere in un appartamento tutto loro ed io avrei potuto finalmente trovare qualcun altro con cui condividere l’appartamento - possibilmente qualcuno con una considerazione delle altre persone pari quasi a quella che aveva di se stesso.

«Dopo potremmo tornare a piedi in albergo», proseguì lui dopo qualche minuto di silenzio. «Non è molto lontano».

Annuii, sorridendo e ringraziandolo mentalmente per aver cambiato discorso.

 

La spiaggia di Los Angeles di notte era pressoché tranquilla. C’erano i tipici gruppi di ragazzi che passeggiavano facendo un po’ di confusione, e ogni tanto si sentivano le sirene delle ambulanze e delle volanti della polizia provenire dalle strade, ma nel complesso non si stava male. Nemmeno il buio mi metteva particolarmente a disagio, grazie ai fari che illuminavano parte della spiaggia fino a qualche metro oltre la riva, dove l’oceano era nero come la pece. Camminavamo a pochissimi metri dall’acqua, dove la sabbia era umida e compatta, e rinunciai a togliermi le infradito solo per evitare di incappare in qualche pezzo di vetro o conchiglia rotta.

Parlammo di poche cose, godendoci per lo più il rumore dell’oceano e della città. Il vento soffiava leggero, gettandomi i capelli negli occhi, e a nulla valevano i miei tentativi di bloccarli dietro alle orecchie; alla fine rinunciai, lasciando che mi pizzicassero il viso e gli occhi fastidiosamente.

Passammo accanto ad un gruppo di ragazzi intorno ad un falò, e pensai che cose di quel genere me le sarei aspettate solo nelle serie tv e nei film, non nella realtà. Poi un paio di ragazzi si alzarono all’improvviso e afferrarono per i piedi e le braccia un loro compagno, arrivando a gettarlo a peso morto nell’acqua bassa dell’oceano. Scoppiarono a ridere, ed io ricordai quando Edward mi aveva lanciato nel lago del Red Rock State Park allo stesso modo.

Edward rimase silenzioso per alcuni istanti. «Ricordi la proposta di oggi pomeriggio?»

«Sarebbe…?», chiesi, non sapendo se volevo davvero saperlo. Quando iniziava un discorso in quel modo c’era da aspettarsi di tutto.

«Quella di fare il bagno. Hai detto che l’avremmo fatto».

«Beh, sì», ammisi, confusa. «Domattina potremmo andare in spiaggia».

Un sorrisetto furbo spuntò sulle sue labbra. «Che ne diresti di farlo adesso?»

«Adesso?», ripetei, frastornata. «Al buio?»

«Il bagno di mezzanotte non è una cosa così strana», disse lui, divertito. Non capivo se fosse serio o mi stesse solo prendendo in giro dopo aver visto la mia espressione davanti allo scherzo di quei ragazzi. «Sarebbe divertente».

Mi fermai. Eravamo ormai lontani dal gruppo di ragazzi intorno al falò, e le uniche luci erano quelle provenienti dalla passeggiata in fondo alla spiaggia, Ocean Avenue e il molo di Santa Monica. Avevamo camminato così tanto che eravamo ormai giunti quasi al nostro albergo. Non c’era nessuno in giro, a parte qualche coppia che passeggiava e qualcuno seduto sulla sabbia a fissare l’oceano illuminato dalla luce della luna e delle stelle, ma ogni tanto il fuoristrada della polizia passava a controllare, facendo avanti e indietro nel bel mezzo della spiaggia semideserta.

«Ma non abbiamo il costume», mormorai, cercando una scappatoia. «Non c’è qualche legge che vieta i bagni a quest’ora? Se ci succedesse qualcosa non ci sarebbe nessuno nei dintorni che ci vedrebbe».

Edward alzò gli occhi al cielo, ridendo. «Non ti sto proponendo di fare il bagno nudi, né di fare una traversata oceanica. Resteremmo vicini alla riva».

«E come torniamo in albergo? Non abbiamo né cambi né asciugamani. Ci sbatterebbero fuori».

Inarcò un sopracciglio. «È un hotel sulla spiaggia. Sono abituati a vedere la gente entrare bagnata fradicia e piena di sabbia».

Rimanemmo in silenzio per un minuto. Edward aspettando che mi decidessi ad accettare la sua proposta, ed io aspettando di vedere spuntare un venditore ambulante di costumi o asciugamani che mi permettesse di accettare senza remora la sua offerta.

Poi lui sospirò. Si sfilò la camicia e la arrotolò, nascondendoci dentro portafogli, cellulare e chiave della camera; la appoggiò sulla sabbia, e si sfilò anche le scarpe e le calze. «Bene, io vado», disse, impassibile. Mi voltò le spalle e fece quei pochi passi che lo portarono dritto in acqua. Sentii i suoi piedi sciaguattare contro le onde dell’oceano e sbuffai, sfilando in fretta le infradito e lasciando cadere la borsa accanto alla sua camicia. Probabilmente quando sarei uscita dall’acqua bagnata fradicia me ne sarei pentita, ma tanto valeva provare, ora che non c’era nessuno in giro.

Edward si voltò a guardarmi, con l’acqua già alle ginocchia che quasi gli bagnava le bermuda che indossava. Era facile per lui, era come se fosse praticamente in costume!

Appena misi piede nell’acqua rabbrividii. Non era fredda, ma neanche calda come me la sarei aspettata nel bel mezzo della notte.

Tese una mano verso di me, e la stretti mentre sentivo una specie di strapiombo sotto i piedi, che mi portò ad avere l’acqua alla vita. Feci un sibilo, impiegando qualche secondo ad abituarmi alla temperatura.

«Perché c’è questo gradino?», gli chiesi, mentre mi seguiva. L’acqua gli arrivava solo al cavallo dei pantaloni. Era ingiusto che io fossi così bassa.

«Colpa dell’erosione dell’oceano. È normale, non preoccuparti», ghignò, divertito dalla mia preoccupazione.

Edward lasciò la mia mano, e lo guardai mentre tranquillamente si immergeva fino al collo nell’acqua, come se non ci fosse neanche un’onda a sospingerlo avanti e indietro; io, al contrario, sentivo la corrente sbattere sulle mie gambe, e dovetti piantare per bene i piedi nella sabbia per riuscire a resistere alla spinta che mi faceva quasi cadere all’indietro. Provai a fare un passo verso di lui, e non riuscii a resistere all’onda. Caddi all’indietro, finendo per bagnarmi anche i capelli. Riemersi con un salto dall’acqua, annaspando. Edward mi strinse il polso, di nuovo in piedi davanti a me. «Tutto bene?», mi chiese, scostando all’indietro i capelli bagnati dal mio viso.

Annuii imbarazzata, e mi sistemai una bretella del vestito caduta, avvertendo subito il peso di tutto quel tessuto impregnato d’acqua; avrei avuto un bel po’ d’acqua da strizzare via una volta uscita dall’oceano. «Non credevo fosse così forte la corrente», mi giustificai, imbarazzata.

Lui mi prese per mano. «Vieni», disse solamente, e mi stupii che non si fosse messo a ridere per quella mia caduta; forse si era davvero spaventato come me; con quella corrente così forte probabilmente nemmeno lui riusciva a prendere alla leggera anche una semplice caduta.

Mi fece avanzare di appena due metri, fino a quando l’acqua mi arrivava ormai al collo. Il dislivello era notevole; non eravamo molto distanti dalla riva, eppure ero già immersa nell’acqua completamente. Le spalle di Edward erano ancora una spanna fuori dall’acqua, e cercai di opporre una lieve resistenza quando provò a spingermi a proseguire.

Mi venne accanto. «Aggrappati alle mie spalle», cercò di convincermi. «Vedrai che più avanti la corrente è meno forte».

Sebbene sapessi nuotare, feci come mi aveva detto. Mi tenni con entrambe le mani sulle sue spalle, mentre le sue mi stringevano gentilmente la vita, e fece qualche altro passo verso l’oceano, fino ad avere anche lui l’acqua fino al collo. E scoprii che aveva ragione: più lontani dalla riva la corrente e la forza d’urto delle onde era meno forte. Rimasi comunque aggrappata a lui, e provai ad allungarmi sulle punte dei piedi per cercare di toccare il fondo, senza successo.

«Sei troppo alto», borbottai con un sorriso, anche se non avevo mai trovato la sua altezza fastidiosa. Piuttosto era la mia ad irritarmi in certi momenti.

«Oppure tu sei troppo bassa», ghignò.

«Io non sono troppo bassa», ribattei orgogliosamente, anche se solo pochi secondi prima stavo maledicendo la mia altezza. «Alice è troppo bassa. Io sono di altezza media».

«Giusto», concordò stranamente Edward. «Tu sei perfetta così».

Strinsi le braccia intorno al suo collo, lasciando che i miei piedi restassero staccati da terra. Sapevo di non essere pesante grazie all’acqua, e quello mi faceva stare più tranquilla. «Edward…», iniziai, ma mi interruppi. Cosa avrei voluto dirgli? Credo di amarti ancora? Non volevo che quelle parole uscissero in quel modo così indeciso. Del resto il mio incubo di poche ore prima era stato piuttosto illuminante. Quando stavo per andarmene da casa sua sapevo cosa stavo per dirgli: stavo per rivelargli di essere ancora innamorata di lui, e che quel sentimento non era un riflesso del passato, ma ciò che provavo in quell’esatto momento. Era ciò avevo ripreso a sentire con addirittura maggiore intensità da quando avevamo intrapreso quel viaggio insieme; non era solo qualcosa legato agli eventi passati, sentivo di essermi innamorata di nuovo di lui, di questo nuovo e al tempo stesso familiare Edward, che era cambiato nel corso di questo anno in cui eravamo stati separati. Ma non avevo il coraggio di dirglielo. Ero sempre stata una totale imbranata quando si trattava di parlare di sentimenti, e lo facevo quasi sempre solo se mi trovavo messa alle strette, come aveva dimostrato Edward nel corso di quelle settimane insieme. Odiavo questo lato di me, ma non riuscivo a cambiarlo, per quanto mi sforzassi. Fra l’altro, non volevo affrettare le cose fra di noi. Solo scuse, Bella, sibilò la vocina della mia coscienza. La verità è che sei una fifona.

Edward mi guardava incuriosito, aspettando che continuassi.

«Non è che ci sono gli squali?», proruppi alla fine, nervosamente, sapendo che stava ancora aspettando che dicessi qualcosa. Fifona.

Lui fece un sorriso storto, e anche se aveva capito che non era quello ciò che volevo dirgli, non lo diede a vedere. «Non penso osino avvicinarsi così tanto alla riva», disse semplicemente. «E ricordati che anche se ti morsicassero avresti pur sempre un dottore a due passi».

Sorrisi, più rilassata ora che il discorso era tornato su toni leggeri. «Spero per te che tu non sia uno di quei medici da spiaggia che somministra marijuana ai pazienti, perché se Rose lo venisse a sapere saresti nei guai fino al collo», lo informai, ripensando divertita alla chiamata avuta quel pomeriggio con la mia amica. 

Edward storse la bocca. «Preferirei utilizzare l’alcol piuttosto che la droga», disse. «Almeno so che effetto potrei ottenere, visto come sono andati i tuoi ultimi approcci con l’alcol», aggiunse, con un’occhiata maliziosa. I ricordi offuscati della notte passata a Canoncito presero il sopravvento, ricordandomi quanto fossi stata sfacciata nei suoi confronti tentando di sedurlo e imbronciandomi quando mi aveva rifiutato; e subito dopo anche quelli della notte di perdizione a Las Vegas, a ricordarmi che eravamo quasi giunti perfino a sposarci.

Cercai di scalciare in risposta, ma Edward intercettò il mio movimento e bloccò la mia gamba fra le sue. Rise divertito, aumentando la stretta intorno a me per evitare che tentassi altri attacchi improvvisi.

«Sarei curiosa di scoprire quali effetti potrebbe avere su di te una dose massiccia di alcol», ammisi.

«Dovrei berne un’enorme quantitativo», disse, con una risatina nervosa. «E ho smesso di abusarne da qualche giorno».

Inarcai le sopracciglia. «Esserti quasi sposato da ubriaco ti ha terrorizzato così tanto da convincerti a fare un voto di astensione dall’alcol?»

Lui fece una smorfia. «Non è stato quello. Almeno, non solo», rispose, e vedendo che mi aspettavo una spiegazione soddisfacente continuò: «Quando Lizzy se n’è andata e mi sono ritirato dal lavoro ho iniziato a bere. Molto, troppo. Avevo le mani che tremavano e il più delle volte mi svegliavo senza capire come avevo fatto a tornare a casa sano e salvo. Probabilmente era così che sarebbero finite la maggior parte delle serate durante questo viaggio, se non ci fossi stata tu. Ma quello che hai detto l’altra sera - riguardo il senso di colpa - mi ha fatto capire che non serviva a niente affogare i dispiacere nell’alcol. Perciò ho deciso di smettere».

Avevo trattenuto il fiato per quasi tutto il tempo della spiegazione, e quando terminò vidi i suoi occhi scrutarmi, preoccupati, alla ricerca di chissà cosa dipinto sul mio viso. Pensava che avessi cambiato idea su di lui, su di noi, per ciò che aveva fatto di se stesso durante quei mesi di totale sconforto?

«Mi dispiace», iniziò a dire, agitato, vedendo che non dicevo nulla. «So che non…», si interruppe, alla ricerca delle parole che considerava più giuste per giustificarsi di qualcosa di cui non aveva nessuno bisogno di farlo.

Avvicinai il viso al suo, sfiorando con la punta del naso la sua. «Va tutto bene», gli assicurai, certa delle mie parole.

Poi sfiorai le mie labbra con le sue, sentendo sulla lingua il gusto acre dell’acqua salata, che piano piano venne sostituito da quello di Edward.

Restammo in acqua diversi minuti, in silenzio, senza muoverci troppo dalla nostra posizione, attenti a non allontanarci dalla riva. Quando entrambi iniziammo ad avere i polpastrelli raggrinziti decidemmo di uscire per tornare in albergo.

Edward mi tenne la vita mentre facevo lo scalino dello strapiombo, uscendo dall’acqua fino al ginocchio. L’aria mi sferzò la pelle bagnata, facendomi tremare fino alla punta dei capelli. Edward mi venne accanto e uscimmo di corsa dall’acqua.

Cercai di strizzare la gonna del vestito per sgocciolare più acqua possibile, senza molto successo. Edward invece strinse la mia borsa in una mano e la camicia con le sue cose nell’altra, facendomi segno di andare.

Presi la borsa in una mano, tenendola ben lontana da me per evitare che la bagnassi, e l’altra la strinsi intorno a quella di Edward, e mi lasciai trascinare di corsa verso l’albergo.

 

Entrammo nella hall dell’albergo come due fuggiaschi, in punta di piedi - come se servisse a qualcosa: avevamo già insabbiato e sgocciolato tutto l’ingresso, lasciando una traccia che partiva dalla spiaggia e giungeva dritta davanti alle porte scorrevoli - e cercando di trattenere le risatine divertite. Nonostante tutto era una situazione divertente. La donna dietro la reception ci lanciò occhiate omicide, e la sentii alzarsi dalla sedia scocciata, probabilmente diretta a prendere acqua e spazzolone per pulire il disastro che avevamo fatto. Salimmo sull’ascensore e appena giungemmo al nostro piano sgattaiolammo fino in camera, accendendo tutte le luci e ridendo finalmente senza controllo.

La faccia della receptionist era stata impagabile. In fondo l’idea del bagno di mezzanotte non era stata affatto malvagia.

Tentai di sdraiarmi sul letto, ma Edward mi trattenne per il braccio. «No. Sei fradicia e piena di sabbia. Non ci provare nemmeno», disse, cercando di restare serio - senza molto successo.

Alzai gli occhi al cielo e mi avvicinai a lui, stringendo entrambi i lembi della sua camicia, che non appena aveva indossato si era bagnata. «Giusto», concordai, iniziando a slacciargliela. «Immagino che quello che ci voglia ora sia una lunga e rilassante doccia», sussurrai, alzando solo alla fine gli occhi su di lui.

Le sue labbra si piegarono in un sorriso storto, e infilò le dita sotto le spalline del mio vestito, attirandomi a lui. «Posso intuire che alla fine non ti è dispiaciuto il bagno di mezzanotte», mormorò.

Sorrisi, premendo le mani sul suo petto, spingendolo ad arretrare verso la porta del bagno. «Lo apprezzerei di più se potessimo liberarci di tutta questa sabbia e di questo sale appiccicoso», commentai, guidandolo dritto fin dentro la doccia.

Edward sorrise, abbassando le spalline del vestito e del reggiseno insieme, mentre gli facevo cadere la camicia giù per le braccia. «Agli ordini», ghignò, e con una mano girò il pomello della doccia, aprendo il getto d’acqua che finì sui nostri vestiti già bagnati.

 

Quelli erano stati giorni incredibili. Per questo motivo non riuscivo proprio a pensare a come sarebbe stato tornare a casa. Edward ed io stavamo ricominciando la nostra storia a gonfie vele, e almeno quello riusciva a darmi un po’ di sollievo.

Sentivo che sarebbe andato tutto bene se le cose avessero continuato ad andare per quel verso. Forse in quel modo tornare a casa non sarebbe stato così traumatico e pauroso.

Sdraiata in quel letto, fra le braccia di Edward e con il battito del suo cuore a cullarmi, tutto sembrava perfetto, giusto. Ma nel cuore della notte, una volta che il desiderio venne placato, mentre entrambi eravamo ancora svegli, altre paure, inaspettate, presero il sopravvento, risvegliate da ciò che Edward aveva appena detto. Erano le stesse paure che mi avevano perseguitato fino all’anno prima, e che credevo di non dover nuovamente affrontare; credevo che questa volta tutto sarebbe stato diverso, che io fossi cambiata e avrei affrontato quel momento in maniera diversa, ma forse mi stavo solo illudendo che avrei avuto più tempo per prepararmici. Invece Edward l’aveva tirato fuori così, all’improvviso, nel bel mezzo della notte, mentre mi accarezzava i capelli dopo aver fatto l’amore.

Ed io non seppi cosa fare, e mentre le sue parole rimbombavano ancora nella mia mente sapevo che questa volta non avrei potuto scappare. Non avrei potuto fingere di essere addormentata - ero fra le sue braccia, aveva avvertito perfettamente che mi ero irrigidita come un pezzo di legno non appena aveva finito di parlare - né potevo cambiare discorso.

Dovevo dirgli qualcosa.

Cosa?

Non ne avevo la più pallida idea.

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Il Diario di Bella - blog dove potete vedere immagini dei luoghi visitati nel corso della storia.

Buongiorno! :D

Per fortuna questa settimana sono riuscita ad essere puntuale! Ora che gli esami sono finiti spero di poter continuare così fino alla fine :D

A proposito della fine, dato che molti di voi me l'hanno chiesto, sì, stiamo per arrivarci. Non so dirvi quanti capitoli esattamente manchino, perché non mi piace fare degli schemi dei capitoli futuri, ma ad occhio e croce penso che ne manchino 3-5. Appena avrò un'idea più chiava vi avviserò.

Tornando a questo capitolo so che è un po' corto, ma finisce proprio dove volevo finisse quella giornata, quindi dovrete aspettare settimana prossima per scoprire cosa ha detto Edward e come si risolverà il problema del lavoro. Qualche idea? :D

Grazie infinite a chi ha recensito lo scorso capitolo e anche a tutti i lettori silenziosi! :*****

Alla prossima! :***

   
 
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