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Autore: ConsultingFangirls    09/07/2012    3 recensioni
Era iniziato in un nebbioso mattino di febbraio quando, marciando per l'appartamento di Baker Street con le mani nei capelli e gli occhi da folle, Sherlock Holmes si era imbattuto in qualcosa che non sarebbe dovuto esistere.
L'uomo seduto nella poltrona dei clienti, un tizio magro, alto, con un completo a righe blu e marroni, Converse rosse e capelli spettinati, stava imperturbabile e con le gambe accavallate, seguendo con gli occhi il famoso detective uscire di testa. John non ci avrebbe scommesso, ma sembrava si stesse divertendo.

/ «Rose? È finito il latte»
«E perché non vai a prenderlo?»
«Perché ci vai tu» Layne le tese il cappotto con un sorriso e svuotò la pipa sul divano «E prendi anche del tè, che è quasi finito»
Genere: Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash, Slash | Personaggi: Companion - Altro, Doctor - 10, Rose Tyler, TARDIS
Note: Cross-over | Avvertimenti: Contenuti forti, Gender Bender
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«Quindi il vostro piano geniale sarebbe questo? Buttarci in mezzo ad una strada, aspettare che ci trovi e farci inseguire fino al tetto del Bart's?» John scosse la testa «Giuro che da quattro teste come voi mi aspettavo un po' di più di un inseguimento alla Tarantino. Oltretutto non abbiamo neanche una valigetta di dollari da scambiare» quando si accorse che solo Rose aveva colto la battuta sospirò e si girò verso Sherlock «Ma poi il tetto del Bart's? Perché, bontà divina, ci sono un milione di scale per arrivare in quel posto»
«Prima di tutto è perché ci sono un milione di scale. Abbiamo buoni motivi di credere che l'assassino stia riprendendo la sua forma corporea, e non deve essere un'esperienza piacevole…»
«Un po' quanto essere fatti a pezzettini minuscoli, buttati in un frullatore con un po' di olio, mangiati, digeriti, vomitati. Ah, e poi qualcuno dovrebbe pretendere di potervi riassemblare esattamente come eravate usando soltanto degli spilli senza capocchia e lo sputo» finì per lui la frase il Dottore, sorridendo.
«Ecco, come dicevo, appunto. Quindi, se sarà obbligato a fare una fatica fisica molto superiore a quella a cui è abituato, probabilmente potremmo avere dei punti di vantaggio, e questo è il primo punto a favore del Bart's. Il secondo è che Layne e il Dottore hanno scoperto che proprio sotto il tetto del Bart's potremmo essere così fortunati da aprire una microfrattura nella faglia, grossa abbastanza perché si riprenda il nostro amico ma non abbastanza grossa perché distrugga completamente Londra, il che alla lunga potrebbe risultare un po' fastidioso»
«Eh, già» sospirarono John e Rose quasi insieme.
«Chi riesce ad immaginarsi una vita senza Harrod's?» aggiunse giocosamente lei. Il Dottore le sorrise, facendosi comparire una fossetta nella guancia. I suoi occhi avevano un che di febbrile e triste dietro quel lucido color castagna, e non era la solita tristezza della solitudine, ma qualcosa di più simile a paura, a preoccupazione. E lui non si preoccupava mai, o meglio, fingeva di non farlo. Rose sentì i palmi delle mani inumidirsi. Per contro, tentò di avvicinarsi a Layne, che sembrava incapace di stare immobile, continuava a sfregare un piede per terra o a stringere le spalle, e Layne era sempre impaziente, ma a questo punto iniziava a chiedersi se non ci fosse qualcos'altro che non volevano dire né a lei né a John, perché loro non sapevano controllarsi e le loro emozioni prendevano sempre il sopravvento su ciò che era giusto e finivano per preferire di salvare i loro cari piuttosto che un'intera città. Clint gliel'aveva detto una volta, al ritorno da una missione particolarmente pericolosa col Torchwood.
Le venne da stringere i denti e schiaffeggiarli tutti e tre, Sherlock e Layne e anche il Dottore, sì, perché riuscivano ad essere così incredibilmente altruisti ed eroici e tutta quella merda lì, e lei era solo una ragazzina che voleva proteggerli tutti anche a costo di far saltare in aria Londra, Big Ben, Harrod's e tutto.
«Voi andate avanti, verso il Bart's; lui è già qui, vi terrà dietro» stava dicendo il Dottore a John e Sherlock. «Noi vi seguiremo. In fondo siamo tutti viaggiatori nel tempo, potrebbe confondersi, e se decidesse di fare qualcosa in mezzo alla strada potremmo intervenire subito per aiutarvi.»
Sherlock annuì, un cenno rapido a cui John fece eco. Il movimento delle loro teste sembrò fondersi l'uno con quello dell'altro, stranamente fluido. Il detective allungò una mano e strinse quella del Dottore, guardandolo dritto negli occhi; anche John gli riservò lo stesso trattamento, e d'improvviso il Signore del Tempo sembrava vagamente commosso e a disagio. Rose sentì sparire la rabbia e allungò una mano per fargli una carezza sulla schiena. «Andrà tutto bene» disse a tutti e cinque, soprattuto a se stessa. 
Fuori da Buckingham Palace, videro John e Sherlock allontanarsi insieme, una figura troppo alta e l'altra più bassa che gli teneva accanto. La folla si apriva e chiudeva attorno a loro; non venivano notati, come succedeva ai viaggiatori del tempo, eppure c'era qualcosa che li contraddistingueva, forse il modo in cui si muovevano l'uno in successione all'altro, il modo in cui stavano insieme.
Quando li videro girare l'angolo della strada, il Dottore prese un profondo respiro.
«Be', signore,» disse, offrendo a ciascuna un braccio, «in marcia.»
Rose lo prese a braccetto. Layne era rimasta un attimo rigida, e quindi la bionda la prese per mano, la strinse forte. «In marcia, capitano» 
Intanto Sherlock e John avevano già iniziato a camminare a passo di corsa verso la stradina che il Dottore aveva indicato. Sherlock alzò un sopracciglio quando notò che John stava aprendo e chiudendo a scatti le mani, come gli aveva visto fare più di una volta da che si era trasferito al 221B di Baker Street, nel 2010, in una Londra che era quella in cui stavano camminando ora senza però esserlo davvero.  «John? Smettila. Non hai nulla di cui aver paura, se il Dottore ci ha assicurato che non saremo in pericolo ho buoni motivi per credere che non lo saremo sul serio. E poi sei un sodato, hai visto molto peggio di un piccolo unico uomo che va in giro ad ammazzare con i denti» guardò verso di lui con un sorrisetto che gli increspò le guance magre. John aveva imparato bene a conoscere quel viso allungato, e poteva dire con sicurezza che, nonostante tutto, anche il grande Sherlock Holmes era nervoso. Non disturbato, non preoccupato, ma nervoso. Annuì e si schiarì la gola, tenendo il passo del moro. La gamba aveva iniziato a fargli male, e, anche se sapeva che non era vero, ed era soltanto un riflesso della sua mente, si ritrovò a zoppicare e inciampare nei sampietrini sconnessi. «Oh, dio… stiamo arrivando, vero?» osservò Sherlock guardare nel vuoto per qualche istante e muovere velocemente gli occhi, per poi annuire sicuro «Sì. Lì dietro, proprio oltre l'angolo. Credo che dovremmo aspettare, ma non dovrebbe essere particolarmente difficile da riconoscere. Non per me»
Si fermarono appena sotto un balcone da cui scendevano dei gerani rossi fin quasi alla strada. John si appoggiò contro il muro, sospirando rumorosamente, mentre l'altro guardava intorno, catturando ogni dettaglio con quei suoi occhi cambiacolore. «Andiamo?»
Si guardarono un attimo negli occhi; il respiro di John andò calmandosi man mano che quel loro tipo d'intesa che li univa si sollevava attorno a loro. Ci fu uno strano lampo negli occhi di Sherlock, le sopracciglia chiare che si aggrottavano appena, poi allungò una mano verso di lui, le dita tese ed il palmo bianco. Il dottore rimase un attimo immobile. Era un gesto così lontano dal suo collega che non avrebbe mai pensato di vederglielo fare, eppure eccolo lì, impossibile da fraintendere. Prese la sua mano, vi serrò le dita intorno con una stretta nervosa e fece un rapido cenno di assenso, ripetendosi come una cantilena John Hamish Watson non osare arrossire non è il momento per arrossire e comunque non c'è niente per cui arrossire, e ormai la sola parola "arrossire" gli dava la nausea.
Sherlock lo lasciò andare, fece uno strano movimento come se volesse allargare le braccia e scrollare le spalle insieme, poi inclinò la testa in direzione del Bart's e adesso le gambe di John erano ferme mentre camminava al suo fianco e varcavano i portoni dell'ospedale.

***

Li stava seguendo. Erano entrati dentro l'ospedale, dove tutto sapeva di bianco e di morte, e loro sembravano combatterlo con il loro odore di polvere di biscotto e cenere e menta e sale e zucchero e cose che non riusciva più a capire perché non era come le ricordava, ma sapeva di aver bisogno di loro perché le loro parole brillavano ancora, e adesso anche più forte di prima, e lui le avrebbe prese e tenute per sé, perché dopo tutti gli anni alla Prigione, nel buio e nell'odore di acqua rappresa e ferro e sangue, se le meritava davvero, le sue parole, si meritava di poterle stringere e morsicarle e strapparle con i denti e con le unghie e poter digerire quello scintillio e poter vedere il loro sapore di carne e sensazioni e ore passate davanti a schermi illuminati che vedeva ma che non capiva e tazze di tè e un appartamento con delle scale e una faccia gialla sorridente sul muro lo guardava attraverso i loro occhi, lo guardava come le guardie, fissava direttamente dentro la sua anima e prendeva i suoi sentimenti anche se lui non riusciva a vederli e loro vedevano lui con le loro luci blu, blu come gli occhi di quell'uomo che brillava così tanto e non sapeva se voleva prenderlo per sé o aprirlo e le parole sarebbero state sue e le avrebbe scritte ma prima doveva prenderle e iniziò a correre, correre, a inseguirli su per le scale di quel posto dove entrava troppa luce per i suoi occhi e c'erano troppe persone tutte vestite di bianco e le loro erano parole che splendevano di viola e curavano a guardarle, e quella era la loro missione, salvare e non essere salvati, e abbandonarsi al nulla perché qualcun altro fosse vivo e quei bagliori nei loro occhi erano stelle e voleva fermarsi e ammirare ogni sfaccettatura delle loro anime e delle loro parole e stringerle a sé e prenderne anche da loro, perché sapevano di lavanda e limone appena tagliato e colto dal sole, e se le sarebbe tenute contro il petto, ma non poteva, non poteva, non poteva, le parole degli altri erano troppo forti e lo chiamavano, urlavano nella sua testa, piangevano e ridevano insieme tutti le lacrime e tutte le risate che avessero mai sentito, ed erano lacrime gentili e tremende, e un dolore che sarebbe venuto ma non ancora, a breve, a breve, presto, lo vedeva nella storia delle loro lettere anche se non riusciva a fermarsi per prenderle, ma correva, ancora di più, sempre più veloce, vedendo ma senza essere visto da nessuno ma sentiva le parole lì intorno, di malattia e salvezza, ed erano bianche ed erano nere, ed erano di tutte le sfumature del grigio che avesse mai visto, sentito, fin dentro al cuore e giù, giù, giù nel petto ma su, su, su per le scale perché stavano scappando e non potevano scappargli, le sue parole preziose, più preziose di quelle di tutti gli altri, avevano colori del futuro e ombre di un passato conosciuto ma non visto, ed erano sue, e gli spettavano, e le avrebbe prese e tenute strette, non sotto un sasso o legate ad un albero, ma più vicine, le avrebbe divorate e tenute nel cuore, ed erano così forti che avrebbero preso il posto delle sue, che non c'erano più perché le guardie alla Prigione gliele avevano prese, e non solo con la frusta, quella frusta che faceva male, ma con la voce e con le labbra, labbra che si posavano sulle sue, labbra che non sapeva di chi fossero nel buio della Prigione, dove non vedevi nulla ma tutti vedevano te, e adesso era lui a correre, e lui vedeva tutti ma nessuno vedeva lui, e non era invisibile e c'era, c'era, c'era, sentiva i muscoli che iniziavano a tirare perché stava correndo troppo forte e c'era, sentiva i polmoni che si aprivano in cerca di un'aria troppo lenta per entrare e c'era, sentiva le ginocchia iniziare a tremare perché non era ancora abbastanza veloce e non era mai stato così lento nella sua velocità e gli altri erano più veloci di lui e le loro parole lo guidavano, lo guidavano come una traccia luminescente di sensazioni ed emozioni e animo chiuso in una gabbia di cioccolato che si scioglieva, sempre più veloce, sotto il sole di un pomeriggio di settembre che vedeva chiaramente ma non aveva mai vissuto, ma splendeva negli occhi castagna del portatore di parole, e quel cioccolato marrone che si scioglieva sulle dita sapeva di dolce e amaro come le loro emozioni, come le loro immagini che le parole formavano, sempre più chiare più si avvicinava, e più le loro vite entravano dentro di lui con refusi di parole più lui saliva le scale che sembravano portare direttamente al cielo, con quelle nuvole di zucchero filato che non sapeva cosa fosse, e poi c'era la luce, sempre più forte più saliva e il vento, il vento, il vento che fischiava e urlava, e cantava canzoni che non aveva mai sentito ma conosceva fin dalla culla, la culla, la culla in cui aveva dormito senza esserci mai stato e non aveva mai giocato con quelle bambole di cui sentiva il profumo di fiori appassiti e la morbidezza della stoffa sotto le dita, stoffa, stoffa, stoffa morbida e liscia, come il refolo che ora gli accarezzava la faccia, e c'era una porta aperta e si fermò per un istante, perché nella Prigione le porte non erano mai aperte, ma le chiudevano con lucchetti invisibili che facevano male e ti lanciavano contro il muro indietro, forte, forte, forte e faceva sempre più male ogni volta quando ti sbattevano contro la pietra fredda e scivolosa perché c'era il sangue, sangue che non era tuo, ma adesso questa porta era aperta, aperta, e dalla porta entrava del vento e della luce e c'era l'aria e c'era l'odore della strada, ma le loro parole erano più forti, e lui uscì, correndo, e si buttò sul tetto di malta e pietra ed era fredda la pietra sotto i suoi piedi nudi e loro erano lì, in piedi, immobili, uno di fianco all'altro, e c'era un'esplosione di parole in mezzo a loro e lì intorno, ne vedeva altre, meno forti ma più numerose, ma loro avevano quelle che cercava, ed erano sue, adesso, le sentiva così presenti da fargli quasi male e si buttò verso di loro che parlavano ma non sentiva cosa stessero dicendo perché le voci delle loro storie erano troppo forti, troppo rumorose, anni e anni e anni e anni tutti insieme in un unico momento come un flusso di pensiero e lui lo distingueva chiaro come i suoi pensieri, e forte, forte, forte, ma bello perché finalmente vedeva, come vedeva le loro mani unite e le loro labbra che si muovevano ma poteva solo saltare, saltare e prenderle e tutto era tutto e niente e luce e buio e ombra disegnata su foglie di parole. Cadere era solo come volare. 
 

***

«Si aprirà una microfrattura» Il Dottore non ansimava nemmeno mentre saliva le scale a due a due, il cacciavite sonico puntato davanti a sé per testare l'ambiente. «Sarà così minuscola da lasciar passare solo il nostro amico… o amica… solo lui. Ma l'energia necessaria per aprirla sarà pari a quella dell'esplosione di… uh… un aereo, se non di una centrale nucleare.»
«Oh, bene. Come evitiamo che il mondo esploda?» Rose si scostò una ciocca bionda dagli occhi. Stava iniziando a sudare nel panciotto di tweed che Layne le aveva prestato. La detective non fece commenti né domande su cosa fossero un'aereo o una centrale nucleare, il che era strano, ma in effetti non aveva parlato molto fin da quando avevano messo appunto il piano.
«Non succederà nulla… dal punto di vista fisico. Al massimo un po' di vento, dei fulmini, un acquazzone. Dal punto di vista spazio-temporale, invece… Hai mai messo del metallo in un microonde, Rose?»
«Ovviamente no. Se l'avessi fatto mia madre mi avrebbe tagliato le mani… Tu sì?»
«Ehm» il Dottore si grattò un orecchio. «Io non ho una Jackie che mi tagli le mani… Comunque, volevo capire perché proibissero di mettere il metallo nel microonde, è impossibile che sia tossico come dicono, dev'essere per forza divertente se te lo proibiscono - oh, be', ci ho provato ed è stato…» Fischiò.
«Illuminante.» La voce di Layne non era mai stata altrettanto piatta.
«Be', in pratica lo spazio-tempo si contorcerà, prenderà fuoco, inizierà a lampeggiare e poi si squarcerà con un rumore agghiacciante.» Il Dottore fece un gran sorriso. «Ma, siccome ciò che vogliamo fare noi non è una cosa di proporzioni apocalittiche, e siccome io sono un esperto, conterremo questa forza che Layne ed il nostro amico scateneranno, la imbottiglieremo e la useremo come un bisturi.» Schioccò le dita.
«Se nessuno ci rimarrà secco.» La voce della detective fu simile ad un alito di vento che fluttuava su per le scale. Rose si voltò per guardarla. A dispetto delle sue gambe lunghe, non aveva fatto alcun tentativo di muoversi velocemente. Teneva dietro loro con un passo leggero ma lento, come se fosse stanca, come se si stesse… dissolvendo.
«Cosa vuoi dire?» La guardò, ma gli occhi chiarissimi di Layne erano tristi e duri e vuoti. Si voltò di scatto verso il Dottore. Lui non avrebbe osato distogliere lo sguardo da lei, ma i suoi occhi erano lucidi e senza speranza e lei sapeva cosa voleva dire, glieli aveva già visti scostando un paio di occhialini 3D. «Cosa volete fare?»
«Rose…» Si bloccò di scatto. Nella sua mano, il cacciavite sonico aveva preso a ronzare e brillare come impazzito. Il Dottore alzò lo sguardo verso l'alto ed un secondo dopo, con un boato, il soffitto iniziò a tremare.



Ssssiamo tornate :D
  
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