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Autore: _Nazariy_    10/07/2012    1 recensioni
Ecco, la prima volta che pubblico una storia. Spero che qualcuno la legga. XD
Parla di un uomo particolare che ha perso tutto a causa dell'egoismo umano di del quale anche lui è partecipe. E l'egoismo non è solo umano.
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«Sarebbe stato meglio se l’avessimo lasciato andare... almeno non ci sarebbero stati dei morti», disse Theos, il vecchio capo del villaggio Soba. Un villaggio che da questo momento non esisteva più. Un villaggio fantasma.
Derek, colui che aveva guidato la piccola armata di uomini, non aveva nulla da dire. Si rimise il cappello e si girò per andare ad avvisare il resto della popolazione.  Bisognava preparare le provviste e andare a cercare un altro posto dove stabilirsi. Mandò due persone a controllare la situazione nella casa, anche se non c’erano speranze che Claire e Visen fossero sopravvissuti.
Theos continuava a sperare. Non gli rimaneva molto da vivere e non avrebbe retto un peso del genere sulla propria coscienza. Dopo dieci minuti se n’erano andati tutti, tranne lui. I due uomini non tornavano. Il vecchio si alzò dalla roccia su cui era seduto  ed entrò nell’abitazione. Era spaventato. Si sentiva ancora la puzza di sangue e di morte. Quando girò l’angolo e si preparò a salire le scale, vide qualcosa che non avrebbe dovuto esserci. Lake, l’uomo più giovane dei due che erano stati inviati, era sdraiato sugli ultimi gradini in una pozza di sangue. Le sue interiora erano sparse sul muro dietro di lui in una chiazza scarlatta. Il vecchio cadde in ginocchio, le sue gambe non ressero. Sentì il soffitto scricchiolare. D’istinto guardò su. Tutto crollò su di lui.
Derek spiegava la situazione agli abitanti. Erano appena svegli, tutti riuniti in piazza. Non la presero bene. C’era chi gridava, chi piangeva. Alcuni andarono subito a fare provviste ai campi di Ramon, ma furono subito fermati da un avvertimento di Derek. Lui era su un palco di legno, al centro del foro. Una quarantina di persone gli stava intorno. All’improvviso qualcosa di pesante precipitò sul ripiano dov’era l’uomo con la benda. Lui cadde a terra, mentre il resto crollò.

Il corpo del capo villaggio giaceva in mezzo alla polvere e al legno spezzato. Era pieno di sangue e lividi, sembrava essere stato preso a pugni come un sacco da boxe. Derek lo fissava incredule, si era persino dimenticato del suo dolore alla schiena, aveva fatto una brutta caduta. Si creò il panico. La storia raccontata da lui era una menzogna? La gente non sapeva cosa fare, né cosa pensare. Qualcuno si precipitò nel capanno di Derek per prendere le armi, ma fu fermato da Johan, il braccio suo braccio destro, che, dal ritorno dalla casa di Ramon, era ancora armato ( tutti avevano depositato lì le armi ).

«Cazzo, dà quelle armi alla gente e falli preparare!», grido Derek cercando di alzarsi. Johan lo guardò infastidito e consegnò le armi ai primi uomini. In tutto c’erano otto fucili. Otto persone pronte a sparare. Ora sette... Un sasso grosso quanto un pugno perforò la testa di Simon, un ragazzo magro, altro circa un metro e settanta. Quella situazione in un certo senso lo faceva felice perché era fuori dall’ordinario e lo faceva sentire importante. Ora non più. Era come gli altri. Una decina di cadaveri era distesa sulla piazza, sangue dappertutto. I vivi gridavano, correvano. Gli uomini armati non sapevano dove sparare. Le pietre continuavano a piovere conficcandosi nel terreno. Le case non presentavano un riparo, poiché i sassi erano come meteoriti. Nulla era un ostacolo per loro. Ne stava cadendo uno dritto su Derek. Sparandone ad uno, l’aveva deviato pochi metri più a destra. Aveva solo un occhio, ma ci vedeva benissimo, come ai tempi della guerra durante il regno di Agar X.
Ora qualcuno stava scendendo velocemente dalla via principale verso la piazza. Era velocissimo. Tanti fuggivano, ma chi era troppo vicino a lui non sopravviveva.

Ramon era ancora coperto di sangue. Sangue che non era solo il suo. Un grido di rabbia e dolore percosse la città. Il monaco ignorava i colpi che gli venivano sparati. Si scaraventò su Derek e lo buttò a terra. Il fucile gli cadde di mano. I due si fissavano. Lo sguardo di Ramon non era umano. L’ira. Era la rabbia in persona. Ramon lo teneva fermo reggendolo per le braccia. Ora le braccia di Derek sanguinavano e un’espressione di dolore percuoteva il suo viso. Svenne. Ramon lo scaraventò lontano e proseguì con il massacrò. Entrò nell’abitazione dove c’era Johan e altri due uomini armati. Il giovane era spaventato. Tuttavia punto il fucile contro di lui tremando:
«Arrenditi, arrenditi, arrenditi...», continuava a dire sottovoce. Sudava freddo.
I due uomini vicino a lui non persero tempo e spararono. Due proiettili andarono dritti nel petto di Ramon, il quale indietreggiò, ma subito dopo scattò e colpì i due con dei diretti sul viso e Johan con un impeto del suo stesso corpo. Morirono tutti e tre.
Quando il massacro finì Ramon pianse per ore inginocchiato in mezzo al mare di cadaveri e sangue.
Al tramonto sapeva di chi era la colpa. Sapeva su chi avrebbe dovuto sfogarsi. Sapeva dove doveva andare.
A sud, vicino al confine, c’era la grotta di Karin. Nulla vi entrava e nulla usciva, poiché essa era sigillata ed era sempre protetta da un guardiano. Si diceva che questa era l’entrata per gli Inferi. L’unico dio che Ramon poteva incontrare stando sulla terra era Mars, dio della guerra e dell’ordine naturale delle cose. Risiedeva all’interno della Terra, in modo da poter intervenire dove necessario. Dopo due giorni di viaggio stremante, Ramon raggiunse questa grotta. Il guardiano, Karin, sembrava un uomo anziano, con indosso una povera tunica e aveva una spada arrugginita legata al fianco.

«Cosa ti porta qui, ragazzo?», chiese il vecchio.
«Il dolore e la voglia di uccidere», Ramon lo guardava fisso negli occhi. Persino Karin, che viveva lì da più di due secoli, non aveva mai visto uno sguardo tanto determinato e pieno di rabbia. ‘Nel peggiore dei casi dovrò uccidere anche questo vecchio e spaccare la roccia che blocca l’ingresso alla caverna’, pensò il monaco. Tuttavia Karin con un movimento della mano, fece spostare la grossa pietra circolare che bloccava la caverna. Dichiarò di essere un semidio, l’aiutante sulla superficie di Mars, era colui che stabiliva le verità e le menzogne per mantenere l’ordine. Ramon si sorprese, ma continuò il cammino, rivolgendo l’ultima frase a Karin:
«Ho voglia di uccidere anche te».
«Ne sono consapevole», il vecchio sorrise.
La grotta sembrava l’interno di un serpente, si aggrovigliava, procedeva per spirale, svoltava improvvisamente prima a destra e poi a sinistra. L’unica fonte di luce erano dei piccoli corpi rossi che svolazzavano di qua e di là. Sembravano delle piccole sfece luminose, però, a volte, le si sentiva sghignazzare e sembrava che bisbigliassero qualcosa. Quando Ramon cercava di prenderle correndo senza successo, erano veloci. Dopo ore di corsa si accorse che qualche decina di queste sfere lo seguiva. Dopo un giorno si accorse che erano sempre le stesse. Sembravano tutte uguali, ma dopo un po’ di tempo Ramon vide quel qualcosa che le distingueva tutte. Ognuna emanava una luce diversa. Due corpi luminosi erano sempre particolarmente vicini a lui. Quando il monaco era sfinito e si mise a sedere per terra, le due sfere si lasciarono prendere. Ramon ne chiuse una nel suo pugno. Era calda. Lui la strinse forte nella mano e sentì il calore pervadere il suo corpo. Si sentiva completamente ripreso, la sua anima si era rinvigorita. Ramon decise di conservare l’altra sfera e continuò a correre. Ora era molto più veloce e dopo alcune ore arrivò alla fine del percorso roccioso.
Ora la luce era troppa, tanto che il monaco si coprì gli occhi per un po’ di tempo. Si guardò in giro stupito. Era tornato in superficie? La fonte di luce era il sole. Il cielo era sereno, tutto si presentava normale. C’era persino il capanno di Karin. Ramon vi entrò dentro spaccando la porta, tuttavia dentro non c’era nulla. Solo vecchi mobili. Il letto era ricoperto di polvere e ragnatele. Poi lo guardò meglio: uno scheletro vi era sdraiato, quasi come se dormisse. Indossava una tunica bianca ( ora ingiallita  ) mangiucchiata dalle tarme. Accanto a lui c’era una spada arrugginita.
Ramon decise di dirigersi verso il villaggio che aveva oltrepassato dirigendosi qui, era a poche ore di cammino. Tuttavia non vi era alcun villaggio. Solo case bruciate, cadaveri, o ciò che sembrava essere dei cadaveri. Non era il posto da cui era venuto, questo era l’inferno.
«Ti stai divertendo a scorrazzare in giro, monaco?», una voce gelida arrivò alle orecchie di Ramon. Lui si guardò in giro senza vedere nessuno.
«Da questa parte». Da una delle case carbonizzate uscì un uomo. Aveva una leggera barba nera e dei profondi occhi scuri, coperti un parte dai suoi lunghi capelli corvini. Indossava un elmo argentato appariscente, ma nulla in confronto ai suoi abiti: aveva decine di collane a forma di catena, una tunica grigia copriva una parte di quello che sembrava essere un’armatura argentata. Ramon lo guardava senza rispondere nulla. «È raro vedere un umano qui. Ma dopotutto tu non sei completamente umano, no? Le decisioni prese dall’alto non si sono rivelate poi così brillanti», l’uomo ridacchiò.
«Chi sei?», chiese il monaco freddamente.
«Vuoi che mi presenti? Uno come te dovrebbe conoscermi. Ah, giusto, voi ci rappresentate in modo diverso». All’improvviso del fumo nero circondò l’uomo. Era così fitto che non lasciava intravedere alcun dettaglio. Quando si diradò, apparve un uomo muscoloso, con indosso un’armatura dorata e un elmo dal quale spuntavano due corna rosse. Impugnava saldamente una grossa lancia nella mano destra ( era come veniva rappresentato nelle icone sacre ).
Ramon lo guardò. Guardò il suo primo obbiettivo. Guardò Mars.
«Così mi dovresti riconoscere».
«Che onore... avere un dio di fronte a me. Dovresti sapere già per cosa sono venuto», Ramon continuava a fissare gli occhi del dio.
«La vendetta non è ciò che cerchi, umano, tornatene nel tuo mondo».
«Non ho un mondo in cui tornare. Tu devi farmi salire fino all’Epiro, la dimora degli dei celesti. Sono un umano, ma non sono stupido. Non so quali ragioni abbia avuto, ma uno dei tuoi amichetti ha provocato quella siccità che mandò in rovina il villaggio».
«Oh... non sei stupido per niente», Mars sorrise. «...Per essere un umano», aggiunse. Roteò la lancia e si scaglio contro di lui. Con un rapido movimento, Ramon si gettò a sinistra, ma non riuscì a schivare completamente: la lancia lo colpì ad una gamba. Il monaco cadde, sentendo un grande dolore. Quando la guardò si accorse che le mancava il piede, il sangue scorreva come un fiume. Mars si stava avvicinando a lui, guardandolo dall’alto in basso. «Sei già arrivato fin troppo lontano per essere un umano. Presto prenderanno provvedimenti e toglieranno i poteri ai monaci, una cosa così non dovrà più succedere», sospirò. «Sai perché è successo questo? Ci annoiavamo, volevamo vedere cose sarebbe accaduto se certi uomini fossero stati superiori agli altri, dato che li abbiamo creati tutti uguali. Però, a parte qualche imprevisto come questo, il che è alquanto pericoloso per noi», ridacchiò, «è tutto come prima. Infatti vedo che alcuni di voi si reputano già superiori agli altri, senza alcuna ragione. Gli unici superiori siamo noi, gli dei. Possiamo giocare con le vite di voi uomini in questo modo...». Detto questo, si sprigiono un’altra volta il fumo nero che avvolse Mars completamente: al suo posto apparve un mostro, un lupo grosso almeno il doppio di un uomo. Vedendolo, Ramon non aveva più nulla da dire. Da seduto, si lasciò cadere a terra e guardò il cielo. Era come quello nel suo mondo.
Mars, assunto le sembianze di una bestia, si avvicinava a Ramon respirando pesantemente. Ma lui all’improvviso si ricordò delle sfere rosse nella caverna. Palpò la tasca, sperando che quella rimasta fosse ancora lì. Sentì il calore con la mano, poiché ormai quella gamba era diventata insensibile. La strinse. La forza che gli fu data gli permise di alzarsi e stare su un piede, appoggiato ad palo carbonizzato ( forse un resto di una casa ).
All’improvviso Mars cominciò a ridere. Era un rumore inquietante, ma Ramon capì che dalla bocca di quella bestia proveniva una risata. Il dio cominciò a parlare:
«Sei disposto persino a questo? Vuoi negare loro la reincarnazione? Probabilmente ne avevi anche un’altra, altrimenti non saresti arrivato fin qui», continuò a ridere. «Meglio così, meno lavoro per me».
Ramon ignorò la risata, era occupato a staccare un pezzo della lancia e infilare il ferro appuntito al posto del suo piede. Ora stette ritto in piedi. «Di che diavolo stai parlando?»
«Oh, voi non rappresentate quelle. Tua moglie e tuo figlio, umano. Ti sei appena pappato tuo figlio», Mars rise vedendo la faccia di Ramon. Era confuso e continuava a fissare il muso della divinità. Solo dopo realizzò che le sfere rosse erano le anime. E quelle che lui aveva assimilato erano le anime di Claire e Visen. Erano morti due volte per colpa sua e questa volta era per sempre.
Ramon con un gridò si scaglio contro il mostro e conficcò il suo piede-lancia nel suo occhio destro. Mars ruggì e fece un balzo indietro, spezzando il piede del monaco. Lui cadde a terra, dopodiché cercò subito di rialzarsi, ma il dio gli afferrò per le zanne l’altro piede e lo scagliò in alto.
«Questa volta tocca a me, umano».
Saltò in alto e con le sue zanne lo spezzò in due, senza dargli la possibilità di reagire. Quel giorno piovve sangue.
Mars, tornato all’aspetto umano, prese una sfera rossa che era fuoriuscita dalla parte superiore del corpo di Ramon.

«È stato divertente, umano», aprì con due dita il buco dove sarebbe dovuto essere il suo occhio destro e ve la inserì. «Vedrai il mondo delle divinità attraverso di me, sarà interessante sentire l’opinione di un uomo...»
  
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