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Autore: Bibi94    10/07/2012    0 recensioni
L'estate è ormai vicina e la diciottenne Vic attende le vacanze pugliesi, trascorse in compagnia degli amici di sempre. Ma, i quadri di fine anno scolastico le prospettano giorni molto diversi rispetto a quelli sognati: niente mare né feste, la chimica ha deciso di riprendersi la sua rivincita, costringendo la ragazza a dover preparare l'esame di riparazione. Una notizia deludente, la quale, tra lezioni e sotterfugi, porterà Vic a entrare in contatto con Richi e Filo, due ragazzi che condividono la sua stessa sorte di rimandata. E, proprio grazie a loro, l'estate della nostra protagonista sarà destinata a cambiare, a seguire una meta non definita che si rivelerà quasi divertente. Almeno fino a quando l'equilibrio non sarà spezzato da triangoli e malintesi...
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nonostante la singolarità di quelle torride giornate estive, dedicate più allo studio che al divertimento tanto atteso, le ore e i minuti trascorsero velocemente. Le lezioni a casa di Massimiliano si rivelarono alquanto interessanti: mi piaceva ascoltare le sue spiegazioni, chiare e dettagliate. Ogni argomento era trattato con la massima attenzione e il ragazzo si preoccupava di chiedermi se tutto mi apparisse ben comprensibile.
“La chimica è un po’ così: difficile all’inizio, ma, se entri nel sistema, riesci ad apprezzarla”.
Certo, non potevo negare l’esagerazione nascosta nelle sue parole. Era evidente che io e lo studio dell’atomo non saremmo mai andate d’accordo, ma , dopo nove mesi, ero soddisfatta di aver finalmente compreso il significato di orbitale. Nel frattempo, continuavano le mie chiacchierate con Marilena, la quale non riusciva più a negare la delusione di aver rinunciato al viaggio organizzato dai nostri amici: desiderava feste e risate, ma era costretta ad accontentarsi delle mie lunghe paranoie, riguardanti la paura di non rimediare il debito estivo. Anche Bologna aveva cominciato a piangere lacrime amare e solitarie, dovute al caldo asfissiante che costringeva gli abitanti a trasferirsi nelle ben più fresche regioni marittime. Intere famiglie, lungo via Indipendenza, caricavano le valigie nelle auto già stipate di bagagli, mentre i piccoli pulmini partivano dai parcheggi periferici trasportando allegre scolaresche. In tutto questo tran tran, l’unica persona che sembrava non volersi prendere una vacanza era mia madre. Nel corso del mese, si erano intensificate le chiacchierate con lei, tanto che imparai a memoria i nomi dei suoi colleghi, cominciando a capire gli intrighi e i sotterfugi contemplati dai gossip di redazione.
“Tu non hai idea del servizio che mi ha rilasciato il capo!” se ne uscì, improvvisamente, in un caldo pomeriggio di fine giugno, mentre ero intenta a svolgere gli esercizi assegnatemi da Massimiliano.
“Il capo, colui che se la faceva con la novellina, giusto?” chiesi con tono ironico, nel tentativo di distoglierla dal desiderio di raccontarmi affari che non mi interessavano.
“Esatto! Proprio lui. Mi domando che cosa ci trovasse in quella bell’imbusta!”
“… con i capelli arancioni. Sì, mamma, me l’hai già detto. Non è che sei gelosa di lei?”.
La fissai negli occhi, sperando di cogliere la verità nelle sue pupille glaciali. Da quando si era lasciata con papà, avevo riflettuto molte volte sulla possibilità di un flirt con un altro uomo. Eppure, nonostante alcune cene “con gli amici”, in occasioni delle quali era solita vestirsi con abiti eleganti e vistosi, mi facessero sospettare qualcosa, non avevo mai preso seriamente in considerazione la probabilità di imbattermi in una nuova storia. Secondo Marilena, avrei dovuto indagare, al fine di evitare un inaspettato – e imbarazzante - incontro mattutino con un macho mezzo nudo in bagno.
Mamma pareva essere sul punto di abbassare lo sguardo, ma il silenzio fu interrotto dalle sue parole, pronunciate con tono alto e autoritario, quasi come se fossero rivolte più a sé stessa che a me.
“Certo che no, Vic! Ma… ma cosa ti passa per la testa?! Dopo tuo padre, dopo quello stronzo di tuo padre, e rimarco la parola stronzo, non voglio saperne più di uomini! Lo sai”.
Annuìi, con poca convinzione, e sarei stata pronta a supplicarle di raccontarmi la verità se non mi avesse ricordato il suo imperdibile servizio a Platinete e, soprattutto, l’impresa da affrontare. “Basta con tutte queste chiacchiere! Finisci gli esercizi e preparati a domani: la prima lezione dei corsi di recupero ti attende”.
Come dimenticare l’appuntamento fissato alle 9.00 della mattina successiva? Come superare gli sguardi cinicamente soddisfatti della profe di chimica, che aveva annunciato di voler partecipare alle lezioni per ascoltare le conoscenze impartite agli studenti? La Belluni voleva accertarsi della nostra completa preparazione, dato che i corsi sarebbero stati tenuti da un altro insegnante. La sottoscritta, invece, avrebbe preferito sotterrarsi piuttosto che far parte di una nuova classe. Una classe di capre ignoranti nella materia più strana del mondo.
Entrai in aula a testa bassa. Non mi interessava osservare le facce di coloro che avrebbero condiviso con me spiegazioni ed esercizi. Feci solo in tempo a notare la presenza della spilungona di IV A, la bionda che tutti chiamavano Titti per i lunghissimi capelli biondi. Tinti, ovviamente.
Purtroppo, quella mattina era iniziata nel modo peggiore possibile, con un incidente che aveva intasato il traffico e aveva ritardato il mio arrivo a scuola. Così, dopo una corsa tra i sentieri del parco di fronte al liceo, raggiunsi la classe già stipata di gente. Mi resi conto, con amarezza, che Marilena aveva provveduto a sedersi senza lasciarmi libero il banco di fianco a lei, occupato da una ragazza dall’aria svampita intenta a raccontarle la storia della sua vita. Quando Mary mi vide, fece un gesto con la mano, quasi a volermi chiedere dove fossi stata in tutto quel tempo. Io la salutai e, notando che cercava di scusarsi per non aver pensato di procurarmi un posto vicino, mi diressi silenziosamente verso l’unica coppia di banchi rimasta libera, dalla parte sinistra della classe. Si trovava in un angolo poco illuminato dal Sole, i cui raggi sfilavano dalle finestre del lato opposto dell’aula. Seduta nel posto più interno, mi rallegrai rendendomi conto che, perlomeno, non mi trovavo in ultima fila: forse, alle mie spalle, qualcuno mi avrebbe fatto compagnia.
Nonostante ciò, le mie speranze andarono in frantumi quando vidi entrare, dalla porta in legno di cedro, due studenti strambalati. Il primo, poco più basso rispetto al secondo, indossava dei jeans che lasciavano scoperte le gambe dal ginocchio in giù. La maglia, nera e attillata, lasciava intravedere i muscoli non troppo marcati, i quali delineavano la pelle olivastra, come accade con le statue di marmo. Gli occhi, grandi e scuri, gettavano occhiate qua e là, accompagnate da un sorrisetto strafottente che egli sfoggiava osservando i nostri compagni di classe. Anche il secondo si guardava intorno, apparentemente con aria distratta. In realtà, il sorriso appena accennato e i vispi occhi di colore azzurro chiaro evidenziavano la risata trattenuta, dovuta a chissà quale comica visione. I jeans a cavallo basso e la lunga maglia bianca, firmata Nike, non celavano la magra corporatura, che, dal punto di vista estetico, era compensata da un’altezza medio alta, perfetta per il suo fisico. Direttisi verso i banchi alle mie spalle, percepii di sfuggita i sarcastici commenti relativi ad alcune ragazze sedute poco più avanti, udendo chiaramente il mio nome, collegato a quello di mio cugino: “Victoire! La parente di Marco è tra di noi!”.
Mi girai istintivamente, puntando una gelida occhiata al ragazzo dalla pelle olivastra, il quale, disponendo quaderno e astuccio sul banco, continuò a parlare con l’amico fissandomi a sua volta. “E’  proprio come lui, eh. Stesso naso pronunciato, stessi brufoletti sulle guance!”. Gli sghignazzi pronunciati dall’altro mi irritarono ancora di più, fino a quando non domandai loro, in tono scortese, cosa volessero da me.
“Ehy, cuginetta, sei nervosa proprio come il tuo cuginetto! Siamo in classe con lui, ci ha parlato spesso di te!” rispose il ragazzo con gli occhi azzurri, che avvicinò la mano presentandosi: “Io sono Filippo, Philippe alla francese! E questo coglione di fianco a me si chiama Nicholas”.
Avvicinando riluttante la mano, strinsi quelle di entrambe, nel tentativo di ripercorrere i miei ricordi; frequentavo spesso la classe di mio cugino, quel secchione di Marco, che aveva la mia stessa età e si trovava in IV H, ma non avevo mai fatto caso a quelle due buffe facce. Era evidente che parlava spesso di me, e chissà con che tono. D’altronde, lui e io non eravamo mai andati troppo d’accordo: dalla parlantina facile e facilmente irritabile, quando partecipavamo ai pranzi di famiglia dovevo sottostare alle sue lamentele e alle sue frecciatine sui miei gusti e, addirittura, sulle mie amicizie.
Filippo e Nicholas continuarono a parlare, ponendomi le domande più disparate. Per un momento, fui convinta di trovare la salvezza nella professoressa che, entrando con aria altezzosa, ordinò il silenzio.
“Ragazzi, piacere a tutti. Sono Marina Baroni e, da oggi, vi terrò il corso di approfondimento di chimica. Lavoreremo insieme, in modo da arrivare belli e pronti all’esame! Non siete contenti?”. Il silenzio tombale e gli sghignazzi che sfuggirono ai due ragazzi che sedevano alle mie spalle confermarono la risposta, la quale fu ignorata dalla profe. La lezione cominciò immediatamente e, tra soluzioni e miscele, mi sorbii le chiacchiere di Nicholas e Filippo. Sembravano due bambini delle elementari: uno tirava pezzi di gomma agli studenti seduti nei primi banchi, l’altro commentava, in tono volgare, i visi delle ragazze di fronte a me. L’intervallo mi salvò, ma solo per pochi minuti.
Infatti, scendendo le scale che, poco prima, mi avevano portato nei bagni del primo piano, fui conquistata da pensierose riflessioni. Ricordando il viso della mamma nel momento in cui, il giorno precedente, le avevo posto la fatidica domanda, fui sul punto di autoconvincermi dell’esistenza di una nuova storia d’amore. Non ero arrabbiata, non avevo paura: temevo solo che potesse soffrire nuovamente. Dopo le litigate scoppiate con papà, non meritava una seconda delusione. Certo, se la storia con lui era terminata, le colpe dovevano essere individuate anche nella sua lontananza dalla famiglia, che, in quel periodo, era cresciuta fino a intere giornate trascorse in Redazione. Per fortuna, dopo il divorzio, gli impegni erano diminuiti, come se gli articoli e le intervisti fossero elaborate proprio per scappare da un luogo che la opprimeva.
Persa in questi pensieri, non mi resi conto della voce che, da dietro, cercava la mia attenzione. La mano che si appoggiò improvvisamente sulla spalla mi fece sobbalzare. Mi girai istintivamente, senza badare al gradino successivo, convinta di camminare sopra un pavimento liscio e privo di ostacolo. Riuscii solo a incontrare due grandi occhi scuri e, percependo le grida chiamanti il mio nome, tutto scomparve in un vortice lontano, che catturava ciò che mi circondava, mentre io, priva di emozioni, crollavo senza trovare sostegno.
  
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