Guardai la piccola vampira
avvicinarsi a me con passo cauto, gli occhi
sbarrati e le mani tese in avanti, come a non volermi spaventare.
Più la guardavo,
più sentivo qualcosa agitarsi nei recessi della mia
memoria.
La conoscevo.
Lei sapeva chi ero stata.
Lasciai cadere a terra i pezzi del
vampiro neonato e mi voltai. A
stento mi accorsi che lentamente il pelo, le punte dorsali, la coda e
le ali si
stavano ritraendo, lasciando della mia trasformazione solo gli occhi
serpentini, le orecchie da lupo, gli artigli e gli zoccoli da gazzella.
Guardai la vampira avvicinarsi
ancora.
???: Isabella? Sei Isabella Swan?
Fremetti. Da quanti anni non venivo
chiamata così? Quella voce pareva
venire da molto lontano.
Bella: mi conosci?
La guardai inclinando la testa,
sbattendo gli occhi. Non capivo. Perché
quei vampiri mi fissavano in quel modo? Chi spaventato, chi addolorato,
chi
addirittura incredulo. Ma furono gli occhi del vampiro dai capelli
bronzei che
mi sorpresero: occhi disperati di chi sta guardando l’inferno
e se ne sente
consumato.
Bella: che volete da me?
???: Bella… sei
tu… Bella…
Il vampiro aveva parlato, e io
riconobbi quella voce. I ricordi più
brutti che avevo erano ricondotti a lei, a parole aspre che mi aveva
rivolto
prima di spegnersi e svanire. Una voce che mi aveva lasciata al buio,
cieca, a
grattare il pavimento con unghie che si spezzavano.
Indietreggiai.
Bella: c… cosa vuoi da
me? Stai zitto, la tua voce mi infastidisce!
Ringhiai, snudando le zanne con
rabbia. Il vampiro indietreggiò,
ferito, ma la piccola vampira simile a un folletto si
avvicinò di un altro
passo. Era vicinissima.
Allungò una mano, mi
sfiorò la guancia. Non mi aveva picchiato, non
aveva osato colpirmi. Era stata gentile, quasi delicata. Possibile che
non
tutto il mondo fosse volto a ferirmi? Possibile che fosse rimasta
ancora un po’
di umanità in un mondo così malandato?
Bella: Alice.
Quel nome era affiorato come un
salvagente nei miei ricordi. Quel nome
era puro, sincero, e non faceva male.
Come una bambina mi abbandonai
all’abbraccio accorato di Alice. Non
ricambiai il gesto, non ne ebbi la forza. Le gambe mi cedettero ancor
prima che
riuscissi ad alzare le braccia, ma lei mi sorresse.
Alice: Bella… Bella, sei
tu… ti… ti credevamo morta! Cosa ti è
successo… cosa ti hanno fatto…
Non ebbi la forza di piangere, era
da troppo tempo che i miei occhi
parevano essersi prosciugati. Cercai di rispondere, quando
all’improvviso
ricordai il motivo che mi aveva spinta fin lì, il poco tempo
che avevo a
disposizione e la promessa che avevo fatto ai licantropi. Liberarli dei
neonati
una volta per tutte.
Mi
allontanai da Alice con un
gesto stanco.
Bella: non posso restare, Alice.
Devo sbrigare una faccenda e poi
tornare a casa.
Alice: tornare a casa? Bella,
questa è casa tua, non puoi averlo dimenticato!
Guardai atona alle spalle della
piccola vampira. La sua famiglia… io la
ricordavo. Ma più di tutti ricordavo lo sguardo affranto
di… di Edward Cullen.
Il vampiro mi fissava con intenso dolore, un dolore che egli stesso si
era
inflitto.
Un dolore che chiedeva perdono.
Il dolore di chi aveva capito i
suoi errori.
Oltrepassai Alice, accostandomi ad
Edward. Ricordavo i suoi occhi come
visti attraverso un caleidoscopio sfuocato di lacrime.
Lui tremava, indeciso se
indietreggiare e sottrarre la mano che gli
avevo stretto tra le mie, attenta a non ferirla con gli artigli
animaleschi. Lo
guardai negli occhi e solo allora capii.
Capii perché avevo
sofferto tanto.
Capii che il vero scopo della mia
missione era il perdono.
Capii che una volta fatto
ciò, non mi sarebbe più importato di
sopravvivere a una prigionia forzata.
Bella: ti perdono, Edward.
Mi allungai sulle zampe da gazzella
per baciargli la fronte,
scostandogli i capelli con dolcezza. Lui chiuse gli occhi, e forse
avrebbe
pianto se non fosse stato a corto di lacrime quanto e più di
me.
???:
adesso basta!!!
La voce esplose nel mio cervello
con la forza di un uragano. Uggiolai
ferita e mi ritrassi, cadendo in ginocchio e artigliandomi le tempie.
Il
collare si strinse, piantando i chiodi nella mia carne, soffocandomi,
straziando quel poco di umanità che voleva affiorare in me.
Edward: Bella!
Delle mani mi strinsero le braccia,
qualcuno mi chiamò come da molto
lontano.
???:
non osare opporti a me! Fai il tuo
dovere, ammazza quei vampiri!
Sbarrai gli occhi, fissai Edward
allucinata. Ucciderli? Uccidere quella
parte di me che ancora mi rendeva diversa da un animale ammaestrato?
Il corpo non la pensava
così.
Quasi senza accorgermene sollevai
un braccio, gli artigli affilati
lucenti alla luce della luna. Edward guardò prima loro, poi
me. La sua famiglia
si immobilizzò, come in attesa di dover reagire per calmare
la situazione.
Non voglio!
Ti prego!
???:
UCCIDILO!!!!!!!!!!
Il collare si strinse ancora,
facendomi annaspare e tremare. Una
piccola lacrima, una sola, sgorgò dall’angolo del
mio occhio felino. Una
lacrima bruciante di impotenza, una lacrima appartenente a occhi che
guardavano
un braccio artigliato incombere sulla preda inerme.
Guardando Edward negli occhi, seppi
che non avrebbe reagito.
Bella: TI PREGO!!! TI PREGO,
NO!!!!!!!!
Mi contorsi per arrestare il
braccio, ma anni di allenamento a uccidere
erano serviti troppo allo scopo degli scienziati. Io ero un miracolo
della
scienza, non dovevo ricordarlo. Una svolta.
Bella: ti prego… Edward,
ti prego, vai via…
Chinai il capo, singhiozzando. Lui
mi asciugò le lacrime con un solo,
fluido gesto. Mi guardò con quell’amore
incondizionato che solo nell’eterno può
trovare riscontro, un amore che sapeva di perdono, felicità,
serena
rassegnazione alla morte.
Non riuscii a fermarmi.
Il braccio calò.
Uno scintillio di artigli
d’acciaio.
Un paio di palpebre che calavano su
occhi dorati.
Infine, Un richiamo.
???: ISABELLA, FERMATI!!!!!!!!!!!!!!
Il mio braccio si bloccò
a un soffio di distanza dalla nuca di Edward. Tutti
si voltarono mentre il mio cuore sobbalzava speranzoso.
Una sagoma emerse dalla selva,
scostando i cespugli al suo passaggio e
un ragazzo alto e bellissimo incespicò mentre si accostava a
noi.
Shou alzò il viso, mi
guardò coi suoi inesorabili occhi chiari. In mano
aveva qualcosa, un telecomando che conoscevo bene… e dal
lato destro del suo
corpo pioveva sangue da un moncherino spezzato dove un tempo aveva
dimorato una
mano sana, la stessa mano che nei momenti bui si era tesa a
rischiararmi la
strada.
Angolo
dell’autrice:
Ok,
sono in ritardo di nuovo, ma abbiate
pietà, è un periodo un po’ difficile
per la povera Tomi! Ringrazio sentitamente
chi ha recensito e sì, grazie a voi e ai vostri commenti la
storia continuerà,
spero nel migliore dei modi. Fatemi sapere cosa ne pensate,
così mi sbrigherò a
postare, il prossimo capitolo è già quasi
completo!
Un
Grazie speciale a chi ha recensito, un
abbraccio forte per il coraggio che mi date, spingendomi ad andare
avanti in
questa nuova avventura!
Tomi
Dark Angel